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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: SPERANZA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: alpeguizza galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 04/09/2005 19:28:11

one shot, triste..non ha prorprio una trama..l`ho buttata giù così..spero vi piaccia!! ^^baci baci..
 
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- Capitolo 1° -

Ancora pianti, come sempre. Ultimamente la mamma non faceva altro, chiusa nella nostra stanza troppo piccola, la testa affogata nelle lenzuola nella speranza che nessuno la sentisse. Speranza..che bella parola per chi, come noi, non possiede altro che quella. Nostra madre piange, con la speranza che i suoi due piccoli, ancora troppo piccoli secondo lei, non sentano. Il suo piccolo, tuttavia, è molto meno piccolo di quanto creda, e sa esattamente cosa succede. La mia speranza è quella di aiutare la mamma, di non sentirla più piangere, di uscire da questo schifo.
Me ne stavo lì, nel nostro salotto-cucina-sala da pranzo, a canticchiare il motivetto di una vecchia canzone italiana, cercando di sovrastare i pianti disperati di mamma. Hannah era anche lei lì, nella stanza più grande del nostro piccolo trilocale, e sembrava non accorgersi di niente. Giocava. La piccola Hannah, beata lei, ad essere così piccola in un momento tanto difficile.
Mi sbagliavo. Si girò verso di me, coi suoi grandi occhioni blu, le guance rosse, non abbastanza piene per una bambina di 6 anni, mi guarda.
“Tomi perché mamma è triste?”mi fece.
Cercavo di reggere il suo sguardo, pensai in fretta ad una risposta: mi aveva colto davvero impreparato. Abbassai gli occhi. Fissai la calza che teneva tra le mani, una vecchia calza alla quale stavano attaccate due palline da ping-pong. Gliel’avevo costruito io, quel suo unico gioco, anni prima. Era quello il motivo della tristezza della mamma. La nostra povertà. Ma come lo spieghi ad una bimba di 6 anni, che ti guarda con gli occhioni pieni di speranza, che siamo senza soldi, che lei è l’unica in casa a mangiare sette giorni alla settimana, che suo padre non è andato in vacanza, è solo scappato chissà dove. Alzai di nuovo lo sguardo. Era ancora lì a fissarmi, la piccola Hannah.
“La mamma..ha male..”
“Male? …Come quando a me fa male la pancia?”ancora quegli occhi speranzosi.
Ricacciai indietro le lacrime. Dovevo reggere. Ero l’uomo della casa, l’unico uomo di mamma, e l’unico sostegno di Hannah.
“Esatto. Come quando ti fa male la pancia..”
Hannah si alzò, senza lasciare la sua calza. Si diresse verso l’unico vasetto di fiori che avevamo in casa, regalatoci ad un refettorio l’anno prima. Prese con la sua piccola manina una manciata di terra, ben stretta nel pugno. Corse verso la camera da letto, lasciando dietro di sé una scia di terriccio.
“Hannah!”la chiamai”Vieni qui! Lascia stare mamma. E’ stanca. Sta cercando di riposare”
Ma i bambini, si sa, quando si mettono in testa qualcosa..Secondo lei la terra guariva ogni male. Non so da dove l’abbia sentito, visto che non abbiamo nemmeno una televisione. Deve averglielo detto qualcuno al refettorio. Hannah aprì la porta della stanza e corse dentro. La seguì in un attimo, cercando ancora di riportarla in sala.
La vidi. Stava li, la mia bella mamma dai riccioli neri, gli occhi grandi, come quelli di Hannah, un fisico perfetto, ma sciupato dalla fame, le gambe lunghe. Se ne stava lì, buttata sul letto come uno straccio qualsiasi..non lei, non la mia mamma, bella come un fiore. Rimasi paralizzato. Sapevo bene che se l’avessi vista, l’avrei vista esattamente così, immersa nelle lenzuola, sciupata più che mai. Ma non lo reggevo.
“Mamma! Mamma! Guardami! Mamma!” iniziò a strillare Hannah.
Mamma si tirò su, girata dall’altro lato, si asciugò il bel viso velocemente, tirò su col naso un paio di volte. Si alzò e venne verso di noi. I begli occhi verdi arrosati dal troppo piangere, i capelli bagnati appiccicati ai lati del viso. Si stampò in faccia un sorriso, finto. Il meglio che seppe fare, per me valeva già molto.
“Dimmi Hannah, cos’hai per me?”disse con la voce dolce, un po’ tremolante.
“Mamma..”la piccola sembrava scioccata quasi quanto me”Hai tanto tanto male vero?Alla pancia?”
Mamma mi tirò un’occhiata, io arrossì e annuì.
“Sì Hannah..alla pancia. Proprio qui”indicandosi un punto qualsiasi appena sotto le costole.
Gli occhi di Hannah si riempirono di lacrime in un momento; si avvicinò in fretta a mamma per abbracciarle le gambe, fin dove arrivava”Povera mamma..”
Mamma la guardò, piena d’amore. Le lacrime devono essere contagiose perché in un attimo gli occhi di entrambi si lucidarono. Io come al solito, le trattenni. Alla mamma ne scese una, mentre prendeva in braccio la sua piccola. Hannah, piangendo, stringe ancora nel piccolo pugno, la terra del geranio.
“Tieni mamma..”il viso bagnato.
“Piccola. Non voglio che ti sporchi di terra. Hai già pochi vestiti, senza bisogno che li sporchi” sempre con voce dolce. Prese il piccolo lotto di terra e andò in sala, sempre con Hannah in braccio, a rimettere la terra nel vaso.
“Sei tu la mia medicina. Il tuo sorriso, vale molto più di un intero vaso di terra”
Hannah sorrise, si asciugò le lacrime col dorso della mano e si aggrappò alla madre come un koala.
Io nel frattempo ero rimasto lì sulla porta, arrabbiato per la mia piccola età, e tanto triste di assistere a scene come quella. Mi diressi in silenzio in angolo della stanza. Mamma sembrava non notarmi mentre giocava con Hannah. Rimasi lì, alcune mezzore, immobile, pensando e ripensando. E’ facile da dire; sono l’uomo di casa. Ma nel frattempo continuo a vivere sulle spalle di mamma. Ci pensai ancora un po’. Ma ormai ero deciso. Aspettai in silenzio che Hannah si stancasse di giocare. La guardo..la mia piccola bambina dai riccioli biondi, come quelli del padre che quasi non aveva mai conosciuto. Si addormentò, mamma la portò nel letto, l’unico letto della casa, la osservò per un po’ e tornò in salotto. Si sedette su un cuscino e mi guardò.
“Buongiorno Thomas..”mi disse seria.
“Ciao ma’”le risposi con lo stesso tono.
Ci osservammo alcuni secondi. Dopo quasi un minuto, un sorriso, stanco e triste, si formò sul viso di entrambi.
“Che giornata..”mi fece lei. Arrossì.
“Ma’..?Voglio fare qualcosa” le provai a dire.
Lei mi guardò, si impose un sorriso freddo sul viso e mi rispose.
“Non se ne parla, tesoro. Non ho messo al mondo due figli perché lavorassero per me”
Aveva sempre la risposta esatta per ogni frase. Provai comunque.
“Non si tratta di lavorare per te. Lo faccio per la famiglia, per la casa. Se ti può consolare, lo faccio soprattutto per me” mentii.
“Smettila Tom. Non funziona. Quando dico no…”
Non riuscii a trattenermi. Mi alzaii dal mio piccolo angolo e mi buttai tra le braccia della mia mamma, ricacciando indietro tutti quei pensieri sull’uomo di casa, il bambino grande, la mia responsabilità verso la famiglia. Mi lasciai andare come non facevo da..mai. Ma quel giorno..la vista della mamma, così sciupata, mi aveva davvero ferito. La abbracciai piangendo, lei fece lo stesso.
“Ne usciremo Tom”mi disse con dolcezza”ti chiedo solo di badare ad Hannah. Niente di più. Ai soldi ci devo pensare io. In qualche modo.”
Alzai la testa, incrociai i suoi occhi.
Mi sorrise.
La guardai, un po’ scettico, ma come sempre speranzoso. Provai a ricambiare il sorriso.
“Va bene. Io penserò ad Hannah..”


Ci pensai ancora un po’. Ma ormai ero deciso. Da quando mi ero steso a letto, insieme alla mamma, circa quattro ore prima, non avevo chiuso occhio. Aspettai con pazienza che mamma e Hannah si addormentassero e lentamente scesi dal letto. La piccola mormorò qualcosa, mi girai a guardarla. Vidi terrorizzato che aveva un occhio aperto.
“Dove vai Tomi?”
Le feci un mezzo sorriso, accarezzandole la testa.
“In bagno..” sussurrai “Dormi”
Ma lei stava già ronfando come un ghiro nel giro di tre secondi.
Mi infilai dei jeans, consumati sulle ginocchia e sul sedere. Sopra mi lasciai la maglietta che abitualmente usavo come pigiama. Andai in silenzio in sala, mi misi le mie vecchie all star. Non mi serviva altro. Presi un foglio e scrissi una lettera lunghissima alla mamma, dicendole di non preoccuparsi, che ero grande e che d’ora in poi doveva pensare esclusivamente a lei e ad hannah, di non buttarsi giù. Uscii di casa, con niente da portare se non me stesso, e mi misi a correre fino alla fine della strada, temendo che mamma avesse già scoperto della mia fuga e stesse scendendo a prendermi. Corsi per diversi isolati, fino alla strada principale della nostra squallida città. Diverse prostitute mi guardarono, ammiccando. Passai dritto, resistendo alla tentazione di guardare ogni centimetro delle loro pelli profumatissime. Mi fermai per prendere fiato e mi guardai attorno. Pensavo e ripensavo, ma sì, era quella la cosa giusta da fare. Dopo qualche minuto sporsi il braccio in fuori, sul ciglio della strada, e alzai il pollice. Era arrivato il mio momento. Non avevo ancora un piano definito. Per il momento mi serviva solo allontanarmi il più possibile da casa, da Hannah..dalla mamma. Una bocca in meno da sfamare, pensavo. E con un po’ di fortuna magari, un giorno, dopo aver messo insieme un bel mucchio di soldi, sarei tornato da loro, e avremmo ricominciato tutto da capo. Le avrei mantenute io, sì. Perché in fondo, sono io l’uomo di casa.
Una ford nera rallentò, si fermò dove ero io.
L’uomo che era seduto dentro mi squadrò, pensando se poteva fidarsi di raccogliermi oppure no. In effetti sembravo un mezzo punkettone in quel momento, non mi ero nemmeno pettinato i capelli nella fretta. L’uomo abbassò il finestrino del passeggero, mi sorrise piano e mi chiese”Vuoi un passaggio?”.
Lo squadrai anch’io, pensando se potessi fidarmi di salire oppure no. Ma era vestito bene, sembrava uno di classe, e la ford mi attirava un sacco. Annuì piano.
“Sì, grazie signore..”risposì.
Iniziò lì una nuova vita. Per Hannah. Per mamma. Per me.

 
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