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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: One Piece
Titolo Fanfic: STORIELLA DA QUATTRO SOLDI.
Genere: Comico
Rating: Per Tutte le età
Autore: triktrektrak galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 17/06/2005 18:56:59

l`inizio non é comico, ma poi.....hehe.
 
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PROLOGO
- Capitolo 1° -


Ci riprovo…
Il medico si mise in disparte contro la parete lignea della piccola baita quando la madre malata chiamò il figlio al suo capezzale.
La donna sussultava sotto le coperte umide, impregnate di sudore e malattia.
Il ragazzo aveva fatto irruzione nella stanza gridando l’arrivo dei pirati.
“Ascolta…non dire sciocchezze, papà non tornerà…”
La donna esitò dando due violenti colpi di tosse mentre il foglio la guardava preoccupato.
“Però sono orgogliosa di averlo sposato…” balbettò piano.
“Diventerai un pirata coraggioso come lui.” Il figlio rimase scioccato e impaurito da quella frase pronunciata con tale solennità.
“Parli come se stessi morendo…” biascicò preoccupato. Tentò per l’ultima volta di salvare la situazione sperando che con un’altra bugia avrebbe potuto rincuorare la madre.
“Sai che esiste una medicina leggendaria!” proruppe quasi fremendo per l’eccitazione
“Al dilà del mare…guarisce tutte le malattie!!”
“Sciocco…” fiatò la madre con una voce quasi maligna.
“Tu sogni troppo.” Questa frase si conficcò dritta nella coscienza del figlio, benché avesse solo sei anni.
“Se muoio comportati bene.” Questo era troppo! I sogni erano l’unica cosa in cui aveva creduto e lei gle li stava portando via insieme alla sua morte.
“NON SONO SCIOCCO!!” ma ormai sentiva che un torrente salato di lacrime gli aveva inondato le guance.
“E non voglio ascoltare!!” proseguì scosso dal dolore e dalla paura.
“E poi continuerò a sognare.” Lasciò cadere due grossi lacrimoni dagli occhi che indugiavano fissando l’esile forma del corpo infermo della madre sotto le coperte.

“…perché sono figlio di pirati…”

“Ora del decesso: 14:00.” E dopo averlo detto il medico sollevò la mano intento a coprire il volto della donna, ma Usopp fù più rapido e chinatosi sulla testa della madre, col pollice e l’indice le chiuse gli occhi ancora sbarrati per lo sforzo. Era ancora calda e sudaticcia.
Le accarezzò piano il labbro inferiore e vide una sua lacrima rompersi in mille schizzi atterrando sulla fronte pallida e stempiata.
“Vieni……” la voce persuasiva e arrogante del medico lo distolse da quello dtato di Trance.
Trascinò di peso il ragazzino verso la porta della piccola baita mentre una marea compatta di Shiroppiani affluivano davanti alla porta.
Alla vista di tutto quello sciame umano il medico si parò a braccia aperte davanti alla porta gridando con tono severo e autoritario:
“Via! Non c’è niente da vedere, e solo morta una donna, e poi, cosa volete che vi dica…!” ma per Usopp il medico aveva parlato già tanto e pure troppo. Si sollevò il vento che riempì quell’angoscioso attimo di silenzio facendo svolazzare il lungo camice bianco. Le donne, ammutolite, allungavano il collo, barcollando, per cercare di riuscire a vedere qualcosa per capire qualcosa mentre glu uomini, umilmente, iniziavano a sfilarsi i cappelli in segno di rispetto. Il medico stava sempre lì a braccia aperte quasi come se volesse fargli da scudo.
Poi abbassò il capo scuotendolo.
“Andate via…che avete da guardare, voi?”
e si rivolse alle pettegole del villaggio che cicaleggiavano appartate in un angolo della folla. Avevano gonnelloni pacchiani e polverosi con dei grembiuli volgarmente ricamati e legati alle larghe vite con fiocchi. Gli uomini avevano pantaloni di iuta grezza rattoppati alla buona. Portavano anfibi di cuoio e canottiere con patacche di sudore sulla schiena e nella zona ascellare. Alcuni di loro si rigiravano tra la bocca stuzzicadenti amaramente ciucciati per trascorrere il tempo.
Il cocente sole delle due arrostiva ogni forma di vita e piegava i più vecchi in due e le donne atterrivano con vampate di calore.
Il mare sembrava un’enorme lastra di ghiaccio bluastra.
Non c’era vento né vita.
Alcuni obbedirono avviandosi verso il vialetto in discesa, infine a seguire tutto il corteo do donne e uomini blaterando “Ma chi?” “Ma cosa?” “Ma perche?”.
Le donne si portarono via lunghe trecce d’aglio e di cipolle, altre sollevarno le ceste piene di funghi e di ortaggi mettendosele in testa. C’era invece chi le lasciava in mano tenendo il baccio lungo il fianco. Gli uomini si rimisero in spalla i fucili, la selvaggina e qualche polletto scannato.

