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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CERBERO
Genere: Azione
Rating: Per Tutte le età
Autore: ghost-rider galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/06/2005 15:19:38

ho messo azione-avventura perché non sapevo come catalogarlo... è una cosa particolare -_-
 
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- Capitolo 1° -

Tutti, ad Avenue Hill, si tenevano prudentemente a distanza dal cimitero delle automobili situato appena al di fuori della periferia, lungo la statale 51. Il profilo frastagliato della discarica, irto di lamiere arrugginite ricettacolo di chissà quali morbi, la prospettiva dei ratti che infestavano il luogo, nonché le numerose storie che circolavano intorno a quel conglomerato di vetture sfasciate, erano ben più che sufficienti a scoraggiare chiunque ad avvicinarsi, in particolar modo dopo il tramonto.
Tuttavia quella notte qualcosa disturbava il silenzio sepolcrale del labirinto metallico, pervaso generalmente solo da flebili fruscii, o dal battito d’ ali di qualche pipistrello affamato a caccia di insetti. Nell’ aria risuonavano passi incerti, a tratti più lenti o più rapidi, e si udivano le voci flebili e nervose di chi è conscio di star profanando qualcosa di proibito. Un pavido di cuore sarebbe probabilmente stato spaventato a morte se improvvisamente avesse visto passare, repentine, quattro ombre più nere della notte nella quale scivolavano, o avesse udito quelle parole sussurrate e incomprensibili. E mai avrebbe avuto il coraggio di avvicinarsi tanto da comprendere ciò che si bisbigliavano tra loro con aria di segretezza, mai avrebbe potuto constatare che quei quattro ragazzi in abiti scuri erano probabilmente più spaventati di lui. Il nostro ipotetico, vile spettatore se la sarebbe data a gambe levate, o sarebbe rimasto nascosto nell’ ombra, a pregare perché se ne andassero senza notare la sua presenza. Così non fu invece per un assonnato gatto, un esemplare tanto grosso quanto sporco che aveva trovato rifugio sul sedile posteriore di una vecchia Buik, la cui carrozzeria un tempo grigia era stata quasi completamente erosa dalla ruggine. L’ animale venne svegliato da voci a lui sconosciute e, seccato per essere stato strappato dal sonno, si alzò, fletté la schiena sbadigliando silenziosamente, si grattò dietro un orecchio. Quindi decise di acciambellarsi nuovamente sul sedile così confortevole, ma quel maledetto chiacchiericcio gli avrebbe impedito di addormentarsi ancora per diverso tempo. Con sommo rammarico si sarebbe dovuto rendere conto che i quattro scocciatori si erano fermati proprio lì davanti, e non sembravano intenzionati ad andarsene. Così, un occhio aperto e uno chiuso, com’è abitudine dei gatti, fu costretto a seguire l’ intera conversazione.
:”Dave...” disse il più alto dei quattro, un ragazzo massiccio che dimostrava diciassette, forse diciotto anni, posando una mano sulla spalla a quello che gli stava di fronte :”Io ho paura... torniamo indietro.”
:”Non dire cazzate.” rispose l’ altro, scrollandosi di dosso la mano del compagno.
:”Giusto, siamo venuti fin qui, non possiamo tornare indietro.” una ragazza, i cui lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo riflettevano quella poca luce lunare che arrivava fino a loro, rincarò la dose.
:”Ma io...” tentò il ragazzo alto.
:”Senti, Tom, se te la fai sotto torna pure a casa. Se devi starci in mezzo ai piedi tanto vale!” Dave sembrava scocciato. Thomas, detto Tom non rispose.
:”C’è qualcuno!” esclamò il quarto ragazzo, godendosi la precipitosa ritirata degli altri tre, che si tuffarono dietro il cofano della vettura più vicina, quindi cominciò a sghignazzare.
:”Scherzavo.”
:”Testa di cazzo!” lo insultò Tom.
:”Ammettete di esservi cagati addosso!”
