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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Videogiochi
Dalla Serie: Final Fantasy VII
Titolo Fanfic: DIAMANTE PURO
Genere: Sentimentale, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai
Autore: icarus galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 05/01/2005 17:21:12

`ti prometto che, qualunque cosa accada, tu non mi perderai mai. non lo permetterò`
 
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- Capitolo 1° -

Buongiorno a tutti ^___^
Eccomi qui a fare una piccola premessa alla "cosa" che forse state per leggere... (che coraggio O__O).
Punto importantissimo: la coppia su cui è incentrata la fanfic è quella formata da Reno e Rufus, quindi chi non ama il genere yaoi o questi personaggi è avvisato ^_*.
Secondo punto importantissimo: quando noterete un cambio di persona nel parlare (dalla terza alla prima) si passa al punto di vista di Reno.
Terzo punto (importantissimo direte voi): la narrazione del passato dei due ragazzi è tutto frutto della mia mente debilitata, quindi vi prego di perdonarmi le assurdità che ho scritto... (chiedo venia anche per quelle dei fatti del presente T_T)
Concludo ringraziando chiunque proseguirà nella lettura ^____^




“È morto…”.

* ° * ° * ° *

È passato un anno e mezzo da quel pomeriggio…

“Chi l’avrebbe detto che questo posto fosse diventato un labirinto del genere… manco da parecchi anni, è vero, ma un cambiamento simile… e dire che mio padre me ne aveva parlato e io non gli avevo quasi creduto…”.
Questi erano i pensieri di un ragazzo alla disperata ricerca dell’ufficio del presidente, nel maestoso palazzo della Shin-Ra di Midgar. Non di un ragazzo qualunque, sia ben chiaro, ma di Rufus, il figlio del presidente.
“Probabilmente devo salire ancora di qualche piano… è sempre nelle zone alte che si trovano i pezzi grossi”. Si avviò così verso l’ascensore con l’intenzione di salire anche fino in cielo, se fosse stato necessario, quando la sua attenzione venne catturata da un’allegra discussione proveniente dalla macchinetta del caffè.
“Ti prego Rude… non ho neppure una misera monetina!!”
“Affari tuoi, non mi scocciare!”.
“Però a Elena l’hai offerto!”.
“E con questo? Tu non sei Elena!”.
Rufus osservò meglio l’intera scena, stando ben attento a non essere notato. Un ragazzo dai lunghi capelli rossi legati in una coda stava pregando un altro uomo, molto alto e massiccio con indosso un paio di occhiali da sole, di offrirgli qualcosa. Di fianco a loro, due persone assistevano alla scena: una biondina dall’aria vivace che sorseggiava una bibita calda e un giovane dalla folta chioma corvina, che tentava senza molto successo di far cessare il litigio che stava nascendo tra gli altri due.
Il ragazzo, molto incuriosito dal bizzarro gruppetto, si sarebbe volentieri fermato per scoprire l’evolversi della vicenda, ma doveva assolutamente proseguire. Così, lasciati malvolentieri i quattro, si diresse verso l’ufficio del padre, che riuscì a trovare in pochi minuti.
“Rufus, vedo che sei arrivato”, esclamò il presidente, mentre il biondino entrava nella stanza.
“Non grazie al tuo aiuto”, avrebbe voluto dire il ragazzo, ma si limitò ad affermare: “Sì. Avevi qualcosa di importante da mostrarmi?”.
“Esatto. Attendi un attimo qui”. Pronunciato ciò, il presidente uscì, lasciando nel suo ufficio il figlio, che prese nota mentalmente di cambiare arredamento non appena fosse stato suo. Passarono alcuni minuti, e l’uomo ritornò seguito da quattro individui. Rufus rimase piacevolmente colpito nel vedere che erano ‘i ragazzi della macchinetta’.
“Rufus, voglio presentarti il gruppo di migliori uomini della nostra società: i Turks. Lui è il capo, Tseng, mentre loro sono Elena, Reno e Rude. Sono i più efficienti nel loro campo; portano a termine ogni compito venga loro affidato, e quando parlo di compiti sai a cosa mi riferisco…”.
Il ragazzo sapeva benissimo a cosa si riferisse il padre. Certo, non avrebbe mai pensato che proprio quei quattro individui fossero… dei lavoratori del genere, mettiamola così; appena li aveva visti, poco prima, aveva prospettato per loro una fortunata carriera da cabarettisti. Così aveva scoperto i nomi dei due litiganti… chissà se poi Rude aveva offerto quel ‘qualcosa’ a Reno… Rufus li osservò di nuovo: incredibile! Anche se cercavano di mantenere un certo contegno, mentre suo padre parlava con Tseng, stavano continuando a discutere! Il ragazzo non poté trattenere una risatina, davanti a quella scena; Rude, accortosene, si mise sull’attenti imbarazzato, mentre Reno, per nulla scosso, sorrise al figlio del presidente. Il quale si accorse, involontariamente, che quel rossino dall’aria impertinente aveva davvero un bel sorriso.

