torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LA STRADA DEL VINO
Genere: Commedia, Kid-fic (per bambini)
Rating: Per Tutte le età
Autore: nemea galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 13/04/2005 13:49:00 (ultimo inserimento: 25/01/06)

è uan fiabetta! ^^ riveduta e corretta!
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   

- Capitolo 1° -

Bardolino era il figlio più giovane della casata dei Dragone Bianco De Sauvignon e, fra tutti i suoi parenti, era chiaramente quello che aveva preso il meno possibile dall’illustre lignaggio. Si trattava di una delle famiglie più antiche e più prestigiose del regno, ma mai avrebbero immaginato che sarebbe stato proprio un figlioccio reietto a ridare la luce e la gloria ad una stirpe al quanto decaduta nel vizio e nella pigrizia.
Duchi di terre immense, padroni di castelli e tesori incalcolabili, discendenti di cavalieri d’onore e di gloria e membri del Sacro e Antico Ordine da tempi immemorabili, al punto per cui ancora oggi si vocifera che sia stato proprio il primo Duca De Sauvignon a fondare il grande Ordine. Chiacchiera mai né smentita né confermata a causa di certe beghe che da secoli impegnano i De Souvignon con altre 3 nobili, antiche e stimate famiglie di alto lignaggio proprio sul merito del fondatore del Sacro e Antico Ordine.
La dinastia era ammirata e apprezzata da tutte le famiglie vicine anche se per molte non era docile ammirazione, ma vera e propria invidia.
In particolare la piccola casata del Lupo di Cabernet in Ombre, nell’invidia ci marciva proprio. Possessori di un piccolo contado sterile e stinto confinante con le rigogliose terre dei De Souvignon, non avevano mai avuto né prestigio illustre, né castelli immensi, né ricchezze incalcolabili. Al contrario, le loro ricchezze erano già state troppe volte conteggiate dagli ispettori della banca e dai gendarmi per pignorare i beni necessari a coprire i debiti del piccolo castello ch’aimè, qualche volta, il conte non riusciva a pagare.
L’invidia crescente del Di Cabernet era però giustificabile dalla sfortuna che da anni affliggeva la sua sorte. Egli non era mai stato un vero malvagio d’animo e anni addietro dimostrò la sua immensa bontà di cuore adottando senza pensarci troppo una piccola orfanella. A quei tempi aveva convolato a nozze da poco e già zoppicavano i suoi mezzi per sostenere tre bocche. Eppure prese amorevolmente sotto il suo tetto quella che sarebbe stata la sua unica figlia. La giovane e gentile sposa del conte accolse la bimba a braccia aperte e non mise in discussione la decisione del marito neppure per un istante. Al contrario di come avrebbe fatto qualunque altra moglie di fronte ad un tale colpo di testa. Anzi, ne andava fiera.
La contessa, dicono le comari al mercato, era tanto bella quanto fragile e delicata di salute. Gentile e premurosa aveva la santa abitudine di accudire gli ammalati, gli infermi, i vecchi soli e i poveri in cui incorreva lungo la strada. Portava chi poteva sotto il tetto della sua casa e dava metà del suo pane agli affamati. Il suo passo leggiadro e danzerino era diventato la musica angelica che annunciava la sua venuta a chi l’aspettava per un tozzo di pane, una carezza o anche solo per una parola di conforto.
Chiunque incrociasse la sua dolcezza, finiva subito col raccontare a tutti d’esser rimasto incantato dall’angelica “Rossa di Montalcino”. Successe così che le chiacchiere sul suo conto si mescolarono con le leggende, fino al punto per cui nessuno osava mettere in dubbio l’origine celestiale della beneamata contessa: “ella non è una creatura di questo mondo” si diceva.
Invece, a differenza delle chiacchiere, ella veniva dall’antica casata dei Sangiovese, delle cui magnifiche vestigia di prestigio ormai, dopo 200 anni d’inarrestabile decaduta, restavano solo la bellezza dell’unica discendente e poche cianfrusaglie con lo stemma di famiglia serviti a dote di nozze alla sposa.
Incontrò il caro conte di Cabernet per caso, ad una fiera di paese e ne restò subito folgorata.
Al tempo lui era un giovane gagliardo pieno di aspettative e di ambizioni. Volea diventare un grande cavaliere e dare, finalmente, la gloria e il lustro che la sua famiglia attendeva da troppi secoli nell’ombra della modestia sociale.
Eppure la futura sposa non mostrò il minimo interesse alle esagerate dimostrazioni di forza con cui il ragazzo si pavoneggiava agli amici. Bensì restò estasiata dalla sua dolcezza e generosità d’animo. Le storie di quell’incontro finirono col rafforzare il convincimento generale secondo cui la contessa non era solo meravigliosamente celestiale, ma godea anche della sacra virtù di saper leggere l’animo delle genti: “ella non è una creatura di questo mondo” insistevano.
Virtù che, in verità, non fu mai né smentita né confermata neppur dalla stessa contessa, ma certamente ella avea avuto una particolare sensibilità a cogliere i sentimenti e i pensieri segreti degli uomini. Che fosse semplice amore per gli altri o un vero e proprio dono del cielo questo, purtroppo, non si saprà mai.
Il conte non potea che innamorarsi perdutamente d’una donzella così ineffabile e splendida e dal momento in cui le dichiarò il suo amore, il giorno del matrimonio arrivò appena in tempo per terminare tutti i preparativi.
Travolto dalla felicità della sua nuova vita, il conte commise un errore gravissimo di cui ne pagò le conseguenze a caro prezzo. Dimenticò sbadatamente di fatti accaduti anni addietro, quando una zingara di passaggio gli predisse il destino d’una mala sorte nera che si sarebbe insinuata nella sua casa come una peste. La zingara donò al ragazzo come provvedimento, un ciondolo magico da portare indosso il giorno delle nozze affinché lo proteggesse dal cattivo destino esortandolo a non scordarsene mai.
