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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: SWEET MERMAID
Genere: Azione
Rating: Per Tutte le età
Autore: raizen galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/03/2004 21:21:02 (ultimo inserimento: 12/05/04)

e` ora di salpare ... inizia una nuova avventura per i mari... questa storia parla del piccolo equipaggio della dolce sirena (la sweet mermaid, appunt
 
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CAPITOLO 1
- Capitolo 1° -

Un vecchio guardava malinconico il mare, era seduto su una spiaggia. La sua pelle era scura per la troppa esposizione al sole durante la sua vita, la barba era grigia e ormai raggiungeva una lunghezza di diversi centimetri, i suoi occhi erano azzurri intensi e rispecchiavano l’immenso fuoco che ardeva ancora nel corpo dell’uomo.
Un piccolo bambino lo raggiunse a corsa e con le esili braccine gli cinse il collo dell’anziano.
I due avevano gli stessi occhi vispi, il bambino sembrava il passato vivente del vecchio.
“Che cosa stai facendo, nonno?” chiese il piccolo con la sua vocina squillante.
“Osservo il mare…” E dicendo ciò afferrò il bambino e lo pose gentilmente sulle sue gambe.
Il piccolo guardò il mare attentamente, come se cercasse di trovare qualcosa di particolare, poi non trovando niente rinunciò.
“Ma non c’è niente, è sempre il solito mare”
Il vecchio sorrise.
“Il mare nasconde tantissime cose, ha una sua anima. Può essere agitato oppure calmo. Può decidere le sorti degli uomini che ne solcano le acque. Non sai mai cosa può serbarti un viaggio in mare e proprio in questo sta la sua bellezza.” Sospirò.
Il bambino lo guardò perplesso, provocando una piccola risata del nonno, che subito dopo gli scompigliò i capelli.
“Un giorno capirai”
Il bambino lo guardò con uno strano sorriso, sembrava volere qualcosa. Il vecchio capì subito il pensiero del nipotino:
“Vuoi sentire una storia?”
Il ragazzino urlò un lungo ed entusiastico “si”. Allora il vecchio iniziò a raccontare …

