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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: BISOGNO DI AFFETTO...
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: ayaco90 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 14/09/2004 17:27:26 (ultimo inserimento: 04/10/04)

ho scritto questa ff di notte, ripensando alla mia vita, sarei contenta d sentire la vostra opinione! grassie! ^___^ sul fermo-posta! xd
 
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BISOGNO DI AFFETTO...
- Capitolo 1° -

- “Bisogno di affetto” -


Ricordi…


Era una mattina come tante, una mattina d’inverno, la neve scendeva lenta e mi accarezzava il viso, l’aria fredda mi colpiva la faccia entrava gelida nel naso e scendendo nei polmoni diventava calda, bollente, come una fiamma che veloce usciva dalla bocca per formare tante nuvolette bianche come il manto di neve che si era formato intorno a me.
Mentre correvo girai la testa per osservare le impronte dei miei passi che scandivano le falcate regolari della mia corsa. I miei piedi colpivano l’asfalto, passo dopo passo, scandivano un tempo regolare, musica per le mie orecchie!
Nella testa ripetevo il percorso del mio allenamento mattutino, sulla strada per il parco e poi dentro di esso. Il parco la mattina era deserto come coperto da un incantesimo…la luce del mattino lo faceva sembrare mille volte più bello, gli alberi coperti dalla neve e colpiti dalla luce mattutina sembravano quelli di una fiaba…^//^
All’orizzonte scorsi una donna seduta vicino alla sponda del lago, che si trovava in mezzo al parco, non la riconobbi subito, mi ci volle un po’, dovetti avvicinarmi per riconoscerla…si trattava della mia prof. di matematica. O.o
Al rumore dei miei passi lei si voltò e sorpresa mi salutò con un movimento veloce della mano, io mi avvicinai e, anche io sorpresa, le dissi: “Cosa ci fa qui alle 6:30 del mattino? Suo marito la tradisce?!” - dissi scherzosa, ridacchiando un po’ -
“Ah, ah, ah!! Mi sono svegliata presto, non sapevo che fare, tutto qui. E tu invece? E io che ti pensavo una che dorme fino all’ultimo minuto!!” -mi rispose lei a tono-
“Cosa fa, sfotte?! In ogni caso io mi alleno tutte le mattine, conosco il parco meglio di casa mia!”
Solo ora mi accorsi che sorrideva in modo diverso da quando era in classe, aveva la faccia più rilassata…ci guardammo negli occhi per qualche istante e poi scoppiammo tutte e due in una fragorosa risata. Allora io mi sdraiai nella neve, fu in quel momento che mi accorsi che la prof. mi stava mettendo al collo la sua sciarpa, si alzo e disse: “Sei pazza! Uscire con questo freddo solo con la tuta…tieniti la sciarpa e ridammela a scuola. Io vado che ora che torno a casa… ^^’’ Questa volta sarò io in ritardo…!” – sorrise, un sorriso che mi era stato rivolto solo da mia mamma quando ero piccolina, così anche io mi ritrovai a sorridere in quel modo strano…in quel momento mi sentii coccolata da quel sorriso, arrossii, mi alzai veloce e mi rimisi a correre per non arrivare in ritardo a scuola –



Sdraiata in questo letto d’ospedale, in queste lenzuola fredde e rigide a guardare il soffitto bianco, tutti in stanza dormono io sono l’unica sveglia. Continuano a girarmi in testa le parole del medico… “ La tua caviglia ha subito un forte trauma, non è messa molto bene…appena sei arrivata ti abbiamo sommerso di esami e poi ti abbiamo operata d’urgenza…si, l’operazione è riuscita però tu dovrai abituarti al dolore, non potrai camminare per molto senza le stampelle…- fece un lungo sospiro, si alzò dalla sedia e si avvicino a me, si accovaccio davanti alla carrozzina e guardandomi fissa negli occhi mi disse- Non potrai più correre, saltare, insomma non potrai più giocare a basket.” - ………-
…continuano a girarmi in testa queste parole, sento un dolore lacerante, mi massaggio lentamente la caviglia, non passa.
Ora capisco perché mi era tornata in mente quella scena al parco, avevo una smania tremenda di correre, ma non era solo quello, avevo bisogno di quel sorriso che mi faceva sentire coccolata, che mi faceva sentire così bene. Sono sola in questa stanza non c’è nessuno che io conosca, mio papà, che lavora in quest'ospedale, ogni tanto passa e allora faccio finta di dormire, non voglio che si preoccupi ancora di più in fondo non è nulla di grave…, per la prima volta da quando è morta la mamma la volevo lì con me, a sorridermi con quel sorriso che mi aveva rivolto la prof. quel giorno, volevo che fosse lì anche lei. E di nuovo mi tornano in testa i miei passi, il suo sorriso, le parole del medico…come un turbine si spazzano via la mia felicità, il mio sorriso.
Fu in quel momento che capii che il dolore che mi lacera il cuore e il corpo non è quello alla caviglia, oltre a quello ce n’è un altro, uno più lacerante, è il dolore dei ricordi.

