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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: SOULS IN THE DARK
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: keikoten galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 20/08/2002 23:09:59 (ultimo inserimento: 13/01/03)

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PARTE I
- Capitolo 1° -

Capitolo 1 – L’incontro
Lo vedevo correre, saltare dalla linea dei 3 punti, tirare e fare ogni volta canestro. Ma più passavano i minuti, più il suo respiro si faceva affannato. Ero in prima fila e riuscivo a vederlo benissimo.
Era la prima partita in cui lo vedevo giocare dopo un periodo brutto. Non sapevo esattamente cosa gli era successo.
Seguivo tutte le sue partite da quando giocava nel Takeishi e aveva portato la sua squadra alla vittoria, vincendo anche il titolo di MVP (most valuable player).
Si iscrisse allo Shohoku, disputò qualche partita e poi seppi che si era fatto male ad un ginocchio durante un allenamento. Avrei voluto andare a trovarlo, ma se mi avesse chiesto chi ero cosa avrei potuto rispondergli? Che ero una ragazza innamorata di lui dalle medie che non si perdeva una sua partita? No, tanta sfacciataggine non era da me, io ero una ragazza timidissima!
Comunque non seppi più nulla di lui, e anche quando chiedevo sue notizie agli appassionati di basket che conoscevo, cambiavano tutti argomento. Cosa sapevano più di me?
Andò avanti così per due anni, poi quella partita.
Avevo sentito che lo Shohoku doveva giocarsi il secondo posto per le eliminatorie del torneo nazionale contro il Ryonan. Ci andai più per curiosità che per un reale interessamento, ma quando lo vidi entrare in campo mi sembrò che il mio cuore mi volesse uscire dal petto.
Era lo stesso Hisashi delle medie, lo stesso sguardo combattivo, la stessa eleganza nei movimenti. Era lui. Era tornato.
Non ricordo da quanto tempo lo chiamo per nome. Probabilmente il fatto che lui sia sempre nei miei pensieri mi deve aver dato l’illusione di conoscerlo più di quanto non sia in realtà e mi è venuto spontaneo chiamarlo per nome piuttosto che per cognome: Mitsui.
Può sembrare strano ma pur non conoscendolo di persona e avendolo visto solo durante delle partite era come se il suo corpo, i suoi movimenti mi facessero capire i suoi sentimenti, cosa provava.
Prima del suo infortunio sentivo la sua grinta, il desiderio di vincere, le sue rare delusioni se non faceva un canestro.
Ora il sentimento che sovrastava tutti gli altri era la gioia, la semplice gioia di essere in campo e giocare a basket. Cosa poteva essergli successo in quei due anni?

La partita stava andando bene per lo Shohoku che era in vantaggio anche se di poco.
Stavo guardando il punteggio, quando diverse grida riportarono la mia attenzione sul campo. Mitsui! Era a terra e sembrava svenuto! Il mio cuore aveva perso un battito. Lo sapevo! Si era affaticato troppo! Il suo respiro affannoso era un sintomo più che evidente. Possibile che non se ne fosse accorto nessuno e non lo avessero sostituito per tempo?! Sembrava lo portassero verso gli spogliatoi. Corsi giù per le scale che portavano alla tribuna dove ero io prima, e cominciai a correre nella loro direzione. Dovevo assolutamente sapere come stava! Sfortunatamente non avevo previsto il fatto che lui nel frattempo si fosse ripreso e stesse seduto sulle scale che portavano all’altra tribuna, da solo a riflettere, tentando di aprire una lattina di gazzosa.

Maledetta lattina! Svenire così davanti a tutti, non è da me!…Dannata apriti!
Fortunatamente per la lattina la mia attenzione si spostò sul rumore di passi affrettati che venivano nella mia direzione. Quel rumore si trasformò ben presto nel corpo armonioso di una ragazza, alta circa 165 cm con lunghi capelli castani ricci che ondeggiavano ad ogni suo passo. Non era particolarmente bella, ma c’era qualcosa in lei che attirò la mia attenzione. Il suo viso? Sì, era carino, ma non era quello. Non lo seppi finché lei non mi si fermò davanti: erano i suoi occhi verdi come giada, così espressivi, dolci, e …qualcos’altro di indecifrabile.
Adesso mi stavano fissando interrogativi. Le dissi acido: “Non hai mai visto uno che apre una lattina?”
Lei sembrò non avermi sentito, anzi disse: “Hisashi! Allora stai bene! Che spavento mi hai fatto prendere!” Fece un bel respiro di sollievo e mi sorrise. Ora ero io quello stupito! Chi era quella ragazza e perché mi aveva chiamato per nome? La conoscevo?