Non erano neppure passate quattro settimane dal suo arrivo, che già Rufus si stava stufando di imparare il lavoro del presidente. Proprio quel pomeriggio il padre gli aveva annunciato che di lì a qualche mese avrebbe intrapreso un viaggio di parecchi giorni, e che in quel periodo avrebbe lasciato a lui la gestione della società, per permettergli di fare un po’ di esperienza. Il ragazzo non gliel’aveva detto, ma ne era entusiasta quasi come all’idea di farsi tutte le scale del palazzo della Shin-Ra, dal piano terra sino in cima, a piedi e senza neppure fermarsi un attimo.
Perso in pensieri della serie ‘come sono fortunato ad essere il figlio del presidente’, non si accorse di aver imboccato le scale che portavano al seminterrato.
“Chissà cosa ci sarà quaggiù… devo ancora girarmelo per bene in questo posto…”. Entrò in un’ampia stanza dalla quale provenivano rumori metallici, come di ferri che si scontravano tra loro; si trovò di fronte a vari gruppi di soldati della Shin-Ra che si stavano allenando tirando di spada.
“Dev’essere una sala d’addestramento, mio padre me ne aveva accennato, ma non mi aveva mai detto dove si trovassero”. La sua attenzione venne attirata da un uomo, finito a terra disarmato. Questi esclamò al suo avversario, che evidentemente lo aveva battuto: “Ok, ok, da oggi basta, non voglio più duellare con te, non è possibile, perdo sempre”, e si rialzò, aiutato dal vincitore. Rufus notò in quest’ultimo gli inconfondibili capelli scarlatti… Stava per avvicinarsi a lui, quando qualcuno esclamò: “È il figlio del presidente…!”. Tutti si voltarono verso il ragazzo, con rispetto, compreso Reno che… gli sorrise. Di nuovo. Il biondino non ci poté giurare, ma fu quasi convinto, con imbarazzo, di essere arrossito.
Un soldato gli si avvicinò. “Buongiorno signore! È un onore per noi averla qui… È venuto ad assistere ai nostri allenamenti?”.
“In realtà non sapevo che qui ci fosse questa sala”, rispose schiettamente. “Ma dimmi, cosa fate qua di preciso? Non mi sembra che questa sia una regolare sessione di addestramento”.
“Infatti lei ha ragione”, disse il giovane di prima. “Questa è una sala aperta a tutti i dipendenti della Shin-Ra per allenarsi di spada, si può accedere liberamente. Vuole rimanere a dare un’occhiata?”. Rufus accettò. Gli allenamenti ripresero, e ben presto il ragazzo si accorse di voler assistere agli incontri del Turk. Così si avvicinò a quest’ultimo, che si stava accingendo ad iniziare un nuovo assalto. Fu una questione di pochissimi minuti: il suo avversario era già a terra, sconfitto. Il biondino rimase basito: non aveva mai visto una combinazione tanto perfetta di tecnica e grazia, prima di veder combattere Reno. A quelle due ottime caratteristiche si univa un’abbondante dose di originalità negli attacchi e di amore per il rischio, che gli permetteva di escogitare i più diversi modi per colpire l’avversario. Impressionante davvero…
“Signore, non c’è gusto ad assistere ai combattimenti di Reno, si sa già come andranno a finire”, esclamò un soldato che si era unito al ragazzo per vedere l’incontro.
“Ma non è assolutamente vero!”, esclamò il Turk.
“Quando riuscirò a vederti a terra con la tua spada ad almeno due metri di distanza da te potrai dirlo!”, commentò di nuovo il soldato.
“Lo dici come se non esistesse alcuna persona in grado di battermi!”, ribatté il rosso.
“Vogliamo vedere se posso essere io quella persona?”. Rufus aveva pronunciato quelle parole istintivamente, senza un minimo di premeditazione, ma non se ne pentì. L’idea di potersi scontrare con lui era troppo allettante. Reno lo osservò con una strana luce negli occhi, poi gli disse: “Se questa è una sfida, accetto molto volentieri”.
Pochi minuti dopo, Rufus aveva indossato le protezioni ed impugnava la spada, non affilata per quegli allenamenti, pronto a combattere. Molti giovani si erano avvicinati, l’occasione di vedere il futuro presidente impegnato in un incontro non poteva essere ignorata.
“Direi che possiamo cominciare”, propose il biondo. L’altro annuì, e si preparò ad attaccare.