:”Va’ a farti fottere, Alex.” replicò la ragazza, con una punta di stizza nella voce. Alex non ebbe tempo di rispondere. Un pugno lo colpì allo stomaco con invidiabile precisione. Gli occhi marroni del ragazzo si spalancarono, e non appena il contatto ebbe termine, e l’ indesiderata mano si ritrasse dal suo ventre si piegò in avanti, portandosi le mani dov’era stato colpito, gemendo di dolore.
:”Se lo fai ancora ti ammazzo!” esclamò Dave, che si sentiva punto nell’ orgoglio. Porca miseria, avevano fatto una fuga a dir poco rocambolesca dalle loro case per essere lì e la missione che li aspettava era molto pericolosa. Ci mancava solo quel cretino a peggiorare la situazione con le sue buffonate. Sospirando, Dave rammentò a se stesso quanto ci avesse pensato sul fatto di chiamarlo o no, ma aveva riflettuto che in fin dei conti era uno di loro, gli era parsa una carognata lasciarlo fuori. Del resto tutti avevano dei difetti che avrebbero portato un leader più elitario ad escluderli da quella visita clandestina: Thomas era un vigliacco, Alex, oltre ad essere un tappo, aveva già dato prova del suo umorismo fuori luogo, Lucy era una ragazza (non che la cosa gli dispiacesse più di tanto, ma si presumeva che il gentil sesso dovesse essere escluso da quel genere di cose) e a dirla tutta non era neanche bella. Infine c’era lui, Dave, accettato come leader del gruppetto. Nessuno aveva mai parlato di avere un capo o qualcosa del genere, ma tutti lo consideravano tale senza bisogno di esprimerlo a parole. E Dave non era ben visto a scuola, dove veniva criticato per i capelli lunghi, sconvenienti in un ragazzo, e segretamente sfottuto per il modo di vestire trasandato, per la statura e per gli occhiali. Non era basso, ma nemmeno alto, comunque sotto la media dei suoi compagni di classe. Le prese in giro erano ufficiose, ma non abbastanza perché qualche voce non giungesse fino al diretto interessato.
:”Pezzo di... ahhh... mi hai fatto malissimo...” si lamentava Alex nel frattempo.
:”Fanno bene... a chiamarti Zolfanello....” Dave fu preso dal desiderio irrefrenabile di picchiarlo ancora. Detestava quel soprannome. Gli era stato affibbiato a scuola. “Secco secco, con quel caratteraccio irascibile... è una testa calda!” “Ehi, quei capelli neri devono prender fuoco facilmente!” “Sembra proprio uno Zolfanello!” affermazioni di questo genere erano seguite da scrosci di risa. Dio, quanto detestava essere paragonato ad uno stupido fiammifero!
Si trattenne dall’ infierire ancora.
:”Smettila di frignare, non era forte.” girò le spalle al compagno, ma Alex non aveva intenzione di darsi per vinto. Se a quel punto Tom non lo avesse bloccato, sarebbe scoppiata l’ennesima rissa scherzosa nella quale nessuno si faceva veramente male, ma quelli non erano ne il momento ne il luogo adatti.
:”Volete svegliare il guardiano?!?” li rimproverò Lucy, e Alex, che si divincolava come una furia, si calmò. Tutti e quattro sapevano benissimo che il guardiano del cimitero delle automobili era un pericoloso pazzo, e ammazzava chiunque beccasse nella sua proprietà di notte, nascondendone il cadavere chissà dove. Chi mai avrebbe potuto ritrovare un corpo in mezzo a quei dedali bui di veicoli sventrati? Certo, ormai doveva essere un anziano sulla settantina, ma riusciva ancora a incutere paura a tutti i ragazzi di Avenue Hill.
Un movimento strascicato poco distante rammentò loro il motivo di quella visita notturna. Dave riprese le redini della situazione. Fece qualche passo, quindi di sporse cautamente oltre la vettura che era loro servita come nascondiglio fino a quel momento.
