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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Fruits Basket
Titolo Fanfic: VORREI POTERTI RICORDARE...
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: yuri-chan galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 18/12/2003 15:09:59

ennesimo racconto, su kyo e toru... questa volta un po` più ottimista del solito... ^^``
 
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AUTOCONCLUSIVO
- Capitolo 1° -

"Vorrei poterti ricordare..."

Passi.
Giovani, frettolosi, rabbiosi.
Le piccole scarpe da ginnastica avanzavano rapide sul selciato di una via di Tokyo, svelte, sempre più svelte, senza mostrare la minima incertezza dell'andatura.
Il suo respiro era ansante, di già.
Non aveva tanta resistenza.
Si strinse nella piccola giacca, mentre il suo fiato, a contatto con la fredda aria invernale, dava origine ad una lunga scia di vapore chiaro, che dalla sua bocca si dissolveva, poi, mano a mano che andava verso l'alto.
Le sopracciglia corrucciate, gli occhi ridotti a due fessure dalla collera.
Era arrabbiato, si sentiva ancora rimbombare nelle orecchie quelle parole, così atroci. Nemmeno lui, che era solo un bambino, ne conosceva precisamente il significato. Eppure aveva intuito di quanto fossero pesanti, gravi.
Aveva sentito i taglienti e diffidenti sguardi, che lo studiavano morbosamente. Aveva udito quel viscido mormorare spandersi e serpeggiare di bocca in bocca, i commenti sbalorditi, annichiliti e addolorati, le parole di disgusto e di disprezzo.
Li aveva visti, e si era sentito annientato. Colpevole, braccato, come un animale. Preso in trappola. Il suo respiro si era come fermato, forse anche il suo stesso cuore aveva cessato di battere per un secondo. Il caos, la confusione. Poi un tremito, che lo riportò alla realtà.
E la reazione successiva, che lo aveva spinto a compiere quel gesto; la rabbia.
Come se traboccasse da un vaso ormai stracolmo, era uscita dal suo cuore, come la lava esce di getto dal suo vulcano. E aveva preso a correre, senza che nessuno si curasse di lui. Senza che nessuno si accorgesse che stava davvero fuggendo.
E quella volta era per sempre.
Non sapeva nulla del mondo esterno. Nulla, o poco più. Voleva solo essere lasciato in pace. Voleva abbandonare quello sporco mondo che lo aveva avvolto fino ad allora. L'ipocrisia, gli sguardi biechi, i commenti astiosi... che cosa ne poteva sapere un bambino di tutto questo? Nulla. Poteva capirli solo se li sentiva sulla propria pelle.
E lui li aveva subiti.
Tutti.
Dal primo all'ultimo, come se i suoi sentimenti, il suo legittimo bisogno di affetto, non contassero che aria.
Si fermò.
Non riusciva più a correre, e ormai era ben lontano da casa. La strada era deserta, fredda. Ansimante, si inginocchiò accanto ad un muretto di mattoni, e si raggomitolò, per proteggersi dal freddo. C'era una giornata nebbiosa, ma non burrascosa. Forse non sarebbe né piovuto né nevicato.
Appoggiò la testa sulle ginocchia, e chiuse gli occhi. C'era solo silenzio. Nessuno in giro. Solo lui, con la sua rabbia.
"Me ne andrò. Me ne andrò via per sempre, non mi troveranno più." pensò il bambino, alzandosi nuovamente in piedi e guardandosi attorno come a studiare il luogo.
La rabbia stava passando, piano piano. Lasciando spazio ad un'infinita tristezza e solitudine. Ma nonostante questo non voleva ritornare indietro.
Quella non era la sua casa, anche se c'era inciso il suo cognome.
Quella non era la sua famiglia; in una famiglia c'è amore, e lui non sapeva nemmeno che cosa volesse dire. Lo sapeva... per sentito dire.
Sapeva solo che non era certo il suo caso.
Girovagò a lungo, senza meta, trascinando un po' le gambe.
Non sapeva cosa fare, né dove andare. E aveva anche fame.
Ma non voleva tornare indietro, su questo era fermamente deciso.
Non sarebbe tornato ad immergersi di odio, collera, sprezzo che aveva conosciuto dalla nascita... troppo presto, per il suo piccolo cuore di bambino...
