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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: La Stirpe delle Tenebre (Yami no Matsuei)
Titolo Fanfic: ANASHI NO MURAKI
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: kohay galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 28/02/2004 15:46:01

vi siete mai chiesti cosa possa celarsi dietro un camice bianco e due occhi argentati?
 
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CAPITOLO PRIMO
- Capitolo 1° -


La prima cosa che un essere umano vede alla propria nascita è la propria madre. Questo non è sempre vero. Innanzi tutto, il primo volto in assoluto che si guarda appena aperti gli occhi è quello del medico che ha agevolato il parto. Io non ho visto neanche quello.
Io non sono altro che un esperimento ben riuscito, da alcuni punti di vista sono ancora incompleta, ma funziono abbastanza bene da essere considerata un successo. Quando sono nata intorno a me c'erano medici, ma questi avevano il camice immacolato e brindavano alla mia nascita.
Non sono mai cresciuta. La mia altezza è rimasta quella di sempre, anche se i miei anni passavano veloci, non ho mai visto il mio aspetto cambiare. Al massimo, ho visto invecchiare il mio creatore e crescere i suoi due figlioli. Per quanto riguarda sua moglie, io l'ho sempre saputa sdraiata a letto nella camera dove neanche a me è permesso di entrare.
Non sono qui per elencare le molteplici funzioni del mio iper corpo robotico, ma per riferirvi quanto segue. La storia triste e tragica della fine di un uomo, e della nascita di un'altra persona.
La storia di uno dei miei tre padroni.
La storia di Muraki.

Muraki nacque il 4 dicembre 1956 nell'ospedale di Tokyo dove lavorava suo padre. La madre già allora mostrava segni di squilibrio mentale, anche mentre portava la gravidanza.
Eppure nessuno psicologo li avvertì di probabili danni: la psicologia della madre non entrava in contatto con il feto, quindi si deduceva che non c'era da allarmarsi se lei era completamente fuori di senno.
Quando tornarono a casa, ricordo che il dottor Kazutaka teneva in mano un fagotto solo, non due. Sua moglie si ritirò in camera, e non volle più vedere quel neonato che, puntuale ogni giorno, richiedeva di essere accudito. D'altronde il dottore doveva lavorare, quindi fu affidato a me.
Di quella che fu la sua storia prima che iniziasse a capire e a parlare posso solo dire che il suo sguardo mi è rimasto impresso. Quell'espressione ingenua che nessuno mai potrà levargli dal viso mi aveva colpita davvero, e per quanto potessi commuovermi io, che sono una macchina, lo facevo con gioia.
La madre, la signora Kazutaka...da allora non la vidi più. Si chiuse nella sua stanza, nella parte più alta dell'intera villa, e stette lì, a guardare fissa il cielo senza proferire parola, o bisogno di mangiare. Ogni volta che suo marito rientrava in casa la trovava fissa come una statua, e non riusciva a smuoverla. Ricordo che tornava dalla sua camera abbattuto e sconfitto, poi guardava me, con in braccio suo figlio e sorrideva. Almeno qualcosa di buono, oltre al piccolo Muraki, aveva fatto nella sua vita.
La famiglia Kazutaka teneva molto all'onore. Il padre fantasticava su una futura vita del figlio: spesso mi chiamava per scambiare due chiacchiere con la sua creazione, mi confidava che voleva che Muraki diventasse medico e continuasse la tradizione di famiglia, e in cuor suo sapeva, mi disse, che ci sarebbe riuscito.
Era un padre buono. O almeno con me e con suo figlio Muraki lo è sempre stato.
Ho imparato io a Muraki l'alfabeto. La sera, prima di addormentarsi, invece di cantargli filastrocche senza senso, gli parlavo in inglese. Ripetevo costantemente queste azioni ogni giorno, finché una volta mi sentì chiamare per nome.

