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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: LE CATENE DELLA COLPA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: erikuccia galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 22/07/2005 22:29:53 (ultimo inserimento: 16/09/05)

la perdita del padre è una ferita che nn si puo cicatrizzare ma per amore si può passare sopra una colpa troppo grande per essere spiegata a parole?
 
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1
- Capitolo 1° -

1.

Quella mattina tutto divenne troppo difficile. I semplici gesti che l'avevano accompagnato per tutta una vita di colpo divennero impossibili da emulare.
Aveva passato gli ultimi giorni in un mondo irreale, quasi esiliato in un universo parallelo, in cicli di stelle che potevano riportarlo a casa, con l'aiuto di una preghiera.
Aveva finto che niente fosse accaduto, che niente fosse cambiato, che si fosse trattato solamente di un incubo, di un equivoco. Si aspettava di vederlo arrivare da un momento all'altro. Con la faccia stravolta, la cravatta slegata e gli abiti spiegazzati. Si sarebbe lamentato del traffico, del disordine, del mondo. Poi si sarebbe seduto, avrebbe acceso la televisione e avrebbe mangiato qualcosa. E tutto sarebbe tornato come al solito. E lui avrebbe tirato un sospiro di sollievo, allontanando quel vuoto che adesso si era impadronito di lui, mentre con lo sguardo fisso si guardava allo specchio cercando di farsi un nodo decente alla cravatta.
Pioveva.
Pensò che il cielo stava versando tutte quelle lacrime che lui non riusciva a versare. Quel dolore che non trovava modo per uscire, per scappare.
Ma andava bene così.
Era convinto che dovesse vivere per sempre con quel dolore. Era tutta colpa sua, e quella sofferenza, quell inferno vero e tangibile doveva essere la punizione continua per non aver seguito i consigli, le lamentele. La punizione per essere semplicemente quello che era.
Tutto in un attimo era cambiato. E lui ne era la causa.
Sua madre, bellissima, allegra, sempre tra le sue braccia, adesso non aveva più quel sostegno che per circa vent'anni l'aveva sostenuta nel lungo cammino della vita. Il cammino del diavolo, per come la vedeva lui in quel momento. La guardava mentre cercava di rimettere ordine nei suoi pensieri. Una mente che non riusciva ad accettare il fatto che l uomo che aveva amato praticamente da quando aveve capito cos era l amore se ne fosse andato. Non riusciva a guardarla mentre il mento cominciava a tremare, mentre stringeva i denti per non piangere. Lei che era sempre stata così solare, così viva, adesso era solo una nuvola grigia in quella giornata di pioggia.
"Hanamichi" lo chiamò. E lui non pote fare a meno di notare gli occhi rossi e gonfi, il colore pallido del volto, gli zigomi in evidenza, le mani che tremavano. "dobbiamo andare, forza"
Lui annuì, con disperazione. Quanto avrebbe voluto piangere. Ma non poteva fare quel torto a sua madre. Doveva essere forte per sorreggerla. In quel momento come non mai

*****

"Hanamichi, di nuovo?" suo padre se ne stava seduto in poltrona scuotendo il capo mentre disinfettava l ennesima ferita.
"Se la sono cercata!" aveva risposto suo figlio, stringendo i pugni.
"Se continuerai a fare a pugni vedrai che nessuna donna ti vorrà"
Aveva detto suo padre sorridendo con complicità.
"Ah ah ah ah" aveva riso Hanamichi "le donne fanno la fila per avere me!"
"Non ne dubito"
"Mi ricorda qualcuno"intervenne sua madre. Suo padre spedì un bacio al suo indirizzo e poi risero insieme.
Non disse altro. Ma quando Hanamichi sorrideva, la sua vita si illuminava.
E dal canto suo, Hanamichi sorrideva, perchè sapeva di essere tremendamente fortunato ad avere una famiglia come quella. Sperava che niente potesse togliergli quella costante di felicità.

*****

La pioggia continuava a cadere mentre, con la macchina, raggiungevano la Chiesa dove si sarebbe svolta la cerimonia. Nell'automobile nessuno parlava. La mamma di Hanamichi si concentrava alla guida, mentre il ragazzo guardava fuori dal finestrino. I pensieri si susseguivano veloci come i paesaggi che vedeva. Suo padre..Non l'avrebbe rivisto mai più. Non avrebbe mai più visto il suo sorriso rassegnato, non avrebbe più sentito le sue risate. Camminando per casa non avrebbe sorpreso i suoi avvinghiati in un amore che dopo vent'anni non si era affievolito. E lo preoccupava sua madre. Come avrebbe fatto a vivere? A sopravvivere? La mattina, si sarebbe svegliata nel suo letto, e avrebbe trovato sempre quel posto vuoto, vuoto come di colpo era diventata la loro vita.

Nella Chiesa nessuno trovava il coraggio di dire niente. E tutti lasciarono che le parole del sacerdote li cullasse, avanti e indietro, tra la vita e la morte. La mamma di Hanamichi sembrava sul punto di sparire, mentre suo figlio le teneva la mano, cercando di farsi coraggio da solo. Ma non si poteva trovare il coraggio in una condizione come quella. Era troppo difficile, troppo inumano, troppo crudele. Era troppo presto per non avere piu un padre, lo sapeva bene. Ma non poteva fare in altri modi. Non ce la faceva proprio in quel momento a pensare a tutto quello che sarebbe successo. In quel momento voleva solo dire addio a suo padre, dirgli che gli voleva bene, chiedergli scusa. Non voleva fare nient'altro. E si impegnò per fare del suo meglio. Almeno in qualcosa.

A casa, di nuovo, con le scarpe sporche di fango, la gente parlava sottovoce, quasi a non volersi intromettere in quel dolore che era inaccettabile per tutti quelli che conoscevano la famiglia. Junko, la mamma di Hanamichi, ringraziava tutti quelli che le stringevano le mani, che le stavano vicini, che cercavano di rendersi utile. Hanakun vide suo zio preoccuparsi come non l'aveva mai visto fare. Lui non si era mai sposato, e stranamente aveva sempre vegliato su di loro, aveva fatto in modo che suo padre potesse avere un buonissimo posto di lavoro, e in quel momento sembrava straziato dal dolore. Un dolore che cercava di celare per via di Junko. In cuor suo il ragazzo lo ringraziò per tutto quell'impegno. Lui se ne andà in cucina, e si sedette su una sedia a dondolo abbandonata in un angolo. Erano anni che non veniva utilizzata.
Una volta sedutosi, Hanamichi si mise le mani tra i capelli, cercando di rimettere pace nella sua testa. Tutto era così confuso, così..non sapeva neanche come definirlo. Voleva solo trovare un attimo spasmodico d pace, ma immaginava che ce ne sarebbe voluto molto di tempo prima di riuscire a trovarlo.

******

"Sai Hanamichi" Era il giorno di Natale. Suo padre e sua madre se ne stavano seduti in cucina a fare colazione prima di aprire i regali. Hanamichi sedeva loro di fronte, con una stupida ghirlanda tra i capelli. Presto sarebbero arrivati tutti gli altri, e avevano pochissimo tempo per stare tutti e tre da soli.
E suo padre in quel momento sorrideva sornione" Sai Hanamichi" riprese "tua madre, quando mi disse di essere incinta di te, era seduta su quella vecchia seggiola a dondolo"
"per un momento" rise Hanamichi "pensavo che mi stessi dicendo che ero stato concepito lì!"
"Hanamichi!" arrossìì sua madre. Era così bella,così solare.
"Dai, Junko, è un uomo ormai. Comunque, no, stai tranquillo, non siamo mica contorsionisti. Sei stato concepito in maniera conforme alle regole.^^"
"bella soddisfazione"
"quando abbiamo dovuto cambiare casa, tua madre voleve gettarla, ma io ho insistito perchè la tenessimo. Anche se era ridotta male, se scricchiolava, non volevo liberarmene. E da allora l abbiamo tenuta in quell'angolo.Quella sedia, in un modo molto contorto, mi ha regalato te!"

*******

Ed ora si trovava lì su quella sedia, nella cucina dove suo padre non avrebbe piu messo piede.
Dopo lunghissimi attimi in solitudine, la porta della cucina si aprì ed entrò Yohei, il suo migliore amico. Si sedette di fronte ad Hanamichi e restò senza parlare. L'amico gliene fu grato. Restarono a lungo nella stessa posizione, quando finalmente Hanamichi si decise a parlare.
"Ti ricordi quando cercavamo di rubargli gli spiccioli dalle tasche per andare in sala giochi?" disse con la voce che gli tremava
Yohei annuì con un sorriso mesto "Lui ci scopriva sempre e davanti a tua madre ci sgridava, ci diceva che la sala giochi era una distrazione. E poi di nascosto invece ci dava qualche yen"
Una lacrima segnò il profilo di Hanamichi. "Yohei, è tutta colpa mia"
Mito avvicinò la sua sedia, poggiando la mano sulla spalla dell'amico. "Che dici? Non è colpa tua,nn è assolutamente colpa tua"
"E invece si" disse Hanamichi scoppiando letteralmente a piangere "se io nn fossi stato sempre così scapestrato..se nn fossi stato un rissoso,adesso mio padre sarebbe in un ospedale, e non sotto terra!"
"che stai dicendo?!"
"Ero rientrato a casa dopo aver fatto a pugni con dei ragazzi di liceo quando ho trovato mio padre che stava male. Sono subito corso fuori per andare all'ospedale, ma ho rincontrato quei tipi che hanno cominciato a rompere. Mio padre moriva mentre io facevo a pugni..e pensare che lui mi diceva sempre di smetterla!"
"Hanakun.." Yohei avrebbe voluto dire una qualsiasi cosa che potesse calmare l'amico,ma sapeva bene che, in quel momento almeno, niente poteva aiutarlo, nessuna parola poteva confortarlo, così si limitò ad abbracciarlo e a lasciarlo sfogare. Presto apparve tutta la piccola combriccola delle medie wako e tutti si unirono intorno a quell'abbraccio.
E nel frattempo Mito in cuor suo pensava che appena avesse avuto i nomi, l'avrebbe fatta pagare a quei bulli.

continua..
 
Continua nel capitolo:


 
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