Cado…mi rialzo…cado e poi mi rialzo di nuovo.



Sembro una bambina che cammina per la prima volta, barcollo, inciampo, cado. Il fisioterapista rimane lì a guardarmi, appena accenno a cadere si avvicina e mette le mani intorno al mio corpo, non mi ferma, mi lascia provare ma se cado mi prende saldamente. Ha le mani grandi, le braccia muscolose, quando mi prende sento un calore pervadermi il corpo, subito lo scosto e ricomincio da capo. Lui non si arrabbia, mi guarda e ride…mi da una rabbia! E’ così calmo, non la sopporto la sua calma. Non capisco perché ride…ma mi da fastidio, sembra un ragazzo con cui mi sono scontrata in una partita…continuavo a spingere con la palla in mano per penetrare nell’area, lui non si spostava di un millimetro. Mi rubava tutte le volte la palla e partiva in contropiede, tutte le sante volte io gli correvo dietro e cercavo di rubargli la palla con scarsi risultati, o fallivo completamente o facevo fallo. Lui dalla linea dei tiri liberi mi guardò e disse ridendo con aria di sfida: “Che testa dura, mi piace il tuo stile! Non avrò pietà, ritieniti sfidata!”
Quella faccia è la stessa del fisioterapista, ma non capisco perché faccia così…perché mai dovrebbe sfidarmi? Perché mi deve provocare? Non capisco...l’unica cosa che capisco è che se penso al basket sento di nuovo il dolore dei ricordi, sento ancora più male, è in quei momenti che mi chiedo – riuscirò mai a ricordare senza soffrire? –
Andai avanti per molti giorni a farmi queste domande senza però trovare alcuna risposta, intanto continuavo a cadere, rialzarmi, cadere e di nuovo rialzarmi e poi:
Ancora__________________ancora.

Ritorno a scuola…



Finalmente avevo avuto il permesso del medico di tornare a scuola.
Nonostante mi avesse vietato di fare sforzi presi la metro e andai a scuola da sola, non ne potevo più, mio papà mi trattava come una bambina, qualsiasi cosa facessi lui voleva darmi una mano, perfino se volevo un bicchiere d’acqua, avevo bisogno dei miei spazi.
Non vedevo l’ora di rivedere i miei amici e la prof.! Salii le scale della metro il più veloce possibile (cioè molto piano…^^’’ ), percorsi la strada che separa la metro dalla scuola e finalmente mi trovai davanti all’entrata. Era tutto come l’avevo lasciato, che sollievo.
Stavo per varcare il portone d’entrata quando sentii urlare il mio nome mi girai
di scatto e vidi le mie amiche che tutte insieme mi correvano incontro, mi raggiunsero velocemente e mi abbracciarono tutte insieme. Che bello…mi sono mancate molto, mi è mancata la loro allegria.
Mi sommersero di domande, non facevo in tempo a rispondere che me ne facevano subito un’altra! Avevo bisogno di tutta quella felicità, di tutto quel affetto. Quando si furono ‘staccate’ le salutai e le abbracciai una alla volta, fu così che mi accorsi che una di loro aveva i lacrimoni… Quando gli chiesi: “O mamma, ho detto qualche cosa che non va?”
“Ma va! Sei sempre la solita, non se cambiata di una virgola...” - mi rispose mentre si strofinava vistosamente gli occhi. –
“Non sono mica passati degli anni, è solo passato un mese e mezzo!” - le risposi mentendo spudoratamente perché per me era come se fossero passati degli anni da quando le avevo viste a scuola, da quando avevo corso per l’ultima volta… –
“Si però mi sei mancata, e poi piango perché sono felice che tu ora puoi stare in piedi sulle tue gambe! ” – rispose dopo aver finito di strofinarsi gli occhi e sorridendo. –
Stando in piedi sulle mie gambe, è vero loro è per la prima volta dopo l’incidente che mi vedono camminare, anche se ho le stampelle posso appoggiare la caviglia per terra, che strana sensazione, non è il dolore, la sento molto diversa da prima, forse è la fascia molto stretta ma mi sembra che ci si qualcuno che me la tenga stretta come se fosse tra le chele di un granchio.
Attraversi il corridoio per raggiungere la classe con tutte le mie amiche che non mi mollavano un secondo!
Quando passammo davanti alla sala professori diedi un occhiata per vedere se c’era la prof. ma non feci a tempo a girare la testa che vidi una massa di prof. uscire per venire a salutarmi. Furono tutti gentili, perfino i prof. con cui litigavo sempre per via della mia testardaggine, del mio carattere ribelle.
Mentre stavo per entrare in classe sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla, mi girai e vidi la prof. che con il suo sorriso mi salutò e poi disse: “Come ti senti?
Ero preoccupata per te, ti fa molto male?” – mi disse lei tenendomi stretta la spalla, sembrava quasi che non volesse farmi cadere! –
In quel momento avrei voluto dirle <mi è mancata tantissimo, avrei voluto che fosse li con me a sorridere, a farmi compagnia.> invece le dissi: “Mi fa un po’ male ma ora sto meglio…” sentivo la voce che si incrinava man mano che andavo avanti a parlare, pensai <non devi metterti a piangere, NO!>, non feci in tempo a pensarlo che incominciai a piangere.
La prof. mi guardò sempre sorridendo, mi mise la mano in testa e me la accarezzo, mi abbraccio un poco e mi disse: “Su non piangere, va tutto bene dai. Vedrai che si aggiusterà tutto, sfogati quanto vuoi.” – non vedevo se sorridesse o meno, guardavo il pavimento con la vista annebbiata dalle lacrime, sentivo solo che non volevo più staccarmi da quel abbraccio, sentivo le mani dei miei compagni darmi delle piccole pacche sulle spalle, sentivo il loro affetto. -
“No prof. io piango perché sono felice di rivedere lei e tutti gli altri.” – non si capiva bene cosa avevo detto perché la voce sembrava attutita dal maglione della prof. allora lei mi scostò piano e mi disse: “Ora vai in classe. Se ti va dopo possiamo parlare un po’, ok?” –
“Grazie prof.”
Mi girai ed entrai in classe con le mani dei miei compagni che ancora mi tenevano le spalle. Era da quando avevo avuto l’incidente che non mi sentivo così bene!
In quel momento non sentii dolore, ci vuole molta felicità per non pensare al dolore, per la prima volta fui davvero contenta di entrare in classe.