Me ne ero andato da poco via di casa e viaggiavo per la città con il fagotto, contenente le mie cose, appoggiato sulle spalle. Stavo cercando una di quelle locande piene di pirati e per trovarne una dovevo dirigermi verso il molo.
Ormai l’oscurità aveva avvolto la città quando raggiunsi un’osteria: il posto non sembrava proprio un albergo di lusso. L’insegna penzolava staccata per metà e le scritte erano diventate illeggibili da chissà quanto tempo. La porta mancava di un cardine e assumeva una posizione alquanto obliqua e pericolante, i vetri delle finestre per la maggior parte erano rotti. Dall’interno giungevano urla e schiamazzi.
Non ebbi dubbi, quello era sicuramente il posto che stavo cercando. Ma, nonostante la forte convinzione di volermi imbarcare su una nave pirata, ero intimorito da quello che avrei potuto trovare all’interno del locale, in fondo per me era un mondo nuovo, quello. Il mondo dei pirati. Ne avevo sentito soltanto parlare dalle persone, mi aveva sempre affascinato, ma non sapevo se era tutto come mi era stato descritto, oppure si trattava solo di leggende. Scossi la testa come per scacciare quei pensieri dalla mente. Inspirai ed espirai un paio di volte e mi decisi ad entrare.
La porta cigolò sonoramente quando entrai.
Il locale era completamente costruito in legno, le maggior parte delle pareti erano rivestite con placche di legno ed esso era stato utilizzato anche per il pavimento, che scricchiolava al mio passaggio; i tavoli e le sedie erano anch’esse del materiale legnoso. Il posto era gremito di persone di ogni tipo e genere, tutti intenti a bere a più non posso e a conversare animatamente ad alta voce.
Mentre camminavo verso il bancone, sentii gli occhi di tutti puntati su di me, probabilmente era strano vedere entrare in un luogo simile un ragazzino della mia età.
Mi avvicinai al bancone facendo finta di niente, nonostante riuscissi a malapena a muovermi in linea retta per l’imbarazzo. Non mi piaceva essere fissato in quel modo, mi metteva in soggezione e non riuscivo più a fare nemmeno le cose più elementari.
Mi appoggiai con le braccia al bancone e stetti lì qualche secondo ad osservare l’oste, un omaccione grande e grosso, che stava pulendo un boccale con uno straccio.
L’igiene non era certamente il liftmotiv di quell’osteria: il bancone era un mare di birra e altre sostanze alcoliche, frammentato da scogli di cenere e briciole, lo straccio che usava l’uomo, come anche il suo grembiule, aveva uno strano colore marrognolo. Sicuramente sarebbe stato meglio non bere niente in un posto del genere, se non obbligati.
Accanto a me c’erano uomini che tracannavano birra in quantità industriale, i loro boccali erano più simili a piccole botti che non a bicchieri. Molti parlavano ad alta voce, concludendo ogni discorso con un sonoro rutto, altri, addirittura, intrattenevano gli amici componendo intere scale melodiche con ogni tipo di flatulenza.
L’oste pareva non avermi visto, allora mi feci coraggio:
“Ehm – ehm… Sc - scusi…” dissi timidamente.
“Chi è che parla?”
L’uomo si sporse in avanti sul bancone, allungando il collo, e guardandosi intorno come se cercasse qualcosa che non riusciva a vedere. Gli uomini intorno a me scoppiarono a ridere e subito anche il locandiere fece loro eco.
Maledetto gorilla, pensai fra me. Che rabbia mi facevano le persone che si credevano superiori solo perché avevano qualche anno in più o solo perché erano meglio messi fisicamente.
Mi trattenni a stento dall’offenderlo e lo guardai torvo, aspettando che smettesse di sghignazzare.
Dopo un po’ per la mancanza di fiato soffocò la risata e si rivolse a me:
“Che cosa vuoi, piccoletto?” chiese, scandendo bene l’ultima parola.
“Sto cercando un imbarco” risposi velocemente e l’uomo scoppiò in un’altra risata, ma questa volta non ci feci molto caso perché me l’aspettavo una reazione simile da mister simpatia.
“Gli unici pazzi che potrebbero prenderti a bordo sono quelli della Sweet Mermaid”
Continuava a ridere, mentre mi indicava un tavolino in un angolo in cui erano seduti cinque uomini.
Li osservai per qualche momento, uno ad uno: quello più vicino a me aveva dei lunghi capelli che cadevano da sotto una bandana rossa, sopra di essa portava un cappello nero. Probabilmente quello doveva essere il capitano, dissi fra me. Alla destra di questo c’era un uomo con un aria torva sul volto, che masticava continuamente qualcosa. Ancora più a destra, un uomo enorme occupava per intero un paio di sedie, aveva la stazza di un elefante, era pelato e aveva il volto pacioccone tipico di un bambino grassottello. Poco più in là un vecchietto strimizzito tracannava litri di birra attaccato al collo di una bottiglia, aveva perso quasi tutti i denti e portava degli occhiali con delle lenti spesse un paio di dita a dir poco. Per ultimo vi era un tipo dalla pelle nera, stava a petto nudo e in testa aveva legato fra i capelli un grosso osso, aveva l’aria distratta e guardava il soffitto con occhi vacui.
Che ciurma strana, era sicuramente una delle più strane che avessi mai visto, anche se in realtà non ne avevo mai viste altre. Così a prima vista sembravano tipi simpatici e allegri. Mi decisi a farmi avanti, non ci avrei rimesso nulla, al massimo avrei ricevuto soltanto un rifiuto, nulla di più.
Mi lasciai alle spalle mister simpatia che continuava a sghignazzare senza sosta e mi diressi verso il tavolo degli uomini. Mi feci strada fra gli avventori della locanda, quasi non fui travolto da un uomo ubriaco che, dondolando sulle gambe posteriori della sedia, era collassato a terra.
Quando arrivai abbastanza vicino al loro tavolino mi schiarii la voce per attirare la loro attenzione:
“Ehm – ehm…”
I componenti della ciurma si voltarono verso di me, curiosi di vedere chi aveva richiesto la loro attenzione. Quello che pareva il capitano mi osservò per alcuni secondi, poi mi rivolse la parola sfoderando un sorriso a 32 denti, uno di quei sorrisi che lambiscono entrambe le orecchie. Mi colpirono subito i suoi denti: erano bianchissimi, di un coloro innaturale.
“Cosa desideri, ragazzo?” chiese gentilmente l’uomo.