Ma il conte accantonò a malo modo il piccolo regalo. Le incisioni in una scrittura a lui misteriosa lo convinsero a battezzarlo come una frottola da zingari e a non darsene più pensiero.
Il giorno delle nozze arrivò all’altare senza essersi neppure rammentato del piccolo regalo della zingara. Purtroppo la premonizione e il ciondolo gli tornarono alla mente troppo tardi e nella peggior maniera immaginabile, quando al momento del banchetto nuziale vennero trovati dei pezzi di vetro dentro all’arrosto e allo stufato.
Non si seppe mai chi fu l’autore di una tale malvagità e quali fossero stati gli intenti che avessero mosso un simile orribile gesto, ma fu così che la festa venne bruscamente interrotta per soccorrere i feriti e preparare le esequie funebri ai 5 sfortunati per cui non ci fu altro da fare.
Ai due poveri sposi, indenni per puro miracolo, restò solo l’amarezza del cattivo presagio. I vecchi raccontano ancora oggi come fu proprio la signora a salvare il novello marito insistendo per avere un’altro ballo proprio mentre lui s’apprestava ad addentare un boccone d’arrosto per ben tre volte di seguito.
E anche questa faccenda aiutò non poco a rafforzare le convinzioni di tutti. “Ella non è una creatura di questo mondo” insistevano sempre.
Col tempo le cose peggiorarono ancora. I campi del contado smisero di fruttare come ai tempi dei padri, le giomenche e le vacche incinte morivano improvvisamente e senza spiegazione, le galline faticavano a fare poche uova pallide e i maiali non ingrassavano mai abbastanza.
I debiti fatti per sistemare il vecchio castello e renderlo degno d’accogliere i due giovani sposi cominciarono a diventare macigni d’insostenibile peso, sempre più difficili da pagare tanto che i sogni di cavalierato del conte dovettero essere messi da parte per sempre. Persino la contessa s’aggravò della sua misteriosa malattia che la rese sempre più debole finché, una mattina, non si svegliò più.
L’improvvisa perdita colpì duramente Lugana, la bimba adottata che la “Rossa di Montalcino” allevò con molto più amore di quello che mettono altri madri con le loro figlie di sangue.
All’epoca la fanciulla era ancora in quella delicata fase in cui ci si prepara ad uscire per sempre dall’infanzia e la disgrazia la buttò nella vita adulta con brutale violenza.
Fin da quando aveva ricordi, la gentile dama era presente. Dal piovoso pomeriggio d’autunno in cui la bambina sporca e infreddolita mise piede nella casa, la contessa non la lasciò mai un momento e fece di lei una donzella ubbidiente, educata e generosa d’animo.
Benché la sua delicata salute avesse da tempo compromesso irrimediabilmente la sua fertilità, la contessa morì senza saperlo e colpevolizzandosi per non esser riuscita nel desiderio più grande: dare un figlio al suo amato.
Negli anni in cui attese di concepire il figlio accanto al suo beneamato, la contessa si dedicò anima e corpo a quella fanciullina di sconosciute origini. La portava sempre con sé nelle interminabili passeggiate mattutine e pomeridiane nelle case dei poveri e dei bisognosi. Le insegnò l’uso delle erbe medicamentose tra una lezione e l’altra di buone maniere. Le insegnò a leggere e scrivere e la erudì sugli antichi testi e poemi che amava.
Lugana sapeva con disarmante certezza che quelli non erano i suoi veri genitori quasi da sempre. E lo sapeva non perché essi glielo avessero rinfacciato con la meschinità di rifiutare una figlia considerandola indegna, ma per via di certi fatti che dimostrarono tutto l’opposto.
Ci fu un periodo in cui la contessa si rifiutò con forza di portare Lugana con sé al mercato e nei suoi giri com’aveva sempre fatto. Lo stato di quasi totale segregazione in cui costrinse la figlia fece tremare dallo spavento perfino il conte che cominciò a domandarsi seriamente se la donna dolce e buona che aveva sempre creduto di aver sposato, non fosse stata colta da improvvisa insania. Lugana era ancora troppo piccola per capire e per domandarsi le motivazioni della prigionia e accettò i fatti con la passività infantile dei bimbi che attendono la punizione. Tuttavia la bambina non aveva fatto assolutamente nulla per meritare una punizione di qualsiasi genere e tanto meno una segregazione.
Per quanto il conte insistesse nel voler cavare le spiegazioni dalla bocca di sua moglie, ella si rifiutava con forza e decisione di rispondere sino al punto di barricarsi nel silenzio.
Giunse il giorno in cui il conte perse completamente il controllo e la accusò di essere diventa gretta e meschina, di essere ipocrita poiché concedeva benevolenza a piene mani a estranei ma la rifiutava alla bimba innocente sua figlia. L’accusò di non aver accettato la figlia che lui le portò.
La signora non reagì subito, ma l’aggressività verbale del marito era una lato di lui che non aveva ancora mai conosciuto. E fu così che decise di confidarsi e di raccontare, finalmente, le motivazione del suo gesto, che con grande stupore si rivelarono ben lontane da quello che chiunque avrebbe mai potuto vagheggiare. Le maldicenze che andavano correndo in cui giorni sul comportamento della contessa variavano dalle congetture di inganno che ella aveva escogitato per anni alle spalle di tutti, alle convinzioni di momentanea dissennatezza. Ma quando la signora arrivò in piazza con la bimba in braccio per annunciare quello ch’aveva da dire, nessuno avrebbe mai immaginato delle motivazioni simili.
La “Rossa di Montalcino” spiegò, con una pacatezza impareggiabili, che la causa delle sue azioni risiedeva nella paura di perdere la figlia. Rammentò acome la sconosciuta figlianza di Lugana rendesse per lei pericoloso incontrare qualunque sconosciuto, in quanto chiunque avrebbe potuto rivelare d’essere il suo vero genitore. Terrorizzata dall’idea di perderla, la contessa chiuse sua figlia lontano dal mondo e con quel gesto chiuse anche la sua buona ragione.

