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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Yu-Gi-Oh!
Titolo Fanfic: LA VERA STORIA DEGLI OGGETTI MILLENARI
Genere: Azione
Rating: Per Tutte le età
Autore: akechan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/11/2004 11:08:17 (ultimo inserimento: 01/08/06)

tutta la storia degli oggetit millenari (made by akechan) dalla giovinezza del faraone fino alla sua morte...
 
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INCONTRI
- Capitolo 1° -

Note di Akemichan:
Ciao a tutti ^^
Questa non è una storia inedita, bensì una rivisitazione della mia prima storia “Past and present” (è chiaro che il titolo è un eufemismo ^^ la vera storia può raccontarcela solo Takahashi-sensei). I motivi che mi hanno spinto a rivedere questa storia sono essenzialmente due: il primo è che, continuando a studiare l’antico Egitto, ho scoperto parecchie altre cosuccie interessanti, che volevo “infilarci” per forza (voglio fare una storia storica a tutti i costi, a quanto sembra ^^); il secondo è che mi sono accorta che alcuni personaggi (per altro miei, quindi sono proprio scema ù_ù) risultavano OOC in certi punti e, in altri, gli episodi finivano per essere troppo infantili e semplicistici, quindi da modificare.
Nella seconda parte di ogni capitolo, quella dedicata all’antico Egitto, cercherò di essere il più storicamente precisa e il più pignola possibile. La mia amica e mia prima lettrice Anshiko sostiene che questo faccia diventare la storia troppo “elitaria”, destinata solo a veri appassionati. Per questo, nel genere, ho messo, assieme a “generale” (c’è di tutto in questa storia, persino il genere giallo, in alcuni pezzi ^^), anche “scienze-fiction” perché penso che, nonostante io non sia in grado di insegnare, questa storia possa far scoprire comunque alcune “chicche” sull’Egitto antico che magari non erano note ai più ^_^ Io cercherò di dare quante più spiegazioni possibili in modo da rendere la lettura scorrevole a chiunque
Non ho intenzione di riscrivere la storia da capo, anche perché non ci riuscirei, una volta scritta in un certo modo. Ad ogni capitolo metterò ciò che ho cambiato, quindi, nel caso qualcuno dei miei vecchi lettori volesse leggersi solo le parti nuove saprà dove andare a cercare ^^
Ne approfitto per ringraziare tutti quelli che avevano recensito la versione vecchia ^///^ Grazie di cuore a tutti, soprattutto a Jaly Chan che li ha recensiti praticamente tutti! Che costanza! Grazie mille ^///^ Un grazie particolare anche a quelli che l’hanno letta tutta insieme dopo la conclusione, perché 40 capitoli tutti in una volta sono una bella botta ^^ Le vecchie recensioni le ho conservate tutte sul computer, e penso che le ripubblicherò ciascuna al giusto capitolo, visto che Erika dice che, dopotutto, servono anche ai lettori per capire di che storia si tratti. Spero che vada bene così ^^
L’unica cosa che posso auguravi adesso è buona lettura ^^ Bye ^^