Rabbia…


Sdraiata nel letto con le cuffie nelle orecchie sento distintamente le parole di questa canzone scandite da un motivetto rap che mi fa impazzire!
“…O parli chiaro o ti arrendi, dimmi cosa resterà di quello che senti, o ti confessi o ti tieni tutto dentro…ma tu-tu, ma tu, tu come staii? Uuuh!
E’ passato un po’ troppo dimmi un po’ come stai, troppo tempo che non sei quella che sai che vuoi, forse c’è qualche cosa che non và…
Ma se un giorno tu trovassi le parole, forse in quel giorno capirò le tue parole, ma adesso non riesco a non lasciarti, forse sto buttando tutto a noi senza rimpianti…” (testo degli Zero Assoluto “tu come stai”)
La canzone mi risuona nella testa e mi tornano i mente alcune parti del testo.
O parli chiaro o ti arrendi…non riesco a parlarne, non con mio papà, non con lui che mi fissa con quello sguardo pieno, pieno di compassione.
Li odio li sguardi compassionevoli della gente come se volessero dire: “Povera ragazza già zoppa a quest’età.” …vorrei girarmi e urlargli dietro a tono: “E allora?! Cosa avete da guardare?!”
Mi viene una rabbia, ma stringo i pugni e vado avanti facendo finta di non averli visti quelli sguardi, ma a volte mi salgono le lacrime agli occhi dalla rabbia, le nascondo e vado avanti a pugni serrati.
Dimmi cosa resterà di quello che senti…cosa resterà? Non lo so, non lo voglio sapere, per ora mi rimane solo un senso di amaro in bocca. I miei ricordi e le mie sensazioni ora come ora mi danno solo sofferenza, voglio dimenticare, dimenticare tutto ma non è così che funziona, ci vuole tempo e io sono impaziente, impaziente di scordare, ma quest’idea sento una stretta al cuore, non voglio!
Ma tu-tu, ma tu, tu come stai? …sento solo molto dolore, continuo a massaggiarmi lentamente la caviglia perché ho così poca sopportazione del dolore?! Merda…
Vorrei tanto prenderla a calci, ma non voglio, non posso permettermi di aggiungere altro dolore.
Ma se un giorno tu trovassi le parole, forse in quel giorno capirò le tue paure…spero di trovare le parole giuste, per riuscire a spiegare cosa sento, cosa provo, cosa mi provoca tutta questa rabbia, tutto questo dolore.

Sdraiata nel mio letto mi sento sommersa da questi pensieri, sento un turbine di emozioni girarmi in testa.
Sento le lacrime scendere e rigarmi il viso, non voglio piangere ma non riesco a smettere.
La rabbia mi ribolle dentro, piango, stringo i pugni, affondo la testa nel cuscino per soffocare i singhiozzi, vorrei tanto risentire il calore di quel sorriso.

