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Categoria: Film, Telefilm, Teatro
Dalla Serie: CROSSOVER
Titolo Fanfic: HOLES
Genere: Fantasy
Rating: Per Tutte le età
Autore: atlantisvampir galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 09/01/2005 16:42:54 (ultimo inserimento: 30/09/05)

questa è la mia terza fic. ho riunito dei personaggi di vari film...fate sapere.
 
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LONDRA
- Capitolo 1° -

Premetto che la storia si svolge a Londra, ma è una Londra inventata, che non ha nulla di reale, perché io non ci sono mai stata purtroppo e perché non ho modo di trovare riscontri con la nostra realtà (so che a Londra non ci sono colline…almeno non credo proprio -_-“). I personaggi che saranno presenti in questa FanFic, non sono di mia invenzione. Ho voluto prendere personaggi di vari film, che specificherò via via per non rovinare la storia a nessuno, e unirli in una storia completamente inventata da me…come il solito. Spero vi piacerà.
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Era una notte buia e tempestosa, il vento sibilava fra gli alberi e le nuvole oscuravano il chiarore della luna argentea.
Giù per una vasta collina di erba morbida e fresca si estendeva una città piuttosto grande, dai mille segreti e dai molti difetti.
Uno di questi difetti era la disoccupazione: molti erano i senza tetto che affollavano le strade, gli angoli delle vie, riparandosi sotto pezzi di cartone, dormendo all’interno di puzzolenti cassonetti della spazzatura, senza avere cibo, rischiando anzi di morire a causa delle intemperie e di qualche malattia o criminale che casualmente si poteva aggirare nei dintorni.
Proprio qui, in un misero quartiere di questa enorme città fumosa, sotto ad cartone bagnato e sporco, dormiva un ragazzo la cui bellezza rappresentava la perfezione.
Si era ritrovali lì per caso, senza motivazione. La notte precedente aveva sentito dei rumori e un dito spingerlo a svegliarsi, così lui aveva fatto, aprendo gli occhi su un panorama assai deprimente: una folla di barboni, delle lamiere abbandonate e delle strade sporche.
Nonostante fosse notte, la luce delle pile e dei piccoli fuochi che avevano acceso i senza tetto, gli davano modo di scrutare la situazione in cui si trovava.
Non si ricordava niente, e si accorse che di fianco a lui si trovava una signora senza quasi tutti i denti che lo toccava ancora insistendo, come per osservare e studiare le mosse di quello strano personaggio.
Eh si…perché in fondo lui era proprio strano. Un ragazzo che aveva, secondo loro, superato da poco i drammi dell’adolescenza, che si trovava lì, sdraiato nel loro territorio, senza alcun permesso, senza che nessuno se ne fosse accorto, vestito in modo decisamente non moderno e che si guardava intorno stupito quando a rigore di regola quelli stupiti dovevano risultare gli altri.
Tutti ma non lui. Invece proprio non sapeva dare spiegazioni. I barboni che lo accerchiavano facevano domande, ma lui non rispondeva, non che avesse paura, ma non sapeva davvero cosa inventarsi.
Così quella notte si alzò e prendendo in mano il bastone accanto a se, glielo puntò contro.
Lo alzò minaccioso in direzione dei presenti nel tentativo di allontanarli e fu quello che in definitiva accadde.
I barboni indietreggiarono impauriti e allora lui parlò: “Chi siete, chi mi ha portato qui?” chiese piuttosto scocciato. Poi si guardò la giacca leggermente grigia e notò la sporcizia che lo ricopriva, fece una smorfia di ribrezzo e tornò a guardare i presenti, ad aspettare una risposta che arrivò sotto forma di mugolii e di brontolii: nessuno sapeva nulla.
Allora abbassò leggermente il lungo bastone di legno scuro e chiese in che città si trovasse perché le pareti che vedeva e i paesaggi corrispondenti non riusciva a ritrovarli nella sua antica Londra.
Un bambino gli si avvicinò piano e lo guardò con la sua faccia sporca di nero e i suoi vestiti strappati che un tempo potevano essere stati di colori sgargianti, ma che la vita in quel luogo aveva spento e reso oscuri come la notte: “Signore…questa città è Londra.”
Il ragazzo indietreggiò tremante, guardava gli abiti della gente che lo attorniava che non corrispondevano ai suoi. Per lui erano alquanto strani. Tessuti che non aveva mai visto. Quel bambino mentiva, come poteva trattarsi di Londra, in quelle condizioni…lui non riconosceva niente di quello che gli si ergeva intorno.
Abbassò la testa e il suo bastone, poi si portò le lunghe dita della mano sinistra sul viso e si strinse alla radice del naso, come per voler ragionare meglio, chiuse gli occhi e barcollò leggermente indietro.
Assurdo. Gli balenò nella mente un ipotesi che lo fece scattare e appoggiare subito al suo fidato amico di legno per tenersi in piedi.
“In che anno ci troviamo…?”
Subito fu pronta la risposta del bambino: “Naturalmente nel 2005, signore” sorrise divertito.
Il ragazzo dai capelli portati lunghi fino alle spalle, si sforzò di non svenire. Nella sua lunga vita non aveva avuto paura di niente, tranne che di invecchiare, della morte e ora si ritrovava da un giorno all’altro in un luogo a lui sconosciuto…o meglio, un tempo che aveva reso irriconoscibile quel luogo.
Ora stava riposando ed era già passata un giorno intero.
Dopo la drastica rivelazione era corso via senza dire nulla e aveva aspettato il sole sulla collina.
Successivamente era sceso e aveva passeggiato per la città quasi perdendosi per i cambiamenti subiti.
Aveva notato insegne luminose, ragazzi e ragazze pieni di orecchini di metallo dalle forme più strane infilati nel naso, nelle orecchie, nelle labbra; ragazzi con i capelli lunghi e alti sopra la testa rasata, con colori innaturali che lo guardavano male e ridevano dei suoi abiti.
Aveva incontrato strani marchingegni con cui certa gente parlava e con cui altra scattava fotografie.
Era un mondo assurdo, era una città spaventosa, così il ragazzo, tornò dai barboni che erano gli unici a rivolgergli la parola, nonostante avesse provato con altra gente, da cui veniva respinto o creduto un commediante in fallimento dalla puzza che emanava.
Sotto la pioggia scrosciante si svegliò colpito da un enorme pezzo di grandine che gli colpì il naso graffiandoglielo. Se lo coprì subito, e si riparò sotto una vecchia tettoia assieme ad altri vagabondi.
Una signora dall’alito pesante gli sorrise; aveva i capelli grigi e i denti gialli, portava una bandana colorata in testa e degli enormi orecchini tondi: “Come ti chiami giovanotto?” gli chiese e lui la guardò schifato, odiava quella gente, non poteva sopportare quella situazione. Lui era vissuto nel 1800 fino a due giorni prima, attorniato da dame di tutti i tipi, giovani e belle, da ragazzi altrettanto soddisfacenti, immerso nella nobiltà inglese e ora si ritrovava nella spazzatura.
Ma rispose lo stesso: “Dorian…Dorian Gray. E voi signorina?” si sforzò di essere gentile.
La donna rise di gusto sia per il suo modo di parlare, sia per il suo nome, che per l’appellativo che gli era stato dato: “ah ah…noi qui non abbiamo questo grande onore di possedere dei cognomi, signore…non ce ne preoccupiamo proprio! Ah ah…mio caro giovane, potete chiamarmi Anna.” E rise ancora, ma la sua risata fu coperta dal rumore incessante della grandine che batteva contro la plastica della tettoia.







 
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