Giunse in fondo alla via, che gli sembrava infinita. Poi la strada si biforcava in due direzioni differenti, e si fermò, pensando a quale avrebbe potuto scegliere.
Ne prese uno a caso, dopo averci pensato su qualche minuto. In fondo quale direzione avesse preso era del tutto indifferente... bastava che si allontanasse a sufficienza.
La scelta di quella strada lo fece imbattere in un viale, ritmicamente adornato di alberi, neri e spogli. Tristi e persi come la sua mente...
Si fermò ad osservarli, per qualche istante.
Poi proseguì di nuovo, sempre più lentamente; era stanco. Aveva corso troppo, e il freddo lo intorpidiva.
Ma non era ancora tempo di fermarsi...
Si ritrovò improvvisamente dinnanzi ad un parco, anch'esso completamente deserto, avvolto in parte dalla nebbia. Vi si avvicinò, adagio, guardandosi intorno con circospezione, accertandosi prima di non incontrare nessuno che lo potesse riconoscere.
Si sedette su una panchina, continuando ad osservare il luogo in cui era capitato; era in un'area quadrangolare, non esageratamente spaziosa, circondata da alberi, anch'essi spogli e neri. Poco distante dalla panchina in cui aveva preso posto, c'erano degli strani affari colorati, due, per l'esattezza, che non sapeva a cosa servissero. Non osò avvicinarcisi, per prudenza.
Chiuse gli occhi. Questo voleva dire "essere liberi"? Eppure non sapeva minimamente quello che avrebbe fatto dopo. Non ci aveva neanche pensato. Ma il suo orgoglio gli impediva di tornare sulla sua decisione. Magari avrebbe cercato un'altra famiglia, o un qualsiasi posto dove stare... ma era impossibile, viste le sue condizioni. Se lo avessero urtato avrebbero scoperto il suo segreto, e sapeva benissimo che non era opportuno succedesse.
E sarebbe di nuovo ricominciato tutto da capo, di nuovo, l'ennesimo circolo vizioso di parole e occhiate crudeli...
Le parole e le immagini ricominciarono a comparire nella sua mente e nelle sue orecchie, come un'assordante esplosione. Serrò ancora di più gli occhi e si portò le mani alle orecchie, premendosele con tutta la sua forza.
" Non è colpa mia... non è colpa mia... non è colpa mia... non è colpa mia...!!!"
Si ripeté il piccolo tante e tante volte ancora, sentendo la stessa rabbia di prima che ritornava.
- Buongiorno! È da solo...? - chiese una voce vivace dinnanzi a lui.
Il bambino sobbalzò, allarmato, e alzò lo sguardo di scatto. Si trovò davanti una bambina, all'incirca della sua stessa età, che lo osservava, incuriosita ma sorridente. Aveva occhi molto grandi e dolci, di colore castano, i lineamenti delicati e semplici.
Si alzò, e fece per riprendere a correre, agitato; ma un laccio della scarpa, per l'appunto slacciato, lo fece inciampare e cadere per terra, con un sonoro tonfo.
- Oh, poverino! Si è fatto male? - domandò preoccupata la bambina, chinandosi accanto a lui e cercando di constatare le sue condizioni.
- Lasciami stare! - sbottò lui, aggressivo, alzandosi rapidamente in piedi e riassettandosi come meglio poteva.
- Scusi, non volevo... se vuole restare qui me ne posso anche andare via, non la disturberò... - si scusò lei, eseguendo un rapido inchino e facendo per allontanarsi.
Il bambino non fece nulla per fermarla, ma la seguì con lo sguardo. Vide che si allontanò sul serio, andandosi a sedere su un'altra panchina, ben più distante dalla sua.
La studiò con una punta di curiosità, da lontano. Indossava un grazioso cappellino di lana, rosa, che le ricopriva il piccolo capo quasi completamente; sulla fronte puntavano dei castani ciuffi della frangetta. Aveva i capelli abbastanza corti, lisci, le arrivavano poco sotto le orecchie. La ricopriva un cappottino azzurro, che le arrivava all'incirca poco sopra le ginocchia.
Il piccolo si rese conto che quella bambina non era stata cattiva nei suoi confronti, anzi, era stata molto più gentile di quanto si aspettasse. Beh, d'altra parte non lo conosceva neppure, forse era per quello...
