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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Saiyuki
Titolo Fanfic: DARK SHADOW
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: -kla- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/01/2005 20:07:11

evvabbè,mettiamo anche questa,via....a volte nn viene compresa,vabbè^^`(che c sarà da capire??)..è solo goku!>//<
 
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DARK SHADOW
- Capitolo 1° -

Dormiva rannicchiato come sempre sul mio petto, con le mani vicino al viso, le dita ancora un po’ piegate nel ricordo della delicata stretta con la quale teneva le mie, che adesso aveva mollato per prendere quelle invisibili di Morfeo. Aveva il volto tranquillo, le labbra socchiuse avevano appena perso la contrazione del sorriso per rilassarsi a loro volta come stava facendo il resto del corpo. Anche se chiusi, si vedeva perfettamente la forma di suoi occhi, grandi, e mi sembrava di vedere ugualmente il colore del metallo più nobile e prezioso che ci sia. I capelli castani, incontrando di tanto in tanto qualche raggio di sole che filtrava tra le fitte chiome degli alberi, brillavano e sembravano ancora più chiari, e così morbidi che non potevo resistere alla tentazione di accarezzarglieli; ma poi mentre lo osservavo con l’unica preoccupazione di vedere la sua ennesima bellezza che mi era sfuggita, la mano, approfittando della mia distrazione, con abile furbizia lentamente fuggiva sulla pelle del suo viso, che forse gli sembrava ancora più morbida e invitante. Allora all’inizio carezzavo le guance e gli zigomi, poi passavo sotto il mento dal collo, e il pollice era l’unico che con mascherata indifferenza potesse arrivare al confine di quelle due strisce di un rosa più intenso che erano invero la mira finale delle mie mani e delle loro carezze. Ma subito veniva richiamato dalla mano, che lo sgridava per la sua audacia, e per aver ceduto alla tentazione alla quale avevano resistito tutte le altre sue sorelle. Ma loro non avevano affatto resistito, solo non avevano avuto l’occasione di arrivare a sfiorarla, quella parte di pelle più morbida e sensibile, o non avevano avuto il coraggio, come se ci fosse qualcuno pronto a scoprirle e a punirle. Ci pensai bene, dopo l’ennesima volta che richiamavo la mano sulla spalla del giovane demone, visto che lasciandola sul viso alla fine alla prima mia distrazione era già pronta all’ennesima disobbedienza. Perché mi vergognavo tanto? Perché mi sembrava di commettere un sacrilegio, anche solo a sfiorargli le labbra, appena, delicatamente? In fondo lui si abbandonava completamente a me, lasciandomi in custodia sé stesso mentre se ne andava nell’infinito e lontano paese dove l’unico cicerone è il sonno, che conosce il modo per farti visitare i miliardi di sogni possibili ma anche il modo per farti tornare prontamente indietro, in un lampo e senza possibilità di errore. Facendo così mi dava una delle più grandi dimostrazioni di fiducia, sapendo che avrei vegliato su di lui con l’attenzione con cui l’istinto di sopravvivenza fa vegliare su di me, e forse con un’attenzione maggiore. Ma soprattutto era come se mi dicesse che in quel momento, visto che lui era lontano, e il corpo non gli serviva, io potevo fare ciò che volevo, tanto qualsiasi cosa facessi non lo avrebbe danneggiato né infastidito, e aveva questa convinzione appunto per fiducia. Allora perché non avevo il coraggio di carezzargli le labbra? In fondo non facevo niente di male. Ma poi capii che non era tanto lo sfiorare le labbra con le dita ciò che non andava, quanto l’invidia che questo movimento faceva sorgere… l’invidia delle labbra che volevano imitare le mani. Allora era un’altra questione, perché seguendo il mio ragionamento della fiducia anche quello non sarebbe stato nulla di male, ma poi vedevo la cosa da lontano, senza il ragionamento, e non stava in piedi, non potevo farlo senza che anche lui provasse lo stesso mio desiderio, non sarebbe stato giusto. E visto che le labbra gridavano giustizia, un motivo per cui a loro fosse preclusa quella possibilità, un motivo che rendesse nullo quel ragionamento che regnava sovrano nella mia mente, per farle star zitte vietavo anche alle mani quel dolce e innocente piacere. Innocente come lui, mi veniva da pensare, e vedevo in quel piccolo essere tutta la dolcezza e la purezza del mondo. Aveva gli occhi dorati, e allora? Io