:”Cristo...” sussurrò agli amici :”Eccolo lì.” quattro paia di occhi erano ora rivolti verso la medesima cosa, la fonte del rumore di un attimo prima. Una pesante catena, arrugginita al pari delle lamiere abbandonate in quel luogo, veniva trascinata lentamente sul terreno asfaltato. All’ altra estremità della catena era assicurato un pesante collare munito di borchie metalliche. Il collare in questione era al collo di un cane dall’ aria feroce, che camminava irrequieto, per quanto gli era permesso dalla catena. Il pelo un tempo fulvo, con focature bianche petto, zampe e muso, era ora di un indefinibile marrone grigiastro tanto l’ animale era sporco. In prossimità del pesante collare borchiato assicurato al collo dell’ animale si faceva più rado, lasciando intravedere macchie di epidermide irritata e pruriginosa. La testa, larga e quadrata, era munita di fauci munite di denti temibili, la mascella incredibilmente forte, e dall’ orecchio destro fino al collo spiccava una vistosa cicatrice larga qualche centimetro. L’ intero muso era costellato da segni simili. Gli occhi erano marroni, spaventosamente intelligenti; il cane sembrava comprendere appieno tutto ciò che succedeva intorno a lui, scrutandolo con lo sguardo freddo e spietato di uno squalo che fissa la preda. Ed era grosso, incredibilmente grosso, ma non pesante. Il corpo era atletico e eccezionalmente magro, lungo i fianchi le costole disegnavano una trama d’osa appena sottopelle, le zampe potenti gli avrebbero permesso di correre veloce come il vento stesso. Così lo avrebbe descritto uno qualsiasi dei quattro ragazzi che lo spiavano, se qualcuno si fosse preso la briga di andarglielo a chiedere. Ai loro occhi, suggestionati dai racconti raccontati loro, appariva come una specie di mostro, un cane uscito dritto dritto dall’ inferno. Se si fossero impegnati, probabilmente avrebbero sentito puzza di zolfo.
Il cane si fermò, allertato. Aveva sentito qualcosa, qualcosa che non gli era familiare. Cominciò a fiutare l’ aria, che per un attimo gli aveva portato un odore inconsueto. Sostò per un attimo, il muso levato e le narici frementi, aspirando velocemente, cercando di localizzare la fonte di quella zaffata di novità. i ragazzi, accortisi dell’ agitazione del cane, si ritrassero più silenziosamente possibile nell’ ombra, trattenendo il respiro. Se quel maledetto si fosse messo ad abbaiare... Ma il cane non abbaiò. In breve, non fiutando più nulla, si accucciò, quindi si distese sul cemento freddo. Era stanco, molto stanco. Tanto stanco quanto affamato; nessuno era venuto a portagli da mangiare, quel giorno. Trasse un profondo respiro, posando la testa possente sulle vecchie zampe. Chiuse gli occhi, e presto cadde nell’ abbraccio di Morfeo.

Luce. Una luce accecante. Grida. Grida da quella massa confusa che lo circondava. Non capiva quasi nulla, non sapeva dov’ era, perché lo avevano portato lì. Poco prima il suo padrone aveva scambiato qualche parola con altri suoi simili, c’erano state risate, qualche battuta, lui era stato indicato ripetutamente. Poi, uno scambio furtivo di banconote, gli uomini si erano dati una pacca sulle spalle e si erano divisi: lui e il suo padrone da una parte, tutti gli altri in direzione opposta. Quindi era stato condotto lì, in quel luogo tanto sconosciuto quanto spaventoso. Davanti a lui si apriva uno spazio recintato di qualche metro, circolare, una piccola porzione di terreno in terra battuta. La polvere che si alzava dal suolo gli irritava gli occhi. I fasci luminosi, quasi accecanti, dei riflettori puntati impietosamente su di lui, la confusione che molestava il suo udito fine, l’ ondata di nuovi odori che aveva investito il suo tartufo, tutto questo lo disorientava, lo spiazzava. Fuggire. Voleva, doveva fuggire. Impaurito, retrocedette di qualche passo, ma venne trattenuto dal collare, dal guinzaglio, dalla presa salda del padrone. Sentendolo agitarsi, l’ uomo abbassò lo sguardo su di lui. In bocca teneva uno stelo sottile dal quale si alzava un filo di fumo. Gli disse qualcosa, dal tono gli sembrarono parole d’ incoraggiamento. Scodinzolò debolmente. Improvvisamente la folla si zittì. Lui reagì voltandosi di scatto, le orecchie ritte, cercando di individuare la causa di quell’ inaspettato silenzio. Non ci mise molto a individuarlo, e a quella vista gli salì dalla gola un brontolio sordo, cupo, come un tuono lontano.

