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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Slam Dunk
Titolo Fanfic: WRITTEN IN THE WIND
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Yaoi
Autore: she-chan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 23/07/2002 00:33:57

ecco una yaoi mitsen, scritta un po` di fretta... mah! siate clementi, come sempre del resto! ^o^
 
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ONE SHOT
- Capitolo 1° -

Serie: Slam Dunk
Parte: 1/1
Genere: Yaoi
Paring: Cavolo, sto peggiorando: ultimamente li dico pure! Ok, SenMit (consenzienti o contrari che siano, non so chi stia dietro a chi e se si ricambino! Se volete saperlo, leggete!)
Rating: NC-13 (penso basti)
Disclaimers: Perché, perché, perchééééééé?????? Perché devo dirlo tutte le volteeeeee?? ç______ç Uffa!! I chara di Slam ai legittimi proprietari, va bene così? Dottor T, non mi guardi in quella maniera: è una vera pizza!!
Dedicated to: Yucchan! Mille auguri di buon compleanno, mamyyyy!!!! Hai visto che ho preso il nostro paring preferito? Lo so, era anche ora...
Note: Nulla di particolare, adoro questi due ragazzi, ma fra una cosa e l'altra non avevo mai scritto su di loro. Bene, eccomi qui con un tentativo, tutto in onore del compleanno della mia adorata mamy Yucchan... TVB!!
Grassie ai Wet wet wet, che mi hanno ispirata con la loro bellissima canzone (love is all around).
E si comincia!

WRITTEN IN THE WIND
By Sheera aka She-chan


Cercò solo di ponderare la situazione, poi, lentamente, si sollevò sulle punte, indirizzò le braccia e inspirò profondamente.
Tiro. Ciuffo. Tre punti.
"Sei grande, Micchy!"
Una pacca gentile era atterrata sulla sua spalla, mentre selvaggi ciuffi rossi si allontanavano a corsa da lui.
Non ci fece molto caso. Solo, sospirò ed alzò il polso in modo da poter controllare l'ora. Abbassò il braccio e si girò, camminando lentamente verso gli spogliatoi. Non era mai stato tanto silenzioso.
"Che cos'ha Mitsui?" chiese poi Fujima, rivolto a Kogure, il quale si supponeva lo conoscesse piuttosto bene.
"Non lo so..." mentì lui, prima di andarsene a sua volta.

La doccia già scrosciava rumorosamente, araldo della presenza di qualcuno. Fin troppo evidente capire chi fosse.
Si limitò a togliersi tutti i vestiti, prima di avvolgersi in un asciugamano e seguire la fonte di quel rumore scorrevole.
Il ragazzo con la cicatrice sul mento stava immobile, permettendo a quel docile getto di torturare amabilmente le sue spalle, e tentando in tutti i modi di lasciare che l'acqua, scorrendo sulla sua cute, si appropriasse del suo essere, lo avvolgesse rubandone l'essenza e lo lasciasse scivolare giù, verso le piastrelle bianche, per fuggire, inafferrabile, ancora più in basso, lontano, dove nessuno avrebbe potuto prenderlo.
Kogure gli si avvicinò, non udito. Questo era ciò che credeva, ovviamente. Fece per toccargli la spalla, ma la sua mano venne frenata, a mezz'aria, da semplici suoni. Duri e taglienti.
"Che cazzo vuoi ancora da me?"
Non si era girato. Del resto era più che evidente che fosse lui.
"Mi dispiace..."
"Fottiti!"
Non aggiunse una parola, ma si voltò. E, in quel momento, era come se una pioggia pesante, composta di taciti insulti ed imprecazioni, piovesse dai suoi occhi sul viso del ragazzo più basso.
"Lo sai: è la verità, io che posso fare, se non dirtela?"
Kogure riusciva in qualche ignoto modo a mantenere sempre l'autocontrollo.
"E io ti dovrei credere? Ma vai a fare in culo pure tu!"
E con questo i discorsi erano chiusi. Il ragazzo miope vide il suo amico allontanarsi, per cedere il proprio posto al resto della squadra, la quale, intonando un allegro chiacchiericcio, fluiva tranquillamente attraverso la via di fuga di Mitsui.

