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Categoria: Film, Telefilm, Teatro
Dalla Serie: Il Fantasma dell'Opera
Titolo Fanfic: IL FANTASMA DELL`OPERA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: erikuccia galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/09/2005 19:20:27 (ultimo inserimento: 25/09/05)

è una ficcy ispirata al film di joel shumacher,,
 
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IL DEMONIO
- Capitolo 1° -

Ciao Ragazzi, eccomi di nuovo tra voi! Questa volta sono qui con una storia che non rientra nelle mie solite creazioni. Bene,eccovi qua una piccola delucidazione. Qualche mese fa ho visto il film di Joel Shumacher, l adattamento cinematografico del musical di Andrew Lloydd Webber, e ne sono rimasta davvero affascinata, sarà anche per Gerard Butler *_*, e da allora ho pensato di scriverci sopra una fiction, partendo dall'inizio della storia di Erik, il fantasma. Volevo dirvi che comunque ancora non ho letto il libro di Leroux, da cui tutto è nato, e quindi se ci sono dei diverbi vi chiedo scusa sin da subito,considerate quindi tutto questo come una semplice opera di fantasia, nato da qualche altra cosa. Insomma, una fiction, come tutte le altre. Arriverà comunque il momento in cui questa fiction riprenderà, piu o meno, le fila del film. Magari questo rassicurerà qualcuno. ^^ Bene la mia nota è finita, fatemi sapere quello che ne pensate perchè adesso non resta altro da fare che leggere.
Erikuccia, come sempre.