Si iniziava bene, almeno questo non lo aveva preso in giro per la sua età o per la sua statura.
“Sto cercando un imbarco” risposi pronto come se qualcosa potesse fuggire da un momento all’altro.
Guardai tutti ad uno ad uno, aspettando che scoppiassero a ridere anche loro, ma non accadde. Tutti avevano dipinto sul volto lo stesso sorriso gentile e comprensivo del capitano, tranne il vecchietto che era ormai ebbro di birra e stava cantando una strana canzone biascicando le parole.
“Ma certo, capisco – riprese il capitano, facendo segno di si con la testa – Cosa sai fare?”
“Un po’ di tutto, signore!”
Vide il capitano sorridere di nuovo, poi si voltò verso gli altri e questi diedero il loro assenso con aria compiaciuta.
“Ragazzo mio, capiti al momento giusto, - sfoderando uno dei suoi micidiali sorrisi – avevamo proprio bisogno di un mozzo…”
Mi guardò fisso negli occhi aspettandosi una risposta a quell’ultima affermazione e non lo volli fare aspettare:
“A me va benissimo qualsiasi occupazione!” dissi entusiasta di per aver trovato finalmente un posto su una nave, che era sempre stato il mio sogno fin da piccolo.
“Allora benvenuto nella nostra ciurma! Come ti chiami, ragazzo?”
“Galt, signore”
“Smettila di chiamarmi signore!” Mi tirò una pacca una pacca su una spalla con fare scherzoso, peccato che stava quasi per frantumarmela, ma non lo diedi a vedere, poi urlò:
“Oste, una birra!”
Sentii il locandiere sghignazzare di nuovo dietro il bancone.
“E adesso le presentazioni” disse solare il capitano “Io sono Jack Le Roy, capitano della Sweet Mermaid, mi chiamano anche Jack Sorriso-Abbagliante, magari avrai capito perché” Sorrise di nuovo mostrando chiaramente i bianchissimi denti. Poi riprese le presentazioni:
“Questo, invece, - disse battendo la mano sulle spalle dell’uomo dall’aria torva accanto a sé – è Joe SputoLetale, il mio vice, non è un tipo molto socievole” L’uomo lo fulminò con lo sguardo. Il capitano sorrise nervoso e gli dette un’altra pacca su una spalla: “Stavo solo scherzando, Joe. Comunque attento ai suoi sputi, alcuni raggiungono velocità impressionanti, sempre meglio non essergli a tiro. Quel barilotto – si riferiva all’uomo dalle dimensioni di un elefante – è Stan lo smilzo.”
“Barilotto a chi?!?” Disse l’uomo tentando di incutere più paura possibile, ma il suo tentativo non ebbe molto successo, non aveva proprio un aria aggressiva, anzi tutt’altro. Il capitano sorrise di nuovo e continuò a parlare:
“E’ il nostro cuoco di bordo, è bravissimo nel suo lavoro” Vidi che Stan stava arrossendo “Però ha l’unico difetto di non riuscire a controllare le sue flatulenze, quelle si che sono davvero letali, sono anche la sua arma segreta per i momenti di pericolo. Non ti dico quante volte ci hanno tirato fuori dai guai.” Jack interruppe un attimo la spiegazione per bere un sorso di birra, poi riprese:
“Quello, invece, è Faust occhi di falco” disse indicando il vecchietto. Lo guardai meglio, mi soffermai particolarmente sugli occhiali: beh, non sembra proprio un soprannome azzeccato, deve essere cieco come una talpa, pensai fra me. Mi salutò con un hic e alzò la sua bottiglia verso di me.
“E’ il nostro artigliere di fiducia, un tempo riusciva a colpire con una cannonata una formica a cento metri di distanza, ad occhio nudo naturalmente, ma con la vecchiaia ha perso un po’ del suo talento, adesso ha bisogno di alcune protesi. – indicò i fondi di bottiglia che aveva come lenti – Ora lo vedi un po’ così, ama bere, è il suo unico vizio, ma per il resto è un tipo apposto.”
“Ahrr! Io un tipo, hic, apposto? Per il corpo di mille balene, hic, non dire mai più cose del genere poppante!”
Il cuoco si volse verso di lui e lo colpì forte sulla testa.
“Per tutti i sette mari!” il vecchietto iniziò a ondeggiare in qua e là sulla sedia, poi di schianto cadde sul tavolo privo di sensi. Poi il gigante mi rivolse un enorme sorriso.
“Eheheh! Stan non è proprio un tipo fine, ha i suoi metodi un po’ brutali, ma a volte sono utili.” Si schiarì la voce e poi riprese le presentazioni:
“Infine e non ultimo per importanza, la nostra vedetta, direttamente dalle foreste selvagge del sud, Mercoledì” L’uomo sembrò risvegliarsi all’improvviso da un sogno, si guardò un attimo intorno perplesso e dopo mi fece segno di saluto con la testa e mi sorrise.
“Piacere di conoscervi, ragazzi” dissi alla fine.
Nel frattempo l’oste, che non aveva ancora smesso di ridere, mi aveva portato un boccale di birra. Provai un certo disgusto quando guardai meglio il bicchiere, che non era proprio pulito, ma non mi feci molti problemi, quando tutti alzarono in alto i calici.
“Un brindisi al nuovo arrivato!” esclamò il capitano.
I boccali cozzarono alti sopra il tavolino e un mare di birra investì la superficie di legno.
“Giù tutto in un sorso!” lanciò la sua sfida Stan e tutti, compreso io, l’accettarono e bevemmo tutto il contenuto dei bicchieri alla goccia. Mi asciugai la birra colata dalla bocca con la manica della mia camicia.
Il cuoco si apprestò a vedere l’esito della sfida, voltò ad uno i boccali e contò le gocce che ne caddero, peccato che da nessuno di essi ne cadde nemmeno una. Ci fu un boato.
“Ragazzo, sei un bevitore incallito, eh?” si complimentò con me il capitano.
“Andremo d’accordo” mi disse Stan.
Tutti ordinammo altri boccali di birra e continuammo per circa un’ora a brindare alla mia salute, poi l’ebbrezza si fece largo fra noi e iniziammo a brindare per qualsiasi cosa. Mi ricordo che brindammo anche alla salute di un topolino che era apparso da un piccolo buco nella parete. Quello che successe dopo lo ricordo solo a sprazzi: facemmo ancora qualche giro di bevute e poi ci incamminammo lungo una banchina. Mi ricordo che non riuscivo a reggermi in piedi e il capitano mi aveva preso sulle sue spalle, mentre Stan reggeva per il bavero della camicia il povero Faust. Ricordo solo in parte il commento di Jack a proposito della grande gentilezza del suo cuoco, dopo pochi secondi mi addormentai.
 
Continua nel capitolo:


 
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