Ma cosa mi era preso? Come mi è saltato in mente di chiamarlo per nome? Stupida! In realtà lui è Hisashi solo nei tuoi pensieri! Tu in realtà non lo conosci! Guarda come ti sta guardando, sembra che abbia appena visto un extraterrestre! L’unica cosa da fare è scappare a gambe levate!

La osservavo ancora quando lei si portò una mano alla bocca come se volesse rimangiarsi quello che aveva appena detto assumendo nello stesso tempo un grazioso colorito rossastro e trasformando quello sguardo dolce in uno sfuggevole ai miei occhi. Sorrisi, era veramente buffa.

Starà sicuramente pensando che sono una scema, guarda come sorride! Anche se il suo era un sorriso di scherno, lo trovai bellissimo lo stesso. Seguii i miei propositi e mormorando un biascicato “Scusami” corsi via.

Capitolo 2 – Sapere leggere il cuore
Accidenti! Odiavo quelle sportone di carta senza manici, ma in quel supermercato non sapevano che era stata inventata la plastica? E io proprio oggi dovevo fare la spesa per tutta la settimana prossima? Risultato: abbracciavo due sportone che non mi permettevano nemmeno di vedere dove camminavo!
Speravo che la provvidenza mi permettesse di tornare a casa senza scontrarmi con nessuno, dato che non vedevo la strada. E invece mi scontrai con qualcosa molto più alto di me, anzi qualcuno….
Non riuscii a tenere le buste e il risultato fu che oltre al mio sederino dolorante, tutta la mia spesa era sparsa sul marciapiede. Maledette buste di carta! Mi rialzai a fatica e cominciai a raccogliere tutto. Non avevo nemmeno guardato in faccia l’altro, così quando mi chiese se volevo una mano con la sua voce calda e profonda e io alzai la testa per rispondergli, piuttosto seccata, che era il minimo che potesse fare rimasi di stucco, mi si bloccarono le parole in gola…era lui. Ci guardammo negli occhi, tutti e due stupiti, per alcuni secondi, poi lui mi richiese se volevo una mano. Ancora una volta avevo fatto una figuraccia, così mi limitai a rispondere un impercettibile “Sì, grazie”.
Mentre mi aiutava mi disse “Scusami. Anche per l’altra volta”.
Cominciai a rilassarmi in sua compagnia. “Non preoccuparti” risposi.

La stavo aiutando con la sua spesa. Che strano non avevo fatto altro che pensare a lei dal nostro primo incontro e anche ora che camminavo pensandola, lei si era materializzata davanti ai miei occhi. Se non è destino questo…
Lei mi incuriosiva. Mi aveva colpito ed inoltre nascondeva qualcosa che volevo svelare. Avevo notato qualcosa di indecifrabile nei suoi occhi anche durante il nostro primo incontro e solo adesso me ne ero reso conto. Solo ora che i suoi occhi non sfuggivano i miei. Erano oscurati da un onnipresente velo di tristezza. Perché?
La guardavo di sottecchi di tanto in tanto. Sentivo che quella ragazza sconosciuta ed io eravamo molto simili.
Finimmo di riempire le buste ma si erano leggermente strappate ai lati nella caduta, non poteva più tenerne due alla volta. Fu per questo che mi offrii di aiutarla a portarne una. Lei mi guardò un istante con quegli occhi di giada prima di rispondermi.

Me lo aveva chiesto davvero? Quando mi sarebbe ricapitato?!
Acconsentii a farmi accompagnare a casa. Camminavamo a fianco a fianco abbracciando tutti e due una sporta della spesa per uno.
Ero contenta, potevamo sembrare una coppietta agli occhi dei passanti. Inconsciamente fingevo che questo fosse vero. Dopo che ci fummo messi in marcia verso casa mia calò un pesante silenzio. Ero imbarazzata, tenevo lo sguardo fisso a terra e aspettavo con ansia la sua domanda, sapevo che prima o poi me la avrebbe fatta. Infatti…

“Come sapevi il mio nome?” le chiesi per rompere quel silenzio. Volevo saperlo, magari era una maniaca che mi seguiva o che altro. Mi sembrò un mio diritto chiederglielo, anche se non aveva assolutamente il modo di fare di una maniaca e mi diedi mentalmente dello stupito solo per averlo pensato. Sembrò scegliere con cura le parole che pronunciò poco dopo.

