CAPITOLO 1 - Capitolo 1° -
La sera cala silenziosa sulla città di Praga, scivolando nelle strade come lacrime sul viso d’una donna. Poi, è il lampo: squarcia il cielo cupo, ingombro di nuvole cariche di pioggia, seguito dal brontolìo del tuono, lontano, lontano.
Forse è proprio il tuono a svegliarlo.
O forse il micio accanto a lui, che gli mordicchia un dito.
O ancora, forse è il tanfo d’immondizia che gli sale alle narici e gli invade la gola con l’irruenza di una fetida marea.
Riapre gli occhi, lentamente, mentre un mal di testa lancinante comincia a segnalare la propria presenza con sorde pulsazioni di dolore.
A quanto pare, si ritrova in un vicoletto umido e buio, abbandonato come una bambola di stracci su un cumlo di sacchi della spazzatura.
La domanda gli balza subito alla mente, lapalissiana nella sua ovvietà:
”Cosa ci faccio io, anonimo impiegato in un’anonima banca, sdraiato su un mucchio di rifiuti in un viottolo dimenticato da Dio e dagli uomini?”
Domanda seguita subito a ruota da un’altra:
”Perché diavolo non riesco a ricordare come sono finito qui?”
Ah, bhè, risolvere questo problema è facile: basta tenere conto dell’emicrania atroce, della bocca impastata e delle ossa doloranti. Ha bevuto, e parecchio, anche, a giudicare dai postumi feroci.
”E perché mai avrei dovuto ubriacarmi?”
Ecco, questo è già più difficile da spiegare.
Il gatto (color della fuliggine, con occhi di giada) ha smesso di mordergli il dito, ed ora lo osserva con quel misto di spavalderia e diffidenza che solo i gatti possono permettersi di sfoggiare.
Tenendosi la testa si rialza, accorgendosi solo ora di avere i vestiti a brandelli; e non lo sfiora nemmeno il pensiero di come ha potuto ridurli in quello stato, ma solo una solenne arrabbiatura.
<<Meraviglioso! Un Armani nuovo da buttare!>>, sbotta, contemplando lo sfacelo per quel che la scarsa luce gli permette di vedere.
Un mormorìo confuso gli giunge all’orecchio: a cinque o sei metri da lui, là dove l’oscurità s’intensifica, scorge la figura accovacciata di un uomo di una certa età –un vagabondo, probabilmente- intento a mormorare qualcosa.
“Chissà se ha visto qualcosa..”
Con la speranza di cavargli qualche informazione, s’avvia verso di lui.
<<Ehi, amico..>>
Le sue parole vengono sommerse dall’urlo angosciato che l’uomo lancia non appena posa gli occhi cisposi ed iniettati di sangue su di lui; il barbone balza in piedi, cominciando ad allontanarsi, e, mentre le mani scendono sul petto a stringere una croce intagliata nel legno, ripete velocemente una strana litania in una lingua che potrebbe essere Spagnolo.
<<Calmati, volevo solo..>>
Inutile. Non fa altro che agitarlo ancor di più.
<<Ho visto cos’hai fatto! So chi sei!>>, grida il vecchio con un forte accento Spagnolo.
Anche se non lo dà a vedere, quel che ha detto il vagabondo lo colpisce. Gli fa paura. Qualcosa si muove all’altezza del cuore, e lo stomaco si attorciglia.
<<Che intendi dire?>>, chiede; ma è troppo tardi.
Il vecchio s’è dato alla fuga, e l’eco dei suoi passi frenetici sull’acciottolato della viuzza si mischia alle sue ultime parole: <<E’ tornato! Il re Licaone è tornato!>>
Con quella frase intenta a rimbalzargli tra le pareti del cranio, si lascia il vicoletto alle spalle, puntando verso una strada dalla quale provengono luci e rumor di traffico, mentre il rombo di un nuovo tuono scuote i cieli.
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