:”Che si fa?” chiese Tom. Gli amici non risposero, tutti troppo intenti ad osservare il cane, che si muoveva nel sonno, le zampe che compivano piccoli scatti. Improvvisamente l’ animale cominciò a ringhiare, e tutti e quattro si ritirarono precipitosamente al riparo, sicuri che si fosse svegliato.
:”Dorme, non preoccupatevi.” li rassicurò Lucy dopo essersi sporta per osservare.
:”Mi è venuta un’ idea.” disse ad un tratto Alex.
:”Che genere di idea?” vollero sapere gli amici.
:”Una scommessa.” fu la risposta, accompagnata da quel sorriso luciferino che tutti sapevano non portare niente di buono.

In breve il timore che aveva in corpo scomparve. Abbaiò, cercò di avanzare, il guinzaglio si tese per trattenerlo, ma lui non si arrese. Tirò con tutte le sue forze, i muscoli tesi, le zampe raschianti sul terreno ruvido.
Dall’ altra parte del cerchio l’ altro cane compiva le stesse azioni, immagine speculare della sua furia. Si udì uno sparo. Un dolore acuto lo colpì quando l’ uomo gli spense la sigaretta tra le orecchie. Lo registrò solo parzialmente, come ignorò il forte puzzo di pelo bruciato che lo investì. Il moschettone del guinzaglio scattò, e lui fu libero. Comprese perfettamente ciò che gli urlò il padrone.
:”Fallo a pezzi Cerbero, fallo a pezzi!” Non c’era bisogno di incitarlo. Le luci, la confusione che era esplosa insieme allo sparo, nulla più lo spaventava, anzi, sembrava pompargli adrenalina nelle vene, come se ora in lui non scorresse sangue, ma fuoco liquido allo stato puro. Si lanciò in avanti, le fauci spalancate e grondanti di saliva, e in quell’ attimo sembrò si una bestia uscita dagli inferi. Il suo avversario era molto più grosso di lui, ma non gli importava. Doveva uccidere. Uccidere. Uccidere. L’ impatto tra i due cani fu tremendo.

:”Scommetto che non avete il fegato di andare fin lì e prendergli la ciotola.” I compagni lo guardarono allibiti.
:”Sei fuori di testa?!?” disse Lucy.
:”Aaaah.... scaga, eh?” li canzonò Alex.
:”Non è essere coraggiosi o no, qui bisogna essere cretini!” Tom scosse la testa con disapprovazione.
:”Allora voi due no... e tu, Dave? Che mi dici?” Dave, dal canto suo, sembrava pensarci seriamente. Uno dei suoi più grandi difetti era l’ orgoglio. Un orgoglio esasperato, che lo rendeva incapace di rifiutare una sfida, per quanto stupida e insensata fosse. Calcolò velocemente i rischi. Tanti, troppi.
:”Vado.” esordì.
:”Dave, non fare il coglione.” disse Lucy severamente. :”Metti che si sveglia.”
:”La catena non è molto lunga, anche se si sveglia mi basterà correre per qualche metro e sarò al sicuro.”
:”Se abbaia arriva il pazzo.” gli ricordò Tom.
:”Non si sveglierà.” ribatté Dave quindi, con estrema prudenza, mosse un primo, lentissimo passo verso l’ animale addormentato.