Volevo essere sincera, non volevo mentirgli, così gli risposi guardando fisso davanti a me. Temevo che avrebbe trovato ridicole le mie intuizioni sul suo carattere. “Seguo le tue partite da quando giocavi nel Takeishi. Sono passati quattro anni da allora e vedendoti giocare ho imparato a conoscerti un po’. Così ogni tanto mi viene da chiamarti per nome anche se non ci siamo mai parlati. So che è da maleducati perciò scusami. Ho parlato troppo vero?” Volsi il capo verso di lui sorridendo e lo guardai. Mi stava fissando attento. Ritornai a guardare la strada. Camminare vicino a lui mi tranquillizzava e mi metteva in agitazione allo stesso tempo. Che strana sensazione, pensai.
Poi mi chiese: “Cosa intendi per ‘conoscermi un pò’? Io non ti ho mai vista, come puoi dirlo?”

Che strana ragazza. Mi aveva sorriso. Era un sorriso dolce e solare come non ne avevo visti da molto tempo a questa parte. Due anni. Due merdosissimi anni.
Ero sempre più curioso di vedere dove sarebbe arrivata quella conversazione. La sua risposta mi stordì un poco. “Beh..” mi disse “Forse tu non te ne sei mai accorto, ma il tuo modo di muoverti in partita può rivelare molte cose di te. La tua gioia quando fai canestro, la rabbia quando un avversario riesce a rubarti la palla, la tua determinazione quando sai che devi dare il massimo. Sono tutte cose che si capiscono, o almeno io riesco a percepirle.” Stette un attimo in silenzio poi continuò. “C’è una cosa però che non capisco. Quella contro il Ryonan era la prima partita dove ti vedevo giocare dopo il tuo infortunio..” Sapeva anche di quello, pensai. Chissà se sa anche del mio passato come teppista. Ma non ebbi il tempo di chiederglielo, perché lei continuò “…e lì quei sentimenti non c’erano.” Concluse più parlando a se stessa che a me. Ero curioso di sapere. “Che cosa sentivi?” mi sentii chiederle prima che il mio cervello riuscisse a bloccare la mia linguaccia.
“Non so…” rispose “...era come se tutti quei sentimenti fossero nascosti da un sentimento più forte, più grande. Gioia, gioia pura. Il solo fatto di avere la palla da basket tra le mani sembrava che ti rendesse così felice! Come mai?”
Ero shockato. Come sapeva tutte quelle cose su di me senza che gliele avesse dette nessuno? Ora mi guardava con quei suoi occhi. Sembrava volesse leggermi l’anima. Aveva fatto solo una semplice domanda di due parole e mi aveva mandato in tilt e ora quel suo sguardo pieno di aspettativa…. Si aspettava una risposta! Ma io non ero pronto a dargliela, non ancora. Tentai di trovare una scusa, una scusa qualsiasi per andarmene. Andarmene da quegli occhi indagatori. Avevo paura che riuscissero a leggermi troppo nel profondo e lei avesse visto cosa ero diventato dopo quell’infortunio. Me ne vergognavo, non sapevo perché, ma non volevo che lei sapesse che ero stato un teppista.
Fortunatamente proprio un quel momento arrivammo a casa sua. Le lasciai la sua busta, poi, causa un improrogabile impegno totalmente inventato, la salutai e me ne andai in tutta fretta. Era troppo perspicace per me, per il mio cuore.

Capitolo 3 – Rivelazioni???
“Sono sicuro che ha capito che la mia era una fuga.” Cavoli! Ancora quei pensieri! “Ora basta! E’ ora di finirla” mi dicevo, ma non riuscivo a non pensarci, a non pensare a lei.
Era già passata una settimana dalla nostra “chiacchierata” e questo senso di colpa non se ne andava.
Non mi era mai successo! Ma che mi prendeva! Non conoscevo nemmeno il suo nome e mi preoccupavo di essere stato maleducato con lei?!
*****
Ero stato combattuto per una settimana, se rivederla o meno, e ora sapevo di aver fatto la scelta giusta andando nell’unico posto dove sapevo di poterla trovare di sicuro. Per scusarmi? No, non era per questo.
Perché volevo disperatamente che lei mi capisse? A questa domanda il mio cuore aveva già risposto, ma esso mi rivelò la verità solo quando lei mi aprì la porta di casa sua.

Non lo vedevo da una settimana. Pensavo che le mie “rivelazioni” sul suo modo di giocare, l’avessero in un certo senso spaventato. Probabilmente mi considerava una pazza. Tutto di me lo inorridiva. Ne ero certa.
Durante la nostra camminata quel giorno mi ricordo di aver pensato “Ora che lo conosco di persona posso andare a trovarlo a scuola qualche volta, magari durante gli allenamenti”, ma il modo in cui se l’era “svignata” era stato piuttosto eloquente. La mia presenza non sarebbe stata gradita.
Il nostro ultimo incontro aveva coinciso con la nascita di questi brutti pensieri, che mi avevano gettata nello sconforto più totale. Ormai ero prossima a farmene una ragione. Tra noi non ci sarebbe mai stato nulla. Ma…..
Immaginatevi la mia faccia quando andai ad aprire la porta quel pomeriggio e me lo trovai davanti: il fulcro dei miei pensieri.
Il suo sguardo era ansioso e quando incrociò il mio, si trasformò nello sguardo di un bambino appena scoperto a rubare delle caramelle. COSA CI FACEVA LUI SULLA SOGLIA DI CASA MIA?! Questa domanda trovò presto una risposta….

“Ciao” cominciai imbarazzato. “Ciao. Cosa… ci fai qui?” mi rispose lei. Lo stupore sul suo viso era evidente. Ora che le dicevo? Buttai lì un “Ci pensavo l’altro giorno. Tu conosci il mio nome, ma io non so ancora il tuo.” con una spavalderia che in realtà non provavo. Che inizio stupido per una conversazione! “Keiko, Keiko Murakami. Ma sei venuto fin qui solo per chiedermi questo?”
“No! No! …Ehm…Senti sei libera adesso?” “Sì. Non ho niente di particolare da fare. Perché?” Stava attendendo una mia risposta. “Beh…Ecco io….Avrei pensato che magari, se ti andava, potevamo andare da Mister Donut a prenderci un caffè e parlare un pò!”

“Cosa?” mi domandai mentalmente.Ma ero scema! Ma che domande mi facevo?! Il ragazzo di cui ero innamorata da quattro lunghi anni mi invitava ad uscire con lui?!
Evidentemente quei pensieri vennero formulati mooolto lentamente dal mio cervello, tanto che lui prendendo il mio silenzio per una risposta negativa disse, intristendosi, “Se non ne hai voglia non fa niente. Dopotutto io e te ci conosciamo così poco… Forse hai paura di uscire con un ragazzo che non conosci. Ti capisco”. Ero addirittura riuscita, con il mio comportamento, a fargli credere che non mi importava niente di lui. Che stupida!

Mi sembrava che la voglia di conoscerci meglio fosse reciproca, ma da come mi aveva risposto, evidentemente mi sbagliavo. “Scusami…” cominciò lei “…ma la tua richiesta mi ha colta del tutto impreparata. Detto tra noi, tu sei il primo ragazzo che mi chiede di uscire. Comunque mi farebbe molto piacere parlare con te Mitsui.” Arrossì. Sembrava davvero dispiaciuta. Mi faceva tenerezza. “Beh…” le dissi “io volevo rispondere alla domanda che mi avevi fatto l’altro giorno. Ci ho pensato su e… Sai sono successe cose di cui parlo a fatica. Anzi tu sarai la prima a cui le racconto di persona. E chiamami Hisashi!” Le sorrisi felice. “D’accordo Hisashi, ma solo se tu mi chiamerai Keiko”. Sorrise anche lei e poi prese il suo giubbotto di jeans, che probabilmente si trovava vicino alla porta d’ingresso perché ci mise solo pochi secondi. Ci avviammo a braccetto verso Mister Donut. Ero un po’ teso, ma sentivo che lei mi avrebbe capito. Era una sensazione nuova per me. Mi sentivo bene quando stavo insieme a lei.


 
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