Incontri

Prima parte

«Sei sicura di quello che fai?»
La ragazza si fermò, solo per sistemarsi un attimo le scarpe di vernice nera che le davano fastidio, essendo troppo strette. Annuì vagamente, senza voltarsi verso l’uomo che le stava parlando.
«Potresti soffrire di nuovo»
«Non so. Forse» rispose lei debolmente, mentre scostava lo sguardo dall’ombra che il sole proiettava sull’asfalto bollente. «Ma almeno mi sentirei viva…» Si risistemò una ciocca argentata che le solleticava una guancia.
L’uomo sospirò. Il tempo passava troppo velocemente, e chiudeva le porte di fronte al dolore che si era provato, cancellandolo come se non fosse mai esistito, e portando gli uomini a commettere gli stessi errori e a provare le stesse sensazioni. No, probabilmente le sensazioni erano anche più forti, perché alla sofferenza nuova si aggiungeva il ricordo rinato di quella antica.
«Mi ha fatto una promessa» continuò la ragazza. «Ma, anche se non l’avesse fatto, dovrei aiutarlo comunque…» Fece un passo in avanti, piegando lateralmente la testa per scoccargli un’occhiata in tralice. «Per favore, va’ via, padre» mormorò, mentre si richiudeva fino al collo tutti i bottoni della camicia bianca, coprendo così la vistosa ferita, ancora leggermente sanguinante, che scendeva dalla spalla fin sopra il seno destro. «Sta arrivando»
***
Yuugi, mentre camminava allegramente per la strada, finì di controllarsi l’abbigliamento. Quel giorno, aveva un appuntamento con Anzu, perciò voleva essere elegante. Aveva anche già dimenticato le urla che suo nonno gli aveva lanciato quando gli aveva annunciato che non sarebbe rimasto in negozio ad aiutarlo.
“Sei preoccupato?” chiese all’improvviso al suo alter-ego, che, stranamente, non era ancora comparso a commentare la situazione.
“Stavo solo riflettendo…” Yami apparve al suo fianco, con la sua figura trasparente. “Mi è venuta la curiosità di sapere perché il Puzzle si trovasse nella cantina di casa tua…”
Yuugi lo squadrò leggermente. “Forse perché era destinato a me, come dice Bakura?”
“Questo è sicuro, ma…” Yami si appoggiò un dito sulla bocca. “Mi chiedevo comunque come ci fosse finito”
Arrivato all’incrocio per il parco, dove Anzu lo stava aspettando, Yuugi si fermò aspettando che il semaforo diventasse verde. Non capiva il problema che tormentava il suo doppio: il modo non era importante, il perché invece si. Riflettendo su questo, finì per abbassare lo sguardo, con un sospiro triste, e in un attimo le sue preoccupazioni svanirono, perché la sua attenzione venne totalmente calamitata da qualcos’altro.
Meglio, da qualcun’altra. Da una ragazzina. Stava accovacciata ad paio di metri da lui, le braccia calate tra le ginocchia, ma tese, e le dita piegate sfioravano leggermente il terreno. Lo sguardo era fisso su un punto lontano, non un muscolo di quell’esile corpicino era in movimento. I capelli erano lunghi e lisci, ma di un colore che Yuugi non aveva mai visto. Argentati.
«Stai… cercando qualcosa?» chiese timidamente Yuugi, pentendosene subito dopo. Ma la posizione era così assurda che non era riuscito a trovare una spiegazione razionale da solo.