Il cane era grosso, molto grosso. Un esemplare dal pelo marrone striato di nero. Quando Cerbero si alzò sulle zampe posteriori, sbavando e mordendo, petto a petto con l’ avversario, fu sovrastato dalla sua mole. Non importava. Nel turbinio di morsi, le zampe non restavano immobili, e ben presto i suoi fianchi furono un unico muscolo pulsante di dolore, coperti dai graffi inferti e dal sangue che ne sgorgava. Cieco di rabbia, addentò il torace del nemico, e mantenne la presa finché non sentì in bocca il sapore familiare e agrodolce del sangue. Una zampata lo raggiunse sul muso, un lampo bianco di dolore. Da combattente inesperto, aprì la bocca e venne scaraventato a terra. In un attimo l’ avversario gli fu sopra. Vide i denti mirare alla sua gola, e comprese che se lo avessero raggiunto per lui sarebbe finita subito. Si rialzò di scatto e, veloce come un serpente, guizzò in avanti. I denti si strinsero sulla cartilagine tenera dell’ orecchio. Sentì guaire, quindi il nemico cominciò a dimenarsi e in breve fu di nuovo a terra. Ma questa volta l’ avversario ci aveva rimesso un orecchio. Un’ altra fitta di dolore; era stato preso alla nuca. Cercò di divincolarsi, ma l’ avversario era più grande di lui. Più forte di lui. Più esperto di lui. Si guardò intorno, muovendo le zampe forsennatamente. Molti uomini sembravano soddisfatti, altri scuotevano la testa. Un tipo con la camicia a scacchi stava facendo ampi gesti al suo padrone e a quello dell’ altro cane, che in breve si avvicinarono, guinzagli alla mano.
Volevano portarlo via? Non ne era sicuro, ma sapeva bene che doveva ancora lottare. Fletté i muscoli quando più poteva, torcendo il corpo. Avvertì un dolore atroce, qualcosa gli era stato strappato dai denti del nemico, pelo, pelle, carne. Si rotolò sulla schiena quindi, istintivamente, schizzò in avanti con un potente colpo di reni. Raggiunse il suo obiettivo. Addentò la gola dell’ avversario, sentì il pulsare vitale della giugulare. Strinse con tutte le sue forze. Il nemico si impennò, ma lui, memore di quanto successo poco prima, non lasciò la presa. Anzi, spinse il cane a terra e mentre le sue zanne si facevano strada nella gola avversaria, assestò un potente colpo con le zampe posteriori al tenero ventre scoperto. Si aprì uno squarcio vermiglio. Sentiva gridare intorno a lui. Qualcosa gli si strinse intorno al collo. Il collare. Qualcuno gli aveva rimesso il collare, e ora tirava perché mollasse la presa. Non ne aveva intenzione. La sua furia era al culmine, così come la sua estasi, mentre il sangue gli riempiva la bocca e la sua vittima gorgogliava sotto di lui, la bocca spalancata dalla quale usciva una schiuma rosa, sangue misto a saliva, le zampe annaspanti nell’ aria. Qualcosa lo colpì alla schiena, un colpo secco, schioccante, un dolore sordo. Cominciava a mancargli il respiro, la trachea stretta, chiusa dal collare che la comprimeva. Non gli importava. Non gli importava che il padrone lo stesse strozzando, ne che il proprietario dell’ altro cane continuasse a frustarlo con il guinzaglio, il cui moschettone, colpo dopo colpo, si tingeva sempre più di rosso. Piovvero su di lui calci e pugni. Sulle zampe, sui fianchi, sulla testa. Sentì scricchiolare quando un calcio gli frantumò un molare. Dopo un tempo infinito, vissuto come in sogno, l’ avversario smise di dimenarsi. Il soffio vitale lo abbandonò, le zampe cessarono il loro spasmodico mulinare. Solo allora lo lasciò andare. Ma il suo furore non era ancora sedato, la sua sete di sangue richiedeva di più, di più, ancora, ancora! Voleva avventarsi su quel corpo, voleva dilaniarlo, voleva assaporare ancora il sangue che già gli imbrattava il muso. Era stato trascinato via con la forza, gli occhi brillanti del fervore degli assassini.
