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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Saiyuki
Titolo Fanfic: SO FAR AWAY FROM ME
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: -kla- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/01/2005 19:36:22

^^...ne ho scritte tante su saiyuki, questa è l`ultima...scritta proprio qualche gg fa...meglio iniziare cn questa,va`...xd
 
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SO FAR AWAY FROM ME
- Capitolo 1° -

So far away from me

Non ricorderai, non ti ricorderai di me, lo so. Piango le mie lacrime inutilmente, nella coscienza di ciò, ma le piango ugualmente… non posso fare altro. Non ricorderai, non ricordi; perché i tuoi occhi non hanno visto, le tue orecchie non hanno sentito, perché i tuoi sensi erano lontani, molto lontani, in quegli istanti in cui io ero vicina.
Come non notarti, in fondo? Appena arrivati nella città, la prima cosa che ha annunciato la vostra presenza era la tua voce squillante e allegra. Ero stanca, nascosta, lo sapevo che vi sareste fermati in quel posto e proprio perciò mi trovavo lì, già da un po’ facevo così. Ti seguivo da tempo, ti seguivo da molto, in ogni tappa di quel viaggio che ti porta lontano, verso il tramonto, verso sempre nuovi pericoli. Ti seguivo con la speranza di trovare un giorno la forza di avvicinarti, con una qualsiasi scusa, con un sorriso che sono sicura avresti ricambiato, di parlarti anche solo qualche minuto. Poi magari ti avrei offerto qualcosa da mangiare, allora tu avresti iniziato a saltellare di gioia, avresti chiesto il permesso a Sanzo e lui sbuffando ti avrebbe detto di fare come ti pareva, mentre in cuor suo avrebbe nutrito diffidenza nei miei confronti, credendomi malintenzionata a causa di questa eccessiva e infondata gentilezza. Sì, certo, non avrebbe capito. Poi avrei chiesto anche ad Hakkai e Gojyo se volevano qualcosa, e anche loro forse avrebbero cortesemente accettato. Alla fine se vi foste mossi tutti e tre forse sarebbe venuto anche Sanzo… sì, magari un po’sospettoso… beh, togliamo pure “un po’”… sì, perché no, magari…
Ma non è mai successo. Non mi sono mai avvicinata a te, non sono mai riuscita ad inventarmi niente, nemmeno la più banale scusa, per poter semplicemente spingere il tuo sguardo sui miei occhi. Anche solo quello. Speravo forse che avresti capito, tu che sei così puro, i miei sentimenti attraverso il mio sguardo. Si dice che una persona innamorata comunichi tutto dai suoi occhi. Ma lo so, lo so che non avresti capito, la verità è solo che volevo per un attimo che i tuoi occhi sfiorassero con lo sguardo i miei, per sentire la tua attenzione su di me, almeno una volta, una sola. Mi sarebbe bastato questo… beh, forse non è nemmeno molto vero, perché probabilmente una volta ottenuto il tuo sguardo lo avrei desiderato di nuovo, e poi magari anche un tuo gesto, e poi un sorriso, e poi una tua parola… lo so, sarebbe andata così… però in quel momento che non avevo niente probabilmente anche aver ricevuto da te un semplice sguardo, anche casuale, mi sarebbe bastato. Non era ancora mai successo. E io continuavo a seguirvi di nascosto. All’inizio non partii con la precisa intenzione di seguirvi. Ricordo che la prima volta che ti vidi subito mi trasmettesti tanta allegria, mi facevi ridere mentre litigavi con Gojyo. Mi trasmettevi tanta voglia di vivere. Il tuo modo di camminare, di osservare le cose che ti circondano, il tuo modo di sorridere, sì, di regalare un sorriso a chiunque. Non ho mai visto qualcuno vivere con tanta gioia. Si vedeva che eravate dei viaggiatori, e negli occhi dei tuoi tre amici si scorgono delle ferite. Si vedeva che non stavate facendo un viaggio di piacere. Eppure tutto ciò che ti circondava lo vivevi con gioia, con ottimismo, come se la vita non potesse darti di più. Ti seguivo con lo sguardo, sperando tu ti voltassi, o magari ti avvicinassi, per vederti bene in viso, dato che io da lontano non ci vedo molto bene. Ma proseguivate diritto, e stavate per sparire tra la folla e dietro gli edifici. Mi mossi un po’, qualche passo seguendovi, senza pensarci. Seguivo la scia di allegria che ti lasciavi alle spalle. Poi siete entrati nell’albergo, allora dopo esser rimasta un po’ imbambolata là davanti, sono tornata indietro. Durante il giorno seguente, tutto il giorno, ricordo che mi voltavo sempre guardando in fondo alla strada nella direzione per andare alla locanda dove vi eravate fermati. Non pensavo ad altro. Appena sentivo movimento, appena vedevo una sagoma o un’ombra provenire da là, mi voltavo. A lungo ho mosso la testa senza risultato, tanto che mi accorsi per la prima volta che la mia non era solo curiosità verso una persona allegra e simpatica, che la mia non era semplice voglia di ridere un po’. Aspettavo, aspettavo qualcosa e aspettavo proprio te. Nella mente cercavo di ricostruire un po’ il tuo viso, ti avevo visto anche se non molto bene, e la cosa che ricordai per prima erano quei due grandi occhi chiari, li ricordavo per primi perché erano la prima cosa che notai. Soprattutto ci feci particolarmente caso per il loro colore, quel colore dell’oro, così bello, insolito e lucente. I tuoi occhi sono proprio lo specchio della tua anima, piccolo e dolce demone, perché sono chiari e lucenti. Ancora non sapevo che invece sono per te un pesante fardello, una punizione, un peccato che non conosci e non riesci a esorcizzare. Adesso lo so, ma la penso esattamente come allora. Ti vorrei dire anche questo, fra l’altro, perché credo che nessuno te l’abbia mai detto. Non ho nemmeno la certezza che tu lo pensi, ma lo capii un giorno in cui specchiandoti gli occhi in una fontana, appena incrociato il tuo stesso sguardo il tuo volto è diventato insolitamente serio e malinconico, e poi strizzando gli occhi per non vedere oltre quel riflesso sei fuggito via da quello specchio naturale. Sei tornato subito allegro, saltellando perché gli altri ti avevano lasciato indietro. Però quella scena di pochi secondi mi ha comunicato ciò che adesso suppongo, e nessuno riesce a farmi pensare il contrario, anche se in fondo spero di sbagliarmi, perché non riesco a credere che tu possa odiare di te questo tuo aspetto così bello.
Insomma, quel giorno stetti molto aspettandoti, e i momenti in cui ripensavo e te mi distraevano dall’attesa almeno per un po’. Ti ripensavo perché ogni volta che da lontano vedevo qualcuno che potesse somigliarti, tipo un ragazzino castano, o un bambino particolarmente allegro, cercavo di riportare alla mente tutto ciò che ero riuscita a incamerare sul tuo conto di modo da non rischiare che tu passassi e che io non ti riconoscessi. Non raramente vedevo passare in lontananza qualche ragazzo coi capelli castani simili ai tuoi e, non vedendo che una sagoma indefinita, lì per lì vedevo che non eri tu, ma dopo un po’, un po’logorata dalla mia attesa, mi convincevo che quello che era passato magari eri tu ed io mi ero sbagliata, visto che non ti ricordavo bene. Invece alla fine siete passati anche voi. E quella volta, anche se da lontano, ero già sicura di non sbagliarmi. A parte il fatto che la vicinanza dei tuoi amici non mi lasciava dubbi, anche tu fossi stato da solo ti avrei riconosciuto. E la prima cosa che pensai, fu che ti ricordavo bene, allora.
Andaste via da quella città il giorno stesso, e in un modo o nell’altro riuscivo sempre a sapere dove vi sareste diretti e fermati. Vi venni dietro all’inizio quasi per gioco, per testardaggine. Anzi, forse a me piaceva vederla così, mentre in ogni tuo movimento, in ogni tua parola, io scoprivo una nuova e infinita bellezza, una splendida luce che non è paragonabile a nient’altro. Cominciò così il mio viaggio.