IL FANTASMA DELL' OPERA

1- Il demonio

Si domandava se quell oscurità che gli attanagliava il cuore fosse un sentimento che provavano tutti quelli che si muovevano, in un modo o nell'altro, in quel mondo che lui aveva preso ad odiare.
Possibile che ogni individuo provasse davvero quel terrore che nasceva dalla consapevolezza di avere all'interno del proprio corpo un caos i cui fili sono mossi solamente dalla mera oscurità?
No, non lo sapeva, non poteva dirlo.
Lui non sapeva niente, non aveva coscienza del mondo o del tempo. Il suo mondo era quella gabbia e un giaciglio di paglia e di sporcizia, dove i vagabondi andavano ad urinare, senza preoccuparsi della sua presenza, di quel piccolo scricciolo che si rannicchiava nell'angolo, nel buio al quale pensava di appartenere. Un giaciglio in cui cercava una ragione, in cui cercava una via di fuga. La paglia si insinuava tra il suo corpo martoriato, e spesso correva il rischio di soffocare, nonostante il panno che gli avevano messo sul viso.
Una vecchia federa maleodorante che copriva il suo viso, quando esso non poteva portare guadagno. Una maschera che gli era stata imposta, che ora era diventato parte di sè.
Un viso martoriato, deforme, un viso che neanche Dio aveva voglia di vedere. No, perchè anche Dio distoglieva lo sguardo quando lui invocava il suo nome, quando innalzava preghiere verso il soffitto. Si, solo verso il soffitto, perchè lui il cielo non poteva vederlo. Dio non ascoltava niente, non faceva niente per aiutarlo, e alla lunga aveva smesso di chiedere aiuto.
Lui era solo.
Non c'era nessuno che si curasse di lui. Nessuno che facesse caso a quello che provava, a quello che pensava, e a quello che semplicemente era. Lui non aveva nessuno, non era il figlio di Dio, non era suo figlio. E molto probabilmente, pensava,quando si toccava quella pelle che gli era costata tanto dolore, era il demonio in persona, andato sulla terra a prendere la sua vendetta.
Ma che poteva fare?
Cosa poteva fare contro un mondo pieno di pregiudizi, che non faceva altro che urinargli addosso, come se non esistesse neanche?
E poi c'era quella gabbia, quella maledetta gabbia, quella gabbia che sembrava si chiudesse ogni volta su di lui, come a volerlo inghiottire. Quante volte aveva sperato che accadesse veramente?
A cosa serviva vivere, se vivere significava continuare a trascinarsi in quello stato perpetuo di noia e disperazione?
Lì, tra lo sterco degli animali, da solo di fronte al mondo, affrontava ogni volta quell'umiliazione.
Un popolo intero che veniva in quel posto solo per vedere quel fenomeno da baraccone, il figlio del diavolo.
E di colpo quella federa veniva tolta di scatto, mentre la gente urlava e piangeva, mentre i bambini si nascondevano dietro i genitori. E molte risate intorno a lui, che lo buttavano in un abisso senza via d uscita. Un abisso nel quale era sprofondato molti anni prima.
La gente gli tirava addosso del cibo andato male, gli sputava addosso, sottolineando a quel modo il loro disprezzo per un esistenza come quella.
E poi a spettacolo finito arrivava lui, Gaston, l'uomo che avrebbe dovuto trattarlo come un figlio,come un essere umano, almeno, come qualcuno che, se non altro, merita rispetto.
Ma no, non era così, non poteva essere così. Non sarebbe mai stato così.
Gaston derideva la sua deformità, e non si curava affatto di quello che accadeva, si preoccupava solo di raccogliere le monete che erano state fatte cadere tra la paglia da quegli spettatori così attaccati morbosamente alla mostruosità.
Quante volte l'aveva visto passarsi la lingua sulle labbra mentre contava e ricontava quei soldi?
Davvero così pochi spiccioli valevano un'esistenza?
E la notte era solo, solo con se stesso, con il caos che regnava dentro di lui, con la pioggia delle sue lacrime, che aveva imparato a versare senza fare il minimo rumore.
Gli avevano tolto tutta la dignità di essere umano, e lui non li avrebbe aiutati ancora.
Solo un pensiero fisso faceva in modo che potesse continuare a vivere.
Un giorno quel pensiero si era insinuato nella sua mente offuscata, e di colpo la voglia di morire era scomparsa.
Quel giorno si era sorpreso a pensare <<no, non voglio morire, non posso morire>> Era la prima volta che un simile pensiero attraversava la sua anima ancora così giovane, ancora così inesperta.
Ma così dannatamente sola.
E quando si è così soli non si puo fare altro che combattere contro se stessi, e per lui, per Erik, così lo chiamavano, voleva dire combattere contro quell'entità che colorava di nero tutta la sua persona.
Così, quel giorno, dopo il normale spettacolino, si trovò a pensarlo.
<<No, non posso morire>>
Ma quella forza di volontà, quell'essere così dannatamente attaccato alla sua vita, nasceva da un solo singolare obbiettivo.
<<non posso morire, non prima di essermi vendicato>>
E ogni volta che Gaston appariva, con il suo sguardo fradicio di alcool, con le mani sporche e tozze, Erik aveva un solo pensiero, un ossessione fissa che gli dava la forza di affrontare, ancora una volta, quella grande umiliazione.
<<ti ucciderò>> si ripeteva nella testa per evitare alle lacrime di scendere <<ti farò pagare mille volte tutto quello che mi hai fatto. Ti ucciderò>>
La rabbia rea così radicata in sè, che non si sorprese nello scoprire che non potere vivere senza. Era cresciuto con tutti quei risentimenti a cui prima non era stato capace di dare un nome. Prima di quella scoperta, un raggio di sole dava colore alla sua anima tetra.
Il pensiero che, anche lui, nonostante tutto, anche lui, colui che chiamavano il figlio del diavolo, aveva avuto una madre. Una madre che l'aveva tenuto in grembo per nove mesi, e che magari l'aveva amato e aveva progettato per lui una vita meravigliosa, fatta di giochi e di amore, di tanto tanto amore.
Si, quel pensiero, per molto tempo, aveva dato sollievo alla sua anima martoriata.
I sogni di libertà che faceva, tuffarsi nelle nuvole, correre per prati, contare le stelle in cielo, i granelli di una spiaggia..tutto..tutto quanto si collegava al pensiero di quella madre che l'aveva amato, e che probabilmente in quel momento stava soffrendo perchè degli uomini senza scrupoli l'avevano rapito dal suo seno amorevole.
E così pensava che quando avrebbe raggiunto la tanto agognata libertà sarebbe tornato da lei..