non capivo assolutamente quale potesse essere il problema, come quel colore potesse influenzare il suo essere, e intaccare la sua innocenza. Lo so, lo sapevo bene chi… beh, cosa succedesse senza diadema… ma non mi importava, non ci pensavo forse perché non mi rendevo conto, e non mi sembrava un problema perché vedevo quell’essere come un’ombra di Goku, un’ombra nel buio della notte, e quindi qualcosa di inesistente, se non all’alba… Sapevo che quelle orecchie avevano un’ombra più allungata, e quelle mani un’ombra più acuminata, e quegli occhi un’ombra più feroce, e il sorriso… quel sorriso sempre spontaneo e sincero, capace di caricarsi in un secondo di odio e ferocia. Lo sapevo, ma quello era Goku quanto il ragazzo che in quel momento era rannicchiato sul mio corpo, facendosi piccolo piccolo come a cercare protezione, apparendo così ignaro di essere l’essere più potente al mondo. Erano entrambi il mio dolce demone dagli occhi dorati, e io non potevo non amarli entrambi con la stessa intensità, non avrei mai amato l’uno senza amare anche l’altro. Ma non volevo pensarci troppo, e nemmeno volendo potevo, visto che gli occhi continuamente con le loro grida interrompevano il monologo nella mia testa per attirare l’attenzione su ciò che vedevano; proprio come un bambino che per la prima volta vede l’arcobaleno e chiama insistentemente i genitori per renderli partecipi, mentre loro lo ignorano o gli danno distrattamente ragione perché persi in pensieri tanto intricati quanto inutili. Non volevo perdermi quello spettacolo che, anche se ormai abitualmente sotto i miei occhi, potevo riscoprire in una sua nuova bellezza, se per caso fosse che i bambini avessero visto un nuovo splendido colore tra il blu e il verde che non ero riuscita a cogliere mai da sola. Tornavo su di lui, sui suoi capelli, le sue mani, la sua pelle. E tutto il resto non aveva più importanza.
Sentivo subito quando stava per svegliarsi. Intanto il suo respiro diventava più intenso e profondo, poi vedevo le labbra chiudersi per tornare ad essere un po’umide, ed apparendo così più lucide e carnose, ma aprirsi di nuovo subito dopo per non perdere il ritmo della respirazione adesso più impegnativa. Allora le palpebre iniziavano a tremare leggermente, come per avvertire la doratura che nascondevano che stavano per mostrargli il mondo, un mondo però luminoso e forse per questo un po’fastidioso. Le mani controllavano ciò che le circondava con movimenti lenti, e non notando alcuna anomalia, a parte la strana sensazione di una presa mancata, ma ormai lontana, andavano subito ad aiutare gli occhi, ad incoraggiarli a ricominciare il loro importante lavoro di sempre, con la promessa di coprire un po’quella forte luce che sembrava volerli ferire per punirli di aver scelto per l’ennesima volta il buio come culla per i sogni. Poi apriva un po’ gli occhioni, e vedevo un piccolo brillio attraverso i due lembi di pelle contornati da lunghe ciglia che incorniciavano e rendevano così ancora più belle quelle due pietre lucenti. Allora sorrideva, delicatamente, e lo stare appoggiato a me faceva sì che il sorriso portasse ancora più su le guance, così che apparisse ai miei occhi come un dolcissimo cucciolo. Poi chiudeva un’ultima volta gli occhi, per darsi lo slancio che serviva per aprirli definitivamente dopo aver inspirato profondamente come a chiudere la processione di respiri transitori che servivano per riadattare il respiro del sonno a quello della veglia. Anche quella volta ripeté passo passo questa sua routine, che ormai conosco davvero a memoria, e non lo riconoscerei più se modificasse anche un solo particolare.
Gli presi le mani dopo che si fu seduto di fronte a me con le gambe incrociate. Non dicevo niente aspettando che si svegliasse per bene, e nell’attesa con i pollici gli carezzavo il dorso delle mani mentre le altre dita le sorreggevano in una presa delicata.
“Ho dormito tanto?”
“Un po’”
“Scusami… ti sei annoiata, vero?” l’espressione divenne subito leggermente mortificata, lo sguardo si abbassò dai miei occhi. Posai una mano sul suo viso e riportai i suoi occhi sui miei.
“Non mi sono annoiata affatto” sorrisi più intensamente “davvero, Goku.”
Mi guardava perplesso, non sapeva che fare, se credermi o scusarsi ancora per quella che gli sembrava una grave mancanza di rispetto.
“Me lo fai un sorriso?”
Allora sul suo volto tornò quell’espressione dolce e innocente, felice.