Incidente…



Da quando era successo non ne avevo ancora parlato con nessuno, non ne avevo voglia o forse non ne avevo il coraggio?
Ma questa mattina pensai: <basta! Sei una codarda, tanto alla fine qualcuno ti chiederà com’è successo, devi parlarne non ti puoi tenere tutto dentro. Non fare la stupida!>
Quel giorno all’intervallo andai davanti all’aula professori e bussai, sentii una specie di coretto di ‘avanti’. Entrai e un prof. mi chiese: “Chi stai cercando?”
Io gli dissi chi stavo cercando e mi disse che era a fare sorveglianza fuori.
Usci dall’aula professori e andai fuori, la vidi subito.
“Prof.! Prof.!” – la chiamai e lei si voltò e mi veni in contro. –
“Ciao! Che c’è? Tutto a posto?” – mi disse lei guardandomi negli occhi. –
“A…a d-dire la verità vorrei parlare un po’ con lei…ma se ha da far…” – lei m’interruppe prima che potessi finire la frase. –
“Volentieri! Sediamoci lì, vieni.” – rispose subito lei sorridendo. –
Ci sedemmo sulle scale che collegano la suola media da quella elementare. Rimasi in silenzio per un po’ a fissare le scale poi la prof. disse: “Allora, ora come va la caviglia? Ti senti meglio?”
“Si, va un po’ meglio. Non è quello…io non so, mi sento diversa da prima… prima…” – le dissi io esitando molto. –
“Da prima dell’incidente?”
“Si…” – sentivo gli occhi pesanti. –
“Come hai fatto a farti male? Sempre che ti va di parlarne, ma suppongo tu volessi parlarmi di questo.” – mi guardò negli occhi sorridendo. –
Avevo la voce incrinata, ma parlai lo stesso.
“Stavo giocando a basket, feci una finta molto veloce mossi la caviglia prima a destra e poi a sinistra e poi di nuovo a destra ma a quest’ultima finta mi ritrovai a terra dolorante con la caviglia girata. Avevo pestato un sasso e ci ero scivolata sopra…tutto ad un tratto m-mi sono ritrovata in ospedale…è successo tutto così in fretta…mi ricordo solo la caduta, ho pensato che fosse solo una s-storta invece…” – singhiozzavo, mi faceva molto male ricordare. –
La prof. mi accarezzo le spalle, continuava a sorridere ma non era come prima, aveva lo sguardo più cupo, per un po’ non disse nulla ma continuò a consolarmi e poi mi disse: “Non è colpa tua, succede a tutti di cadere però bisogna sapersi rialzare. Sarebbe potuto succedere a tutti, a tutti, non è colpa tua, è stato il caso avresti potuto farti male in qualsiasi altro modo ma non è per niente colpa tua.”
“Più in basso di così non si può andare…”- dissi in tono sarcastico con la voce incrinata e aggiunsi: “Se non posso più giocare basket non ha senso…”
“Non devi dire così! Non dirlo, NO! Non dirlo neanche per scherzo, anche se non potrai più giocare a basket potrai fare tante cose, o no?” – mi interruppe lei prima che potessi andare avanti. –
“Ma io voglio solo giocare! E’ la cosa più importante per me, io non resisto…non ce la faccio.” - … -
Continuavo a guardare le scale, non osavo guardarla negli occhi, non riuscivo a reggere il peso di quello sguardo.
Sentivo il vento che mi scompigliava i capelli e poi ci si aggiunse la mano della prof. a scompigliarmeli, sentivo molto caldo anche se l’aria era gelata, avevo la giacca slacciata e la sciarpa molto larga che non serviva a niente, sentivo caldo lo stesso.
“Devi rassegnarti a questo fatto, non ci si può fare nulla. Mi spiace, mi spiace davvero. Io non sapevo che ti piacesse così tanto giocare a basket, mi ricordo che ti allenavi al parco la mattina ma non sapevo per cosa. Cerca di sorridere almeno un po’…dai.” – mi guardò per vedere se sorridevo, io cercai di farlo ma non venne fuori un bel sorriso, sembrava di più una smorfia, lei mi sembrò soddisfatta lo stesso. - Infatti sorrise e aggiunse: “Tuo papà cosa dice?”
“Non dice niente…” – esitai un attimo ma poi proseguii. – “Io non gli ho mai detto niente perché non voglio che si preoccupi, non è niente di grave, con la mia vita di tutti i giorni interviene solo il dolore…” – non era solo questo ma non sapevo come spiegare. –
“Il dolore, e dici poco! A me non sembra ‘solo’.” – mi disse lei un po’ sorpresa. –
“io vorrei che lui facesse come fa lei…- sentivo di nuovo le lacrime scendere, che frana che sono! - ...e poi, m-mi manca mia mamma. Quando ero a casa avrei voluto che fosse con me, avrei voluto che ci fosse anche lei.” – non osavo alzare la testa. –
“Ora sono qui. Lo so che ti manca tua mamma, mancherebbe a tutti. Puoi contare su di me, non fare così dai, non piangere, su.” – mi strinse forte, in quel momento capii di essermi affezionata molto a lei, come ad una mamma. –
Era come se tutto si fosse fermato, non sentivo il classico rumore che si sente durante l’intervallo, sentivo solo il rumore del vento e il calore di quell’abbraccio. Ogni tanto sentivo la prof. che mi diceva: “Calma, non piangere…”
Più in basso di così non posso andare, non posso più scendere, ora posso solo risalire, ha ragione lei, devo incominciare a salire. Sento che posso farcela con il suo sostegno, il primo passo l’ho fatto parlando dell’incidente, la strada è tutta in salita ma il primo passo è il più difficile e io l’ho fatto ora. Ho tanti amici e persone che mi vogliono bene, loro sono il miglior analgesico del mondo!

