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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: BLACK BLOOD
Genere: Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Autore: kaname89 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 14/06/2005 15:55:57

nero come la notte, dolce come il sangue
 
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VICTORIA
- Capitolo 1° -

L’essenza dell’immortalità. Proprio come me.
Questa fu la sola definizione che Victoria riuscì a trovare per quella splendida città che era Parigi, il che la riportava indietro a quella splendida città che era stata Londra nel XVII secolo: dove era nata, cresciuta, e dove era diventata ciò che era ora: un vampiro. La sua vera natura le si leggeva in tutto, nel modo di incedere, nel modo di vestire (prediligeva ovviamente il nero, e se ora le era facile confondersi con i dark, a quel tempo si pensava fosse in lutto) e soprattutto nel volto, dalla carnagione d’alabastro e dai folti, neri capelli che le scendevano fino alla vita. Ma ciò che più colpiva in lei erano gli occhi: freddi e quasi fosforescenti, dello stesso colore del ghiaccio che le pervadeva il cuore.
Era bella e lo sapeva; e non aveva mai esitato a usare la sua bellezza per adescare le prede. Non si considerava una creatura del diavolo; piuttosto, le piaceva pensare di aver eluso le sofferenze mortali e di essere ora un essere libero dagli obblighi imposti agli uomini comuni, di essere una creatura nuova e più forte. Certo, era ancora legata agli umani per quanto riguardava il sangue, ma non era completamente sicura di averne realmente bisogno. Le piaceva, questo sì, ma poteva anche mangiare come gli umani e farne a meno per lunghi periodi, anche se poi la sua golosità la riportava a cercare sangue e ancora sangue. No, non si riteneva più umana: era qualcosa di superiore allo stadio umano.
Non aveva rimorsi per tutte le persone che aveva ucciso: semplicemente era una questione di sopravvivenza, come se gli uomini dovessero sentirsi in colpa per ogni animale che mangiano e come aveva detto Darwin durante i suoi studi, solo il più forte sopravvive. E lei si riteneva “il più forte”.
Questo in quanto vampiro, non per Victoria in se stessa, anche se doveva ammettere di non essere affatto male come vampiro, era fredda e insensibile, solo l’odio le era possibile provare, o almeno così pensava.
Era anche scaltra e abile più di qualsiasi mortale, e agile più della madre di tutti i gatti. Dopotutto, 400 anni di vita come vampiro le avevano insegnato molto, forse più di quanto fosse disposta ad ammettere, anche con se stessa.
Quattrocento anni…

… correva il 1603 e lei era giovane, bella e spensierata.
Era l’unica figlia di un facoltoso proprietario terriero, residente poco distante da Londra, e la sua fanciullezza era passata tra corse su veloci cavalli, risate con le numerose amiche, e, quando fu più grande, scappatelle con giovani e aitanti ragazzi, magari servitori alla loro villa padronale. Sua madre era misteriosamente scomparsa dopo la sua nascita e da allora il padre si era chiuso in un solitario silenzio, e si limitava a uscire qualche volta dai suoi alloggi privati per pagare i sempre più costosi conti di Victoria.
E lei veniva regolarmente abbandonata a se stessa, dato che la servitù aveva altro a cui badare che non seguire una bambina così introversa e taciturna, e poi senza gli ordini del padrone non si muoveva nessuno, in quella casa che a poco a poco andava in rovina. Quando Victoria fu abbastanza grande da capire la situazione, prese in mano le redini della casa: licenziò il personale incapace e assunse nuovi domestici, facendoli lavorare come si conveniva. In breve la casa tornò al suo splendore, e tutti ambivano ad essere invitati alle feste di Victoria Sayles. Ma nonostante questo e il suo quotidiano impegno, il padre rimase spento. Lo si vedeva spesso vagare per le stanze della moglie, con lo sguardo perso nei ricordi felici, così lontani e dolorosi, in quanto finiti.
Dal canto suo, Victoria dapprima aveva cercato in tutti i modi l’affetto del padre, come ogni bambina, poi, data la sua indifferenza, aveva maturato dentro di sé, con l’infallibilità dei bambini respinti ingiustamente, la convinzione che doveva essere colpa sua se il padre non l’amava, e aveva passato lunghe notti insonni a rimuginare sul problema, giungendo alla conclusione che il padre l’accusasse della scomparsa di sua madre, dato che lei era sparita dopo la sua nascita.
Quando l’aveva pensato, si era sentita dilaniata e abbandonata da coloro che avrebbero dovuto amarla di più al mondo, e crescendo ed entrando nella difficile età dell’adolescenza, si era sentita, colma del suo spirito ribelle, defraudata dell’amore che le spettava.
E così crebbe senza educazione e senza freni, a tratti conscia delle proprie responsabilità di padrona di casa, che fu poi felice di demandare alla sua fedele “luogotenentessa”, la nera Bessy, che sapeva molto meglio di lei come amministrare una casa e le era fedele per intero.
Crebbe con lei anche il suo senso di solitudine profonda, che la spingeva spesso a lunghe corse sul dorso della sua amata Jeannie, la sua cavalla (l’unica che l’amasse davvero, secondo Victoria), per gli enormi possedimenti di suo padre, che tra l’altro, comprendevano un bosco, con al centro una radura idilliaca, con uno specchio d’acqua in mezzo, dove spesso Victoria aveva fatto il bagno, e che era il suo posto preferito. Era un luogo di pace assoluta; le fronde degli alberi a tratti si chinavano sull’acqua mosse dal vento, creando cerchi concentrici che smuovevano le calme profondità del laghetto e lo facevano traboccare, bagnando l’erba tutt’intorno e i piedi di Victoria, che solo lì poteva lasciarsi andare e farsi invadere il cuore di quella pace tanto agognata e per lei tanto difficile da trovare.
Lì non si sentiva sola, si sentiva in pace con se stessa, e per lei era la cosa più importante.
E fu lì che la vide.
Stava in piedi, parzialmente coperta dai rami degli alberi, il corpo snello coperto da una lunga e fluttuante veste bianca, veste che, considerò con amarezza in seguito, doveva esser stata indossata apposta per l’occasione, e solo per quella.
Poi, un soffio di vento allontanò le fronde e poté guardarla in volto, quel volto così bianco da apparire spettrale, e incorniciato da lunghi capelli neri e lustri, quel volto liscio come quello di un bambino, dove però spiccavano vividi gli occhi ghiaccio che non avevano nulla a che fare con quelli innocenti di un bambino: erano freddi e famelici. Stranamente quel volto le parve familiare, poi capì, e fu come se una stilettata di ghiaccio le attraversasse il cuore: quel volto era identico al suo.
Lei sparì.

Provò una sensazione strana, quasi di nausea, e col senno di poi capì che era disgusto, e che quell’apparizione aveva in qualche modo contaminato il suo rifugio, e infatti non vi fece più ritorno…

…Bruscamente, Victoria tornò alla realtà.
Ora era il 2003 e lei non aveva tempo per perdersi nei ricordi, soprattutto in mezzo alla strada. Captò qualche occhiata di ammirazione da parte di un gruppo di ragazzi, e le venne fame. Ma poi la sensazione passò, e Victoria riprese la sua strada ed entrò al Phénix, l’albergo dove aveva preso alloggio. Al sangue ci avrebbe pensato più tardi, a notte fonda, quando lei diventava più forte e invincibile che mai. Ancora non sapeva spiegarsi perché a mezzanotte la sua forza e la sua abilità raggiungessero il culmine della loro potenza. Forse è perché sono un essere notturno di natura, pensò distrattamente.
Entrò nella sua camera, piccola e modesta ma arredata con gusto. Cioè secondo i suoi gusti. Ancora una volta aveva fatto finta di essere una dark, in modo da venire giustificata per il suo eccentrico abbigliamento, e per il fatto che usciva raramente di giorno. Quella camera era totalmente rivestita di pesanti panni neri che non lasciavano filtrare neanche il più piccolo raggio di luce. Anche se non l’uccidevano, i raggi del sole le davano fastidio, e a lungo andare la stordivano. Quindi, preferiva di gran lunga avere una penombra costante nelle sue stanze. I mobili, vecchi e massicci, erano quasi tutti in ebano, e contenevano i suoi pochi effetti personali.
Non che fosse povera, semplicemente non le interessava più mostrare la sua ricchezza al mondo intero. Un tempo era stato così, ma ora non più, e lei aveva imparato ad apprezzare i vantaggi dell’anonimato.
Sospirò, sedendosi sul letto a baldacchino con i tendaggi neri. Anche il fatto che dovesse dormire in una bara era una baggianata: lei poteva dormire dove voleva.
Così si stese sul letto e piombò in un dormiveglia dall’aroma dolciastro del sangue, tinto di nero nel quale a poco a poco prese forma un sogno…

…Aveva abbandonato la radura in tutta fretta ed era corsa a casa turbata.
Sulla soglia trovò il padre, e rimase lì a guardarlo stupita; non solo era uscito dal suo rifugio contro il mondo, ma aveva anche lo sguardo spiritato e la guardava sconvolto, come se non credesse ai suoi occhi.
Le corse incontro e la strinse in un abbraccio strettissimo, balbettando:
“Victoria!!! Mia piccola Victoria!! Lei… lei l’hai vista? Ti ha parlato?!? Ma tu non mi lascerai, v-vero?!?”
Era come impazzito, e Victoria lo guardò negli occhi per cercare di capire la ragione del suo turbamento, ma leggendovi solo terrore, si sentì in dovere di rassicurarlo, e sentì svanire il dolore che da tanto tempo le chiudeva il cuore: allora suo padre teneva a lei!! Così gli rispose:
“Ma certo che resterò con voi, padre, non dovete temere.”
Lui la guardò come se avesse visto un’apparizione celestiale, e quasi piangendo, le disse:
“Grazie…m-mia piccola, m-mio unico bene p-prezioso.” Al che Victoria fu commossa come mai era stata.
Quella notte si svegliò tutta sudata, e, sentendosi inquieta, decise di andare nelle stanze del padre, quasi fosse di nuovo una bambina di 8 anni bisognosa di conforto, e non una giovane donna di 19.
19 anni… sua madre aveva la sua età quando l’aveva messa al mondo. Si alzò e uscì dalla sua stanza, illuminando fiocamente con la sua candela il lungo corridoio innanzi a lei.
La loro era una casa enorme, con grandi stanze spaziose e inutilizzate, dato che di notte vi risiedevano solo lei il padre, perché la servitù al calar delle tenebre si ritirava nelle sue case, situate poco lontano dalla casa padronale. Erano soli, perché non avevano neanche un parente, di nessun tipo, tutti periti di morte violenta dopo la scomparsa di sua madre. Victoria sapeva per certo, dalle chiacchiere della vecchia servitù, che la madre, Justice, donna con una grande vitalità, odiava quel posto, che per lei era fin troppo lontano da quella che lei chiamava “civiltà”: la città, Londra.
Per lei era faticoso prendersi cura della casa, del marito, della servitù e poi anche della bambina.
Molti dicevano che Victoria era stata per Justice la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Ma Victoria non pensava a quello mentre percorreva i lunghi corridoi che la separavano dal padre. Rifletteva sullo strano comportamento del genitore quel pomeriggio e sulla felicità di sentirsi finalmente amata da lui, quell’amore a lungo cercato e agognato, e giunto infine quando ormai aveva perso ogni speranza.
Tranquilla e serena, entrò a testa alta nel salotto privato di suo padre. Si accorse subito che qualcosa non andava. Suo padre, di solito così preciso e meticoloso, aveva lasciato un insolito disordine. Dev’essere per l’agitazione di cui prima era preda, pensò, un poco allarmata. Attraversò la stanza disfatta, e abbassò la maniglia della porta che conduceva alla camera da letto. Fece timidamente capolino, aspettandosi di trovarlo magari assorto nei suoi pensieri come al solito, e quello che vide la lasciò senza fiato: suo padre era nel letto e una donna stava china sopra di lui. Al suo ingresso, la donna alzò il capo nella sua direzione, e lei poté vedere quei lineamenti così simili ai suoi da farla stare male per il dubbio e riconoscere in lei la donna della sua apparizione: sua madre. E ora un nuovo particolare si aggiungeva a quella spettrale figura: aveva la bocca sporca di sangue.
Suo padre rinvenne dalla semi incoscienza dove era sprofondato e la fissò con occhi vitrei:
“SCAPPA!” le urlò, ma la donna l’aveva già agguantata con le sue bianche mani: non l’aveva neanche vista muoversi.
Mentre cercava inutilmente di scappare, sua madre la fissava e all’improvviso la strinse tanto forte da farle male, sussurrando:
“Si, sei come me, io e te potremmo fare grandi cose insieme…” e la fissava, con quei grandi occhi ghiacciati e duri come diamante.
Suo padre urlò ancora:
“NOOOOOO!!! Non te la lascerò avere!!”
La donna lo guardò con un misto di disprezzo e fastidio, poi sibilò:
“Zitto, misero uomo, le voglio donare il potere! Tu non puoi capire!”
Al che suo padre sbiancò, poi fissò Victoria e con un filo di voce la implorò:
“Perdona un povero vecchio addolorato, o odiami se vuoi, ma ti prego, non accettare, non votarti al male, NON DANNARTI!!”
Non dannarti!
Victoria si svegliò con quell’urlo che le esplodeva nella mente.


P.S. eccoci quà.
alla fine ho esposto la mai fatica al pubblico ludibrio...ke pauraaaa! >///<
cosa dire... spero ke vi piaccia!


 
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