torna al menù Fanfic
torna indietro

MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: KING ARTHUR
Titolo Fanfic: BADUN HILL
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: earwen galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 02/02/2005 19:50:06

una storia ispirata alla storia che ispirò la leggenda.
 
Condividi su FacebookCondividi per Email
Salva nei Preferiti
   

- Capitolo 1° -

Lancillotto volse lo sguardo ad est. Mancavano poche ore alla partenza. Poche ore ancora e finalmente avrebbe lasciato la terra che non gli apparteneva, e che nonostante tutto più di una volta si era dissetata con il suo sangue. Avrebbe raggiunto la Sarmatia, dove lo aspettava la vita che gli era stata strappata.
"Non posso darti quello che cerchi", disse con un sussurro.
"Lo so", rispose Edayn. "Né te l'avrei chiesto, se non fosse che domani io morirò." Il cavaliere si limitò a guardare i suoi occhi scuri. "Mio padre ha deciso di restare con Artorius, anch'io dovrò combattere accanto ai Woad. E se non ti avessi messo a parte del fatto che cerco ciò che tu non puoi darmi non avrei potuto covare l'odio e la rabbia che mi saranno tanto utili all'alba."
"Non puoi combattere contro i Sassoni", replicò lui. "Sono troppo forti, vi stermineranno."
"Questa è la volontà di mio padre; non c'è altro a cui possa attenermi", spiegò serenamente la giovane. "Io possiedo la forza dei sassoni e il genio dei romani. Così dice lui"
Come era vero.
Edayn era romana e sassone, sarmata e britanna. Romana come Claudio, consigliere di Artù, l'uomo che l'aveva accolta come una figlia, e sassone come la madre che non aveva mai conosciuto; sarmata perché tra sarmati aveva passato gli ultimi quindici anni della sua vita, e britanna perché ormai era diventata parte di quelle terre. Quell'ultimo era il motivo che aveva spinto Artù a restare per combattere, quello il motivo per cui Edayn era stata condannata a una morte certa.
"E così dopo quindici anni finisce il nostro viaggio insieme", concluse lei. Avrebbe voluto mantenere il tono di severità con il quale aveva esordito, ma ormai la sua voce era incrinata dall'emozione. "Serbane un buon ricordo."

Dal merlo sul quale era rimasto seduto, Galvano aveva udito ogni cosa.
Povera, bella Edayn. Evidentemente quello era un luogo maledetto, dove ogni speranza di gioia era destinata a svanire. Era da lì che Artù e loro cavalieri partivano per missioni disperate; era in quel luogo che il vescovo Germanius aveva affidato loro una missione suicida proprio il giorno del loro congedo; in quel luogo si era innamorato della figlia di Claudio senza che lei se ne accorgesse nemmeno.
Stava venendo verso di lui, adesso. Non le avrebbe rivelato quello che provava realmente, no: ma non poteva neanche andarsene senza farle sapere quanto l'aveva adorata.
Si sentì chiamare mentre ancora perso nei suoi pensieri: Edayn era già lì davanti a lui, e sotto la luce della luna gli appariva come una bianca dama dalla bellezza innaturale.
"Ho saputo della decisione di tuo padre", mormorò.
La giovane si sedette accanto a lui.
"Senza di voi ciò la mia vita non avrebbe avuto senso comunque", disse, accarezzandogli il viso.
"Non parlare come se dovessi cadere per certo. Tu sei forte, signora. E sei..." Galvano esitò. "...bella. Nessuno potrebbe avere il coraggio di ucciderti."
La mano che la aveva accarezzato si posò sulle stoffe chiare del vestito.
"Questa guerra non ha una causa. Ecco perché è così folle e disperata."
"Non ti accadrà nulla."
"Come fai ad esserne certo?"
Lui abbassò lo sguardo.
"Perché ti ho augurato gioia fin dal primo momento che ti ho vista", rispose. "Non tutte le mie preghiere possono essersi perse nel nulla."
Il cavaliere si inchinò e prese congedo.
Ma anche dopo che fu sparito nel buio Edayn continuava a sentire le sue ultime parole. Più una persona era sincera meno ampollosità usava per dire qualcosa, e la sincerità di Galvano era disarmante. Eppure lei non se n'era accorta che quella notte.
Ad ogni modo, tutto stava per finire.
Presto sarebbe sorto il sole, e lei sarebbe stata chiamata alla battaglia. Avrebbe combattuto fianco a fianco con i Woad. Avrebbe affrontato il popolo di sua madre, il sangue del suo stesso sangue.
Avrebbe scorto il volto della morte.

