torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: INVIDIA E GRATITUDINE
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: erikuccia galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/06/2005 19:00:59 (ultimo inserimento: 26/10/07)

````questa è una storia come tante,se vale la pena di leggerla o no sta a voi decretarlo. tutto iniziò all asilo..````
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   
PROLOGO DI UNA STORIA
- Capitolo 1° -

Questa fan-fiction in realtà è nata molto tempo fa su questo sito, quando ero ancora un po' inesperta, o comunque quando ancora mi lasciavo dettare dalla pigrizia ,scrivendo "nn" al posto di non e non sviluppando abbastanza la trama. Ora, poichè invece secondo me la trama di per sè, se sviluppata un pochino meglio, poteva interessare qualcuno, oltre la sottoscritta, mi sono decisa di riprendere questa vecchia fan-fiction, di sistermarla e darle un volto nuovo. Se tra coloro che leggono queste righe c'è qualcuno che lesse già questa fiction nella prima stesura, vorrei assicurarli che sto cercando solo di migliorare la mia reputazione. In realtà mi è capitato di rileggere qualche giorno fa questa storia e l'ho trovata un po' troppo distante da me per risentirla mia, e perciò ecco spiegato il motivo per cui sono qui.
Vi devo dire che, per motivi di pura narrazione, probabilmente i personaggi saranno OOC, il che mi suona strano, perchè di solito nei messaggi che ricevo mi si dice sempre che i miei personaggi sono abbastanza IC. Ad ogni modo spero di poter comunicare qualcosa in modo decente. Come al solito commenti e critiche (che siano costruttive) sono ben accette. Ora, non mi resta da fare che augurarvi buona lettura.
Che si alzi il sipario!
Erikuccia, come sempre























INVIDIA E GRATITUDINE




[La ragazza che hai conosciuto non è perfetta neanche lei,
ma la domanda è se siete o no perfetti l'uno per l'altra,
è questo che conta, è questo che significa intimità...
(Tratto dal film: Will Hunting, Genio ribelle.)]














CAPITOLO 1*




Da qualche parte ho letto che la memoria è la funzione di dare vita ai ricordi, alle esperienze passate, al passato stesso, tramite delle immagini mentali o per iscritto.
Io ho sempre creduto, soprattutto quando si decide di scriverla, la memoria, che piu di una funzione, si trattasse di un'arte, di un talento, infine di un atto coraggioso. Perchè decidere di affrontare il proprio passato e darlo in pasto a degli sconosciuti, può essere da stupidi, o da impavidi.
Io non so bene a quale categoria appartengo. Non mi sono mai soffermato abbastanza su quello che il mondo pensa di me, o sui giudizi che vengono elargiti anche troppo facilmente. E dopotutto non sono neanche sicuro di trovarmi, oggi, in questa posizione scomoda davanti ad una pagina bianca per un lettore ideale. Forse mi trovo davanti a questa scelta che volontariamente ho fatto solo per non perdere i momenti che mi sono appartenuti, in un modo o nell'altro. Forse sto solo cercando di convincere me stesso di non aver solo sognato (che fossero incubi o sogni poco cambia...). E alla fin dei conti sono qui solo per dar la prova che ho vissuto, veramente.
Il mio nome è Kaede Rukawa, e queste righe che state vedendo, queste parole che state origliando, sono i miei ricordi, la mia memoria più preziosa.
D'altro canto, non preoccupatevi. Sono io che svelo i miei segreti, quindi potete anche avvicinare l'orecchio o inforcare gli occhiali. Vi permetterò di entrare dentro di me, come forse nessuno ha mai fatto.
Sono qui per raccontarvi una storia, la mia storia. Che valga o meno la pena di leggerla sta a voi decretarlo. Ma penso che alla fine una storia non valga mai tanta pena. Sono le storie di persone che si incontrano lungo il tragitto della vita, che fanno esperienze, che si innamorano.
E la mia storia non è differente dalle miliardi e miliardi di altre storie che avete già incontrato, perciò sentitevi liberi di fare quello che volete. E' certo che se vi aspettate alieni, guerre o fatti eclatanti, interessanti per l'umanità in toto, in questa storia, allora probabilmente avete sbagliato indirizzo. Questa storia parla della vita e forse non può interessare che chi vi prese parte. Questo non lo so, e non ho abbastanza voglia di scoprirlo. Io la scrivo, poi se qualcuno la vuol leggere tanto meglio, altrimenti io rimarrò l'unico spettatore di questa esistenza che, dopotutto, è proprio la mia.
Ho deciso di scrivere questa storia, e porterò a termine la missione che mi sono prefissato, anche perchè sono convinto che il modo migliore per non perdere i propri ricordi sia quello di farli vivere nei cuori di persone a me estranee.
E come si suol dire, tentar non nuoce, no?
Potrebbe capitarvi mentre leggete questa narrazione, di identificarvi con i sentimenti che vi sono descritti, di provare quello che provo io, e allora, solo allora, potrò dire che tutto questo è servito a creare qualcosa di grande.
Meglio, qualcosa di eterno.
State per entrare nel mio mondo. Un mondo fatto di piccoli giochi, di amicizia, ma soprattutto un mondo popolato, da sempre, da grandi campioni del basket. E alla fine, un mondo d'amore.
Si, questo è il mio mondo.
Ed io vi do il benvenuto.
Sedetevi dunque, signori miei, e allacciate le cinture, perchè il viaggio sta per cominciare.
E' mio desiderio annunciarvi che non esistono uscite d'emergenza su questo volo, e qualora decidiate di continuare a leggere questo che io scrivo, allora sappiate che una volta entrati bisogna percorrere tutta la strada fino alla conclusione del tragitto.

Penso che se devo cominciare a narrarvi questa storia, debba cominciare proprio dall'inizio, anche se questo risale a tanti, forse troppi, anni fa.
Ricordo tutto nitidamente, come se i fatti che vado raccontando fossero successi ieri.
Ero un solo ragazzino di 5 anni che andava all'asilo solo perchè la legge, che all'epoca era rappresentata esclusivamente dai miei genitori, lo prevedeva come dovere.
Ad essere sincero non mi è mai piaciuto troppo andare a scuola: non che ci sia qualche cosa di straordinario in questo.
Quale bambino è mai stato un fan accanito delle scuole?
Ma per me era un po' differente. Non era la scuola in sè a darmi noia, ma la gente che lo frequentava.
Mi sentivo sempre giudicato, e a causa del mio carattere, che è stato sempre quello che è,venivo messo da parte.
E' strano pensare che tutti ancora si domandino da dove viene questo caratteraccio introverso. E molto divertente è vedere come tutti cerchino di trovare qualche cadavere nel mio armadio che possa spiegare tutti i miei silenzi. Beh, mi dispiace dirvelo, ma non c'è nessun cadavere nella mia casa, non ci sono storie atroci, non ci sono maltrattamenti.
No, è solo il mio carattere.
Ci sono nato.
In fondo anche mio padre è taciturno, eppure ha sempre vissuto in pace con se stesso e con il mondo, fino ad incontrare quella donna meravigliosa che è mia madre.
Mi dispiace deludere quanti di voi si aspettavano già una morte o una scomparsa, ma non c'è niente di questo. Ho avuto sempre una famiglia ottima alla quale sono molto affezionato, ma non mi è mai piaciuto mostrare i miei sentimenti, non ridevo come i miei coetani per delle cose che ritenevo stupide. Ho sempre avuto paura di fidarmi delle persone. Probabilmente è da questo che nasce il mio carattere. Ma perchè io abbia sempre avuto questa paura rappresenta un mistero, persino per me.
Ma non divaghiamo.
Ero costantemente giudicato per il mio carattere che brevemente ho provato a descrivervi. Persino le maestre provavano sempre a cambiarmi, il che mi sorprende ancora oggi. Delle donne anziani, con una grande esperienza alle spalle, dovrebbero sapere che le persone non cambiano e soprattutto non si cambiano. Uno è quello che è, e non importa quante maschere si possano indossare. Un albero può crescere, puo' perdere le foglie, può piegarsi, può dare vita a dei fiori, ma le radici rimangono sempre le stesse, una volta nate. Ed io penso che sia la stessa cosa per gli esseri umani. Nasciamo in un certo modo, poi la cultura, le persone che frequentiamo, ci aprono migliaia di possibilità, e così ci troviamo ad avere mille personalità diverse, con dei tratti basilari in comune.
Mille personalità, ma una sola persona: è questa la mia teoria e a questo mi sono attenuto sempre, anche quando ero un ragazzino e non avrei saputo formulare questa tesi nè dire esattamente cosa fosse una tesi.
Ero all'asilo, e mentre tutti i miei compagni ridevano felici nello gettarsi nella polvere, o nel parlare di cose che mi annoiavano, io me ne stavo da solo in un angolo con la palla che palleggiava di già. Non mi interessava che fosse o meno quella grande sfera arancione con le cuciture scure. Se anche avevo a disposizione una misera palla da tennis io la trasformavo nella mia mente fino a farla diventare da basket e mi divertivo solo nel vederla palleggiare.
Ho sempre trovato molto confortante il gioco della pallacanestro.
E' un ritmo regolare di un eterno ritorno.
Qualsiasi cosa possa accadere, la palla tornerà sempre nelle mie mani. E' un pensiero abbastanza ottimista. Forse è per questo che sono diventato così bravo nello sport che mi ha dato la fama. Come un Tsubasa del basket, avevo capito che quella palla era il mio migliore amico, l'unico amore a cui sarei sempre rimasto fedele. E questo l'ho capito prestissimo, prima ancora di saper parlare perfettamente, o almeno in modo comprensibile. Se sono bravo a basket è perchè per anni non mi sono mai separato dai suoi movimenti, dalle sue regole, dal suo eterno ritorno, appunto.
Ovviamente gli altri ragazzini non la vedevano in questo modo. Ammetto di aver avuto sempre un'idea particolarmente romantica di questo sport, ma non capivo perchè gli dovessero avere da ridire su qualcosa che, e questo era chiaro, mi faceva stare bene.
Le maestre non facevano che dire ai miei "e' un ragazzino molto intelligente, ma temo che la sua passione possa tenerlo lontano da ciò che potrebbe veramente raggiungere."
Devo confessare che per gran parte della mia vita ho sempre ritenuto che non esistessero vere passioni, ma solo piccoli talenti che davano l'idea di saper fare qualcosa e per questo davano un senso di pace interiore. Il basket era qualcosa del genere. E poi cosa potevano saperne delle maestre d'asilo di quello che avrei potuto raggiungere ?
Scommetto che nessuna di loro avrebbe mai scommesso che un giorno sarei stato un campione.
E i bambini, credo, la pensavano come loro, perchè mi prendevano sempre in giro per quello che facevo, perchè me ne stavo sempre per conto mio eccetera eccetera.
Spesso quei commenti finivano con piccole e goffe scazzottate a cui davo sempre inizio io, perciò una volta che gli altri cominciarono a capire che aria tirava, la smisero di darmi delle noie e mi lasciarono solo, il che mi andava benissimo.
Non mi interessava unirmi a loro, stavo bene con la mia palla e il mio mondo fatto di sogni.
Ma non posso non ammettere che ogni tanto anche io mi sentivo solo. Dopotutto anche io sono un essere umano, sapete? Lo so che forse questa è la più grande scoperta del mondo, ma la mia maschera da ghiacciolo (allegro nomignolo che mi sono aggiudicato negli anni di liceo) nasconde un cuore che pompa come tutti gli altri.
Così trascorrevano le mie giornate: scuola e basket, basket e qualche momento di vaga nostalgia per qualcosa che non conoscevo, ma che mi mancava.
Questo fino a quel giorno.
Lo ricordo come il giorno d'estate più caldo di questi miei anni di vita. Non ricordo un'estate come quella, e di certo non un giorno così caldo. Ricordo giorni più freddi e giorni più belli, ma non un giorno caldo come quello.
Era Luglio e il sole brillava sul cielo di Kanagawa, obbligando i termometri a raggiungere quote inimmaginabili.
Avevo caldo, e dopotutto si sa che il ghiaccio soffre maggiormente il caldo di un bello stufato. Mi ricordo che per disperazione mi tolsi la t-shirt che portavo, mettendo in mostra il mio striminzito torace pallido e, ricevendo parecchi rimproveri da parte dei miei insegnanti. Non mi dovevo togliere la, perchè nn ero speciale, nè superiore rispetto agli altri. E soprattutto non mi dovevo ritenere così importante da mettermi in mostra, da sentire la necessità che tutti gli sguardi fossero puntati verso di me.
Questo era quello che mi dissero.
Io scuotevo la testa a quelle accuse, non riuscendo a capire perchè gli adulti fossero sempre così maliziosi, o meglio, sempre così politicamente corretti. Avevo caldo, e di certo togliendomi la t-shirt non uccidevo nessuno. Avrei potuto creare un danno solamente a me, laddove fossi stato un ragazzino timido. Poichè non mi interessava niente di quello che mi avrebbero potuto dire gli altri sul mio corpo o sul mio gesto, avevo pensato che togliendomi la maglia avrei solamente provveduto al mio refrigerio.
Quindi rifiutai di rimetterla, e quando le insegnanti fecero di tutto per farmela indossare di nuovo io cercai di scappare, accusandole di qualcosa, anche se ora non mi ricordo bene.
Inutile dire che venni messo in punizione.
Dovevo ritornarmene in classe e stare fermo in un angolo, come un condannato che aspetta la fucilata che porrà fine ad un mondo di ingiustizie.
Ma d'altra parte non chiedevo di meglio.
L'atmosfera interna era decisamente migliore.
Il tempo parve dilatarsi. E quasi non mi accorsi di una bambina che entrava e si metteva nell'angolo vicino al mio.
Me la ricordo come se fosse ieri. Con i lunghi capelli castani tutti arruffati, gli occhi verdi accigliati, le braccia incrociate su una maglietta celeste fradicia, che andava d'accordo con i pantaloni, anch'essi bagnati, con i piedi scalsi e sporchi di fango.
Come seppi in seguito, anche lei, stanca del caldo, si era messa sotto la fontanella cercando di abbassare la sua temperatura corporea e quando le maestre l'avevano scoperta, avevano cominciato a rimproverarla, al che lei, come me, aveva provato a darsi la fuga, inciampando per via dei sandali bagnati, di cui si era liberata per continuare il suo futile tentativo. Le maestre l'avevano presa, rimproverata ancora e portata in punizione, come me.
Si dice che per i condannati a morte ogni cosa sia migliore. Mi domando che cosa ne sarebbe stata della mia vita se quel giorno, quando immaginai me stesso come un traditore che aspetta di essere fucilato, non fossi entrato in contatto con il mio ultimo desiderio, sebbene non mi rendessi allora conto che ogni cosa che desideravo dalla vita era proprio lei. MI chiedo che cosa ne sarebbe stato di Kaede Rukawa se in quel focoso pomeriggio, non fossi stato messo in punizione, con lei.
La guardai per alcuni istanti. La conoscevo, o meglio, sapevo bene chi era perchè era in classe con me, e così dopo un po' persi interesse. Dopotutto non potevo immaginare un solo motivo per cui avremmo dovuto metterci a chiacchierare. Tornai così ai miei sogni di gloria con il basket
e solo dopo molto tempo mi accorsi che quella bambina era vicino a me a guardarmi, o meglio, a studiarmi. Si, penso che l'espressione giusta da usare sia proprio questa. Studiarmi.
"che vuoi?" chiesi sgarbato. Mi ha sempre dato fastidio essere guardato come un fenomeno da baraccone, come uno spostato mentale o anche solo come qualcosa da idolatrare.
Lei mi guardò contrariata, e per un attimo pensai che sarebbe passata all'attacco o che si sarebbe messa a piangere con quel tono e quell'isterismo che, a mio avviso, solo le donne possono raggiungere, ma poi distese il suo bel volto in un sorriso mesto.
"Perchè tu non ridi mai Kacchan?"
Mi ricordo che la cosa che mi sorprese maggiormente in quell'incontro fu il fatto che mi chiamasse con quel nomignolo. A lungo avevo anche avuto dei seri dubbi sul fatto che i miei compagni di classe conoscessero il mio nome, e invece adesso arrivava quella ragazzina che mi chiamava persino con un nomignolo.
"Perchè non ridi mai, e non giochi mai insieme a noi, Kacchan? Ti stiamo forse antipatici?"chiese interessata e vagamente offesa. Sembrava veramente risentita dal fatto che non avessi mai preso parte ai giochi di gruppo della classe. D'altra parte dubitavo che lei potesse capirmi.
Dopotutto lei era sempre al centro dell'attenzione, e tutti i bambini facevano sempre a gara per diventare i suoi migliori amici. Non che la cosa fosse sorprendente: dopotutto era una ragazzina allegra, energica, vitale... Tutti avrebbero pagato per essere come lei. Ed io, che ero al suo totale opposto, mi trovavo in quella situazione senza sapere bene cosa fare.
Vi giuro che non potevo credere alle mie orecchie.
"Io non rido solo quando non c'è niente che mi faccia ridere, Aira"
Conoscevo perfettamente il suo nome proprio perchè, come vi ho già detto, a 5 anni Aira era già una personalità che poteva condurvi sulle scie piu meravigliose dell'esistenza.
Se all'epoca mi avessero detto che avrebbe finito col diventare famosa, ci avrei creduto ad occhi chiusi. Nessuno può diventare famoso se non ha bellezza e charme. Lei li aveva entrambi, in quantità colossale.
La chiamai per nome per ringraziarla, tacitamente, di essere venuta a parlare con me, di avermi fatto sentire come tutti gli altri, almeno per una volta, usando quel nomignolo.
Il fatto che io la chiamassi per nome fu un bellissimo regalo, come ebbe modo di dirmi più di una volta negli anni successivi.
Si, perchè, stranamente, come probabilmente avrete già intuito (un buon lettore ideale è dotato di un intuito a dir poco geniale, di solito) da quel giorno, io e Aira non ci separammo più. Passammo l'infanzia praticamente attaccati. Dove andava lei, potete starne certi, trovavate anche me. Dove finiva la mia ombra, iniziavano i suoi piedi. Abbiamo passato momenti memorabili insieme, e molte cose le abbiamo imparate tenendoci per mano. I pattini, la bicicletta, la vita stessa...Lei provava ad insegnare a me come vivere bene, ed io... Bhè io non potevo far altro che cercare di prendermi tutto quello che lei aveva da dare, perchè mi sembrava che non ci fosse niente che io potessi insegnarle.
Niente, se non il mio amore per il basket.
Provai a spiegarle quello che provavo quando giocavo, che importanza aveva per me, e tutto quello che scaturiva da un gioco così facile eppure così dannatamente difficile.
Quello era il tempo in cui per lei nessun altro aveva importanza quanto me, il tempo in cui per lei esistevo solo io.
Un tempo felice.
Poi siamo diventati tutti e due grandi e mi accorsi che qualcosa era cambiato.
Sono sicuro che fosse dipeso tutto da me, dal fatto che sono sempre stato permaloso e che nn accettavo che ci fossero altre persone sulla linea d'onda che si era creata tra me e Aira.
Qualcuno avrebbe chiamato questo stato d'animo con il nome di gelosia, ma per molto tempo sono stato molto stupido a non riconoscere quello che provavo veramente per Aira.
Ero geloso, ma facevo finta di non esserlo.
E come se non bastasse le persone che giravano intorno a lei erano sempre di più, e spesso erano anche persone su cui non avrei mai, e sottolineo, mai scommesso.
Ma non poteva essere altrimenti.
Più diventava grande e più la sua bellezza aumentava, e di colpo aveva mille appuntamenti e non poteva passare tutto il suo tempo con me.
Non ce ne aveva più di tempo.
Non ero geloso, no, è solo che avevo bisogno di lei. Senza di lei avrei corso il rischio di ridiventare il bambino solo che giocava in un angolo, dicendo che se ne fregava del mondo, ma sentendosi sempre solo, in solitudine. Sentendosi sempre come quel traditore che aspetta l'ultima fucilata, quella letale.
Mi mancava la sua esclusiva.
I veri problemi sono nati allora, quando lei si è iscritta allo Shohoku, insieme a me.




continua...
 
Continua nel capitolo:


 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: