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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto
Titolo Fanfic: NON AVRAI ALTRO DIO ALL`INFUORI DI ME
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: farnesev galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 26/07/2005 18:41:50 (ultimo inserimento: 27/01/06)

il sigillo era un piccolo fiore, tre petali alla base del collo e bruciava come l’inferno.
 
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OUVERTURE
- Capitolo 1° -

Quando era ancora una bambina le sue dita erano troppo piccole per stendersi sul dorso del suo flauto e quasi non riuscivano a chiuderne gli otto fori, eppure le sue mani si muovevano su quel pezzo nudo di bambù con una rapidità impressionante, con gesti tecnicamente imperfetti, ma precisi, mirati, in qualche modo rabbiosi; cercava le cavità del suo strumento e le penetrava con forza, amando la sua musica in ogni nota che riusciva a produrre.
Chi la sentiva suonare diceva, parlando di lei al suo maestro, che aveva talento, ma era sicuramente necessario un allenamento più intenso, più finalizzato alle sue capacità e a quello che sarebbe riuscita a dare crescendo; lei, roteando gli occhi tra quelle persone grandi che parlavano della sua musica, pensava che i musicisti non si allenano, ma si esercitano; eppure, crescendo cominciò ad assorbire il peso che la parola allenamento avrebbe avuto per lei, lo storpiò, lo assimilò come suo dandogli il significato di esercizio, stirò di più le dita sul flauto per arrivare a coprire i fori con maggior precisione, modificò la conformazione del suo corpo, tentò di adeguarsi, rendersi idonea al suo strumento, trasformandosi come per un amante egoista che non si sarebbe adattato a lei.
Era pienamente consapevole che si trattasse di un oggetto inanimato, ma allo stesso tempo era convinta che se c'era qualcuno in grado dargli vita, quella era lei; le dita erano il suo strumento, le labbra appena appoggiate sul legno, sapevano sussurrare respiri che si traducevano in note sotto la guida delle sue mani.
Era abile, chi la vedeva suonare la descriveva così, con gli aggettivi che si usano per i guerrieri e non per i musicisti, ma nell'orecchio fertile di una bambina quelle sottili differenze non avevano valore: abilità aveva lo stesso suono di talento, come allenamento aveva lo stesso significato di esercizio, decise che si sarebbe preoccupata in futuro di cosa volessero da lei e dal suo flauto, per ora le bastava che, chiunque la sentisse suonare, apprezzasse la sua musica, non importava con che aggettivi esprimevano il loro giudizio; in una piccola, presuntuosa, parte di se, Tayuya voleva essere la migliore.

Crescendo cominciava a percepire le differenze, imparava ad allenarsi sempre di più e perdeva l’abitudine all’esercizio, d’altronde, fino a quando l’allenamento avrebbe compreso la possibilità di suonare, non le sarebbe importato.
Aveva gli occhi rabbiosi, come le sue dita puntate sui fori del flauto, come il fiato denso e caldo che vi soffiava dentro traducendolo in note sotto l'ordine perentorio delle sue mani, cresceva come una musicista virtuosa e come una ninja abile, lentamente cominciava a capire il confine degli aggettivi con i quali usavano descriverla già quando era una bambina, cominciava a capire la differenza tra chi sentiva la sua musica concentrandosi su quanto fossero veloci e potenti i movimenti delle sue dita e chi la ascoltava suonare ad occhi chiusi.
Una volta qualcuno le disse che il suo modo di suonare stava diventando freddo, meccanico; era il periodo in cui le avevano insegnato a tenere gli occhi aperti mentre suonava, perché chiudendoli non avrebbe potuto prendere la mira.
Tayuya allora aveva quasi dodici anni, aveva cominciato a capire cosa volessero da lei e dal suo flauto e aveva provato una forte delusione accorgendosi che non era la musica quello che cercavano, ma i movimenti precisi e mirati delle sue dita; eppure, quando le chiesero di abituarsi a tenere gli occhi aperti mentre suonava, non aveva ancora capito su cosa dovesse prendere la mira.
Un giorno qualcuno le disse che la sua non era più musica, ma soltanto suono
"devi ascoltare, fidarti delle tue mani perché loro sanno già dove andare"
Lui suonava il pianoforte, chiudeva gli occhi e non li riapriva fin che l'ultima nota non aveva smesso di vibrare, era un ninja debole, ma un musicista eccezionale; Tayuya si accorse di aver giudicato la sua forza dal modo in cui piantava le dita sui tasti d'avorio, la sua fermezza dal tremore della mano prima di cominciare a suonare; quando si accorse di aver giudicato la sua musica solo dopo averne accertato le abilità di guerriero, capì definitivamente quelle sottili differenze.
Si conoscevano da tempo, ma si erano parlati solo suonando, quando lui le rivolse la parola Tayuya perse per la prima volta un battito, aveva dodici anni ed era la prima volta che si innamorava.
Lui le disse che doveva chiudere gli occhi mentre suonava perché, mentre suonava, Tayuya si era abituata a fissare un punto preciso davanti a se, senza intensità
Lei gli rispose che era stato il suo maestro la dirle di tenerli aperti, ma promise che li avrebbe chiusi per ascoltarlo.
Il giorno prima di morire lui le chiese di suonare, una volta soltanto, chiudendo gli occhi; non sapeva che sarebbe morto, ma glielo chiese ugualmente, quasi come un ultimo desiderio.
Lei chiuse gli occhi, non sapeva che sarebbe morto, ma fu come dirgli addio.
In quel buio ascoltava una musica che aveva perso l’inflessione minacciosa che aveva quando suonava ad occhi aperti, seguiva suoni che non possedevano alcuna capacità di nuocere, attaccare e proteggere, Tayuya capì di sentirsi indifesa, capì di non essere più in grado di considerare il suo flauto come uno strumento, ma soltanto come un'arma.
Lui morì perché mentre suonava teneva gli occhi chiusi e lei capì perché dovesse tenerli aperti e su cosa prendere la mira.