-Hito...Hito...*
(*in giapponese, essere umano)
Sentirmi chiamare così mi diede una strana sensazione. Il padrone mi aveva chiamata "Ayamatta Hito", cioè l'essere umano falso, una banale imitazione di una vita, nata dal desiderio marcio di avvicinarsi alle divinità e di creare esseri secondo il proprio volere, per poi garantirsi il proprio dominio su di essi.
E Muraki, per la prima volta, mi chiamò invece "essere umano".
Forse a me non dispiacque. Forse era troppo piccolo per poter capire cosa aveva detto, ma io pensai che lui non mi avrebbe mai considerata solo un pezzo di latta. Avrebbe dato posto anche a me, che lo avevo cresciuto la posto della madre, nel suo cuore grande.
Quando il padre lo sentì chiamarmi, ne ebbe un sussulto. Da allora decise di abbreviare il mio nome, per far in modo che mi chiamasse anche il piccolo.
Io ero Hitori. Non un essere umano, non una persona, ma neanche un'imitazione.
Ero qualcuno. E questo solo grazie a Muraki.
Presto cominciò ad associare al mio nome il vezzeggiativo ki ki, e quando faceva quel verso, sapevo che cercava me.
Mi chiedeva spesso di leggergli delle favole, e io mi recavo al negozio a comprare i libri adatti, finché non scoprì le meraviglie di internet e, collegando i cavi al mio sistema di alimentazione, le scaricavo direttamente da lì. E allora non ebbi più motivo di muovermi di casa.
Muraki riempiva le mie giornate. Con sua madre chiusa su nel suo silenzio e il padre al lavoro costantemente impegnato, passarono le ore, i tramonti e le albe, e poi i giorni, i mesi, gli anni.