“A cosa pensavi mentre dormivo?” fece scivolare le mani dalle mie e prontamente fu lui a prendermele.
“A nulla di particolare. Guardavo il bel tempo e pensavo che si sta bene. Tu hai dormito bene?”
“Sì… mi fa un po’ caldo.”
“Togliti la maglietta, no?”
Lo fece, si incastrò appena quando doveva farla uscire dalla testa.
“Hei, per poco ti veniva via il diadema!”
Rimase fermo un secondo, come chi valuta se dire ciò che sta pensando o no, poi a testa bassa, finendo di sfilarsi la maglietta dalle braccia, si decise.
“Sarebbe un bel guaio.”
Mi sporsi verso di lui, e lo abbracciai. Sapevo che quella frase voleva significare ben altro. Non sapevo che dirgli, e mi limitai ad abbracciarlo, ma sentivo che il mio abbraccio non era ricambiato, ma non per cattiveria, stava pensando.
“Tu mi vuoi bene?”
“Certo che ti voglio bene, Goku!”
“Non è che… non hai mai pensato che forse tu vuoi bene al mio diadema?”
“Dai, Goku…”
“Se io non avessi il diadema tu non potresti volermi bene, in alcun modo. Tu avresti paura di me. E io purtroppo sono quello lì, questo che parla ora è solo… solo il mio dispositivo di controllo.”
“Io ti voglio bene e basta.”
“Pensaci un attimo…”
“Non ci voglio pensare, non mi importa nulla.”
“Non ci vuoi pensare perché sai che ho ragione…”
Mi allontanai da lui, perché mi faceva dubitare di me stessa, perché mi metteva di fronte a domande che avevo voluto evitare e alle quali ora non trovavo risposta tempestiva. Ci pensai un po’, mentre lui si convinceva sempre più di quello che aveva detto.
“Io penso che se la tua indole fosse crudele e corrotta fino in fondo, non saresti così nemmeno col diadema… ogni modo non mi importa niente chi tu sia senza diadema. In fondo, tutti abbiamo dei condizionamenti che ci fanno essere diversi da come saremmo per indole. La società ci costringe ad atteggiamenti che non sono nella nostra natura, o a reazioni diverse da quelle che ci detta l’istinto. Chissà quante volte capita alla gente di aver voglia di tirare un cazzotto a qualcun altro, ma non lo fa per civiltà, o semplicemente perché facendolo sarebbe a sua volta punita. Quante volte vorremmo rispondere in modo scortese perché chi ci parla è invadente o perché ci sta antipatico, e non lo facciamo, ma ci limitiamo a una frase vaga e cortese. Noi tutti abbiamo delle costrizioni che ci fanno essere diversi dalla nostra vera natura. Chiamale regole della società, chiamalo diadema, il concetto cambia poco. Uno non si può vedere né toccare, l’altro sì. E’ solo che tu hai una natura più… impetuosa, e ti hanno imposto delle regole un po’più rigide. Io potrei chiederti se vuoi bene a me o alle regole della società, perché senza queste io sarei terribilmente scorbutica e sgradevole, e forse non mi troveresti più tanto simpatica.”
Ci pensò un po’.
“Però anche se in un mondo senza regole tu mi vorresti bene, mi riconosceresti e non mi faresti del male… io… io potrei anche ucciderti, anzi…sicuramente io…”
“Ma perché siamo due esseri diversi, te l’ho detto… tu hai un’altra indole che ti…”
“Un’indole cattiva.”
“No. Magari aggressiva, quello sì. Ma quando sei… insomma, senza diadema tu combatti e uccidi per il gusto di lottare e distruggere, per il gusto di sentirti sempre più forte, ma non col gusto di togliere la vita sapendo ciò che fai. Non lo fai assaporando il gusto della sofferenza della tua vittima e di chi la ama. Lo fai senza pensare. Il tuo non è un atteggiamento doloso.”
“Ma è sadico.”
“Quando sei cosciente delle tue azioni, non hai mai ucciso senza averne la necessità. Le tue mani sono pulite, e tu sei puro e innocente. Nei tuoi gesti e nelle tue parole, nelle tue attenzioni e nelle tue preoccupazioni io non sento niente di ipocrita. Ti viene tutto da dentro. Quindi per me ciò che mi dimostri è sincero, e ti viene naturale. Credo che tu abbia una parte buona e una… beh, una non tanto buona, come tutti.”