Tayuya aveva dodici anni quando desiderò per la prima volta di non essere debole, di non morire come una musicista e di vivere come un guerriero; cominciò a dire parolacce per evitare di mostrarsi come una ragazzina fra i tanti ninja che incontrava una volta e spesso non rivedeva più, i tanti che doveva combattere, sconfiggere; non bastava impegnarsi, occorreva superare le aspettative.
Aveva dodici anni quando per la prima volta le insegnarono la tecnica di richiamo e le spiegarono che cosa davvero volessero da lei e dal suo flauto; i tre doki erano mostruosi, rivoltanti, tre giganti nelle mani di una bambina, un giocattolo ambizioso per Tayuya, per il suo flauto e per le sue dita sottili che, crescendo, avevano imparato a chiudere, con facilità e precisione sempre crescenti, i fori sul dorso della sua arma, a suonare melodie impegnative con sempre minore difficoltà, a muovere le braccia dei giganti con uno scatto del mignolo sul buco della seconda nota, a muoverne le gambe con il suono continuo della sesta, portare gli attacchi e schivare le contromosse con gli occhi aperti fissi sul bersaglio.
Tayuya non suonava più per il piacere edonistico di sentire le sue labbra baciare il bambù, per la gioia pura della sua musica; il flauto era la sua unica arma, non il suo strumento.

Orochimaru era un uomo senza volto, ma con occhi lunghi e ambiziosi; quando aveva chiesto di lei, il suo maestro glielo aveva riferito mostrandosi estremamente orgoglioso degli sforzi che aveva fatto, fino ad allora, per crescere Tayuya come un ninja all'altezza delle aspettative del grande Orochimaru.
Quando Tayuya domandò cosa volesse quest’uomo da lei, il suo maestro le rispose soltanto
"quello che ti ho insegnato io non è nulla a confronto di ciò che può darti lui" e questo le bastò.
Quando Orochimaru la vide fu il primo a guardarla come qualcosa di raro, le disse che lui avrebbe potuto darle tutto quello che voleva, ripeté le parole che già il suo maestro le aveva detto, ma aggiunse che avrebbe voluto qualcosa in cambio…
lo ripeteva a tutti coloro che potevano essere considerati suoi degni seguaci, Tayuya si trovò a sperare che fossero pochi, per potersi davvero definire un’eletta; i sui occhi erano fermi mentre le parlava, esponeva i suoi piani su di lei con un distacco che lasciava intravedere un’estasi mormorante al di là di quella freddezza, una frenesia palpitante nel sintetizzare quello che lui riteneva superfluo per arrivare a ciò per cui la aveva chiamata, una calma anomala che preannunciava uno scoppio ... gli occhi di colui che, da allora in poi, avrebbe chiamato con l’appellativo di “padrone” cominciarono a brillare, quando lei rispose che non importava cosa volesse in cambio, le bastava la certezza che non sarebbe morta come una persona debole.

Orochimaru le aveva scostato i capelli per morderla, poi li aveva lasciati cadere sulle spalle, aspettando, impassibile, che il dolore cominciasse a pulsare alla base del collo, salisse arrampicandosi fino alla nuca ed arrivasse ad esplodere negli occhi, dilagando poi nel cervello e da lì in tutte le terminazioni nervose, che avrebbero amplificato quell’ustione lancinante al resto dell’organismo e la avrebbero ridotta ad un corpo latrante e sgraziato; la osservava con distaccata attenzione mentre gli spasimi la piegavano in due e la guardò negli occhi mentre le augurava di sopravvivere.
Tayuya gridava, con tutto il fiato che aveva in corpo, e le lacrime che gocciolavano assieme alla saliva, desiderava strapparsi la pelle, desiderava che quell’incendio divampato sulla sua schiena si spegnesse, desiderava non sentire più quel bruciore insopportabile diramarsi dalla base del suo collo e, quando il dolore diventò tanto forte da risultare intollerabile anche alla sua forza di volontà, si piegò sul lato e svenne.
Quando si svegliò aveva graffi profondi sulla schiena e pelle sotto le unghie; il bruciore era cessato e al suo posto la maledizione di Orochimaru si diffondeva sulla la sua pelle, innestata come un parassita

Il sigillo era un piccolo fiore, tre petali alla base del collo e bruciava come l’inferno.

continua...

 
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