A quel combattimento ne erano seguiti molti altri. Era una furia, invincibile, molti si rifiutavano di sfidarlo per timore di non rivedere più il proprio cane. Lui non batteva il nemico, non si limitava a questo. Lui uccideva. Non c’era modo di separarlo dalla sua vittima prima che avesse concluso l’ opera. Aveva vissuto così per anni, anni di lotte e sangue, sottoposto ad allenamenti crudeli, disumani, vittima della follia sanguinaria dell’ uomo che lo aveva trasformato in un mostro spietato.
Ma le luci della ribalta richiesero presto nuove stelle. Era diventato vecchio. Era diventato inutile. Era stato venduto per pochi soldi al primo venuto. Quel cambiamento era stato accettato senza entusiasmo e senza rimorsi: ormai era completamente vuoto, una macchina per uccidere abituata solo ad obbedire al volere del padrone, incapace di ribellarsi. Era stato condotto in un luogo ancora più squallido di dove era segregato prima. La gabbia era diventata una catena, la cuccia di legno una costruzione fatta alla bell’ e meglio con lamiere arrugginite. Non era cambiato molto in fin dei conti. Aveva accettato il suo destino, si era trascinato avanti sul sentiero della vita e quello era ormai il suo undicesimo autunno.

Dave si chinò forse con eccessiva lentezza a raccogliere la ciotola. Si soffermò un attimo a leggere il nome sul collare della bestia. “Cerbero” pensò. “Quale nome migliore per il guardiano di questo posto?” afferrò la scodella e si alzò in piedi, quindi, senza fare il minimo rumore, tornò indietro, facendo il segno della vittoria ai due amici che lo guardavano con ammirazione (Thomas, troppo nervoso per seguire la scena, si era ritirato dietro alla macchina). Dave sorrise, ma il sorriso gli morì sulle labbra. Perché quell’ espressione sul viso dei due amici? Temendo di conoscere la risposta, si voltò. Il cane lo fissava. Vedendolo così, eretto, gli occhi lucenti e i denti scoperti, Dave ebbe per un attimo l’impressione di sapere ciò che aveva provato Ercole, quando era sceso nell’ Ade a prendere Cerbero. L’ animale cominciò a ringhiare. Forse non aveva tre teste e una criniera di serpenti velenosi, ma bastò perché il ragazzo sentisse corrergli un brivido lungo la schiena.
:”VIA!!!” urlò agli altri. Dave scattò nel preciso istante in cui anche il cane gli si lanciò contro. Dimentico della missione per la quale erano venuti, si lanciò in una corsa forsennata e dopo pochi passi sentì il rumore metallico della catena che si tendeva. Non si voltò. Vide gli altri pochi metri più avanti di lui, tutti presi nella frenesia della fuga e accelerò la corsa. L’ aria gli fischiava attraverso i capelli. Sapeva di essere al sicuro, sapeva che il cane era legato, ma la paura mette le ali ai piedi e ha la meglio sulla ragione. In breve i quattro scorsero in lontananza il cancello di rete che avevano scavalcato per introdursi nella discarica. Ancora cento metri. Quindi, quel terribile rumore, quel suono di qualcosa che si spezzava. Dave non era sicuro che gli altri lo avessero sentito, ma per lui era riecheggiato forte come le trombe del giudizio. Del resto, quel rumore per loro prediceva proprio l’Apocalisse. Si azzardò a guardare indietro. Era lì. Ansimava e sbavava, lanciato nella corsa, e si dirigeva verso di loro rapido come il fulmine. Dietro di lui la catena spezzata tintinnava.