Il medico e l’infermiera chiamarono i becchini e lasciarono l’edificio subito dopo la telefonata. Avvertirono Usopp del fatto che i cecchini sarebbero arrivati l’ndomani alle otto.
Usopp aveva meccanicamente annuito.
Si era accucciato in un angolo tra due paretitenendo le luci spente. Aveva abbracciato le ginocchia premute contro il petto e la schiena addosso al muro ligneo. Adesso teneva il muso nascosto tra le ginocchia come un paguro. Mantenne distanza dalla madre e si guardò dal toccarla.
A mezzanotte passata risollevò il capo guardando con aria furtiva nella direzzione del letto. Sua madre assunse un aspetto spettrale: la fioca e pallida luce lunare le sbincava il volto rendendola ancora più una cadaverica mummia.
Cacciò spaventato un urletto rimettendo la testa tra le ginocchia e mugolando mentre altre lacrime gli bagnavano le ginocchia e il volto. Rimase lì fiché non si addormentò con la testolina contro la parete appoggiata di lato su una spalla.
Non passò una notte tranquilla: prima sognò l’arrivo di suo padre. Lui setiva delle grida nel villaggio. Rapido afferrava la candela e attraversava furtivo il vialetto fino ad arrivare alla zona portuale.
La lo attendeva suo padre. Dietro di lui scorgeva una donna che teneva in mano altri due bambini. Erano legati dal matrimonio e dai loro nuovi figli. Lui arrivava gridando:
“Papà, sono io, Usop, la mamma sta male, devi venire papà, devi……”
“Ti presento mia moglie e i mie figli, approposito, ma tu chi sei?”
“Ma…”
e i due sparivano inghiottiti da un notturno mare color seppia e inchiostro. Cadeva in ginocchio stroncato dallo shok, ma nel frattempo aveva lasciato la candela nel prato che adesso stava prendendo fuoco. L’intero atollo di Shiropp veniva inghiottito dalle fiamme. Poco dopo veniva catapultato in un’ altra isola.
Atterrava graffiandosi rovinosamente la schiena e scorgeva tra infinite pale di cocco una curiosa bambina più grande di lui di almzno un anno.
“Vedi?” diceva.
“Io sono felice perché ho una famiglia. Tu invece sei sordo, cieco, muto e non provi sentimenti. Io invece mangio dormo gioco, vivo.”
“Ma…”
“Tu sei morto! MORTO!!”
“No…non è vero! Io non sono morto! Sono vivo! SONO VIVO, VIVOO!!!”
A quel punto spiccava una corsa verso la foresta incespicando tra alberi e arbusti, rialzandosi e gridando al mondo intero che lui c’era! Vivo e vegeto!
“Sono vivo! Non sono morto! Sono vivo! Non è vero! Non sono morto!!…no! Sono vivo!”
“Sì, lo sappiamo, calmati ragazzino, svegliati! Voi intanto pensate alla madre…”
Usop aprì gli occhi. Qualcuno lo stava scrollando.
“Mmh, chi…?” blaterò ancora stordito.
“Come ti senti ragazzo?” era a faccia a faccia con un becchino.
“Ah, b-bene signore io………io…” poi, ricordatosi di tutto esplose in un pianto disperato accucciato nell’angolo mentre i becchini vestivano sua madre e prendevano le misure per la bara.
Poco dopo arrivò un altro becchino che chiese ad Usopp di descrivere l’accaduto:
“Il dottore le ha fatto due aflebi, ha delirato per un po’…poi…mi ha detto di comportarmi bene. Io le ho chiuso gli occhi, ci ho messo su un lenzuolo perché non si vedesse e poi……”
“E poi?”
“Più niente…” rispose Usopp scuotendo la testa e chiudendosi in un doloroso silenzio.
…più niente…


 
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