§

"Quando si apriranno i cancelli del vallo i Sassoni troveranno il deserto. Nient'altro che sterpaglia bruciata. Avanzeranno, e sarà in quel momento che attaccheremo. Una raffica di frecce, e poi una carica dopo l'altra. Noi due staremo dietro gli arcieri, a guidare la retroguardia."
Edayn restava ad ascoltare il padre in silenzio, immobile e fredda davanti al sole che sorgeva. I cavalieri di Artù erano già partiti, ma continuava a scorgerne il profilo sulle colline che stavano abbandonando. E a loro lei appariva ancora, piccola e distante, brillante contro il cielo ancora scuro come un cristallo caduto nel grembo della terra.
Galvano, Galahad, Tristano, Bors... Lancillotto. Non li avrebbe rivisti mai più. Gli ultimi quindici anni della sua vita la stavano lasciando, i suoi ricordi si allontanavano senza che lei potesse trattenerli. Non riusciva nemmeno a trattenere le lacrime, ormai. Tanto si era sforzata di non versarne che adesso le mancava la forza per farlo. Proprio nel giorno in cui aveva assolutamente bisogno di non lasciarsi sopraffare dalle proprie emozioni la fragilità di una giovane donna stava soverchiando la ferocia di una guerriera.
Il vento iniziò a soffiare più forte; l'insegna dell'Impero che prima ondeggiava fiera dall'alto del merlo fu strappato dalla sua asta e volò via abbandonata e lacera. Nulla che rappresentasse meglio la Britannia, in quel momento.
"Quale altro dovere vuoi che esegua, padre?" chiese Edayn, senza alcuna emozione.
Era stanca di provare emozioni.
"Dovere, Edayn?" ripeté lui, senza guardarla. "E' il nostro destino a chiamarci. Morirai in questa battaglia solo se era tuo destino morire oggi, figlia mia." Claudio le prese le mani tra le sue. "Ma non avverrà. Non piangere coloro per i quali è giunta l'ora: tu vivrai per vedere questi giorni rinnovati."

