- Capitolo 1° -
Ouverture
Leggero come il vento primaverile, il profumo dei fiori risvegliò i suoi sensi. Distesa in mezzo al vasto prato, fissava il cielo terso, le mani dietro la nuca. Le spighe alte sopra di lei si piegavano come se danzassero, intonando con il loro frusciare nell’aria una melodia che sapeva di sole. Qua e là uccelli dal piumaggio sgargiante si alzavano in volo, sollevando dietro di loro nebbioline di foglie e pollini. C’era solo lei, nessun altro; lei, i suoi pensieri, il suo sorriso tranquillo ed un paio d’occhi, che dal profondo della sua anima la guardavano, seguivano ogni suo movimento come se davanti a loro si stesse svolgendo un prodigio. Quegli occhi scorgevano in lei la bellezza delle fate, la dolcezza dei boccioli che timidi s’aprono ai raggi dell’alba della natura, il sorriso dei bambini che tendono le piccole mani agli angeli, quando questi si adagiano sulle loro culle per farli addormentare. Chiuse gli occhi sapendo già di ritrovare dietro il velo delle palpebre lo stesso sogno che il prato le stava offrendo; forse uno scenario ancora più magico e reale.
Atmosfera rarefatta, tutt’attorno una palpabile brezza color indaco; pagliuzze d’oro e d’argento le volavano accanto, come farfalle sottili e filiformi, dalle voci argentine, cantando l’armonia del mondo. Ad ogni suo passo un sentiero di cristallo, costeggiato da ninfee morbide come le nuvole, compariva per indicarle la via. Allungò una mano e sfiorò una parete trasparente, un muro d’acqua di rose, che al contatto con le sue dita vibrava rilasciando scie luminose e violette. Oltrepassò la parete, che si aprì come un drappo di seta. Un unicorno bianco, dalla coda e dalla criniera di fuoco, l’attendeva subito oltre, in un campo di velluto blu trapunto di stelle e galassie. Gli salì in groppa aiutata da una scala che silenziosa si sollevò sotto di lei. L’animale chinò il capo lasciando che ella si tenesse al suo crine color avorio e partì al galoppo; i suoi zoccoli di rubino non facevano rumore, gli occhi di giada precorrevano il sentiero e lo sguardo del cavallo aveva già raggiunto la loro meta. Esseri fatti di luce vorticavano loro attorno, illuminando i paesaggi che attraversavano: villaggi di marzapane, torri d’ebano e diamanti, strade d’ametista, boschi in ombra nei quali, improvvisi, scoppiavano lampi di luce colorata che lasciavano nell’atmosfera pulviscoli metallici.
L’unicorno si fermò e, quando elle scese, di lui non rimase che un profilo che man mano si fuse con il resto della scena. Silenzi ovattati e cori ultraterreni, mentre avanzava verso quegli occhi che da tempo immemore l’attendevano. Camminava non usando ormai più la vista naturale, bensì un senso che solo i prescelti dall’antico fanciullo, che alcuni chiamano Amore, possiedono per sua intercessione; uno sguardo che non si può ingannare, perché riconosce solo la metà che ad ogni essere vivente è stata sottratta alla nascita.
Le sue gambe non si muovevano più, percorreva la via guidata a mezzo volo da colibrì e fenici. Il viso al quale gli occhi appartenevano era poco distante; l’attendeva sorridendo, seduto sulla falce di luna. Con lento planare ella raggiunse il suo abbraccio; braccia forti e delicate ed un paio d’ali dalle piume nere, l’avvolsero, proteggendola e amandola. Si alzarono in volo, allontanandosi dalla luna che si eclissò: la luce che l’illuminava proveniva dai loro cuori.
Insieme ridiscesero nel prato di spighe, dove entrambi riaprirono gli occhi…….e un nuovo viaggio ebbe inizio.
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