Uscì senza il minimo ripensamento. Non voleva più saperne nulla.
<Almeno per oggi.>
Respirò a fondo l'aria rinfrescata da quella brezza gentile che gli scompigliava i capelli.
Era di nuovo il migliore. Aveva staccato i suoi avversari, uno dopo l'altro. Non esisteva nessuno che sapesse tirare come lui in tutto il Giappone. Non sulle distanze da tre punti. Quanto gli ci era voluto per ottenere di nuovo quel risultato? Ma che importava ora? Erano ben altri i pensieri che assillavano la sua mente, e, per quanto vi tentasse, non riusciva assolutamente a cancellarli.
<No, no! Non loro, non loro due! Ma perché, perché? Non posso capire...>
Scosse la testa. Non poteva capire, assolutamente. Non dopo tanto tempo che lo conosceva e l'amava con tutto sé stesso.

Non faceva che giochicchiare con quel pallone. Sopra, le firme di tutti i ragazzi che avevano frequentato quel campo estivo organizzato dall'associazione pro giovani cestisti. C'era anche la sua, scarabocchiata velocemente, con accanto un "^_^" tenerissimo. Il suo segno ineludibile, la trappola camuffata e fatale che tendeva a tutti coloro che lo incrociavano. Un sorriso da innamorarsi, ed era ciò che era successo a lui, da troppo tempo.
E quell'estate? Quell'incredibile estate che li aveva visti amarsi sotto la luna... Forse non sarebbe dovuto partire, mai. Ma l'aveva fatto, senza poter scegliere, strappandogli lacrime amarissime e offrendo a sé stesso un forte rimorso.
Ricordava bene quei lunghi innumerevoli mesi passati fra Los Angeles, Miami, Chicago, Los Angeles, New York, New Orleans, Chicago, Washington, Miami... Che schifo, gli girava la testa al solo pensarci!
Ma una cosa era rimasta impressa nella sua mente. Non le verdeggianti praterie, i riflessi dei grandi laghi, i richiami dei coyote nel deserto, le strette di mano ai campioni dell'NBA... no.
No. Il vento. Quell'ululare a tratti silenzioso, poi violento, poi carezzevole, poi melodioso... Ovunque andasse, il vento sussurrava il suo nome.
Akira...
E non poteva essere un caso, che il vento avesse scelto di dire quel nome proprio a lui. Non quello, fra tutte le cose che avrebbe potuto raccontargli, fra gli echi di leggende millenarie perse fra i suoi flutti e canti scordati anche da chi li aveva intonati.
Akira...
Anche dopo che era tornato a Kanagawa, dopo tutto quel tempo.
Akira...

Scosse la testa, con un risolino sconsolato.
"Ora che hai rimesso la testa a posto, non perderò l'occasione di farti imparare qualcosa!"
Ecco ciò che gli aveva detto sua madre, mettendogli in mano una valigia e allungandone al contempo un'altra a suo padre.
"Inizierai l'università quando tornerai. Almeno tuo padre avrà un assistente nei suoi viaggi, e non lo dovrà neppure pagare. Ne ha bisogno, e quelli della ditta non glielo danno! È già bello che abbiamo ottenuto i biglietti e l'alloggio anche per te!"
E avrebbe forse dovuto ringraziarla? Malgrado tutto, non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione che lei volesse restarsene da sola per un po', tanto per farsi i cavoli suoi, e forse i cazzi di qualcun altro.
In segno di protesta silenziosa, si era rifatto crescere i capelli.