Per Rufus fu come si aspettava: travolgente. Riusciva a parare i suoi colpi, è vero, ma non con poca difficoltà. Nessuno dei suoi fendenti, inoltre, riusciva ad andare a segno, sebbene fossero portati con rilevante maestria. Fu dopo un paio di minuti che le cose cambiarono: gli sembrava che Reno avesse cambiato modo di attaccarlo, sorprendendolo ad ogni mossa; quasi senza neppure accorgersene, si ritrovò con la spalle al muro, e la spada del Turk puntata alla gola, “proprio come nei film”, pensò in quell’istante. In un ultimo tentativo di disarmare l’avversario, fu lui ad essere privato della sua arma, e così l’incontro finì.
“Ebbene, sembra che non sia io quella persona”, disse il biondo, sorridendo e guardando il suo avversario; questi sembrava provato dall’incontro appena sostenuto, ma si affrettò a ricambiare il suo sorriso, e gli porse la mano in gesto sportivo. Rufus gliela strinse, poi corse con lo sguardo lungo tutta la folla che si era riunita intorno a loro. Sembravano essere molto soddisfatti per lo spettacolo a cui avevano appena assistito.
“Ho bisogno di una boccata d’aria”, esclamò improvvisamente il Turk. “Per oggi smetto qui, ci si vede presto ragazzi!”. Alzò un braccio in segno di saluto, poi si voltò verso il futuro presidente per salutarlo come si deve, ma questi lo precedette dicendo: “Posso venire con te?”. L’altro annuì, ed insieme si diressero verso le scale, dopo aver tolto tutte le protezioni; poi uscirono in un piccolo giardinetto che si trovava al piano terra della costruzione.
“Sei davvero molto abile”, commentò Rufus.
“Oh… grazie… Beh, anche lei non è affatto male!”, disse l’altro lievemente imbarazzato. Il biondino lo guardò inarcando un sopracciglio, come se non avesse capito le sue parole, poi esclamò: “Lei chi…?”.
Reno lo osservò un po’ sorpreso. “Lei”, ripeté. Il futuro presidente gli lanciò uno sguardo simile al precedente, così il Turk lo indicò e per l’ennesima volta disse “Lei”, enfatizzando quella piccola parola come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Rufus sembrò capire tutto in un attimo e scoppiò a ridere. L’altro iniziava a dubitare sulla sua sanità mentale. “Scusami, ti prego”, fece il biondo, “solo che non avevo proprio preso in considerazione la possibilità che tu mi dessi del lei… e non avevo compreso parlassi di me”.
“Mi sembra ovvio darle del lei…”.
“No, dammi del tu, assolutamente!”.
“D’accordo! Se lo sapesse Tseng mi ucciderebbe, quello è mr. Perfezione!”, disse ridacchiando, poi prese dalla tasca un pacchetto di sigarette, dalla quale ne estrasse una. “Ti disturbo se…”.
“No, fai pure”, lo interruppe l’altro, rifiutando poi gentilmente la sigaretta che gli era stata offerta.
“Sì, lo so, il fumo fa male alla salute”, si rimproverò da solo il Turk. “Ma purtroppo non metto mai giudizio nelle cose che faccio”.
“Permettimi di correggerti… Non so le altre cose, ma mi sembra che ci sia molto giudizio in tutti i tuoi gesti, quando combatti”.
“Sì, forse hai ragione”, ammise Reno. “Il fatto è che quando affronto un incontro è una cosa speciale… anche se è un allenamento, è come se fosse un duello decisivo per la mia vita…”.
“La vita è un duello”, sentenziò l’altro, come se non ci fosse risposta diversa da quella. Accorgendosi però del suo tono perentorio, si affrettò ad aggiungere, sorridendo: “Cioè, questa è solo la mia opinione”. Reno annuì, condividendo interamente quelle poche ma concise parole.
Cadde il silenzio tra i due. Rufus osservava quasi come rapito il fumo che saliva dalla sigaretta del Turk; poi, riemerso dai suoi pensieri, diede un’occhiata all’ora: era in ritardo! Il padre di sicuro si stava già spazientendo… così si accinse a rientrare. Prima, però, disse a Reno: “Mi spiace dover andare… posso chiederti però… se mi concederai una rivincita?”.
“Sarà un onore per me… ma non pensare che io mi lasci battere”.
“Questo è tutto da vedere…”, esclamò, poi si diresse verso l’interno, con un’inspiegabile sensazione di soddisfazione dentro di sé.