Ancora non mi guardava in viso, e capii che ancora pensava. Avevo paura dell’affermazione che avrebbe sicuramente pronunciato senza aspettare ancora molto.
“Se un giorno ti trovassi di fronte a me… in quel modo… tu… scapperesti?”
Il cuore sobbalzò, perché aveva pronunciato quella domanda come se mi stesse chiedendo “Tu scapperesti mai da me?” e avevo tanta paura che anche solo una virgola sbagliata nella mia risposta avrebbe potuto ferirlo.
“No.” Non aggiunsi altro. Avevo paura di sbagliare, pronunciando troppe parole, avevo paura di essere fraintesa, di non esprimere bene ciò che pensavo. Così non poteva capire male, non poteva interpretare diversamente. Mi guardò perplesso, vedendo che non aggiungevo altro; ricambiai lo sguardo.
“Perché mi guardi così? Ti ho risposto.”
“No e basta?”
“Mi hai chiesto se fuggirei, ti ho detto di no.”
“Beh, ma come fai a dire questo?”
“Perché io non fuggirei mai da te. E lo so che può sembrare che parlo così perché non ci sono, però… io non potrei pensare di star scappando da te, di allontanarmi dopo che ho tanto desiderato averti vicino… so bene che con lo stesso impeto con cui mi hai sempre difesa mi attaccheresti… non ti dico di no, perché sarei ipocrita, però… anche se lo so, io… scappando… no, non scapperei. Perché tutto di te, tutto mi piace… e da quando l’ho accettato…” pensai se pronunciare quella frase o meno, se inserire quella parola che forse gli avrebbe permesso di capire bene ciò che provavo e che forse nemmeno s’aspettava “…vedi, da quando ho capito di amarti ho capito che amo tutto di te, e se questo vuol dire prendersi certe responsabilità, o correre certi rischi… io li accetto pur di amarti. Perché non posso fare a meno di farlo, e quindi vuol dire che forse già ho accettato tutto di te, e ho visto che vale molto di più amarti che temerti per un’ombra che è dietro di te… che quell’ombra non basta ad oscurare la luce dei tuoi bellissimi occhi dorati, sai…”
Mi guardava con gli occhioni spalancati, non si aspettava minimamente quelle mie parole ed era tremendamente stupito. Mi vergognavo e tenevo lo sguardo basso, so di per certo che arrossii.
“Perché, vedi Goku, io… io mi fido di te. Mi hai salvata tante volte, e ancora nemmeno una hai cercato di uccidermi. Comunque sarei sempre in debito… ma non è tanto questo, quanto che… Ho fiducia in te, pienamente. E per questo sono convinta che se ci trovassimo in quella situazione tu forzeresti la tua natura per non farmi del male. Poi forse mi sbaglio, però… io ci credo, perché mi fido di te e basta.”
Non feci in tempo ad alzare lo sguardo che già mi sentivo stretta nel suo abbraccio. Teneva il viso sul mio collo, facendosi spazio tra i ricci ramati. Gli passai le mani tra i capelli, e per il momento preferivo che il suo sguardo non si posasse sul mio viso, ancora colorito di imbarazzo.
“Perché? Come fai a volermi bene? Perché lo fai?”
“Perché sei tu… perché sei così.”
“Io… non me lo merito, sai? Io sono solo un essere eretico, non merito niente…”
“Smettila, Goku…”gli carezzavo la testa, non volevo che dicesse tutte quelle cose brutte che gli avevano messo in testa senza che nemmeno lui ricordasse chi fosse stato “… il mio unico cruccio, sai… è di non essere arrivata in tempo per aiutarti quando avevi bisogno… di non esserci stata per cinquecento anni, di essere arrivata troppo tardi, Goku, dopo tutta la prigionia che…”
Si allontanò velocemente da me, e non mi permise di finire la frase. Mi guardava intensamente negli occhi e non riuscii a proseguire, anche perché pensavo che volesse dire qualcosa. Ma rimase a lungo a fissarmi, con l’aria di pensare a un sacco di cose. Poi si protese verso di me, e mi posò un piccolo bacio sulle labbra, delicato e dolce, come lui. Mi stupii di come quei due pezzi di fragola fossero lisci e morbidi, molto più di quello che mi aspettassi, molto più di ciò che le dita disobbedienti delle mie mani raccontassero vantandosi della loro audacia. Mi prese una mano e, con il sorriso nato dal contatto con la mia bocca, mi guardò in viso, come se non si vergognasse affatto del rossore che gli coloriva il volto.
“Invece sei arrivata proprio nel momento giusto.”

 
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