-Hitori!!!- sentì i suoi passi avvicinarsi. Aprì la porta dello studio -Hitori oggi è domenica, papà tornerà tra poco, vero?-
La gioia che metteva nel conoscere le cose, nei suoi primi anni di vita era sconvolgente anche per me.
-Sì, Kazutaka-
-Tra quanto?-
-Pochissimo-
-Quanto, pochissimo?-
-Mezz'ora...-
-Hitori, sii precisa!-
-Trentadue minuti e... se tuo padre è preciso come l'orologio che mi ha impiantato, almeno quaranta secondi-
-Parte il timer! Trentadue minuti e quaranta... trentadue minuti e trentanove...-
-Kazutaka, tengo io il conto-
-Ah... grazie... l'avevo già perso...- lo sguardo curioso e imbarazzato -Che fai?-
-Sto leggendo un libro sull'Astronomia-
-Che cos'è?-
-La scienza che studia i pianeti-
-Io da grande farò il medico, papà mi ha già detto tutto-
-Detto cosa?-
-Come si opera un bypass-
-Lei è precoce come sempre, signorino-
-Hitori, io sono Kazutaka-
-Sì, ma io sono stata programmata per rispondere così-
-Tu sei mia sorella? Sei mia mamma?-
-No, sono il vostro maggiordomo. Tua madre è la donna al piano di sopra-
-Questo lo so... papà mi ripete sempre che lei è mia madre, ma io... non l'ho mai vista...pensavo che fossi tu...-
-Kazutaka, io ho quasi dieci anni di vita compiuta. Noi siamo quasi coetanei, poiché io sono nata un anno prima di te. Ma il mio corpo è quello di una donna, era così quando sono nata, e sarà così quando smetterò di funzionare. Non paragonarmi alla donna che ti ha messo al mondo. Io non posso generare, sono una macchina-
-No! Tu non sei una macchina, tu sei mia amica... e io con te sto bene...-
Vedere il volto bambino di Muraki che, triste, mi chiedeva di credere anche io nel suo sogno era il massimo per me. Lui voleva che io fossi sua madre. Una persona in cui riconoscersi. Muraki era cresciuto secondo i miei metri di giudizio, impiantati nella mia memoria da suo padre e riadattati da me, libertà che potevo non prendermi.
Si era avvicinato e mi aveva tolto il libro dalle mani, si era seduto sulle mia ginocchia e, quasi piangendo mi aveva abbracciata. Se io gli avessi detto di sì, lui mi avrebbe chiamata mamma.
-Kazutaka...io...-
Ma in quel momento suo padre tornò a casa. Fece più presto del previsto. Ultimamente i suoi orari cambiano continuamente: vi sono giorni in cui non si fa vedere neanche per cena e giorni in cui torna per il te delle cinque. Muraki sentì la porta aprirsi e corse ad accoglierlo, festivo. Io lo seguii. Mi faceva molta tenerezza quel suo atteggiamento.
Ma a pochi passi dalla porta, lui si fermò.
Io sentii due diverse voci sull'uscio, e solo una era quella del padre di Muraki.
-Abbiamo...ospiti, signor padrone?-
Vicino al dottor Kazutaka c'era un bambino, forse di poco più alto di Muraki.
-Ah, Hitori, eccoti. Così ci siete tutti e due e posso fare le presentazioni. Questo è Saki, mio figlio e tuo fratello, Muraki.
Muraki e Saki si fissarono a lungo.
Infine l'altro parlò -Piacere di conoscerti, Kazutaka...-
Di domande da fare ce n'erano fin troppe. Da dove era saltato fuori? E perché nessuno sapeva niente? Educatamente, non fece strane richieste davanti a lui, ma cercò di sapere qualcosa in più dal padre, anche se quelli che collezionò furono solo insuccessi clamorosi.
-Lui è tuo fratello! Che c'è? Che vuoi sapere altro? Non ti basta la mia parola? Non ti basta la parola di tuo padre?- ecco le risposte che ottenne.
Ma era così curioso che venne da me.
-Hitori...- si guardò intorno, sicuro che ci fossimo solo noi nella stanza -Hitori, ma tu sai chi è quel ragazzo di là?-
-Kazutaka, se tuo padre dice che è tuo fratello, io devo dire così- risposi quasi obbligatoriamente -E' tuo fratello-
-Io non ci credo. Insomma, lui anche più grande di me. Dov'è stato per tutto questo tempo?-
-Forse non ti è dato saperlo-
-Uhm... Hitori, quando è pronta la cena?-
-Fra un attimo. Ritorno in cucina e porto i piatti-
...
Da quella sera ci sarebbe stata una persona in più per la quale cucinare. Saki e il dottore scesero puntuali, mentre Muraki era già seduto da molto tempo.
Portate le pietanze, il padrone augurò il buon appetito e tutti iniziarono a mangiare.
Io decisi che era buon educazione lasciarli da soli a mangiare. Muraki aveva domande che solo al genitore poteva porre.
Però...
-Siediti anche tu a mangiare!- Muraki mi chiamò, scatenando la sorpresa nel padre e in Saki.
-Kazutaka... ma cosa dici? Hitori è solo il nostro maggiordomo, perché dovrebbe? E poi lei non può neanche mangiare!-
-Però io posso stare seduta-
Non so cosa mi prese. Sentì il bisogno di stare vicino a Muraki più di quanto già facessi.
-E va bene. Siediti con noi-
-Padre...- intervenne Saki. La sua voce era calma -Ma come hai fatto a costruirla? E' perfetta!-
-Hitori è il mio orgoglio. Non mi ha mai deluso, sa fare ogni cosa e apprende molto velocemente. E' perfetta, hai detto bene, Saki...-
-E' bellissima...-
-Unico suo difetto, non è reale...cioè, è solo una macchina, è vincolata a me e a tutto il resto. Per quanto perfetta sia, non sarà mai umana...-
-Già...- e i due presero a ridere in modo folle e composto, proprio come padre e figlio.
-Lei è reale!!!- Muraki si alzò in piedi e urlò.
Io non aggiunsi altro. Era già grande la libertà che mi ero presa di sedermi al tavolo.
Saki si alzò e raggiunse il fratello alle spalle, mentre Muraki fissava il suo piatto ancora integro.
Saki lo abbracciò da dietro con un braccio al collo e uno sull'addome, e gli carezzò il viso con una mano.
-Lo so, Kazutaka... ti senti quasi impaurito da me... temi che io ti porti via tutto quanto? Tuo padre, la tua famiglia... persino quel robottino
carino laggiù... vero?-
-Lei non è un robot-
-E che cosa rappresenta per te?-
-Lei mi è stata vicina quando papà non c'era, e mi ha insegnato quello che so-
-Per questo forse è ora che voi due andiate a scuola, e che tu, Kazutaka, lasci a Hitori solo le mansioni di casa. Penseranno dei veri professori alla vostra istruzione. Da domani prenderò provvedimenti-aggiunse severo il signor Kazutaka.
Che colpa aveva quel bambino per essere trattato in questo modo?
La sola voglia di spiccare il volo con le sue ali una volta tanto?
Ammiravo quel suo coraggio, se tale poteva dirsi, e ammiravo in lui ogni cosa. La purezza, la modestia, la compostezza e il buon carattere. E a ripensarci adesso… ora che molti lo definiscono un’imitazione diabolica del dio degli inferi… quelle qualità gli furono fatali, e furono proprio quelle a sconvolgerlo tanto.
Poiché, se solo fosse stato vile come il fratello, ora… non avrebbe cambiato se stesso solo per Saki.
Muraki era un fiore che tutto si aspettava tranne di essere colto dalle mani inesperte di qualcuno che ci avrebbe giocato a strappargli i petali. Tutto credeva tranne che qualcuno gli avrebbe negato di vivere pieno di sogni e infantili dubbi.
Muraki non credeva che quel qualcuno, che improvvisamente era entrato nella sua vita, avrebbe potuto legargli i polsi con orribili e pesanti catene che anno dopo anno lo avrebbero condotto con i lenti e sicuri passi di un maledizione all’inferno.
Il signor Kazutaka si alzò disgustato da tavola e lasciò la sala. Saki lo seguì dopo aver salutato il suo nuovo fratellino.
Muraki era scioccato. Ma non corse fra le mie braccia come credevo, o come mi aspettavo. Forse aveva capito che questa battaglia l’avrebbe dovuta vincere da solo perché, da quel momento, non ci sarei stata sempre a proteggerlo. La decisione del padre di mandarli entrambi a scuola mi sconvolse. Lo stava allontanando da me perché si era reso conto che Muraki sostituiva, ogni giorno che trascorreva, la figura della madre alla mia. Fortunatamente non fu mai così.
Ci volle meno di una settimana. Vicino alla villa c’era un istituto privato dove i Kazutaka erano sempre ben accetti. Il mio padrone donava frequentemente una somma per la manutenzione dell’istituto, e infine, per la promozione di Saki.
A lui non importava quanto Saki studiasse. Prediligeva ancora Muraki, per quanto leggera fosse la distinzione fra loro.
Lui doveva diventare medico. Quindi era fondamentale dargli un fondamento solido, poiché ne aveva ancora di studi da compiere.
Per non tornare a casa con suo fratello, allo scoccare della campanella si metteva a correre più che poteva, in modo da arrivare a casa trafelato con la scusa di avere fame. Astuto come comportamento.
Ma Saki non si preoccupava minimamente che il fratello gli fuggisse allora. Loro abitavano nella stessa casa, aveva tutto il tempo del mondo, e inoltre non voleva dare a vedere le sue manie fanatiche. Aveva ancora un onore da mantenere.
Il nome dei Kazutaka non doveva macchiarsi più… oltre a Saki.