Nonostante coloro che vi sedevano non sarebbero tornati più la Tavola Rotonda restava al centro della sua sala, bella e solenne. Quello era l'unico cimelio che quei quindici anni gloriosi avevano lasciato alla Britannia.
Artù entrò; Edayn era in piedi dietro la sedia di Lancillotto, e ne accarezzava lo schienale con la punta delle dita.
"In sogno ho visto un'ombra immensa", disse la giovane, "che invadeva terreni e sovrastava le colline. Io mi trovavo sul bordo; l'oscurità era totale nell'abisso davanti ai miei piedi. Una luce splendeva dietro di me, ma non riuscivo a voltarmi. Potevo solo stare lì, in attesa."
"La notte cambia molti pensieri", rispose Artù. "Va' a prepararti. La bellezza non è un'arma sufficiente contro i Sassoni."
"Spero solo che il motivo che ci sta costringendo in questo posto non sia la woad che ti sei portato dietro insieme con il nostro futuro Papa."
"Cosa avresti fatto se avessi potuto andar via, Edayn? Dove saresti andata? Ti saresti unita al tuo popolo per saccheggiare quel poco di Roma che è rimasto? O quale dei miei cavalieri avresti seguito in Sarmatia?"
"Sarei andata a Roma, Artorius", lo interruppe lei. "In quella Roma di cui mi hai parlato tanto, e che tanto ho imparato ad amare."
"Non avresti trovato la città che ho lasciato."
"Allora mi sarà meno intollerabile il pensiero di essere legata per sempre a questa terra, signore. Ma permettimi di ricordarti, signore, che non c'è nulla di valoroso nel morire in battaglia, nulla di romantico o eroico nel mischiare sull'erba il proprio sangue con quello di un altro."
"Io morirò come uno di loro."
Artù la guardò, comprensivo ma severo.
"Hai ragione", sospirò Edayn. "Tu sei il leggendario Artù. Anche senza i tuoi cavalieri avrai facilmente ragione dei tuoi nemici. Sbagliavo a disperarmi."
"Ad ogni modo", riprese lui, avvicinandosi, "ho lasciato disposizioni a tuo padre. Possiate a lungo regnare su queste terre semmai dovessi cadere."
"Tu non cadrai. I tuoi amici sono con te. Saremo pronti a prenderti."
Artù si sedette si sedette sulla Tavola guardandosi mestamente attorno. Stava iniziando la sua battaglia più importante e i suoi cavalieri non erano con lui. Disperava di farcela, sarebbe stato ipocrita negarlo.
"Nulla è certo."
"Alcune cose sono certe", insistette la giovane, sollevandogli il viso. "E' il momento. Sono vicini."

§

Qualcuno però era ancora più vicino dei Sassoni.
A Edayn bastò levare lo sguardo al cielo per capire: il falco di Tristano volteggiava regale sopra di loro. Artù non era più da solo. I suoi cavalieri erano tornati.
Ora le asce che stingeva tra le mani non le sembravano più fredde come il ghiaccio, i suoi occhi non erano più abbagliati dal sole che sorgeva. Sentiva crescere in lei una forza che non conosceva, non dettata da rabbia, odio o frustrazione. Era puro impeto, pura voglia di combattere contro l'orda di tiranni assassini che ora li minacciava. Tra di loro c'era anche l'uomo che aveva cacciato lei e sua madre condannandole a morte. E la donna di cui non aveva mai conosciuto il nome era morta appena aveva raggiunto il Vallo di Adriano; lei invece era sopravvissuta, nonostante fosse poco più che in fasce. La sua vita come Edayn, figlia di Claudio Augusto, guerriera sassone e dama romana, era cominciata quel giorno, e sentiva che non sarebbe finita così presto.
I Cancelli del Vallo si aprirono.
La prima ondata nemica invase l'ampia distesa; la prima salva di frecce dei Woad abbatté l'avanguardia, la prima carica dei cavalieri mieté le sue vittime. E poi ancora frecce, e ancora una carica. Presto chi aveva lasciato che i pesanti cancelli si chiudessero alle sue spalle giaceva in fin di vita o già morto sul terreno che aveva bagnato con il proprio sangue.
Ma quel momento glorioso terminò presto.
I cancelli si aprirono per la seconda volta, ed il resto dell'esercito sassone si fece avanti.
I Woad incendiarono le punte delle loro frecce e le lanciarono contro di loro. La pece che era stata sparsa sull'erba di Badun Hill prima della battaglia prese fuoco, delimitando alti confini di fiamme tra i fianchi dell'armata.
I Sassoni ora erano divisi, ma non meno pericolosi.
E ora la carica doveva partire, ora che erano spiazzati e spaventati.
Vincere non sarebbe stato facile, Edayn lo sapeva, ma questo non bastò a farla disperare. Quando fu il turno della retroguardia corse nella mischia al centro del colle insieme di suo padre. Smise di scorgerlo soltanto quando iniziò a roteare le sue armi nell'aria. Al diavolo le regole di cavalleria romana; quello era il momento del sano impeto barbaro che le bruciava nel sangue.
Mentre brandiva i suoi colpi si sentiva toccare dalle lame roventi dei suoi nemici, ma non provava dolore. Era come se nulla potesse spezzarla, come se fosse immortale. E immortale sarebbe stata di certo la memoria di quel glorioso giorno, comunque fosse andata a finire.