Smania…



Era pomeriggio e io ero sola in casa, mio papà torna sempre tardi dal lavoro, stavo studiando ma continuavo a distrarmi e così rilessi dieci volte la stessa riga del capitolo di storia che avrei dovuto studiare.
Guardai l’orologio e vidi che erano solo le cinque di martedì e a quell’ora gli allenamenti in palestra erano appena cominciati, guardai il libro di storia ma lo chiusi e mi vestii per uscire, era da tanto che non vedevo le mie compagne di squadra e Rubens, il mio allenatore.
E’ un uomo di circa quarant’anni, è brasiliano come la moglie, alto e molto muscoloso con i capelli biondi a spazzola, insegna ed. fisica alle superiori e fa l’allenatore, è un ex giocatore di basket.
La palestra non è molto lontana, ci misi una ventina di minuti, il rumore della palla e lo scricchiolio delle scarpe si sente fin da fuori, che bello sentire di nuovo quei rumori, mi riportano alla mente tanti ricordi.
Per entrare in palestra bisogna scendere molte scale, ci misi un po’, mi trovai davanti alla porta, sentivo le urla di Rubens: “E QUELLI COSA SONO? LE LUMACHE SONO PIU’ SCATTANTI!!” – che scemo! –
Sentivo il rumore dei passi, in quella palestra rimbomba tutto, sentivo anche il rumore della palla e il profumo della cera.
Entra in palestra chiamai Rubens: “Rubens, Rubens!!!” – lui si voltò e mi corse in contro tutto sorridente. –
Mi abbraccio e disse: “Ragazze guardate chi c’è!!?” - urlò così forte che si girarono tutte. –
Mi vennero tutte in contro e mi salutarono una alla volta, parlammo un po’ e poi Rubens le fece ricominciare ad allenarsi e mi disse: “Mettiamoci li, vorrei parlarti un attimo.” – ci sedemmo sugli spalti. –
Da lì si sentiva tutto, tutti i rumori che tanto mi mancavano, la palla che rimbalza, lo scricchiolio delle scarpe sul parquet, il rumore della palla che entra nella retina…che smania.
“Come ti senti?” – mi disse ad un tratto facendomi quasi sobbalzare. –
“Meglio, meglio. Non è il dolore che mi da fastidio.”
“Vuoi giocare vero?” – colpì nel segno con questa risposta. –
“…si.”
Rimanemmo tutti e due in silenzio a guardare le ragazze allenarsi, nessuno dei due voleva parlare, non sapevamo che dirci, con quelle parole ci eravamo detti tutto.
Mi riaffiorarono alla mente altri ricordi…io che correvo, il vento tra i capelli, la sensazione della palla nelle mani, il salto prima del tiro, il rumore della palla che sfiora la retina…tutto mi gira in testa come un video-clip.
Guardo rapita le mie compagne che si allenano davanti a miei occhi, stringo le mani sulla panca, non posso, non potrò mai più…non capisco il senso di andare avanti se tanto non posso…BASTA! Non devo più pensare a queste cose, devo risalire, oramai sono scesa troppo in basso.
Rubens era sceso ad arbitrare una partitella di allenamento, scendo anche io dalle gradinate e vado a sedermi vicino a lui, poso la giacca sulla panca, mi alzo e mi metto a urlare: “Forza! Manca poco alla fine!”
Rubens mi guarda da prima stupito e poi con il sorriso stampato sulla faccia, questo è il secondo passo per risalire, non posso farmi trascinare giù dai ricordi, non devo aver paura di cadere, se lo facessi ci sarebbero loro a tirarmi su.

Spiego di nuovo le ali!