Ma tu non ti ricorderai di me. Eccomi qui, adesso, lontana da te che viaggi ancora in un’unica direzione insieme ai tuoi amici. Ho abbandonato il mio viaggio. O forse non è mai stato il mio viaggio, è sempre stato soltanto il vostro viaggio. Io l’ho solo affiancato per un breve tratto. Adesso mi sono fermata, e non riesco ad alzarmi da questo angolo e a smetter di piangere. Tu non ti ricorderai di me, mentre io ti ho finalmente avuto vicino come volevo, molto più di come volessi. Ecco ciò che brucia forte dentro, la scoperta che ciò che desideravo non fosse l’averti vicino per poterne custodire sempre il ricordo dentro di me, perché il tuo ricordo in me già sarebbe vissuto sempre anche solo avendoti visto da lontano, ma il desiderio che qualcosa di me rimanesse dentro di te. L’ho capito ora, e sento che è troppo tardi, che è inutile, che per questo non posso far nulla, che…

Vi cercavo tra gli alberi e i cespugli. La vegetazione era fitta in quel bosco, ma seguivo il viottolo che lo attraversava perché sapevo che con Jeep dovevate per forza seguire quella via. Cercavo di nascondermi il più possibile dietro le siepi, e procedevo lentamente. Poi dei rumori, delle voci, delle grida. Capii che era in corso una battaglia, niente di nuovo, il solito gruppo di sicari probabilmente. Mi avvicinavo cercando di localizzare il punto preciso dello scontro, e cercando di fare il minor rumore possibile. Alla fine anche se da lontano riuscivo a intravedervi. Vedevo nyoibo, e la shakujio quando brillava perché incrociava i raggi del sole che filtravano tra i rami, sentivo gli spari della shoreiju e vedevo la forte luce del Ki di Hakkai. Sembrava la solita battaglia di sempre. Ma poi improvvisamente e inaspettatamente un colpo fortissimo, un frastuono incredibile. Fu tutto immediato e non so nemmeno descriverlo perché non ricordo, so solo che pochi istanti dopo quel forte rumore, sentii cadere qualcosa vicino a me, qualcosa scaraventato con una forza disumana. Mi voltai di scatto, e a nemmeno un metro da me c’eri tu disteso a terra. Eri a pancia in giù, immobile. Mi alzai istintivamente in piedi fissandoti per qualche secondo mentre non ti muovevi, ma mi inginocchiai subito vicino a te, che non davi segni di vita. Eri ferito, la tua pelle era graffiata quasi ovunque, un po’per lo scontro un po’ per l’impatto che avevi avuto cadendo al suolo. Capii che non doveva essere un nemico semplice come sempre, se con un colpo ti aveva scaraventato così lontano e ti aveva ridotto privo di sensi. Ti presi per le spalle e ti voltai, un po’ titubante, e il tuo viso trascinato dal movimento che io imponevo al tuo corpo si appoggiò sul mio ventre. Ricordo solo che saltai un respiro, e anche il cuore si fermò per un battito, per poi ricominciare a pulsare al doppio della velocità. Forse il mio viso diventò rosso, mi sentivo agitatissima. Non ti avevo mai visto così da vicino, non ti avevo mai sentito così… così concreto e reale, tu che fino a quel momento eri più simile ad un sogno, ad una nuvola bellissima, candida e irraggiungibile. Il tuo volto era sporco di sangue in molti punti, lo notavo mentre mi sedevo a terra e cercavo il modo per tenerti stretto appoggiato a me. Rimasi a lungo col tuo corpo stretto nelle mie braccia, e il tuo viso seminascosto nella mia maglia, a guardarti come incantata. Le tue labbra socchiuse, che muovendosi appena mi assicuravano che tu fossi vivo, erano incredibilmente belle anche se non sorridevano. Pensai che se erano così belle in quel modo, in uno dei tuoi splendidi sorrisi sarebbero state incredibilmente meravigliose. Quelle guance adesso sciupate dai graffi erano un po’ più tonde sul lato del viso che appoggiavi a me, e ti rendevano immensamente tenero. Mi immaginai che quando ridi probabilmente appaiono proprio così, perché ridendo le spingi verso l’alto… magari senza graffi e un po’ arrossate dalla tua vivacità saranno bellissime, ancora più belle, ma è possibile? I tuoi capelli erano forse un po’ scompigliati, ma splendevano ed erano