La ragazza alzò il braccio destro e indicò lo stesso punto in cui stava guardando, un sacchetto di rifiuti abbandonato in mezzo alla strada. «C’è un topo, là» La sua voce era calda e avvolgente, ma aveva un tono di vitalità inespressa; sembrava troppo concentrata per esprimerla.
Yuugi guardò nella direzione indicata, ma non vide nulla. «Davvero?» Che cosa stupida da dire, pensò poi.
«Si, guarda bene» Lui lo fece e, dopo alcuni minuti di concentrazione, riuscì a vedere un minuscolo topolino che spuntava dall’alto del sacchetto.
La ragazza si alzò sospirando. «Troppe auto, non riuscirei ad evitarle tutte» disse spolverandosi il leggero vestito. «Non posso prenderlo, peccato»
Prenderlo? Perché mai una ragazza avrebbe dovuto prendere un topo? D’accordo, non tutte scappavano urlando quando ne vedevano uno, come avrebbe potuto fare Anzu, ad esempio, ma prenderlo addirittura…
Lei lo osservava mentre era immerso nei suoi pensieri. Aveva due occhi ambra tremendamente profondi, che ricordavano la sabbia del deserto, e le pupille si rimpicciolivano mentre si concentravano su di lui. Erano truccati con una linea nera molto fine, che conferiva un tocco di femminilità a quel visetto infantile. La pelle era estremamente candida, nonostante il suo corpo sembrasse emanare il calore dei paesi africani. I lineamenti non erano sicuramente quelli di una giapponese.
«Ah, comunque io sono Yuugi Mutou»
«Nyana Amamiha» disse lei stringendogli vigorosamente la mano. Il tono allegro della sua voce sembrava essersi risvegliato.
«Quanti anni hai?» chiese lui. Dalla voce, dal comportamento e dal viso non gliene avresti dati più di sette, ma il corpo era quello di una teen-ager.
«Quanti ne hai tu»
Prima che potesse chiederle come faceva a sapere la sua età, o ad essere così sicura che fossero coetanei, si ricordò dell’appuntamento con Anzu. Il semaforo era diventato verde già da un po’.
«Devo andare!» esclamò. «Ci vediamo!» La salutò con la mano mentre correva dall’altra parte della strada.
«Si…» sussurrò lei.
Attraversata la strada, Yuugi si fermò e si voltò per vederla un’ultima volta. Era sempre là, questa volta con lo sguardo alzato ad osservare il volo di una rondine sopra di lei. “Che c’è?” chiese poi a Yami, il quale la guardava con gli occhi stretti e concentrati.
“Mi piace” rispose lui. “Non so bene… Ha un odore familiare, caldo, nostalgico… E’ buono” E un inevitabile sorriso gli increspò le labbra carnose. Yuugi replicò con un’occhiata curiosa. “Ah, fa’ come se non ti avessi detto niente!” Yami alzò le spalle, nascondendo un leggero imbarazzo. Andiamo, o farai tardi”
***
«Sarà il caso di lasciarla fare a modo suo?» disse un uomo, dopo aver osservato la scena.
«Se si segue il cuore nessuna cosa è sbagliata» rispose la donna che lo accompagnava. «Lo so per esperienza diretta» Gli fece l’occhiolino.
«Avremmo già dovuto intervenire prima, a parer mio» aggiunse una ragazza, polemica. «Dopotutto, la responsabilità è anche nostra»
«Spero solo che non si esponga troppo» disse un ragazzo, stringendole forte la mano. «Non sarebbe conveniente»
L’altro ragazzo se ne andò per primo, come se la conversazione non lo interessasse. «Se non l’ha fermata suo padre, non abbiamo il diritto di farlo noi»

Seconda parte

Nefer lasciava correre il cavallo all’impazzata, assaporando il vento che gli fischiava nelle orecchie e i leggeri schizzi d’acqua che provenivano dalle rive del Nilo sotto di lui, mentre la treccia dell’infanzia dondolava, solleticandogli la guancia. Scappare da palazzo era stato difficile. Se non ci fosse stato Imseth ad aiutarlo, come al solito, mai avrebbe potuto provare nuovamente quelle sensazioni.
Fece fermare bruscamente il cavallo con un’impennata. Adorava infatti galoppare così liberamente, invece di dover ricorrere a carri scomodi e ingombranti, nonostante la maggior parte dei remet-en-kemet1 ritenesse disdicevole cavalcare i propri destrieri. Certamente il suo non era un comportamento adatto ad un principe, ma non poteva far nulla per impedire a sé stesso di trascorrere almeno qualche ora in libertà. Dopotutto, il Faraone non era forse l’albero della vita per tutti gli egiziani? Perciò, quale migliore manifestazione della sua regalità si poteva trovare, rispetto all’ombra che una mama2 o un sicomoro proiettavano sul terreno fertile? Era proprio a contatto con la natura che Nefer sentiva veramente attorno a sé la forza degli dei che entrava dentro di lui, che, come tutti, si sentiva felice solo sdraiandosi all’ombra di un albero accanto al fiume di vita.
Il Khapy3 in quel punto faceva una curva e lasciava sulle sue rive strati di verdeggiante natura. Nefer scese, legando il destriero alla vicina acacia, e si distese sull’erba bagnata, il sole ad accarezzargli la pelle. Chiuse gli occhi, ascoltando il lento scorrere del fiume.
Si doveva essere assopito da una mezz’ora, quando sentì un rumore, come di qualcosa che cadeva in acqua. Alzò il busto: a qualche cubito4 da lui, una ragazzina, semi-sdraiata a terra, con il viso chinato sulla superficie dell’acqua, e quindi nascosto dalle lunghe ciocche di capelli che, sebbene legate da cinghie in cuoio in una serie di bizzarri codini, gli scendevano disordinatamente sotto le spalle.
«Chi sei?» chiese Nefer.
Lei alzò la testa, riservandogli un’occhiata annoiata, mostrando un grosso ossirinco5 che teneva stretto fra la bocca. Lei, però, ignorò la sua domanda, e si alzò con un balzo aggraziato, intenzionata ad allontanarsi. Allora lui si alzò di scatto, ma inciampò nell’erba bagnata e cadde a terra con un tonfo sordo. “Questo è stato abbastanza stupido” pensò.
Lei scoppiò a ridere, lasciando cadere il pesce, e gli si avvicinò. «Ti sei fatto male?» gli sorrise.
«No…» rispose lui imbarazzato.
«Sei buffo» disse. «Vuoi un pesce?» Gli mostrò quello che aveva catturato poco fa, e che ora teneva stretto tra le mani pallide.
«No, grazie» rispose lui. «Preferirei sapere chi sei»
Nefer si accorse che quella ragazza non era corsa in suo aiuto, troppo preoccupata della sua salute, anzi aveva riso di lui, del figlio del Faraone. Incredibilmente, la cosa gli fece piacere e lo infastidì allo stesso tempo. Se lei non lo aveva riconosciuto come principe di Keme5, significava che avrebbe potuto comportarsi come uno normale, senza aspettarsi che lo servisse o chissà cos’altro. D’altra parte significava anche che lui non ne aveva nemmeno l’aspetto, cosa di cui era sempre stato certo. Tuttavia il fatto che una ragazza gli si rivolgesse come avrebbe potuto fare ad un suo pari – sembrava una contadina, dal vestito e dal fatto che non indossava parrucche – rendeva la cosa interessante e lasciava da parte il fastidio.
«Sei noioso» sbadigliò lei.
Nefer la osservò, cercando di capire quanti anni potesse avere. Non era certo una bambina, ma non poteva averne più di lui. La cosa più straordinaria erano i capelli: sembravano quasi argentati, come il raro metallo che veniva importato dall’Hatti e che formava le ossa degli dei6. A discapito della sua pelle scura, quella della ragazza era chiara, persino più di quella dei mercanti greci che aveva visto tempo addietro. Che fosse una straniera?
Lei si sedette a terra, assumendo una posizione insolitamente simile a quella degli scribi, e iniziò a mangiare il pesce a piccoli morsi, tenendolo con ambo le mani.
«Lo mangi crudo?» chiese Nefer, che la guardava leccare avidamente fino a pulire completamente ogni lisca.
«Si, è buono» rispose. «Assaggia» E allungò il pesce verso di lui.
Nefer, benché se ne vergognasse, si sporse e gli diede un piccolo morso, quindi masticò lentamente, prima di sentire un sapore disgustoso invadergli le papille gustative.
La ragazza rise leggermente alla sua faccia schifata. «Mi sa che non ti piace»
«Infatti» convenne lui mentre sputava a terra –senza farsi vedere – il boccone che aveva in bocca.
«Vieni spesso qui?» gli chiese.
«E’ la prima volta» rispose mentre si risedeva.
«Infatti non ti avevo mai visto» Fece una pausa. «Come ti chiami?»
Se le avesse detto il suo vero nome, probabilmente lei avrebbe capito, perciò in un primo momento ipotizzò di inventarsi un altro nome, ma ci ripensò: il nome per i remet-en-kemet era troppo importante. « Mi chiamo Nefer Kheperu Ra Ua En Ra7» rispose invece, dicendo la verità.
«Così lungo?» Lei spalancò gli occhi. «Non me lo ricorderò mai!» Lo fissò per un istante, concentrandosi soprattutto sulla treccia dell’infanzia che gli scendeva sinuosa fino al collo. «Finchè non ti sarà rivelato il tuo Ran Sheta8, ti chiamerò solo Nefer» Sorrise un istante, prima di rimettersi a mangiare. «Spero che rispecchi il tuo ka»9
«E tu?» si azzardò a chiedere lui, quasi offeso dal non essere ritenuto abbastanza adulto da possedere un vero nome.
«Puoi chiamarmi Rohi»
Quel ‘puoi chiamarmi’ sembrava nascondere qualcosa, ma lui non ci fece troppo caso. «Tu, invece, vieni spesso qui?»
«Tutti i giorni, a pescare»
«Sempre da sola?»
«Non c’è mai nessuno»
«E non sei triste?» si stupì Nefer. Per la prima volta si rese conto che, nonostante a palazzo fossero fin troppo pressanti, la solitudine totale lo spaventava, tanto che al libertà che ogni tanto cercava di prendersi durava solo qualche ora.
«Sono abituata» Parlava con tono indifferente, ma aveva una bella voce, simile all’acqua di Khapy. Era calda e avvolgente, ma aveva un tocco di vitalità che sembrava repressa.
«La tua famiglia?»
Lei si alzò, stiracchiandosi e gettando via il pesce. «Ho un padre, una sorella sposata, una madre acquisita e un fratellastro» Si avvicinò a lui così tanto che i loro nasi potevano sfiorarsi.
Così da vicino, poteva osservare il suo viso. Era infantile, ma in un modo che non poteva non attrarre. Non era straniera, lo si capiva dai lineamenti del viso e dagli occhi, truccati come solo le remet-en-kemet usavano fare, con la linea nera del kohl che accentuava il chiarore delle pupille ambra.
«Hai degli occhi bellissimi» disse Rohi. «Tu mi piaci, sai?» Nefer la fissò senza parole.
Lei, approfittando della sua esitazione, in un balzo si allontanò, sparendo oltre la vicina foresta di papiri. Nefer si alzò di scatto. Se ne andava così, senza salutarlo? Invece tornò subito, portando con se due dadi in selce. Lo vide in piedi, e sorrise della sua preoccupazione. «Giochiamo?» disse, esprimendo, questa volta, tutta la vitalità della sua voce.
Lui annuì nuovamente, contento. «Ci gioco spesso, con Asha e Imseth»
Lei lanciò i dadi sulla sponda. Un due e un sei. «Chi sono?»
«Credo che si possa dire che sono mia sorella e mio fratello» Ora toccava a lui lanciare i dadi. «Noi tre siamo cresciuti insieme, ma loro due sono più grandi di me» Due cinque.
Con il labbro leggermente piegato all’insù, Rohi si sporcò leggermente il dito indice con il limo della riva, quindi, con rapidità, segnò due geroglifici sul suo petto nudo: l’anatra e il cuore. Quindi lo guardò, aspettando una risposta.
«Si, sono coloro che penetrano all’interno del cuore10»
Soddisfatta, Rohi riprese i dadi e li lanciò nuovamente. Nefer si pulì il petto, inquieto. Quella ragazza gli era sembrata prima una contadina, poi una straniera, poi la figlia di qualche artigiano, e adesso veniva a scoprire che conosceva la scrittura. Chi era veramente? Quell’esile figurina carica di misteri lo affascinava particolarmente.
«Allora, giochi?» lo distrasse dai suoi pensieri Rohi, che lo guardava con impazienza.
«Si, eccomi»
Fecero parecchie partite, inventando tutti i giochi possibili ed immaginabili che si potessero fare con due dadi -anche se lui, con grande disappunto di lei, vinceva sempre-, finché la luna di Thot non iniziò a mostrare il suo viso pallido. Era ora di tornare a palazzo. Slegò il cavallo e montò in groppa. «Devo andare» disse.
Lei annuì, poi, mentre lui se ne stava andando chiese «tornerai?»
«Si, presto» rispose lui, ben sapendo di dire qualcosa di cui non poteva affatto essere sicuro.
***
«Chi è quello?» commentò seccata una ragazza, nascosta dalla foresta di papiri, mentre guardava i due ragazzi giocare. «Per una volta che vengo a trovare la mia sorellina…» E con la mano accarezzò l’animale che la accompagnava.
«Sai chi è quel ragazzo?» le chiese una donna alta dietro di lei, con aria maliziosa. «Il figlio di Tuthmosis II…»
«L’erede delle Due Terre?!» esclamò la ragazza. Poi un leggero sorriso pericoloso si dipinse sulle sue labbra. «Questo si che è interessante…»

Note di Akemichan:
Di nuovo ciao ^^ Piaciuto il capitolo? Spero di si. Non lasciatevi ingannare, non parla solo di una storia d’amore, ci sarà bel altro dietro, ma per ora lasciamo perdere.
In questo capitolo ho aggiunto un pezzo nella prima parte, con il dialogo fra Nyana e suo padre, e un pezzo nella seconda, il dialogo finale tra le due donne. Inoltre, ho cambiato il nome di Yami nel passato (il perché si scoprirà nella prossima puntata ^_-) e aggiunto qualche altro termine egiziano nel testo. Se non capite qualcosa perché ho dimenticato di fornirvi la spiegazione ditemelo che rimedio subito ^^ Ho anche messo, dopo il glossario, un piccolo specchio sulle divinità egizie (quelle principali che si usano maggiormente), così non devo specificare ogni volta e anche voi fate prima a capire di chi stanno parlando i rispettivi protagonisti ^^
Ci vediamo il diciannove novembre ^^ Grazie per aver letto la storia. Bye ^^

Glossario:

1.Remet-en-kemet: egiziani (lett. lacrime della terra nera)
2.Mama: palma (lett. Dolce)
3.Khapy: Nilo
4.Cubito: unità di misura egiziana, equivalente a circa 0.59 metri
5.Keme: l’Egitto (lett. La terra nera)
6.Hatti: l’Anatolia, attuale Iran, Irak, insomma, quella zone del Medio Oriente. Nell’antico Egitto il metallo considerato più raro era appunto l’argento, proprio perché dovevano importarlo da un altro stato, al contrario dell’oro di cui disponevano in grande quantità.
7. Nefer Kheperu Ra Ua En Ra: gloria al luminoso di Ra, il solo di Ra (formula usata dal faraone eretico Akhenaten – io qui la riutilizzo “impropriamente”)
8.Ren Sheta: il nome segreto. Ad ogni bambino la madre o un sacerdote affidavano un nome segreto che veniva rivelato solo in età adulta, sempre che lui se ne dimostrasse degno. Nefer, qui, non è ancora adulto, perciò non conosce ancora il suo nome proprio e usa quello “onorifico” o “Ren Nefer”, il bel nome.
9.Nefer: significa buono. Qui Rohi interpreta la parola “ka”, forza vitale, nel significato di “carattere”. Spera quindi che Nefer sia davvero una brava persona.
10. “Coloro che penetrano all’interno del cuore”: il modo egiziano per indicare gli amici.

Specchio sulle divinità egizie (e avete altre curiosità o domande, chiedete pure ^^ Cercherò di rispondervi nel limite delle mie possibilità):

Nun: massa informe primordiale da cui tutto si è generato. Simbolo di caos
Amon: divinità di Tebe, è considerato il re degli dei, in sostituzione ad Atum, il primo dio. Molto spesso è associato a Ra come Amon-Ra.
Ra: il dio del sole. Percorre il cielo a bordo di una barca. Assume vari nomi a seconda del momento della giornata. All’alba, ad esempio, è Ra-Horakti; a mezzogiorno, Ra-Amon. È rappresentato come un uomo con un disco solare a mo’ di corona.
Mut: moglie di Amon, è una donna/avvoltoio. Il suo nome significa sia “madre” che “morte”.
Khonshu: terzo dio della triade tebana, assieme ai suoi genitori Amon e Mut, è considerato sia un dio guaritore che un dio lunare.
Geb: dio della terra, figlio di Tefnut e Shu, marito di Nut. E’ rappresentato come un uomo sdraiato.
Nut: dea del cielo, sorella e moglie di Geb.
Tefnut: dea dell’aria umida, figlia di Atum. Spesso è rappresentata con la testa di leonessa.
Shu: dio dell’aria secca, identificato anche con il vento, sposo e fratello di Tefnut. Nelle iconografie sostiene la figlia Nut nel cielo e tiene il figlio Geb a terra perché contrario alla loro unione.
Iside: dea maga, figlia di Geb e Nut, regina dell’oltretomba. Associata spesso ad animali come la rodine e il nibbio. Nelle iconografie viene rappresentata come donna dal copricapo a corna di vacca o come donna con in braccio il figlio Horus.
Osiride: dio dell’aldilà (considerato solo positivamente come “paradiso”), marito e fratello di Iside, re dell’Egitto, è stato ucciso dal fratello Seth e il suo corpo, scomposto in varie parti, è stato poi ricostruito da Iside in modo da garantirne la sopravvivenza nell’aldilà. Da qui il culto della mummificazione degli egizi.
Nefthi: moglie di Seth, è la parte sterile dei figli di Nut e Geb. E’ associata assieme alla sorella Iside nelle lamentazioni funebri.
Seth: dio del caos e della guerra, è anche il protettore dei Faraoni insieme al nipote (questo perché il Faraone doveva anche essere potente in guerra e contro i nemici). Ha ucciso il fratello Osiride e per questo è sempre in lotta con il nipote Horus. Il suo animale sacro è l’asino, specialmente con la pelliccia rossa.
Sobek: dio dalla testa di coccodrillo, è alleato di Seth durante le varie battaglie. Rappresenta il pericolo che si nasconde nel Nilo, ma anche la forza.
Horus: dio dalla testa di falco, è il protettore del faraone e sua reincarnazione. E’ nato per vendicare la morte del padre Osiride, e viene protetto da numerosi dei quali Thot e Uadjet. Un altro suo compito è proteggere la braca solare di Ra durante la notte dall’attacco dei demoni.
Hathor: occhio del sole, è la moglie di Horus, rappresentata come donna dalla testa di vacca. È la dea dell’amore, del canto e della musica. I suoi animali sacri sono la gazzella e la mucca, ed è associata al minerale turchese.
Sekhmet: “la potente”, è un altro occhio del sole, rappresentata con la testa di leonessa. E’ una dea punitrice mandata sulla terra contro gli uomini malvagi. Il Faraone è tenuto a controllare la sua furia durante i giorni epagomeni, ossia gli ultimi cinque giorni dell’anno egiziano in cui, secondo le leggende, erano nati Iside, Osiride, Seth e Nefthi.
Taweret: dea ippopotamo, era la protettrice dei neonati
Anubi: dio dalla testa di sciacallo, figlio di Osiride e Nefhti, è “l’imbalsamatore” degli dei e assiste Thot nella sala della giustizia, dove i morti vengono giudicati per le azioni commesse in vita. I suoi animali sacri sono lo sciacallo e il camaleonte.
Khnum: dio vasaio dalla testa di ariete, venerato ad Elenfantina. Si dice che sul suo tornio crei le anime (ba) degli esseri umani.
Bastet: dea gatta venerata nella città di Bast, da cui trae il come (“colei di Bast”), è la trasformazione benigna di Sekhmet. E’ la dea della gioia, ma anche della maternità.
Hapy: dio del Nilo, è rappresentato come un ciccione ermafrodita che vive nelle grotte alle sorgenti del fiume.
Maat: dea della giustizia, spesso considerata come essere astratto. Nelle iconografie è una donna con in testa una piuma di struzzo. Per passare la prova nella sala della giustizia, il cuore del morto doveva pesare meno di lei.
Nekhbet: dea avvoltoio, è la protettrice dell’Alto Egitto
Ptah: dio degli artigiani, considerato marito di Sekhmet.
Seshat: moglie di Thot, è la dea degli antichi scritti e protegge le biblioteche assieme a Mafdet, la pantera
Thot: dio dalla testa di Ibis, è il protettore delle scritture. Nella sala della giustizia, si occupa di annotare il nome del morto, i suoi peccati e le sue dichiarazioni. E’ anche un dio lunare. Il suo anima sacro, L’Ibis, è anche il simbolo della perfezione.
Uadjet: dea cobra, protettrice del Basso Egitto e madrina di Horus

 
Continua nel capitolo:


 
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VOTO: (0 voti, 1 commento)
 
COMMENTI:
Trovato 1 commento
Rif.Capitolo: 8
starlight26
06/05/12 23:16
volevo chiederti dove posso continuare questa meravigliosa ff? xkè andando sul link sopra indicato esce fuori ke la ff nn c'è + ._.
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