Era già molto tardi, Rufus avrebbe voluto essere a casa da un pezzo, ma si trovava ancora alla scrivania del padre con del lavoro arretrato da sbrigare.
“Spero che il viaggio di mio padre non duri ancora molto… Questo sarà anche un bel modo per fare esperienza, ma io sono davvero stressato!”.
Si sentì bussare alla porta.
“Se è altro lavoro da portare a termine entro oggi mi fingo febbricitante”, pensò, mentre dava il permesso a chiunque ci fosse dietro la porta di entrare. Contro ogni sua aspettativa, la testa di un rossino di sua conoscenza fece capolino nell’ufficio. Rufus sorrise.
“Reno, che piacere rivederti! Avevo paura fosse altro lavoro!”.
“Quindi sei felice di vedermi perché ‘non sono altro lavoro’?”, disse l’altro fingendosi offeso.
“No no, cos’hai capito…”, cercò di scusarsi il biondo, imbarazzato. “Piuttosto, a cosa devo questa visita?”.
“Sono venuto a fare rapporto”, rispose Reno, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Ma… i tuoi compagni…?”.
“Ho pensato di venire solo io, ho detto loro che potevano andare a festeggiare. Abbiamo portato a termine la missione che ci aveva affidato tuo padre”.
“Ne sarà davvero lieto, aveva molto a cuore quella faccenda”, disse Rufus, pensando poi che fosse piuttosto strano che Tseng, l’uomo dal motto ‘prima il dovere e poi il piacere’, avesse rinunciato a fare rapporto di persona. “Di’ la verità”, continuò, “Sei venuto qui senza dire nulla agli altri…?”.
“Hai indovinato!”, ammise Reno con un faccino dispettoso. Rimasero entrambi a fissarsi, per alcuni istanti, poi il futuro presidente ruppe il silenzio. “Mi fa piacere che tu abbia preso questa iniziativa…”, e gli si avvicinò pericolosamente. Reno rimase un attimo pensieroso a causa di quelle parole, ma il momento riflessivo fu interrotto bruscamente dalle braccia di Rufus, che si erano gettate al collo del rossino. Questi restò bloccato dall’inspiegabile gesto dell’altro, ma presto sentì che qualcosa, alle sue spalle, era stato ‘tolto’. L’altro ragazzo si allontanò di qualche passo, rompendo quella sorta di abbraccio, e fissò il Turk, arrossito violentemente contro la sua volontà.
“Sì, lo sapevo”, disse trionfante Rufus, giocherellando con l’elastico che sino a un momento prima aveva tenuto legata la chioma dell’altro. “Sei davvero molto grazioso con i capelli sciolti”, e sorrise. Reno, a questo complimento, si sentì avvampare ancora di più. “Si può sapere perché l’hai fatto…?”, chiese timidamente.
“Mmm… perché mi andava…”.
“Sei davvero viziato”, gli disse Reno, appena prima di dargli un leggero e fugace bacio sulle labbra. Il biondino lo guardò sorpreso. Piacevolmente sorpreso. “E… si può sapere perché tu hai fatto questo…?”, domandò con dolcezza.
“Mi andava…”.
“Sei più viziato di me…”. Dopo qualche istante di silenzio, ancora Rufus: “I tuoi compagni si preoccuperebbero non vedendoti tornare stasera?”.
“Non credo… vuoi che ti aiuti con il tuo lavoro?”.
“Te ne sarei molto grato, anche perché scommetto che finire questo lavoro con te… sarà molto più piacevole…”. E sorrise malizioso al Turk.