Era un pomeriggio di sole, ero in casa da sola a studiare e dopo sarei dovuta
andare a fare riabilitazione.
I raggi di sole attraversarono la finestra e colpirono il libro di storia, mi accarezzarono dolcemente il viso e mi abbagliarono quando cercai di guardare il sole attraverso la finestra.
Chiusi il libro e mi alzai, mi infilai le scarpe e uscii per andare al parco, non riuscivo a concentrarmi volevo respirare l’aria fresca e farmi accarezzare il viso dai raggi di sole, odio stare rinchiusa in casa.
Non ci misi molto per arrivare al parco anche se camminavo piano, finalmente potevo camminare senza stampelle, camminavo lenta stando attenta a non cadere, da quando mi sono fatta male ho una paura pazzesca di cadere ^^’’’ infatti guardo a terra e appoggio con cautela la caviglia.
Mi sdraio sulla sponda del lago, l’erba è soffice, è rimasta ancora un po’ di neve per terra dall’ultima nevicata.
Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal rumore delle onde…che sensazione bellissima, è come se il tempo si fermasse, sento solo il rumore delle onde e se apro gli occhi vedo il cielo azzurro, mi metto la mano davanti agli occhi perché il sole è troppo forte e mi acceca. Però non mi da fastidio, anzi, era da tanto che non sentivo il calore del sole pervadermi in questo modo, mi penetra nelle ossa ed è come se mi riscaldasse il cuore.
Rimango così per un bel pezzo finche non sento una voce che mi chiama: “Ciao!”
alzo la testa e scorgo la prof. che mi guarda ridacchiando. –
Allora mi tiro su e le dico: “Salve. Ci incontriamo sempre qui noi?!”
“Già, è bello guardare il lago, soprattutto oggi che c’è il sole.” – mi rispose lei sedendosi accanto a me. –
Mi sdraiai di nuovo mentre parlavamo del più e del meno, ogni tanto smettevo di guardare il cielo e guardavo la sua faccia, non smise di sorridere neanche un attimo, pazzesco, ma come fa?
“Lei è davvero pazzesca, come fa a sorridere sempre e poi trova il lato positivo di tutto! Come diamine fa??” – mi alzo per vedere la sua faccia e lei…scoppia a ridere! – allora aggiungo: “Cosa c’è da ridere?! Cos’ho detto, uff.!” >.<
“Ah, ah, ah!! Io non sono ottimista, sono solo realista.” – mi rispose smettendo di piegarsi in due dalle risate… -
“Se lo dice lei, secondo me è ottimista e non realista, di solito le persone realiste vedono solo le cose brutte, lei il contrario.” – continuo a fissarla per vedere che faccia fa, allora mi accorgo che sorride con lo stesso sorriso di quella mattina. –
“Allora facciamo così, sono una realista con tendenze ottimistiche, ok?” – mi rispose guardandomi fissa. –
“Mmmmm…va bene!” – scoppio a ridere come non facevo da tanto tempo, mi sento benissimo, il tempo è perfetto, sono seduta vicino ad una persona a cui voglio bene a ridere e scherzare… -
“Finalmente ti vedo ridere spensierata, che sollievo.” – mi ha preso completamente in contro piede… -
Mi sdraio di nuovo senza rispondere, mi tiro i ciuffi in faccia per coprire il rossore, fisso il cielo, vedo le nuvole spostarsi e cambiare forma.
“Come va la riabilitazione?”
Mi tiro su alla svelta e guardo l’orologio, manca solo mezz’ora, me ne ero completamente dimenticata.
“Meno male che me l’ha ricordato, ci devo andare tra mezz’ora, scusi ora vado se no poi…non
la voglio la predica!”
“Facciamo la strada insieme che io devo tornare a casa, ti va?” – si alza e mi affianca mentre cammino. –
“Va bene!” – cammino sempre guardando per terra, ad un certo punto la prof. mi stringe la mano e allora io alzo la testa mentre penso <non devo avere paura, c’è lei a sorreggermi, lei e tutti i miei amici. > lei mi guarda e sorride dolce, sento di nuovo il calore di quel sorriso. –
Guardo il cielo e mi sembra di toccarlo con un dito, con le persone che amo intorno a me. Finalmente anche io posso di nuovo spiegare le ali e spiccare il volo insieme alle persone che amo!
Di più…più veloce, di più…più in alto…dove nessuno potrà mai raggiungermi!
Ora ci sono solo io e le persone che amo, sono sommersa dal calore di quel sorriso, mi sembra di essere in estate, che bello, è tornata la primavera nel mio cuore ed è tutto merito suo.