Ed ora era lì, alla Kanagawa State University, dove per finire era confluita buona parte dei suoi compagni dello Shohoku, insieme ad altri visi noti. Certo, fatta eccezione per Rukawa, il quale, da buon lupo solitario, o volpe polare che dir si volesse, si era staccato ed era andato a Tokyo, dove si era trasferito anche Akira dopo aver concluso il liceo. Non li aveva più visti, né saputo nulla di loro. Del resto non era lì che da poco tempo.
Poteva sembrare un caso, ma ora sapeva che non era così. Kogure li aveva visti insieme. Del resto non lo stupiva che glielo avesse detto senza il minimo scrupolo: Kiminobu era innamorato di lui, e lo sapeva bene, fin da troppo tempo.
Ma nei suoi occhi si poteva ancora leggere a chiare lettere il rimorso, ogni volta che il nome dell'ex-playmaker del Ryonan cadeva per caso in una discussione o veniva anche solo accennato.
<Lui ci aveva visti fare l'amore, lo so!>
Strinse le mani su quel pallone, lasciando la firma di Akira libera di respirare attraverso gli spiragli concessi dalle dita. Irrigidì le mascelle, mentre una sensazione che poteva parere una scossa lo attraversò lentamente, partendo dal fondo dei suoi polmoni fino a morirgli in gola, prima di riversarsi nei suoi occhi. Per Kami, quanto avrebbe voluto piangere!
<No...>
Un rumore di vetri infranti e il pallone che rimbalzava con la stessa forza che l'aveva scagliato lontano dalla sua vittima, mentre schegge scintillanti d'argento precipitavano sul tappeto.
<E con questo sono altri sette anni di sfiga!>
Chi avesse potuto scorgere i suoi occhi doloranti fra le ciocche che li velavano, si sarebbe spaventato. Ma che importava? Non c'era nessuno. Suo padre stava lavorando per affogare la sofferenza nello stress e sua madre se n'era andata con chissà chi, prima che loro tornassero. Del resto il genitore gli aveva preso un appartamento solo per sé, perché "era grande abbastanza". Ma non si è mai abbastanza vecchi per essere felici, se lasciati soli.

Figuriamoci! Ci era mancata anche la solita vecchina impicciona, a piantargli l'interrogatorio sulla porta di casa per sapere cos'era stato quel rumore.
E adesso? Ayako, che in qualche modo misterioso era diventata la manager della squadra universitaria, che gongolava per il suo ultimo "colpo grosso"! Un'amichevole con una squadra di Tokyo.
<Ho come un presentimento...> pensava, fingendo indifferenza.
"E indovinate un po' chi c'è in quella squadra?"
"Akira e Kaede." L'aveva annunciato con voce piatta, quasi scocciata, mentre tutti lo fissavano sorpresi a causa della poca formalità da lui utilizzata.
"S... sì, ma tu come lo sai, Mitsui?"
"Intuito..." fece con uno sbuffo.
"Senti, ma che cavolo hai in questi giorni?" lo riprese poi il capitano della squadra.
"Fatti i cazzi tuoi, Maki!" rispose secco, prima di girare i tacchi. In fondo l'allenamento era finito.
Lo guardarono allontanarsi senza dire nulla, mentre Sakuragi tentava di nascondere i risolini suscitati da quella scena.

Erano pura armonia. Fin troppo belli da vedere. Passaggi perfetti, schemi comunicati con semplici occhiate, finte, layup e tutto quello che mancava. Bellissimi. Ma l'unica cosa che voleva lui era vincere contro di loro. E ci sarebbe riuscito.
Finì che fece più canestri da fuori area che altro, riuscendo a superare il suo record partita e a far trionfare la propria squadra. Era un campione, di nuovo, e nessuno avrebbe osato asserire il contrario. Non ci sarebbero stati incidenti, questa volta. Non più.
Andò verso le panchine della sua squadra, dove esultanti compagni lo attendevano, quasi in giubilo. Si lasciò stringere, ma non ricambiò. Il suo volto mostrava un'espressione durissima e affatto allegra.
Portò due dita a sfilare l'elastico che imprigionava i suoi capelli e li lasciò ricadere liberi sulla sua pelle scintillante di un leggero strato di sudore. Girò il viso.
Akira affondava il suo splendido volto nella morbida spugna bianca che teneva fra le mani, mentre i suoi capelli si gettavano in ogni dove.
<Sapevo che prima o poi avrebbe smesso di usare il gel!>
Era il pensiero più sciocco che potesse formulare, ma serviva a reprimere quel "bellissimo" che la sua anima avrebbe voluto urlare a squarciagola.
Kaede non era cambiato affatto. Gli stessi occhi di ghiaccio sotto a quella frangetta disordinata, corvina, contrastante la sua pelle eburnea.
Poi il più alto fra loro alzò gli occhi fino ad incrociare i suoi.
Un tuffo al cuore.
<Non guardarmi, Akira, ti prego! Non mi guardare!>
Lo magnetizzava tutte le volte, e non riusciva davvero ad abbandonarlo, quel blu infinito.
Poi accennò un sorriso. Hisashi si girò, cercando di ignorarlo, prima di andarsene, mentre tutte le voci intorno a lui si spegnevano, ogni persona spariva, e lui percepiva i suoi occhi sulla sua schiena spavalda, incorruttibile, ma fuggente verso gli spogliatoi.
Ancora una volta uscì molto in fretta, senza passare sotto all'asciugacapelli. In fondo faceva caldo.
"Non sapevo fossi tornato..." lo accolse così, non appena sortì dalla palestra.
"Akira..."
"Sei di nuovo un campione, eh?"
Hisashi si girò, in modo da poter incontrare la sua figura, appoggiata rilassatamente ad un palo della luce. Le mani in tasca, un sorriso. Identico, non fosse stato per i capelli, che ricadevano sui lati della sua fronte. Purtroppo così era maledettamente, incredibilmente ancora più attraente.
Annuì noncurante. Quel sorriso felice lo feriva e lo faceva impazzire allo stesso tempo.
"Che dici, potremmo vederci, ogni tanto..."
"Nh!"
Akira si mise a ridere, sotto uno scocciatissimo sguardo blu.
"Scusa, ma sembri Rukawa!"
"Perché non lo chiami Kaede? Immagino tu sia abituato così!"
"Già, siamo coinquilini..." disse, leggero.
"Pensavo si dicesse concubini..." fece, freddo, fissando l'asfalto.
"Che vorresti dire, scusa?"
"Andiamo, Akira! Non prendermi per il culo! Vorrai farmi credere che dopo che ti ho scopato io, non ti ha più toccato nessuno!"
Lo sguardo del ragazzo s'incupì d'un colpo, mentre il sorriso scomparve fulmineo dalle sue labbra.
"Già..." mormorò, abbassando la testa "...per te è stato scopare, certo..."
C'era un dolore molto intenso, nella sua voce.
Hisashi non disse più nulla. Poi, scorte la figura di Rukawa che usciva dalla palestra, si voltò.
"Il tuo uomo è qui..."
E scappò di nuovo, lentamente, senza salutare. Senza poter vedere che il ragazzo da lui tanto amato stava sprofondando fra le braccia del giovane dagli occhi di ghiaccio, avvolto in una spirale di dolore.
Il vento iniziò di nuovo a soffiare.
Akira...

Era una settimana che tirava avanti così. Mangiava solo quando il suo stomaco si contorceva in dolorosissime fitte, dormiva forse tre ore, magari anche quattro, non parlava se la cosa non si rivelava strettamente necessaria.
Finì persino per andare a trovare Tetsuo in carcere, e se ne restarono seduti uno di fianco all'altro, comunicandosi tutti i propri dolori, senza dirsi una sola parola.
"Grazie, Tetsu."
"Grazie a te, Mitsu. Torna quando vuoi, ma fa' presto: magari evado..."
Lo disse con un ghigno di ilare rassegnazione. Solo il quel momento riuscì a sorridere. Attimo impossibile e sconosciuto, che si dissolse in un istante, per perdersi fra le pieghe dei ricordi.

Stava sdraiato sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto. Lentamente cominciava a sentirsi un vegetale, mentre la sua mente elaborava complicati percorsi filosofici sulla condizione e la coscienza della piante ed ogni essere della fauna.
Il telefono squillò. Si alzò dal letto, fece qualche passo e sollevò la cornetta.
"..."
"Pronto? Hisashi, ci sei?"
"Kaede..." lo disse con un impercettibile filo di sorpresa misto alla voce.
"Si può sapere chi ti ha raccontato tutte queste stronzate enormi? Io non sto con Akira, chiaro?!"
Era adirato.
"Chiaro."
"D'accordo, era solo per chiarire."
"Ti sei chiarito."
"Mpf! Ciao."
"'ao."
Appese il telefono, ritrasse la mano dall'apparecchio e accomodò tramite essa i capelli. Poi sorrise.
"Sono un deficiente!"
Ed iniziò a ridere in modo lugubre, cattivo, quasi forzato, come fosse impazzito. Rise così tanto che la gola e lo stomaco iniziarono a fargli male.
Infine uscì di casa.
Il vento soffiava.
Akira...

Il viaggio non era lungo, a stare ai fatti cronometrici. Ma per lui durò più che il percorso Giappone - Los Angeles.
Certo, quella ragazza sedutagli di fronte, la quale aveva preso un'evidente cotta istantanea per lui, non se ne stava zitta un solo momento. Logorroica era poco. Troppo poco.
Rispondeva senza farci caso, lasciando che i suoi occhi scorressero fuori dal finestrino, a seguire le linee che staccavano il paesaggio terreno dal cielo.

Il vento di Tokyo.
Akira...
Il tassì lo aveva lasciato a qualche centinaia di metri da quell'edificio. Corse come un matto, e, mentre si avvicinava, lo vide uscire dal cancello. Si fiondò fra le sue braccia.
"Hisashi..."
"Akira!" sprofondò la testa nel suo petto.
Lui gli passò una mano sulla testa e infilò le dita affusolate fra i suoi capelli selvaggi, scompigliati dalla corsa.
"Lo sai che lunghi mi piacciono di più?" sussurrò con un sorriso.
"Lo sai che ti amo?"
"Perché ci hai messo tanto, idiota? Sai da quanto ti aspetto?"

Kaede non c'era, e non sarebbe tornato. Era andato a trovare i suoi nonni, approfittando di una conferenza a cui non era interessato, e che teneva impegnati quasi tutti i suoi professori.
La luce della città ricadeva dolce attraverso le tende, rischiarando la notte. La penombra era sempre piaciuta ad entrambi. Soprattutto per fare l'amore.
Gli ansiti dei due ragazzi si scioglievano nell'aria fresca di fragranze esotiche quanto la notte. Finché un urlo non interruppe quella cantilena poetica. Akira chiamò il suo amante, sentendolo fargli eco.
Quando si ritrasse da lui fu solo una la cose che gli venne in mente.
"Forse avrei dovuto decidermi prima ad ascoltare il vento..."
Akira sorrise.
"Io l'ho ascoltato da allora. Per questo nessuno mi ha più toccato. Mi diceva "sei suo"... Ti ho aspettato..." si rifugiò fra le sue braccia. "...bastava solo che lo dimostrassi, e l'hai fatto."
"Ti amo, Akira."
E poi fu il sonno, la notte e un susseguirsi di giorni radiosi.

It's written in the wind
It's everywhere I go
So if you really love me
Come on and let it show

FINE!!

Nota finale: Lo so, non è un granchè, dovrete scusarmi... è che l'ho fatta un po' di fretta, e forse un po' influenzata da "City" (viva Ale!!). Inoltre ho tagliato un sacco di particolari... e dai, ditelo, che fa pena! Povera Yucchan, ma guarda che regalo ti faccio! Scusa, prometto che mi rifarò!! ç__ç
Bah lo stesso! NdMit
Che c'è ?__? NdShe
Prima di tutto, oltre a ciò che hai già detto, era ora che scrivessi una fic su di noi, e poi... NdMit
...e poi potevi farla anche un po' più lunga, la scena di sesso! NdSen
Ma non vi va mai bene niente? Uffa!!! Tanto è per Yucchan, e se piace a lei (aspetta e spera), resta così e basta! Ok, avrei potuto scrivere capitoli e capitoli, ma non avevo tempo! E poi la fic lunga su di voi arriverà, abbiate pazienza... NdShe
Vabbè, a me basta che ci metti il lemon! NdSen
Oh, ma che scatole! Allora è vero che sei un hentai!! NdShe
^_^ NdSen
Bah! E va bene, non guardarmi così, che mi viene il diabete! NdShe
La sendohnite, vorrai dire! NdMit
Aaargh! No! Non di nuovoooo!!! NdShe
^_^ NdSen
^_- NdMit
... ^o^ Alla prossima!! NdShe

 
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