Pochi mesi dopo, Rufus fu eletto presidente. Il ‘passaggio di potere’ non era avvenuto nel modo che aveva pensato, ma ora che aveva la bicicletta, doveva pedalare. Non che lui l’avesse voluta, la bicicletta, sia ben chiaro.

La luce del sole filtrava attraverso le imposte, lasciate semi-aperte, e un leggero alito di vento fresco entrava nella stanza. Il ragazzo, ancora in uno stato di dormiveglia, si strinse di più nelle coperte; poi, come se gli mancasse ancora qualcosa, allungò il braccio alla sua sinistra, ma non trovo ciò che cercava.
“Rufus… dove sei finito…?”, biascicò con la voce impastata dal sonno. Non ottenendo alcuna risposta, decise di proseguire nella sua ricerca: si spostò interamente alla sua sinistra, ma non sentì nulla, né al suo fianco, né sotto di lui, e all’improvviso… si ritrovò sul pavimento. Imprecò mentalmente mentre si rialzava, massaggiandosi la schiena dolorante, finalmente sveglio. Vedendo la camera vuota, si infilò un paio di pantaloni e si diresse verso le altre stanze di quella casa che ormai conosceva. Non gli ci volle molto per riuscire nel suo intento: trovò Rufus affacciato alla finestra del salotto, con lo sguardo perso sul ‘meraviglioso’ panorama offerto da Midgar. Reno, chiedendosi che cosa ci trovasse di tanto bello il compagno per rimanere incantato così, si avvicinò con passo felpato alle sue spalle, gli circondò la vita con le braccia e lo baciò sul collo. Il biondo sussultò leggermente, riportato alla realtà; prese le mani del rosso, e con delicatezza si sciolse da quell’abbraccio.
“Reno, forse è meglio che ora tu te ne vada”, sentenziò improvvisamente, freddo. L’altro lo guardò esterrefatto; sino ad un momento prima era al settimo cielo, e la sua mente ancora alla notte precedente; ora, invece, si trovava davanti a quelle parole: ‘forse è meglio che tu te ne vada’.
“Rufus, ma…”.
“Non sono stato abbastanza chiaro?”. Reno sentì che quella domanda l’aveva colpito più di una mazzata. Perse tutta la voglia di ribattere, abbassò lo sguardo, e si diresse verso la camera per prendere gli altri suoi indumenti. Rufus lo seguì con lo sguardo; sapeva di averlo ferito…
Il Turk stava frugando in tutti gli angoli della camera da letto; dove diavolo erano finiti i suoi maledetti occhiali? Esasperato per la situazione, si lasciò cadere seduto tra le lenzuola, e si prese la testa tra le mani; aveva sbagliato qualcosa? Qual era la causa del repentino cambiamento d’umore dell’uomo che amava? In quel momento il rossino non riusciva neppure a formulare un pensiero coerente. Senza molta vitalità si rialzò, sospirando, meditando di andarsene senza recuperare l’oggetto smarrito. In fondo, la sua presenza non era gradita…
“Reno, ti prego, perdonami”. Quelle parole erano state pronunciate con enorme insicurezza dal presidente, ritto sulla porta. Il Turk, detto chiaramente, non ci stava capendo più molto.
“Rufus…”. Non fece in tempo a finire la frase, che l’altro si era gettato tra le sue braccia. “Reno, non volevo mandarti via, oh, come mi è difficile tutto questo…”.
“Ti prego, calmati…”.
“Guardati intorno, Sephiroth, il gruppo di Cloud, tutto sta andando in rovina, nessuno è più sicuro in questa città… in tutto il mondo…”. Fece una breve pausa, poi riprese. “Il mio era solo uno stupido tentativo di allontanarmi da te…”. Il Turk sgranò gli occhi, stupito dall’improvvisa dichiarazione. Rufus voleva allontanarsi da lui? E glielo diceva mentre era fra le sue braccia… che strano modo di vedere le cose…
“Perché… vuoi ciò…?”. Ora era la sua voce a non avere neppure un briciolo di sicurezza.
“Io non lo voglio… ho solo avuto l’impressione di volerlo perché… non saprei cosa fare se…”, e si interruppe di nuovo. Reno lo allontanò gentilmente da sé, per poterlo guardare, ma l’altro teneva il volto fisso a terra. Il rossino, allora, gli alzò il viso e, dolcemente, chiese: “Se…?”.
“Se… se ti perdessi… Io… ti amo troppo, Reno…”.
Il Turk gli sorrise, quel sorriso che sempre riusciva a disarmarlo, poi esclamò: “Ti prometto che, qualunque cosa accada, tu non mi perderai mai. Non lo permetterò”.

* ° * ° * ° *

È morto.

Per la seconda volta in pochi giorni, sento pronunciare queste due parole dalla voce calma di Rude.
Una parte del mio cuore è svanita con i suoi capelli corvini, l’aria tranquilla, la serenità. Con il dolce sorriso che sempre illuminava il suo volto, anche quando dovevamo affrontare missioni a prima vista abbastanza rischiose, o nelle innumerevoli occasioni in cui litigavo con Rude, per la minima sciocchezza.
Tseng, ucciso senza alcuna pietà da Sephiroth, quando nessuno dei suoi compagni è potuto intervenire a trarlo in salvo. Dove eravamo? Neanche più lo ricordo, sembrano passati secoli…
Tseng, il nostro capo, la nostra giuda…

Ed ora tu…

Questo organo un tempo pulsante che racchiudo nel mio petto ha ormai smesso di battere, è venuto meno il meccanismo che gli dava la vita. Quando ti ho promesso che non mi avresti perso, che non l’avrei mai permesso, pensavo fosse implicito che lo stesso valesse per te. Ed invece non è stato così.

Amami ancora, solo per qualche istante…

Sai, non ero molto lontano da Midgar, quando è successo. Obbedendo ai tuoi stessi ordini eravamo alla ricerca di Cloud e i suoi compagni. Perché? Sapevi che avrei voluto starti vicino, sostenerti nella lotta contro quel mostro. Invece mi hai mandato a combattere quegli individui, sebbene quel giorno non li abbia trovati.

Ho visto quella creatura emergere dalle acque, poco distante poco distante dalla nostra città.
L’ho vista lottare contro Cloud; ecco dove si era cacciato.
L’ho vista allontanarsi dal combattimento, perché non era lui il suo bersaglio.
L’ho vista volgere il suo sguardo terribile in direzione del tuo palazzo.

Poi il cannone ha sparato. Rude, al mio fianco, ha sorriso, un tacito elogio alla tecnologia in nostro possesso. Ma, quasi simultaneamente, sentiamo un secondo suono, altrettanto violento: un accecante raggio di energia è partito dalle fauci di quel mostro, verso il punto ove il suo sguardo si era posato. È solo un istante: da una parte, il fragore causato dalla caduta della creatura, ormai priva di vita; dall’altra, una tremenda esplosione.
Rufus…

Dimmelo, voglio saperlo, che cosa vedresti ora, guardandomi?
Non più il buffone sempre sorridente che dicevi di amare.
Non più il tuo ‘fedele agente segreto’, come ti piaceva scherzosamente appellarmi.
Solo un’anima sperduta, un campo distrutto in cui due croci, unici elementi presenti, riflettono la livida luce del mio cielo.
Il mio cielo, che non sarà più del colore celeste dei tuoi occhi, che non sarà più rischiarato da quella calda luce dorata. I tuoi capelli…

Voglio il tuo amore. Ora. Ti voglio qui.
Spesso mi ripetevi che ero viziato più di te, pur non essendo figlio di un uomo prestigioso, avvezzo ad essere servito e riverito. Dicevi che avresti provveduto ad esaudire ogni mio desiderio. E allora perché non sei qui, adesso che ti sto chiamando? Perché non sei rimasto con me… per sempre…?

Ormai ho tutti gli occhi arrossati dal pianto. Odio piangere, e odio ammetterlo. Ma posso forse nasconderlo a me stesso?