Sono passati tanti anni eppure…

Sono sdraiata sull’erba del giardino di casa mia, il cielo è azzurro e il sole mi abbaglia. Dato che ho compiuto diciotto anni mio papà mi avrebbe fatto andare in vacanza con i miei amici ma io ho rifiutato perché mi voglio riposare e poi a Milano d’estate non c’è nessuno e posso andare in centro e girare per i negozi senza essere spinta di qua e di là, posso entrare in libreria e stare sulle poltrone a sfogliare tutti i libri che voglio senza che nessuno mi dica niente, che pace, odio i posti affollati.
Fa un caldo tremendo, mi alzo ed entro in cucina, apro il frigorifero e prendo la bottiglia di tè alla pesca e ci metto dentro molti cubetti di ghiaccio, li lascio sciogliere e poi bevo il bicchiere di tè con un solo sorso.
Sento la gola fredda, che bella sensazione, è come se mi rinfrescasse tutto il corpo.
Salgo piano le scale, sono passati cinque anni da quando mi sono fatta male però sento ancora parecchio male, entro in camera mia e accendo lo stereo, metto il
mio CD preferito, “Under my skin”, l’ultimo di ‘Avril Lavigne’.
Mi sdraio sul letto, ho finito l’esame di maturità con ottantacinque, e mi sono
iscritta alla facoltà di medicina, così in queste vacanza posso stare tutto il giorno a fare quello che più mi piace dalla mattina alla sera!
Mi lascio cullare dalla musica così mi appisolo con la finestra aperta e il sole che mi riscalda le gambe.
Quando mi sveglio il CD è all’ultima traccia, “Slipped away” (scivolato via), sfogliando il libretto con i testi e le traduzioni delle canzoni del CD ho lettola traduzione di questa canzone e in fondo c’era una nota che dice che l’ultima traccia è dedicata a suo nonno che è morto. La traduzione è così:

“Na na/ Na na na na na
mi manchi/ Mi manchi da morire/ Non ti dimentico
Oh è così triste
Spero tu possa sentirmi lo ricordo chiaramente/ Il giorno in cui sei
sei scivolato via/ E’ stato il giorno in cui ho capito/Che non sarebbe più stato Oh
Na na Na na na na na
Non sono venuta a dirti addio baciandoti sulla mano/ Spero di
poterti rivedere so che non potrò/ Spero tu possa sentirmi lo ricordo
chiaramente/ Mi sono svegliata tu non ti sveglierai/ Continuo a chiedermi perché non posso accettarlo/ Non era una finzione è
successo davvero te ne sei andato/ Ora non ci sei più/ Ora non ci sei più/ Te ne sei/ Te ne sei andato
Da qualche parte dove non posso riportarti indietro/ Ora non ci sei più/ Ora non ci sei più/ Te ne sei andato/ Te ne sei andato/
Na na/ Na na na na na
Mi manchi”

Sei scivolato via…come mia mamma, in una mattina d’autunno.
E’ successo tutto così in fretta, ti ho visto morire sotto i miei occhi, l’incidente, papà che corre verso la macchina urlando il tuo nome…ero piccola e non capivo, sapevo solo che non ti avrei più rivista. Ora capisco tutto, però non cambia niente, sono passati tanti anni eppure sento ancora molto dolore, sento ancora riaffiorare le lacrime.
Mi manchi tantissimo mamma, quando mi succede qualche cosa di bello, oppure quando faccio qualche sciocchezza mi viene da pensare: <Cosa direbbe la mamma?>
Mi manca tantissimo, davvero tanto.
Scuoto la testa per cercare di togliermi dalla testa questi pensieri, non ci riesco, allora prendo il cellulare e scrivo:<Mi manca mia mamma…vorrei tanto parlare con lei…> - invio il messaggio -
Rimango una mezzora aspettando una risposta, sono impaziente, mi rigiro nel letto, mi alzo per prendermi da bere, quando sono a metà scala sento il cellulare squillare allora risalgo le scale e torno in camera, afferro il cellulare e mi affretto a leggere la risposta: <Puoi sempre parlare con me sai dove trovarmi. Stai tranquilla e goditi le vacanza più che puoi, non mollare! Un bacione la tua prof.> - … -
Quando lo leggo quasi scoppio lacrime, sono molto felice, felice di avere vicino una persona come la prof. Nonostante siano passati cinque anni da quando ho finito le medie siamo riuscite a tenerci in contatto lo stesso. Le voglio un mondo di bene! ^//^
Mi affretto a rispondere: <Sono contenta di poter contare su di lei, le voglio bene come ad una seconda mamma…>
Ci mise poco a rispondere, appena lessi la risposta mi commossi tantissimo, non riuscii a trattenere le lacrime: <Anche io mi sono affezionata a te, sono contenta e
Mi ritorna in mente il suo sorriso, sento di nuovo quel calore, che bello!
Rivedo la faccia di mia madre, così mi addormento cullata dal calore di quel sorriso e dal viso di mia madre.

Agosto a Milano…


Cammino lenta per le vie del centro, c’è pochissima gente a Milano a ferragosto.
Nelle mani ho duo o tre borse piene di libri e manga, d’estate passo molto tempo sdraiata al parco o in giardino a leggere.
Il sole colpisce la mia casacca di lino azzurra e i pantaloncini corti e bianchissimi, diventano quasi specchi che fanno riflettere i raggi del sole nei miei occhi abbagliandomi; sento il rumore dei sandali che, uno più forte dell’altro, colpiscono l’asfalto, scandendo così la mia camminata irregolare.
Mi siedo in un bar e ordino da bere, sorseggio lenta l’aranciata, mi rinfresca, intanto prendo un libro dalla borsa e comincio a leggere la prefazione, ogni tanto alzo lo sguardo e mi soffermo a guardare le persone che passano, sono quasi tutti in canottiera, sono per lo più persone anziane.
Un bambino di circa tre anni con dei bellissimi capelli biondi e degli occhi che sembrano zaffiri si avvicina al tavolo e mi guarda con il broncio, ha la faccia rotonda e le guance colorata di un rosso pastello simile a quello dei papaveri, io gli sorrido e lo saluto mentre vedo una signora di circa trent’anni che si avvicina di corsa, una corsa assai poco naturale per via degli alti tacchi a spillo, stringe tra le braccia il bimbo e mi dice tra un respiro e l’altro: “ Scusa!”
“Niente!” – le rispondo io di rimando sorridendo divertita dalla scena –
Li vedo andare via, la signora che tiene per mano il bimbo, sembra quasi che il bambino corra tanto viene trascinato!
Ridacchio un po’ e mi rimetto a leggere, ad un certo punto rimetto il libro nella borsa e mi alzo, mi guardo in torno e mi rimetto a passeggiare per il centro senza una meta precisa, semplicemente osservando le vetrine e la gente che cammina intorno a me.
Passo così tutto il pomeriggio, passeggio, osservo, leggo…quando guardo l’orologio sono già le 6.30, allora mi avvio lentamente verso la fermata della metro.
Nel pezzo di strada dall’uscita della metro alla fermata dell’autobus passo davanti alla scuola media che frequentavo più o meno sei anni fa, è uguale ad allora. I muri rossastri, le veneziane gialle, i cartelloni pubblicitari che sembrano cadere da un momento all’altro, ma rimangono lì, instabili, a barcollare, come fossero delle anime nella terra di mezzo, nella terra degli esiliati. Ci sono le stesse piante, più alte, più vecchie, lo stesso vicolo a piastrelle un po’ irregolari, la stessa entrata. E’ tutto chiuso, non è la prima volta che la suola vedo così, però non mi ero mai fermata ad osservarla, senza ragazzi seduti nei banchi o nel giardino a chiacchierare non sembra una scuola.
A vederli mi riportano alla mente molti ricordi, felici, ma anche brutti, ma quelli felici prendono il sopravvento, c’è un atmosfera troppo quieta, troppo serena solo le cose belle mi tornano in mente.
Mentre cammino con la faccia girata per osservare l’edificio mi si stampa in viso un sorriso radioso, mi piacerebbe tornare per un giorno alle medie.
Mi allontano seguendo con la coda dell’occhio la scuola finché non giro l’angolo, quando sposto lo sguardo davanti a me scorgo dietro i tetti delle villette un bellissimo tramonto, il cielo si è tinto di tutte le sfumature del rosso, le nuvole sono del colore del sangue, sembra che da un momento all’altro debbano scendere dal cielo dei goccioloni di pioggia dal colore del sangue. Il sole è giallo ocra e i suoi raggi sono molto leggeri, quasi sfocati, fanno luccicare un po’ la carrozzeria delle macchine che si riflette nei miei occhi facendomeli brillare, facendomeli diventare di un verde che non è il mio.
Si è alzata una brezza leggere, il caldo non è più afoso, si riesce a respirare grazie all’arietta che mi scompiglia i capelli, anche se sono corti si muovono alle folate del vento, sono un po’ ricci e i ciuffi mi cadono sul viso senza una pettinatura precisa, cadono come vogliono, come le foglie d’autunno, come i morti in battaglia, come i sogni…cadono e colpiscono quello che c’è sotto senza curarsi di guardare cosa c’è, come i ciuffi colpiscono il mio viso e mi coprono la visuale mentre cammino osservando il tramonto.
Un folata più forte delle altre mi spazza via questi pensieri strani, con una mano mi scosto i capelli dalla faccia, faccio un altro passo in avanti, e poi di nuovo, faccio un altro passo in avanti, perché se mi fermassi adesso non avrei la forza per fare di nuovo il primo passo. Quindi cammino e basta, senza più pensare a niente, cammino per non fermarmi, per vedere cosa ha in serbo per me il futuro, non mi fermo più, non mi ferma più niente e nessuno, cammino punto e stop.


Allora gente? vi piace? Spero d si, mi piacerebbe molto sentire dei commenti sulla ff (li sentirei anke sulla mia vita! XD) Sul fermo_posta!! XD Bacioni Aya





 
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