Il conte fece istituire un lutto che, nel cuore di tutti, perdurò anche anni dopo lo scadere del periodo previsto. La ventata di serenità che aveva portato la signora era ora sostituita sa una sorte di sospensione temporale che rese per tutti quanti ogni giorno eterno e insopportabile.
Tuttavia, la fredda e meticolosa lucidità con cui il conte affrontò la perdita della consorte, strappò Lugana dai suoi struggenti pomeriggi di ricordi e di pianti. S’accorse quasi subito che il padre non aveva spanto neppure una lacrima e s’era gettato a capofitto nelle sue faccende quotidiane, a differenza di quello che chiunque avrebbe previsto. Lugana giunse presto alla conclusione azzeccata che s’era chiuso in un pericoloso dolore privato il quale l’avrebbe sicuramente fatto affondare in una lenta agonia di solitudine senza ritorno. Cosciente di questa triste realtà raccolse le forse e la determinazione per non perdere anche l’ultimo genitore che le era rimasto.
Face di tutto per essere sempre allegra e solare, metteva fiori freschi in tutte le stanze ogni mattina, preparava continuamente dolci, torte e biscotti di ogni sorta diventando in fretta una vera e propria maestra dei dolciumi. Si fece sempre presente accanto al conte e cercò di in tutti i modi di spronarlo a lasciar andare le sue lacrime. Finchè, con tanta pazienza, riuscì nell’intendo di liberarlo dalle sue catene e divenne l’angelo confidente di suo padre. Finì che tra i due s’andò delineando un delicato rapporto di cameratismo e di complicità che non solo ridiede il sorriso e la giovinezza al conte, ma anche l’illusione d’aver ormai esaurito tutte le sciagure che la vita gli potesse nascondere.
Crescendo Lugana divenne bellissima e non dimenticò mai gli insegnamenti di buone maniere e di carità verso i più sfortunati della madre adottiva diventando tale e quale a lei. Anzi, mano a mano che si faceva più donna, le chiacchiere sulla sua angelica bellezza divennero sempre più intense tanto da offuscare le favole che ancora venivano raccontate sulla povera estinta “Rossa di Montalcino”.

 
Continua nel capitolo:


 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: