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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Harlem Beat
Titolo Fanfic: MOFO
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: sunburn galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/06/2004 14:06:12

solo un dannato... ma con gli occhi più belli del mondo
 
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MOFO
- Capitolo 1° -

Semplicemente non ti capisco.
Ecco il punto del giorno… la mia conclusione dopo l’ennesima giornata passata con te e gli altri al campo a tirare in quel cerchio che per te… per tutti noi è il centro del paradiso. “Centrarlo è un orgasmo” mi hai spiegato una volta. Io ti ho dato del porco… del depravato… del deficiente… il solito insomma. Si possono contare le volte che mi sono rivolta a te senza un insulto. E tu? Non che da parte tua ci sia mai stata la volontà di migliorare questa nostra precaria situazione. Dici che ti diverti… dici che mi trovi brutta… dici che sono stupida. Allora dimmi signorino, se sono davvero così scema, perché non riesco a toglierti gli occhi di dosso… e, ti prego, dall’altro della tua superiorità che annunci in continuazione, rispondimi prima che mi metta a piangere come una bambina. Si… forse hai davvero ragione tu… sono una patetica deficente. Ma è dalla prima volta che ti ho incontrato, in quel vialetto fetido dietro il ristorante, a pelare le patate che mi sento inutile… piccola. Io, che vengo chiamata, fin da quando ero in fasce, reginetta. Mizuki… la perfetta Mizuki. Mamma ha detto che è così che devo essere. Sono bella… sono intelligente… sono educata… sono di buona famiglia e sono brava in tutti gli sport. Tutti hanno sempre penduto dalle mie labbra… ma tu no, e questo mi fa impazzire. Non è così che deve essere secondo la logica. Io sono il meglio… tu un maschio che scodinzola dietro il mio fondoschiena. O al mio davanzale, come lo chiamate voi… no, tu no. Tu dici che sono piatta… una racchia. E, dannazione, quando me lo dici mi sento veramente brutta. Detesto tutto questo. Prima era perfetto. Non so ancora perché diavolo ho avuto la brillante idea di venire a cercare te… solo perché eri riuscito a fare un canestro da solo contro i three man. Per questa mia assurda mania di vincere quel torneo durante il quale ho imparato a conoscerti a fondo… sempre che sia possibile sapere tutto di te, che sei un lupo solitario, che non ti apri con nessuno, che sei in perscrutabile, che ti rifiuti di mostrare al mondo che sei solo un ragazzino… un sedicenne come molti altri. Codardo. È stato sempre in quel vicolo ceco che ho capito quanto tu sia diverso dagli altri. Stavi seduto svogliatamente su una cassa vuota, poggiata su quelle tua labbra che solitamente assumono quell’espressione sfacciatamente beffarda… e provocante quando provocatoria… stava penzolante quella sigaretta che io detesto. Non avevi nulla si particolare addosso, a parte quel cerchietto al lobo, solo una camicia bianca che ti stava troppo grande e dei jeans strappati. I tuoi ribelli capelli neri non erano pettinati con il solito gel… ma ti cadevano lisci sulla fronte spaziosa. Il tuo viso era serio e distante… delicato… sul quale spiccavano incontrastati quei tuoi occhi che ipnotizzano. Sono troppo chiari… e mi fanno pensare che tu non sia del tutto giapponese. Non ho mai capito il colore… quando te l’ ho chiesto tu hai sghignazzato un po’ e poi mi ha guardato serio… ti sei avvicinato tantissimo al mio viso… fino quando i nostri nasi si sono incontrati e ho potuto sentire il tuo respiro regolate… tutto l’opposto del mio. Ti odiavo… ma eri bello… troppo per essere vero. E intrighi… hai quell’aria del cattivo e bello dei cartoni animati… impossibile per chiunque. E mi hai detto, accarezzandomi leggermente la nuca, che non lo sapevi neppure tu… e che il mondo stesso si tiene negli occhi che a volte sono più importanti di chi li possiede. Io non