Sua madre l'avrebbe riconosciuto, come sangue del suo sangue, non come il figlio del diavolo, e sarebbe stato di nuovo felice. Con le sue cure amorevoli avrebbe allievato tutti quegli anni di dolore.
Ma questo accadeva prima di avere quella voglia di vendetta.
Prima di capire che il mondo era solo una parentesi dell'inferno.
Prima di sentire una chiacchierata che l'avrebbe cambiato per sempre.
"Quello è davvero il demonio.." Aveva sentito la voce di Gaston attutita dalla sottile parete di legno. Erik stava adagiato sul suo giaciglio, l unica cosa che potesse chiamare casa. Si era alzato,attento a fare il piu silenziosamente possibile. Aveva raggiunto il punto da cui aveva ascoltato provenire le voci. Aveva poggiato l'orecchio e si era fermato ad ascoltare.
"il demonio, li demonio" aveva ripetuto ridendo Pierre, il trapezista.
"sua madre aveva ragione!" disse ancora Gaston "il diavolo in persona vive in quel ragazzino. Capisco bene il motivo per cui ha voluto vendercelo..e ce l ha fatto anche pagare poco!"
Venduto.
Pagato.
Venduto.
Pagato.
Quelle parole riecheggiavano continuamente nella sua mente. E così sua madre l'aveva venduto? Ma quale madre avrebbe mai potuto vendere il frutto del proprio amore, del proprio corpo? Poteva capire un padre, ma una madre..una madre no..non poteva crederci..
"sapeva di nn poter pretendere troppo " riprese Pierre "altrimenti l'avremmo lasciata con quel demonio, e sicuramente lei voleva liberarsene"
"la capisco benissimo, anche io spesso sono tentato di lasciarlo in mezzo alla strada, o di buttarlo in un pozzo, nonostante mi sia costato 50 soldi"
"Gaston, se ti liberi di lui non mangi piu..lo sai qual è la regola, ognuno usa i soldi che guadagna!"
"perchè pensi sia ancora vivo? E' solo un oggetto per fare due soldi, ma ti assicuro che ogni notte io lo chiudo a chiave, e non per paura che scappi, ma perchè ho paura che il demonio venga a me, e mi uccida"
E da allora anche quel piccolo raggio di sole era scomparso. Sua madre l'aveva venduto, non l'aveva accettato come sangue del suo sangue, non avrebbe mai curato le sue ferite, nn avrebbe mai corso con lui tra i fiori, sotto il sole.
Di colpo era sparita anche quella sensazione di raggi che gli carezzavano il viso, come una brezza leggera.
Quel giorno sparì tutto.
Ritornò al suo posto maleodorante, si rannicchiò in posizione fetale, e lasciò, dopo tanto tempo, che le lacrime cadessero copiosamente. Per la prima volta dopo un periodo che era parso infinito, non si preoccupò di nascondere i singhiozzi, gli urli. Voleva cacciare tutto fuori. Avrebbe voluto sputare sangue, odio, tutto.
Quel giorno capì cosa voleva dire avere dei risentimenti, e il suo essere ne era pieno, saturo.
Gaston era arrivato, barcollante.
Erik capì subito che doveva essere ubriaco, come al solito, dopotutto. La sua faccia era unta, sporca, e i capelli erano attaccati alla nuca, per via del sudore.
Gaston emanava un odore simile a quello del posto in cui dormiva.
"che hai ragazzino?"
Erik si era messo a sedere e di colpo le lacrime avevano smesso di scendere, e i singhiozzi avevano finito di agitargli il corpicino.
Aveva guardato Gaston con odio e con disprezzo. Molto piu disprezzo di tutto quello che aveva provato per sè stesso.
Non aveva detto niente, aveva continuato a guardarlo con odio.
E nei suoi occhi per un attimo brillò la malvagità pura, allo stato puro.
Gaston fece qualche passo indietro. "demonio,che hai da guardare? Perchè mi guardi in quel modo? Rispondi, rispondi!"
Ma Erik aveva continuato a tacere, fissandolo.
"allora? Hai perso anche l'uso della parola?Ho fatto male a comprarti, non vali affatto come investimento!La cosa peggiore della mia vita"
E qualcosa era scoppiato nella mente di Erik. Si era tolto la federa che lo copriva "Guardami!" disse urlando "guarda il mio volto, io un giorno ti farò pagare tutto questo..il disprezzo della gente, della natura..un giorno mi vendicherò di tutto quello che hai fatto..quindi guardatevi bene, padron Gaston, perchè un giorno,andrai a letto e il mattino successivo non ti sveglierai piu..un chiavistello non tiene a bada il figlio del diavolo!"
Per qualche secondo Gaston non aveva parlato, poi la rabbia era cresciuta, come un opera che andava in crescendo..
"Razza di ingrato!" aveva detto spingendolo di nuovo a terra "Vuoi farmela pagare eh?" stava urlando "bene, e allora metti in conto anche questo..e questo..e questo..e questo.."
E ogni "questo", rappresentava un calcio o uno sputo. La verità era che le parole di Erik l avevano spaventato a morte, e in quel modo Gaston stava dimostrando di essere piu forte di lui, invincibile.
Ma come si poteva considerarsi forte nel picchiare un bambino?
Pierre e un bambino con una scimmietta entrarono di gran carriera.
"Gaston smettila!" stava dicendo pierre, mantenendo la calma "se continui così non mangi..se lo uccidi sei morto anche tu.."
Gaston diede un ultimo colpo e poi si allontanò.
Il volto di Erik era sporco di sangue, e il ragazzo non si muoveva.
"Cazzo, l hai ucciso!" disse Pierre
"No, non l ho ucciso..sta solo facendo finta, altrimenti sa che prenderebbe il resto.."
Ma la verità era che Gaston stava davvero sudando freddo, l'aveva ucciso? Le parole di Pierre erano vere, se quel demonio moriva, era morto anche lui.
Il bambino si avvicinò,mentre la scimmietta, vestita di rosso, lo seguiva piano piano.
Si piegò su Erik.
Questi aprì gli occhi di scatto, e il bambino per allontarsi inciampo nei suoi stessi piedi.
"te l ho detto" disse Gaston uscendo "stava fingendo" ma nel contempo tirò un sospiro di sollievo.
Il pane in tavola era ancora assicurato.
Il bambino scappò via "vieni bestiaccia!" urlò alla scimmietta. Erik guardò l'animaletto vicino al suo viso "anche tu sei considerato alla stregua di un animale" sussurrò "ma la differenza è che tu un animale lo sei davvero"
Poi la scimmietta era uscita di corsa, dietro al bambino, e Erik, mettendosi a sedere, aveva riposto il viso in quella federa,mentre tutto il corpo gridava pietà. Ma almeno era vivo.
<<non voglio morire, non posso morire,non prima di essermi vendicato>>
quel pensiero..quell'ossessione..sempre..
nell'oscurità..

continua...
 
Continua nel capitolo:


 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
Rif.Capitolo: 1
franchina - Voto:
20/04/11 19:02
belloooooooooooooo
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