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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: AMBRA NERA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: gea-kristh galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 28/07/2005 11:18:14

una ragazza con un passato avvolto nel mistero... un futuro incerto... cosa sono le sue visioni? - ^^ i commenti sono ben accetti!!!-
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Era una notte caldissima, neppure sul terrazzo era riuscita a trovare sollievo al calore opprimente di quella strana estate. La mezzanotte era passata da un pezzo ma non riusciva a decidersi a rientrare. Fu allora che vide quella strana luce nel cielo e poi il fragore di uno schianto nel bosco… e poi… la paura. Non sapeva bene il perché, ma si ritrovò a correre il più velocemente possibile, lontano da quel posto. Brandelli di un passato dimenticato… sensazioni imprecisate… e quell’urlo straziante…
Doveva fuggire da tutto questo, scappare da qualcosa che lei non avrebbe dovuto conoscere, o meglio, ricordare… e ancora quell’urlo si faceva strada nella sua mente, un corpo straziato a terra, il corpo di sua madre…
I piedi nudi correvano agili sulla terra, sporcandosi e tagliandosi con le numerose pietre affilate che si trovavano sul terreno. Ma lei non se ne curava. Non sapeva dove andare, ma continuava a correre non sentendo la fatica, o forse, volendo ignorarla.
Altre immagini sfocate… una voce… “corri! Scappa da tutto questo!”… riconobbe quella voce: sua madre aveva pronunciato quelle parole, prima di spirare…
I lunghi capelli corvini le si appiccicavano al volto, madido di sudore.. poteva sentire il battito del suo cuore accrescere ad ogni passo… vedeva in lontananza il fiume, se solo fosse riuscita a raggiungerlo!
Quanto aveva corso? Non lo sapeva. L’ultima cosa che ricordava era il buio. Un buio ristoratore, un buio dolce, che l’aveva avvolta… era forse morta?

Ambra era sempre stata una ragazza strana sotto molti punti di vista. Viveva in un orfanotrofio da quando aveva sei anni, cioè da dieci anni esatti. Non aveva ricordi del suo passato, nessuno sapeva cosa era successo ai suoi genitori. Scomparsi.
Quando era giunta in quella che sarebbe stata la sua casa fino alla maggiore età, era in uno stato pietoso. Indossava una veste lacerata in più punti, aveva il corpicino sudato ed i piedi nudi feriti. Portava con se una collanina, con il suo nome inciso nell’argento: Ambra. Era svenuta subito. L’avevano soccorsa, medicata, vestita e nutrita, ma la bambina non riusciva a ricordare nulla di quello che doveva essere successo solo qualche ora prima. Tuttavia la sentivano agitarsi nel sonno, probabilmente riviveva ogni notte quegli avvenimenti che, dagli urli, dovevano essere stati terribili. Ma la mattina, quando si svegliava, lei non ricordava nulla, o almeno così credevano tutti, dato che la piccola si comportava normalmente. Con il passare del tempo era cresciuta, completamente sola, senza un amico, senza nessuno. Perché lei era così. Taciturna, introversa, fredda. Man mano che il tempo passava era diventata quasi invisibile agli occhi di tutti. Stava semplicemente lì, in un angolino, a scrivere o a leggere. Talvolta la vedevano con lo sguardo perso nel vuoto, chissà dove. Ma nessuno se ne era mai preoccupato. E a lei andava bene così. Non avrebbe sopportato la compassione negli occhi di tutti, lei odiava la compassione. E così si era costruita attorno un muro di freddezza ed indifferenza.

Aprì lentamente gli occhi rimanendo abbagliata dalla luce dell’alba. Dove si trovava? Era forse nei campi elisi? No. Non era ancora giunta per lei l’ora della morte. Sarebbe arrivata, ma non ora.
Ci mise un pò ad abituarsi a quella luce abbagliante. Quando finalmente poté tenere aperti gli occhi vide il cielo ancora arrossato. Quanto aveva dormito? Non lo sapeva. Tentò di portarsi una mano agli occhi per asciugare le lacrime procurate dalla luce ma si accorse solo allora che erano legate. Rassegnata provò ad alzarsi a sedere ma un dolore lancinante all’addome la fece desistere. Cosa poteva fare? Non sapeva dove si trovava, i polsi legati, senza un briciolo di forza e con una qualche ferita all’addome. “Perfetto!” pensò, ma non emise nemmeno un fiato.
Rotolò su se stessa e con un colpo di reni si sedette sull’erba. Intorno a sé vedeva solo campi, prati e… sangue. Abbassò lo sguardo. Una ferita profonda almeno due dita le squarciava l’addome. Di colpo tutto il dolore a cui non aveva fatto caso prima la invase fino alle ossa. Aveva voglia di urlare, squarciare quello straziante silenzio, ma non ci riusciva, non riusciva neanche ad emettere una sillaba. Sentiva i muscoli intorpiditi che si rifiutavano di compiere qualunque comando venisse loro impartito. La stanchezza la sentiva fin nelle viscere, mentre si mescolava alle altre sensazioni del corpo in un’unica indistinta. Le lacrime le salirono con forza agli occhi ma non voleva piangere. Contro ogni sua volontà una goccia scese lenta lungo la guancia sporca e sudata, come una straziante afonia che non fece altro che aumentare il dolore che provava. Ormai non riusciva neanche più a pensare, non capiva più niente. Aveva dimenticato anche la stanchezza che fino ad ora aveva lottato per farle chiudere gli occhi.
L’ultima cosa che vide fu una luce. Una luce accecante ma al contempo dolce. E poi un volto di donna, lo stesso volto che aveva visto nei suoi flashback. Sua madre? Si, era lei.

Ancora una volta aprì gli occhi e l’unica cosa che vide fu il nulla… tutto era bianco. Si sentiva come persa, cieca. E poi… poi le riapparve davanti agli occhi prepotentemente la solita visione, ma in fondo ne fu lieta.
Le stesse braccia bianche, le stesse ali piumate, lo stesso volto dolce incorniciato dai lunghi capelli pallidi al vento…
La stessa visione…
La stessa che ogni volta, nei suoi incubi, la raggiungeva e la abbracciava.
Udiva sempre le stesse parole, come un disco registrato. “È tutto finito, ora ci sono io con te”. E all’improvviso una melodia dolce avvolgeva tutto e la luce si diffondeva, lasciandole sole come un’isola sperduta nell’immenso oceano.
Sentiva sempre lo stesso tepore e il dolore sparire.
Lo stesso…

Tornò con fatica alla realtà. Era nella sua stanza. Si guardò bene intorno, non capendoci niente. Fuori pioveva a giudicare dal rumore che sentiva. Si voltò verso la finestra: era notte.
Un cerchio le stringeva la testa, cosa era successo? Non ricordava più…


 
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