§

"Partirete domattina?"
"Sì, signora."
"Galvano, quante volte devo ripeterti di chiamarmi Edayn? Mi mancherete così tanto. Ma è giusto che torniate alla vostra patria."
"La patria è dove si trova il cuore, ho sentito dire."
"E il vostro cuore non si è mai mosso dalla Sarmatia. Siete stati molto coraggiosi a combattere per qualcosa in cui non credevate. Roma vi è grata per questo."
"Tu e tuo padre ci siete grati; già all'alba di domani Roma ci avrà dimenticati. Ma a me questo non importa, non importerà più quando sarò tornato a casa. Mi sposerò,a vrò dei figli che parleranno di me ai figli e ai figli dei loro figli. Il mio ricordo morirà con loro, e tanto mi basta."
"E invece ti sbagli. È vero, probabilmente nel tuo piccolo villaggio sarmata andrà così. Ma qui, Galvano, nel grande Impero Romano, voi vivrete in eterno. I vostri nomi e le vostre gesta saranno tramandate di padre in figlio, di madre in figlia, nelle leggende di Artù e dei suoi cavalieri. Saranno scritti poemi su di voi, i vostri nomi saranno incisi con lettere dorate nel grande libro degli eroi immortali..."
Galvano vegliava in silenzio su Edayn. Chissà cosa stava sognando. La battaglia appena trascorsa, forse, o magari una delle ultime sere al borgo.
Claudio l'aveva affidata a lui.
Appena tornata dalla battaglia, distrutta dalle lacrime che aveva versato sul cadavere di Lancillotto, era caduta in un sonno profondo. Il padre non voleva che si svegliasse da sola e cadesse nuovamente preda della disperazione. Ecco perché era così importante impedirle di rimanere sola con se stessa.
La ragazza si mosse appena.
"Che ore sono?" chiese.
"E' quasi il tramonto."
"Allora non è stato un incubo. Sono morti davvero."
Sospirò amaramente, e nascose la testa nel cuscino di velluto. "Dov'è mio padre?"
"Con Artù. Non so di cosa dovessero parlare."
Galvano si accorse che stava piangendo. Non poteva scorgere il suo viso nascosto, ma avvertiva i suoi singhiozzi.
"Se avessi potuto avresti dato la mia vita per la sua, non è vero?"
Lei si sollevò appena, con uno sguardo sconcertato.
"Vorresti che io fossi morto e che lui vivesse."
"Perché dici questo? Tutti mi siete cari."
"Quante delle tue lacrime sono per Tristano e Dagonet? E quante per Lancillotto?"
Il silenzio che seguì lo colpì profondamente. Era qualcosa che sapeva già, e che nonostante tutto non avrebbe voluto sentire.
Si alzò dal triclinio e fece per lasciare la stanza, ma Edayn lo trattenne, prendendolo per mano. Galvano allora si inginocchiò davanti a lei.
"Non c'è più calore nel sole", mormorò. "Fa freddo."
"E' colpa di quest'isola", la rassicurò lui. "Quando non piove nevica, quando non nevica c'è la nebbia. E questo d'estate."
Edayn strinse la mano con più forza.
E finalmente gli sorrise.



 
  » Segnala questa fanfic se non rispetta il regolamento del sito
 


VOTO: (0 voti, 0 commenti)
 
COMMENTI:
NON CI SONO ANCORA COMMENTI, SCRIVI IL PRIMO! ^__-
 
SCRIVI IL TUO COMMENTO:

Utente:
Password:
Registrati -Password dimenticata?
Solo su questo capitolo Generale sulla Fanfic
Commento:
Il tuo voto: