- Capitolo 1° -
Era un periodo veramente difficile, ma stranamente ero felice.
Incedevo per le strade discernendo attorno a me il precario equilibrio naturale, sentendomi esentata dall' aderirvi. È in quel periodo che mi sentivo come Dio.
Vivevo come lui.
Comandavo sulla vita mia e degli altri ,abbandonandomi ai capricci sempre detenendo una veemenza e una caparbietà esemplari. Ero come lui. E viaggiavo rimanendo ferma.
I luoghi che scorgevo erano sempre gli stessi, ma come passeggeri avevo stati d'animo sempre nuovi.
E così il paesaggio convertiva celermente.
E un giardino era il protagonista di quei mutamenti.
Un giardino che conosco dalla nascita, ma che mi era stato estraneo fino a quel momento.
Una mattina, quando il sole all'alba pareva un emorragia di fuoco, mi misi a scorgere l'orizzonte. Il giardino acquistava lucidità placidamente. Quasi alieno al resto del creato.
Mi aspettai di vederlo come al solito. Con i suoi fili d'erba imperlati di rugiada, la terra bruna e gli alberi dai fusti scuri protesi in un grido agghiacciante verso l' empireo.
Così lo ricordo da bambina e così è stato in tutti quegli anni.
Ma quell'alba ha risvegliato spettri e antichità nascoste. Ha reso noti i mille mondi che si celano dietro un sembianza dilettantistica .
Ho visto mondi approssimati e città in via evolutiva.
Ho visto navi suntuose e orientali dall'odore di cedro salpare su acque dai cerchi argentei con un carico di zenzero pistacchi e semi di papavero. Ho visto nascere le fondamenta di una città ebbra di toni, con stille di luce variopinta. E il mercato dei tessuti, seta ,raso violacei e magenta. E le donne vestivano tuniche ricamate, tenevano i capelli intrecciati con mille nastri. Ogni cromatura era un annunciazione. E il sapore succoso della frutta matura dai toni pastello addolciva la compiutezza globale.
Ho visto foreste fitte ,dagli alberi rigogliosi ,dal profumo forte di pino e foglie bagnate. Dai colori turpi smorzati da quella solennità. E rigagnoli e fiumiciattoli che lambivano sentieri scolpiti nella pietra bigia . Di quell'ancestrale bellezza mi gremii da li ai giorni avvenire.
Quella solenne vetustà, quello sfarzo imprescindibile mi fece presagire l'immensità del tutto.
Ne fui sconvolta. Rimasi attonita dinanzi quella grandiosità. L'enfasi di quel paesaggio mi redarguì sulla mia personale alterigia.
Eppure io ero la divinità di quel posto. Quei querceti, quegli empori, quelle acque algide…vivevano perché io vivevo. Erano una mia creazione. Erano dentro di me, nella mia testa.
Mie.
Sorrisi con fare bieco. Ciò che vidi quella mattina segnò le mie inventive e le mie paure confidando il segreto congenito che si pone a equilibrare natura e scibile. Il capriccio divino è alla base di tutte le dottrine umane. Questo quello che mi hanno insegnato sin da bambina. Che siamo frutto della noia divina. Siamo il diversivo di Dio. I suoi trastulli.
Ma ora, se mi permettere dissento.
In quel giardino gli alberi ululavano e le foglie stridevano intimidatorie. E nell'aria il grido struggente e lacerante rievocava il mio interesse.
Siamo noi le creature di Dio..o Dio è una nostra creatura?
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