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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: IL NATALE DI MIGUEL
Genere: Sentimentale, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: bloodymary79 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 30/09/2004 20:48:45

il natale di un giovane metà indiano...commenti please!
 
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- Capitolo 1° -

C’era una sera dell’anno in cui a Miguel pesava in maniera incredibile la sua vita solitaria e vagabonda. Lui, il giovane mezzosangue, o “bastardo”, come usavano apostrofarlo, in quella sera vagava inquieto cercando di fermarsi per trovare pace in qualche modo. Vagava di Saloon in Cantina, ma anche in questi locali lo accoglievano distrattamente, chiudevano presto con tante amichevoli pacche sulla spalla e i soliti odiosi saluti: “Buon Natale a te ed alla tua famiglia!”. Ma Miguel non aveva nessuna famiglia da cui tornare.
Mai come in quelle sere ne sentiva la mancanza. Ma non una mancanza metaforica, un vago senso di assenza come accadeva di solito. Quella sera era un dolore profondo, quasi fisico che lo assaliva e si fermava all’altezza del petto.
Vagava improvvisando mete che già in partenza gli sembravano assurde, spiando chi una casa l’aveva, ed era felice davanti alle tavole imbandite con tacchini arrosto.
E lo coglieva sempre impreparato quella maledetta benedetta sera, scoperto come un pulcino appena uscito dall’uovo. E con quel viso su cui la barba non si decideva a crescere lo sembrava davvero, un piccolo pulcino color rame.
Ormai era arrivata e lui non poteva scappare, sarebbe piombata su di lui come un lupo affamato, ma in questo caso né le sue gambe veloci né la sua abilità con la pistola gli sarebbero stati d’aiuto. Non poteva fare nemmeno appello ai ricordi, non ricordava nulla della sua infanzia il giovane Miguel.
Sentiva il rumore delle stoviglie più belle, le risate dei bambini in attesa di Santa Claus, si trovava al nord quell’anno e lì non si raggruppavano davanti alla pinata per aspettare i doni piovuti dal cielo, ma davanti al camino appendendo enormi calze di lana con la speranza di trovarle piene di regali.
Tutto questo era insopportabile per Miguel che doveva correre ogni anno in albergo e piangere con la faccia sprofondata sul cuscino.
Stava cadendo la neve, Miguel odiava la neve e aveva freddo nonostante la pelliccia che gli aveva regalato il suo amico Lupo Solitario, e ad aggravare il tutto in quel posto pieno di teste bionde ed occhi azzurri risultava quanto mai evidente che era uno straniero e quella pelliccia faceva risaltare enormemente la parte del suo sangue pellerossa.
Il risultato fu che con tutto quell’amore cristiano che sembrava aleggiare nell’aria insieme ai fiocchi di neve non l’avevano accettato in nessun albergo e perfino ai bagni pubblici non avevano voluto che facesse il bagno, dicendogli con dolorosa sincerità che se lo avessero visto lavarsi nella vasca nessun altro vi sarebbe voluto entrare. Era entrato nel saloon, ma nemmeno lì le cose sembravano andar bene per il giovane Miguel. Si erano rifiutati di dargli alcolici perché “voi pellerossa non reggete l’alcool e fate sempre dei casini”. Dopo aver risposto con malcelata ironia che la sua metà bianca l’alcool lo reggeva e quindi mezza birra gliela potevano anche dare prese un latte caldo e si sedette vicino al camino. “Cavolo” pensò “sono solo come un cane per la vigilia di Natale e non mi fanno neanche sbronzare per non pensarci ‘sti stronzi!”
Quando uscì aveva iniziato a nevicare forte. Maledizione a lui e quando aveva deciso di andare verso nord. Sospirò e si sedette sui gradini del porticato di legno. Maledetta neve, pensò. Avrebbe avuto freddo quella notte. Forse gli sarebbe piaciuta se l’avesse vista da dietro una finestra, con il profumo di tacchino e qualcuno che l’abbracciasse dicendo “Auguri Miguel, buon Natale”.
In fondo l’aveva decisa lui la vita del vagabondo, e non se ne pentiva, ma quella sera si sentiva particolarmente solo e stupido. Alzò gli occhi verso il cielo, sperando che il gelo sulle guance gelasse anche i suoi pensieri, e vide un fienile in cui forse, se riusciva ad infiltrarsi, avrebbe potuto passare la notte.

Fu proprio nel fienile di casa mia che conobbi il giovane Miguel. Era poco prima dell’alba, mi ero svegliata presto e non riuscivo più a prender sonno così ero uscita per fare due passi sulla neve, che nella notte era caduta abbondante. Mi piaceva molto la neve, mi aveva sempre dato una sensazione di pace con quel suo colore candido e con la sua capacità di attutire i rumori, mi faceva riflettere, pensare, sognare.
Era ancora buio e una strana sensazione mi portò, come in un sogno, verso il fienile. Forse la neve confondeva nella mia mente il sogno e la realtà, tanto che quando lo vidi non mi meravigliai più di tanto, come se lui e il suo cavallo fossero in qualche modo parte di quel mondo onirico in cui mi sembrava di essere. E poi era così bello, come un angelo scuro, che era lecito pensare che non fosse parte del reale. Era sdraiato supino, coi capelli corvini sparsi sulla paglia dorata. Forse sentendo i miei passi aprì immediatamente gli occhi e scattò all’indietro, con la mano già pronta a impugnare il coltello.
“cavolo mi hai spaventato!” urlò quando si rese conto che non ero altro che una ragazzina
“veramente quella spaventata dovrei essere io visto che tu, un perfetto straniero di cui non so nulla e potrebbe essere un assassino, stai dormendo nel fienile di casa mia”
“hai ragione scusa.. ma sai ero solo e avevo freddo e sono entrato qui nella speranza di non morire congelato.. e quando ho sentito i tuoi passi mi sono svegliato di soprassalto e son talmente abituato a dormire per strada e fare brutti incontri che…”
Scoppiai a ridere, era così tenero mentre cercava di scusarsi che sembrava un bambino che aveva appena combinato un guaio ed aveva paura di venir sgridato. Poi lo guardai meglio e mi fermai a pensare: quel ragazzo doveva avere solo pochi anni più di me ed aveva asserito di dormire spesso per strada, di fare brutti incontri e di aver passato la vigilia di Natale in un fienile per non morire congelato.
“devi avere una fame da lupi”
“bhe effettivamente…”
Senza nemmeno lasciarlo parlare corsi in casa. Era avanzato un po’ di tacchino e glielo portai, era giusto che anche lui festeggiasse in qualche modo.
Dopo aver mangiato mi ringraziò con un baciamano e con qualche parola in spagnolo. Ovviamente ero curiosa di sapere qualcosa in più di lui, che mi accontentò raccontandomi di come fosse un vagabondo, di come non avesse famiglia e di come avesse passato la sera precedente, in mezzo a gente che lo aveva isolato solo per le sue evidenti origini indiane.
“Posso capirti un pochino, sai io sono di origine irlandese, vedi i miei capelli rossi? Per la gente di qua sono indicativi come il colore della tua pelle.. Quando siamo venuti qua non abbiamo avuto una bella accoglienza.. A quanto pare la terra della libertà non lo è per noi stranieri”
Il ragazzo guardò fuori e vide i primi raggi del sole sbucare timidi nel cielo. Era ora di partire.
“Aspetta non ci siamo ancora presentati…”
“Sono Miguel Romero Angel Maria de Annunciaciòn senorita”
“Piacere Miguel, io sono Ann O’Connel”
“Encantado senorita, si Dios querrà nos veremos otra vez”
Dopo di che s’inchinò, mi baciò ancora la mano e si avvicinò al suo mustang, vagabondo e “bastardo” come lui, saltò in sella e si allontanò verso un cammino senza meta, un sentiero invisibile che solo loro sapevano e potevano percorrere.

 
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