:”PIU’ VELOCI!!!” urlò agli altri, ormai non glie ne fregava più niente del guardiano. Che li sentisse pure. Valutò la distanza che lo separava dalla rete. Ancora cinquanta metri. Cinquanta metri, e il segugio infernale si avvicinava sempre di più. Tom saltò, aggrappandosi alle maglie metalliche e in un attimo era dall’ altra parte. Ancora venti metri, mancava poco... Dave era sicuro che i polmoni gli sarebbero scoppiati da un momento all’ altro. Aveva perso tempo quando si era voltato e ora di dava del cretino. Ora udiva distintamente il ringhiare furioso del cane. Doveva essere vicinissimo. Alex e Lucy per poco non la sfondarono, la rete. Anche loro la scavalcarono in pochi secondi. “E si che Alex ha fatto una fatica per venire di qua...” si sorprese a pensare Dave. “Ma all’ andata non avevamo un demone alle calcagna”.
Un momento... cos’ era quella cosa che veniva verso di loro, dalla strada, oltre la rete? Quella specie di luce blu? Dave si concentrò sull’ inusuale fuoco fatuo. Il suo piede incontrò il vuoto. Il ragazzo portò le mani davanti a se, nel tentativo di attutire l’ impatto. Se ne era dimenticato. Mentre il suolo gli veniva incontro al rallentatore, ricordò di aver visto quella buca... ricordò di essersi detto di starci attento. Prima ancora che i palmi incontrassero il cemento, avvertì un colpo sulla schiena. E capì. Un attimo dopo il dolore esplose nella spalla sinistra, lì dove le zanne del cane stavano affondando. Dave urlò. Era finita. Dio, era finita, pensò, mentre la maglia diventava rossa, e la spalla veniva sbranata.
Lo aveva preso. E doveva uccidere. Uccidere. Ancora una volta quel dolce sapore eccitava i suoi sensi, poteva stringere una preda disperata. Sentiva l’ odore inconfondibile della paura. Estasiato, morse con più violenza. Poi, una cosa imprevista. Uno sparo. Si, proprio come prima di ogni incontro, qualcuno aveva sparato in aria per decretarne l’ inizio. Un momento... perché stava mollando la presa? Non doveva, doveva mordere! Sventrare! Dilaniare! Cadde di lato, confuso, incapace di comprendere ciò che gli stava accadendo. Tra le ombre che pian piano, furtivamente, lo stavano circondando, udì una voce sconosciuta, della quale non comprese le parole.
:”Stai bene, ragazzo?” una pausa.
:”Cristo santo, Richard! Chiama un’ ambulanza!” poi i suoni si fecero ovattati, poi cadde nelle tenebre.

:”Il padrone non c’è.” disse l’ agente chiamato Richard tornando da un breve sopralluogo, mentre Dave veniva caricato su una barella.
:”Come... come...” balbettò il ragazzo.
:”Ci hanno avvertiti i vostri genitori. Sei stato fortunato.” il tono era quello secco e asciutto di chi sa di possedere una certa autorità.
:”Gli altri?”
:”Stanno bene credo. Se la sono data a gambe. Ma passerete dei guai.” Dave esitò per un istante. Quindi, volgendo lo sguardo a terra, vide il corpo esanime del cane, accasciato sul fianco. Ora non gli sembrava più così grosso e così mostruoso. Tra gli occhi vitrei si apriva un piccolo foro che a Dave ricordò l’ imboccatura di un pozzo. Da esso usciva un rivoletto di sangue.
:”E...” indicò l’ animale al poliziotto.
:”E’ morto. Un colpo preciso, il mio collega è un ottimo tiratore.” l’ agente si sistemò la camicia :”Era un assassino.” aggiunse, quando vide l’ espressione del ragazzo :”Certi cani sono pericolosi, dovrebbero essere vietati dalla legge. Li usano anche nei combattimenti. Sono macchine per uccidere. Mostri.” si allontanò dal ragazzo per andare a conferire con il collega, che lo attendeva vicino all’ auto.
Lungi dall’ averlo consolato, le parole del poliziotto avevano scatenato in Dave un moto di compassione. Mentre veniva caricato sull’ ambulanza, osservando il vecchio cane sfregiato e denutrito, si chiese chi fosse in realtà il vero mostro. Scacciò quel quesito dalla mente, temendo di trovarne la risposta.

 
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