ti capii affatto, ma mi scostai da te velocemente, avevo paura. Come la prima volta che ti incontrai. Avevi una bella voce. Profonda… adulta… forse anche troppo per quei tuoi tratti troppo dolci. Capii subito che tu eri tutto a parte che gentile. Ti chiesi di unirti a noi, ma tu volevi dei soldi. Mi pareva strano che qualcuno come te volesse essere pagato per fare quello che gli piace fare. Ma era proprio così. Non avevamo i soldi che desideravi… ma tu mi hai sorriso sfacciato e di nuovo mi sei venuto vicinissimo, tenendomi per i polsi e sbattendomi contro il muro. “Perché non mi paghi in natura?” mi dicesti tu, e io sentii il desiderio di ucciderti. Non so se era paura… non mi piaceva come mi guardavi. Eppure, cosa che non ti dirò mai per troppo orgoglio, desiderai immensamente che tu mi baciassi. C’è poco da dire… la parte che più mi piace di te sono le labbra. Ma non l’ hai fatto… mi hai tastato il seno solo per il gusto di vedermi arrabbiata… e mi hai detto che le ragazze non ti interessano. Sono andata via urlandoti dietro che eri un gran deficiente… ero furiosa con te e con i miei pensieri. E poi… c’è stato il girono del torneo, quando mi hanno raccontato chi eri prima. Un bravo ragazzo… ricco… la star della scuola. Ma poi tuo papà ha perso tutti i suoi soldi. E i tuoi amici ti hanno abbandonato. Ecco perché hai paura di legarti alle persone, perché temi di essere ferito di nuovo. Come ha fatto quel bastardo di tuo padre, scappando e lasciandoti solo. Di tua madre non mi hai detto nulla, so solo che è morta quando eri molto piccolo. E so che detesti chi la offende. Una volta ti hanno dato del figlio di puttana e in quattro sono dovuti venire a tenerti fermo… stravi strangolando quel tuo aggressore verbale. Non riesco a capirti quando sei arrabbiato… quando sei distante e te ne stai da solo, seduto al parco di notte a guardare la luna, o quando mi doni uno di quei tuoi rari ma bellissimi sorrisi, che mi sono indispensabili. Ti odio! Ti odio da quella sera in cui ti ho trovato solo e disperato, infagottato in quel giaccone scuro troppo grande, accucciato sempre in quel nostro vicolo, imbottito di alcol. Mi sono avvicinata a te e ho cercato di farmi spiegare che ti è successo, perché avevi un livido sulla guancia. Non ero stata gentile, ma tu hai alzato lo sguardo e mi hai fissato intensamente come mai prima. avevi gli occhi offuscati da chissà cosa… ma eri disperato. So che avevi voglia di piangere… ma non lo avresti mai fatto. Tu non sei tipo da sentimentalismi o da dimostrare le tue debolezze, lo dici sempre. Probabilmente per non permettere ne a te stesso e agli altri di affezionarsi. Perché tu sei effimero. Ecco perché piansi io, e non ne so tuttora il motivo. Ero stufa di fare la dura… ti ho abbracciato più forte che potevo. Ma tu non mi hai ricambiato. E poi… hai di nuovo alzato il viso vicino al mio… troppo vicino per il mio cuore… “sei bella… sei maledettamente bella dannazione…” mi hai sussurrato a fior di labbra. E mi hai baciata come mai avevo permesso di farlo a nessuno. Mi sei entrato dentro… hai esplorato il mio palato con la lingua… e mi sono scoperta a ricambiarti con la stessa disperazione… con la stessa malinconia… con la stessa urgenza. E desiderio. Ho sentito un liquido caldo dentro il mio corpo per la prima volta. Lo stesso che da un po mi scorre dentro quando ti vedo. Non so quanto quella notte siamo rimasti li abbracciati, al buio, a baciarci senza dirci nulla. Poi tu ti sei alzato di scatto e mi ha guardata con una espressione nuova. Una espressione stupefatta. Ti sei strofinato forte le labbra, dopo averci passato sopra la lingua. E sei scappato via. Che cosa devo fare con te? Da quel giorno hai fatto finta che non sia successo nulla. Eppure… quando siamo rimasti da soli mi hai abbracciato da dietro. Pensavo di essere rimasta solo io al campo… invece… quando ho sentito quelle braccia attanagliarmi a un