morbidissimi, molto più di quanto apparissero, me ne accorsi passandoci una mano. E poi, ora che ci ripenso, era stupendo scoprire un po’ la tua fronte mentre passavo la mano nella frangetta, così la luce e le ombre cambiavano leggermente sul tuo viso, e risaltava il colore della tua pelle, chiaro ma come se fosse delicatamente abbronzato, un lieve color nocciola, un colorito forte e sano, ma sempre adatto ad un essere dolce e puro come te, ai tuoi lineamenti delicati. Anche le tue mani, una stretta tra il tuo corpo e il mio, ma soprattutto quella appoggiata a palmo in su per terra accanto a te, dal lato opposto a quello in cui io ti tenevo stretto a me, anche le tue mani mi davano la sensazione di qualcosa di dolce. Lo sapevo, lo so che forse quelle mani sono macchiate di molto sangue, ma so anche che sei stato costretto a sporcarle per difesa, che mai hai ucciso per primo. So che quelle mani hanno anche un’altra forma, sapevo anche questo. Ma sentivo dentro qualcosa, un’infondata ma forte convinzione, che la vera anima di quelle mani risiedesse proprio nell’aspetto che avevano in quel momento, simile alla posizione delle mani di un bambino quando dorme, con le dita leggermente piegate. Immaginavo che se quelle mani avessero potuto stringere le mie, sarebbero state sicuramente caldissime, perché quando lui ride, corre, salta e scherza appare così energico che sicuramente sarà sempre attraversato da quel tipico calore di chi è in movimento. Il tipico calore di chi è vivo. Ma non potevo prendere le sue mani, perché dovevo tenerlo stretto, di modo che non scivolasse, avevo paura che muovendolo avrebbe sentito male, ferito com’era… o forse era ciò di cui mi convincevo semplicemente perché non volevo che si allontanasse da me. Con le dita, tirai la manica fino a coprirmi tutta la mano, che poi chiusi dentro alla stoffa, e iniziai a passare il tessuto sul suo viso, piano piano, per pulirlo un po’ da tutto quel sangue. Rimanevano i graffi, che cominciavano a risargirsi, e un po’ il colore rosso del sangue che non veniva portato via dalla stoffa della mia manica. Volevo vedere il suo viso completamente pulito, col suo vero colorito, allora dopo averci pensato su qualche minuto, vedendo che la stoffa asciutta più di tanto non funzionava, lasciai il suo corpo disteso a terra, e bagnai dei fazzoletti con dell’acqua che avevo con me, poi iniziai a pulirgli il viso, e finalmente iniziava ad apparire quel bel colore della sua carnagione. E istintivamente, finito il viso, proseguii pulendo le ferite sulle braccia e sul collo, ovunque fosse stata offesa la sua pelle. Ripassai più volte anche dove già avevo tolto il sangue, per assicurarmi di aver fatto tutto bene, o forse era il movimento istintivo di chi fa qualcosa e pensa a tutt’altro. Le ferite più grosse, e i graffi più profondi, li fasciai con dei fazzoletti. Avevi un taglio particolarmente profondo sul braccio, allora ti presi per il polso per alzarlo e fasciarlo. Non ci pensai a prendere la mano, per sentire se fosse davvero calda e gentile come immaginavo. Ma doveva essere così, ne sono certa. Meglio che non l’abbia fatto, perché in quel momento forse mi sarebbe apparsa diversa, in quel momento in cui eri debole e incosciente, e dentro di me avrei conservato un ricordo sbagliato e non veritiero di te.
Non so dire di preciso quanto tempo passò, di tanto in tanto sentivo i rumori del combattimento, le voci… qualche volta ho anche sentito chiamare il tuo nome dagli altri… ma non sentii molto, non sentii perché ero totalmente concentrata in te. Solo al tuo nome, all’inizio soprattutto, sobbalzavo appena, per paura che mi vedessero e pensassero che ti stessi facendo del male. O solo forse non volevo che mi vedessero mentre ero lì con te, mentre ti sentivo tutto per me. Sì, perché era questo che in quel momento sentivo. Tu sei forte, incredibilmente forte, Goku, ma in quel momento sembravi solo un cucciolo indifeso. Non solo perché eri ferito e incosciente. Ma in quel momento in cui non c’era la tua coscienza, ho