Bussano alla porta. Che entri pure, chiunque sia… non mi interessa se mi vedrà in questo stato…
Elena e Rude muovono qualche passo nella mia direzione. Sembrano indecisi se avvicinarsi o rimanere lì, come due stoccafissi… potete venire, non mordo mica…
“Reno… abbiamo ricevuto l’ordine di attaccare il gruppo di Cloud. Si sta dirigendo a Midgar, dobbiamo fermarlo”. Mentre Rude pronuncia queste parole, con voce spenta, come se non ne capisse il significato, Elena rimane immobile, a occhi bassi.
Tseng sarebbe sollevato nel vedere che, anche senza di lui, il nostro gruppo riesce ancora ad avere un minimo di organizzazione; e avrebbe approvato la scelta di affidare il comando al nostro compagno più anziano…
Rispondo con cenno del capo, per far intendere che sarò pronto alla partenza fra pochi minuti. D’altronde, ho altri impegni in questo momento?
Rude pare indugiare, forse vuole aggiungere qualcosa, ma poi si volta e con passo deciso lascia la stanza; Elena invece non accenna ad andarsene. Si morde il labbro inferiore, poi mi guarda e, come se si fosse risvegliata da un sogno, cammina fino a me e mi abbraccia. Sento una lacrime che vuole prepotentemente venire alla luce… come impedirglielo?
Rimango per un attimo impassibile, come se il lieve conforto che provo non esistesse; poi ricambio il suo gesto, timidamente. Passano secondi che vorrei fossero anni, ma la realtà torna arrogante a dominare le nostre esistenze.
Elena infrange dolcemente il nostro contatto e si allontana, non può restare ancora, abbiamo una missione da svolgere. Prima di lasciarmi di nuovo solo, aggiunge: “Sbrigati o farai arrabbiare Rude…”.
Far arrabbiare Rude? La mia specialità, da sempre…

Rufus… “La vita è un duello”, mi hai confessato una volta. Non credo di aver più voglia di parteciparvi…

Raggiungo i miei due compagni e insieme, silenziosamente, ci avviamo verso le ferrovie sotterranee ormai semidistrutte di Midgar.

Perché duellare ancora…?

* ° * ° * ° *

Elena sta parlando. Uno dei soliti discorsi da Turks, avrei detto poco tempo fa, un inutile susseguirsi di parole, ammetto ora. C’è senso in quello che sta dicendo? Cloud e il suo gruppo sembrano capire le nostre motivazioni, ma non le condividono. Ovvio, altrimenti non saremmo nemici…
Guarda un po’ chi c’è con il biondo mercenario… Red XIII, mi pare si chiami così, e… Vincent Valentine, l’uomo di cui Tseng una volta ci parlò. Mi spiace per lui, non doveva immischiarsi in affari che non lo riguardavano, soprattutto se a capo c’era quel pazzo di Hojo…
“Reno, Elena, attacchiamoli!”. Il delizioso invito di Rude mi riscuote dai miei pensieri, e io non faccio altro che accettarlo. Iniziamo a combattere, come altre volte abbiamo fatto, contro avversari ormai a noi noti. Neanche a farlo apposta, mi ritrovo ad evitare i colpi della pistola dell’ex Turk e a tentare invano di portare a compimento un attacco, che però viene prontamente bloccato dal mio abile rivale.
“Non stai combattendo come tuo solito”, mi sussurra in un soffio, lasciandomi quasi stordito, ed incapace di parare il pugno che raggiunge violentemente il mio viso. “Pensi che sia soddisfacente affrontare qualcuno che sembra chiederti disperatamente di ucciderlo?”. Le sue parole sono solo un sibilo, ma è come se le avesse gridate con tutta la sua rabbia. Perché questo ragazzo sembra entrarmi nella testa e sconvolgere i miei pensieri? Perché riesce a guardare oltre la maschera che mi sono imposto?
“Lucrecia”, mi dice.
Lucrecia?
“Lucrecia, io combatto per lei”. Mi riaffiora alla mente il racconto di Tseng. Avevo dimenticato il motivo che lo spinse a mettersi contro Hojo…
“Mi hai capito?”.
È la sua ultima domanda, che mi riporta alla realtà. Poco lontani da noi, Elena e Rude stanno lottando contro Cloud e Red, e sembra non si siano accorti della piccola pausa nel nostro scontro.
Per Lucrecia…
Per Rufus…
Vincent sta aspettando me. Non mi piace far attendere la gente… do un’ultima occhiata ai miei compagni, poi al mio avversario, e gli regalo uno dei miei migliori sorrisi arroganti.

La vita è un duello… e non sia mai detto che io ne abbia perso uno.

FINE

 
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