Una volta, era tardo pomeriggio, Muraki era rimasto a scuola con tre suoi compagni per finire un lavoro scolastico. Quando si salutarono, imboccarono tre direzioni diverse, e Muraki si diresse verso casa sua completamente stremato da quella lunghissima giornata di scuola.
In fondo un po’ di gioia c’era nel suo cuore. Stare in un ambiente più grande di casa sua e incontrare altra gente gli faceva bene. Si compiaceva di se stesso, di come era capace di allacciare nuovi contatti senza bisogno di una guida. Ma mentre pensava questo sentì una voce chiamarlo.
-Ciao, fratellino…-
Si girò rabbrividendo. A metà strada incontrò Saki.
-Saki… che cosa…ci fai qui?-
-Non posso venirti a prendere a scuola? Vieni… torniamo a casa, è tardi!-
Per l’unica volta nella sua vita lo sguardo di Saki sembrò gentile. Non aveva nulla di tetro o di misterioso, sembrava sorridergli, come lui del resto.
-Va bene-
-Vuoi che ti porti la cartella?-
-Sì, grazie!-
Iniziarono a camminare come due veri fratelli. Loro non lo erano, o non si sentivano affatto tali.
Saki era entrato nella scuola media più prestigiosa della zona, mentre Muraki era ancora all’ultimo anno delle scuole elementari.
-Com’è andata a scuola?-
-Be-bene, Saki…-
-Kazutaka…- il ragazzo si girò verso di lui -…perché scappi sempre da me?-
-No! Saki, io…-
-Perché hai paura di me? Dimmelo! Pensi che non sia tuo fratello?-
-Saki, no! Io… mi sento in ansia perché non ti conosco… per me sei come un estraneo, non parliamo mai, non stiamo mai insieme…-
-Vorresti conoscermi meglio?-
Questo era una condanna. Ma Muraki non lo sapeva.
-Sì…-
-Tu mi piaci moltissimo, Kazutaka. Vedrai… che io e te… d’ora in poi…andremo d’accordo… molto d’accordo…- e fece incontrare le loro labbra, in un bacio tenero e sentimentale.
Muraki si distaccò quasi subito. Quella era una nuova sensazione per lui. Piacevole, ma sbagliata alo stesso tempo.
-Saki!- gli riuscì solo d’esclamare.
-Che c’è Kazutaka? Pensi che sia sbagliato? Con me, sangue del tuo sangue?-
Muraki era troppo piccolo per capire il senso.
-Ma che dici?… guarda come si è fatto buio! Affrettiamoci, sennò papà ci sgriderà!- cambiò agile il discorso.
Saki lasciò che il fratellino si affrettasse di pochi passi avanti a lui. Gli piaceva davvero, e lo desiderava con l’intera anima.
-Un giorno capirai che dal diavolo non si fugge… ma ora goditi questa spensieratezza…-
-Dai, Saki, andiamo!-
-Sì, sto arrivando!-







 
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