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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LA BOMBA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: sivvi87 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/07/2005 12:36:08

rinchiusa in una struttura d`acconglienza la protagonista fa un bilancio della propria vita.
 
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PRIMO
- Capitolo 1° -

La bomba

primo

La notizia di una bomba, della seconda guerra mondiale, pronta a scoppiare arrivò in un giorno di marzo e la mobilitazione che ne seguì suonò come l’esplosione mancata di questa.
In pochissimo tempo ci fecero riunire in una struttura in periferia e tutti noi del quartiere allestimmo velocemente i bagagli e ci recammo là. Avevamo così poco tempo che non riuscii a pensare bene cosa portare con me. Non capivo esattamente cosa stava succedendo e forse fu un bene, ma purtroppo ebbi modo di pensarci nei giorni che seguirono quando il tempo non mancava e si aveva lo stesso paura che fosse poco. Nella fretta presi degli albi di Dylan Dog, dei manga non ne salvai nessuno, per quanto riguarda i libri presi quello giusto: “I tre moschettieri” di Dumas. Ai tempi delle medie era stata per me un’impresa leggerlo tutto quanto, non ero molto piccola, avrei potuto riuscirci benissimo, ma non ero abituata alle letture lunghe. Afferrai anche un cd di Gianna Nannini, per la quale non sono mai andata matta, ma la mamma mi chiamava e ne afferrai uno a caso. Quanto desideravo poter ascoltare la voce calda, profonda e confortante di Fiorella Mannoia! Naturalmente avevo portato il mio diario, ma lo stesso non feci per quello di mio fratello, che rappresentava per me il tramite tra me e lui.
Mia madre correva da una stanza all’altra nel tentativo di raccogliere le cose più importanti e necessarie al nostro soggiorno alla struttura di accoglienza. Mentre io ero lì incantata davanti alla libreria dal legno massiccio che sembrava aspettasse soltanto che la portassi tutta con me. C’erano i miei libri, molti di Sepùlveda che non ho mai capito del tutto, ma andavo fiera di avere le sue opere ed ero convinta che fosse un grande scrittore, forse perché si cimentava un po’ in tutto, dalle favole ai romanzi di formazione, passando per diari di viaggio e racconti a tema davvero originali; c’erano i miei fumetti, le riviste e tutte le prime letture di Giò nonché il tesoro di Ross: la vasta raccolta di gialli.
Nella grande stanza ricreativa di quella struttura d’emergenza, mi guardavo attorno e pensavo a tutto ciò che avevo lasciato: la mia casa: il mio castello: la mia vita. Da bambini io e i miei fratelli giocavamo ovunque, dal terrazzo all’entrata precedente le scale. Era il nostro mondo parallelo.
Dopo che la mamma ebbe finito di sistemare la roba e le valigie ed ebbe imbracciato il suo lavoro all’uncinetto, mi fermai anch’io e quando mi sedetti trovai il tempo di avere paura.

La paura della morte mi aveva sempre accompagnato dalla prima infanzia
fino a quella condizione precaria
e sono certa che mi accompagnerà per tutta la vita,
fino a quando sarà il mio momento
e mi attaccherò voracemente alla luce,
senza alcun tentativo di arresa.
Non so se sperare di impazzire prima.

La mamma no. Lei era pragmatica riguardo alla morte. Paura per noi, timore di perderci o che ci succedesse qualcosa, quello sì, ma per sé non aveva paura. Da bambina quando le parlavo di questa mia paura lei mi diceva che non era il caso, che non dovevo essere io a preoccuparmene, che ce n’erano altri prima di me e che non era nemmeno il suo momento perché doveva prima occuparsi di noi. E anche in quel momento, aveva la fede dalla sua parte, mi diceva di pregare per quanto sapesse che non ritenevo efficaci le preghiere, ma non mi dava fastidio, anzi speravo che le sue potessero salvarci, ma non perché improvvisamente avessi cambiato idea e mi fossi convertita, ma perché la sua vocazione era sincera, vera, autentica.
E non pensavo agli altri, no. Ero troppo intenta a pensare a me stessa. L’avevo sempre fatto, sì, pensare solo a quello che vivevo io, a come soffrivo io. E convivevo benissimo con quel mio egoismo, senza disperarmi, senza tentare di contrastarlo, spacciando per discrezione la mia indifferenza e non sopportavo quando gli altri stavano male, perché in quei momenti ero incapace di agire, di essere d’aiuto. Avevo un’amica che mi adorava, un’altra che ha messo da parte il suo orgoglio per perdonarmi. Mi sono sempre chiesta se lo meritavo. Non lo so, ma ne avevo bisogno, soprattutto dell’amicizia della prima. Con lei stavo bene, c’era sintonia nelle stupidaggini che facevamo e quando stavo male lei lo capiva e qualche volta azzeccava pure cosa mi tormentava, anche quando cercavo di mascherare la vera causa, persino a me stessa. Io, invece, mi sono sempre più convinta di non essere alla sua altezza, di non essere mai riuscita a capirla del tutto. Ma le volevo bene e gliene voglio ancora, per sempre.

 
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