corpo robusto… un forte odore di maschio… quel tuo odore al quale non so dare un nome… sai di benzina… sai di fumo… sai di notte… sai di te. Labbra roventi erano calate sul mio collo fragile. Io volevo urlarti di sparire, che ti odiavo. Ma, quando mi sono girata, di nuovo non c’eri più. Ho urlato più forte che potevo il tuo nome… quel nome che odio… ho gridato che ti detesto… e ho sentito le tue risa. Eri ancora lì… con il pallone in mano. E io piangevo. Mi sono avventata su di te e ti ho tempestato di pugni… e tu ridevi di me e questo non lo sopporto. Non sono una bambina, ti ripetevo. E tu? “Dimostramelo…” hai detto quel quella voce suadente… che sa di sesso. Che implica sesso più che esplicitamente. E sesso fu… tra noi due, acerrimi rivali. Mentirei se mi scusassi dicendo che non sapevo che stavo facendo. Io ne ero perfettamente consapevole. E mi è piaciuto… troppo. Non mi fai fatto male quando sei entrato in me… era la prima volta. Non ho sentito nulla… o forse si ma ero troppo eccitata per rendermene conto. Tu sei una specie di macchina da sesso. E questo mi irrita non poco… perché non è finita così… non mi hai detto paroline dolci… non una carezza dopo il sesso… nulla. Eppure… quasi tutte le notti ti presenti sotto casa mia, quando sai che mia madre non c’è… ti faccio entrare. Tu mi chiedi da bere… io dico “niente alcol” e litighiamo. E qualche ora dopo siamo abbracciati e nudi nel mio letto. Anche ora… sei qui accanto a me, con la solita maledetta sigaretta tra quelle labbra da modello… delle quali io so perfettamente il sapore. Sei sfacciato… e non hai un minimo senso del pudore. Sei tranquillamente nudo con quel tuo corpo robusto… ma che sa essere fragile… quel perfetto corpo… sotto i miei avidi occhi. E mi viene voglia di farlo ancora. E tu lo sai dannatamente bene… e ridi di me… della mia timidezza fuori luogo perché mi copro sempre… nonostante tu conosca il mio corpo in tutte le sue forme… che stanno aumentando. Quando ti ho chiesto perché lo facciamo tu mi hai risposto serio che ti sto pagando per il torneo. Non so se è veramente così. Ma per ora ci fa comodo. E non mi hai mai chiesto perché lo faccio io… perché mi piace passare le unghie sulle tua schiena fino a graffiarla… (se qualcuno te la vede ti trascina al pronto soccorso) perché mi sento un po’ puttana e sono felice con te… perché apro le gambe per te… ma egoisticamente anche per me. So che non saprei rispondere… tu mi piaci. Non so se sia amore… ma è qualcosa di simile. Magari un giorno prima o poi tutti i due ci sveglieremmo dicendoci “Ti amo”. Sai… non credo mi dispiacerebbe. Tu sei il più grande bastardo di questo mondo… ma l’unico che mi fa arrabbiare… emozionare… piangere… ridere… godere. E va bene… perché a volte mi sorridi…
- Senti… - ti tocco leggermente la spalla piena, ma tu non ti volti – ma me lo vuoi almeno un pochino di bene?
Non smetti di ciccare. Sospiri – Un po’… - accenno un sorriso che nascondo con il lenzuolo, alzandolo fino al naso – Ehi…
- Si? – dico io. Sono abituata ai tuoi ehi… non mi hai mai chiamata per nome.
- … E tu?
- Idem… - tu annuisci piano. E ti bacio la tempia. E gioco con i tuoi capelli. Si… credo che prima o poi il “Ti amo” ci sarà.
- Sawamura? – potrei chiamarti anche Masahiro… ma non mi piace il tuo nome… e so che non piace neppure a te. Siamo intimi… ma io ti chiamo per cognome… niente suffissi tipo Machan… mi uccideresti… e tu non mi chiami affatto.
Ti sei alzato, donandomi una perfetta visuale del tuo perfetto fondoschiena… che molte mie amiche ha fatto andare in calore. Ti siedi sul davanzale della finestra e io guardo il tuo profilo… ho provato a farti una foto ma tu ti sei arrabbiato. Ti chiederò anche perché, prima o poi… - Che c’è adesso?!
- Sorridi… ti prego…
Quelle tue perfette labbra si inclinano… dolci… ti amo…

…NON SI RESISTE AL SORRISO DEGLI ANGELI…

 
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