scoperto che il tuo sguardo a volte è anche triste, che il tuo cuore piange di dolore per molte profonde e incancellabili ferite. Ho capito che i tuoi sorrisi, la tua spensieratezza, la tua vitalità, sono forse un modo per non pensare al dolore che senti dentro, e perciò mi hai fatto tanta tenerezza. In quel momento, la prima volta che ti ho avuto vicino, la prima volta che ti ho stretto, invece di incrociare i tuoi occhi splendenti, invece di incrociare il tuo sorriso, e percepire vitalità come immaginavo da sempre, ho scoperto un nuovo lato di te, debole e triste, completamente indifeso. Già, forse perché i tuoi occhi erano chiusi. È vero, ora che ci penso, proprio quegli occhi ai quali tanto avevo anelato, proprio ciò che di te subito mi aveva colpito, in quel momento erano l’unica cosa che non avevo potuto ammirare. Ma ammirando loro probabilmente non avrei visto il resto, e forse va bene così. Quelle due magnifiche pietre dorate le conoscevo e le conosco già molto bene, perché il loro brillare al sole si scorge anche da molto lontano… certo anche il resto già sapevo bellissimo e lo avevo riscoperto di una bellezza maggiore… beh, allora i tuoi occhi avevano una bellezza ancora più immensa di quella che sapevo? Possibile? Probabilmente sì, e allora probabilmente proprio per questo è stata una fortuna che non abbia potuto vedere i tuoi occhi così vicini. Non ti avrei più lasciato. Ed è proprio questo che nonostante quel breve ma intenso periodo ci tiene ancora così lontani, come due estranei. Ma per me tu non sei affatto un estraneo. Conoscevo quel lato di te allegro e spensierato, e quel giorno ho conosciuto quell’altro aspetto dolce e indifeso. Mi sembra di conoscerti bene, da molto, da sempre, mi sembra di conoscerti come nessuno ti conosce. Ti guardavo sdraiato supino, con la testa piegata dal lato verso di me e le mani vicino al viso, ancora in quella dolce posizione come le mani dei bambini. Adesso il tuo respiro era regolare, il tuo volto rilassato, sembrava tu dormissi. Non più un sonno tormentato, adesso che le tue ferie erano state curate e fasciate. Pensai in quel momento che avrei voluto far questo anche con le ferite della tua anima, se ne avessi avuto il potere, come ti avevo curato le offese sulla pelle. Volevo stringerti di nuovo, ma sentii improvvisamente le voci dei tuoi compagni, che ti chiamavano, e i loro passi correre intorno alla tua ricerca. Riportata bruscamente alla realtà, ricordai che non sentivo rumori da parecchio, la battaglia era finita. Mi guardavo ripetutamente intorno e poi guardavo lui, di seguito, muovevo lo sguardo velocemente su di lui e intorno a me. Non volevo andarmene, ma qualcosa mi spingeva via, anche se non capivo il motivo. Allora mi arresi a me stessa, e lo fissai un’ultima volta, intensamente. Lo guardai per bene, imprimendo nella mia mente quel suo viso, ogni suo dolce lineamento. Sentivo la voglia di posare un bacio su quel viso dalla pelle liscia e morbida, ma non lo feci; volevo carezzarlo, ma non mossi le mani; volevo sentirlo vicino, ma non mi avvicinai. Solo lo guardai forte, intensamente, e mi sembrò anche di scorgere una lieve increspatura ai lati delle sue labbra, come un leggero e lieve sorriso, impercettibile, visibile solo ai miei occhi, solo per me. Scappai via poco prima che gli altri lo raggiungessero, e rimasi nascosta a guardare finché non si riprese, lo aiutarono a mettersi seduto, ma si vedeva che stava già bene, ha un’incredibile capacità di ripresa, come in tutto oserei dire. E ricordo che sei stato il primo a notare quelle fasciature, e le ferite pulite. Mentre lo facevi notare agli altri, me ne andai via. Corsi a lungo, senza rendermi conto di che direzione avessi preso, finché non sono arrivata qui, in questo angolo, un angolo qualsiasi, forse quello più vicino nel momento in cui anche il dolore non bastava più per mascherare la stanchezza delle gambe e del cuore che manteneva il ritmo del respiro. Non so perché sono scappata con tanta paura, con tanto impeto.

Ma tu non ricorderai, Son Goku. Siamo stati così vicini, ti ho sentito così mio… forse è questo, è l’unica spiegazione che mi sono saputa dare durante queste lacrime. Forse è questo averti sentito così mio, così vicino, questa mia eterea illusione di averti capito fino in fondo, di averti conosciuto profondamente, che mi fa soffrire. Perché nonostante tutto ciò, nonostante questo mio sentirti, questo mio modo di averti curato e dato tutta la mia attenzione, tu non ti ricorderai di me.
Tu non ricorderai, nonostante io ti abbia vissuto in ogni angolo della tua pelle, in ogni morbido filamento dei tuoi capelli, in ogni dolce lineamento del tuo viso, perché non mi sono mai specchiata nei tuoi occhi. Tu non sai nemmeno della mia esistenza, e non ti è rimasto niente di me, dentro. Quando le tue ferite saranno guarite, anche quei fazzoletti che ti ho legato per bloccare il sangue verranno gettati, e di me non avrai più nulla, nemmeno quell’ombra che forse adesso immagini pensando a chi sarà mai stato a far questo per te. Sarò solo un ombra, per te, fino a che la tua pelle non tornerà liscia e morbida, guarita e sana, bellissima così com’è, la tua pelle.

Mentre tu corri lontano,verso quel tramonto, io ho ancora vicino il tuo ricordo, vivo e intenso dentro di me. Indimenticabile e bellissimo il tuo essere, come un sogno irraggiungibile, toccato solo durante il sonno, reale quanto inesistente. Ricordando di te, accanto alla tua figura e al tuo spirito, il ricordo doloroso che tu non ricorderai.


-Kla-
30 dicembre 2004
 
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VOTO: (1 voto, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
ari92 - Voto: 09/01/11 12:37
bellissima, veramente stupenda, complimenti ç__ç mi sono commossa a leggerla
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