Quasi senza accorgersene, aveva iniziato ad avvicinarsi sempre di più a quella panchina così distante dalla sua, come se fosse stato misteriosamente attratto da quella nuova arrivata.
Una parte di lui sarebbe voluta rimanere da sola, ma l'altra insisteva per cercare una minima compagnia, e lui, istintivamente, diede ascolto a quest'ultima.
Si sedette sull'erba, poco distante dalla panchina dove si era accomodata la piccola, e continuò a scrutarla, serio in volto ma attento ad ogni suo minimo movimento.
Questa prese un pacchettino, da una spaziosa tasca del suo cappottino, e lo scartò, estraendo una piccolo contenitore, racchiudente due piccoli onigiri.
Il bambino la osservava, in silenzio, senza fare nulla per richiamare la sua attenzione.
La piccola si girò verso il bambino, accorgendosi di essere fissata. Vedendolo seduto sull'erba, così serio e immobile, gli rivolse un sorriso gentile.
- Vuole sedersi qui...? -
Il piccino, arrossì un poco, imbarazzato, poi fece un segno affermativo con la testa, silenzioso, non osando però farsi avanti.
La bambina depose il contenitore e di diresse verso di lui; poi lo prese delicatamente per mano e lo fece alzare, sempre con garbo. Tenendolo per mano lo condusse alla panchina, e lo fece sedere vicino a lei.
- È tutto solo? -
Lui annuì con il capo, senza avere il coraggio di dire nulla.
- Anche io, oggi, sono sola! La mamma stasera tornerà tardi, e così mi sono preparata il pranzo da sola e lo sono venuta a mangiare qui! Sa, io abito al di là della strada... -
Il bambino lanciò un'occhiatina interessata alle due polpettine di riso, ma subito si ficcò un dito in bocca, come a placare la sua fame.
La bambina continuando a sorridere, gli porse il contenitore con gli onigiri.
- Se ha fame, ne prenda uno... -
Questo guardò prima lei, poi le polpettine, poi di nuovo lei, poi di nuovo il cibo, ma non si attentò di servirsi da solo, ancora un po' diffidente e imbarazzato, allo stesso tempo.
La sua vicina lo esortò, con voce incoraggiante. - Coraggio! Ne ho preparati due, sa? Per me non fa differenza, anzi, mi farebbe piacere che li accettasse... -
- Posso...? - mormorò lui, con un filo di voce.
- Ma certo, prego! -
Lui prese la polpettina di destra, e se la portò subito alla bocca, affamato. In quel momento gli parve la cosa più gustosa e buona che avesse mai mangiato.
- È... è buona. - disse lui, sempre piano, senza trovare un altro aggettivo che potesse spiegare come gli fosse piaciuta quella pietanza.
- Grazie mille! Sono felice che le sia piaciuto! - esclamò lei, soddisfatta. - Anche lei sta aspettando la sua mamma o il suo papà? -
Il bambino si rabbuiò, e si guardò le scarpe. - Io non ce l'ho più, la mamma. -
La bambina si zittì, portandosi le mani alla bocca e spalancando gli occhi. - Mi dispiace... mi scusi... -
- E non ho più neanche un papà. - fece una pausa, serio, continuando a fissare ostinatamente il basso, sentendo di nuovo affiorare la rabbia - Non ce l'ho mai avuto. -
La bambina lo osservava, con gli occhi lucidi. - Mi... dispiace... - mormorò.
- Non fa niente - concluse il bambino, alzando di nuovo lo sguardo e guardando avanti a sé. - Tanto non mi dovrò più preoccupare di questo, da adesso. -
- ... perché...? - domandò lei, timidamente.
- Perché non ci tornerò più, a casa. -
Gli occhi della bambina presero una forma ovale, preoccupatissima.
- È scappato di casa...?!?! -
- Ma non urlarlo!!! - esclamò il bambino con un simboletto dell'incavolatura sulla testa.
- Ah...! Mi scusi, ma... insomma... i suoi parenti saranno preoccupati, non trova...? -
- Per loro non sarà che un bene scoprire che non ci sono più. Saranno contenti. -
Gli occhi della piccolina si ingrandirono ancora di più. - Ma... ma non è vero...! Non riesco a credere che possano essere capaci di una cosa così cattiva...! -
- E tu che cosa ne sai, non li conosci nemmeno! -
- È vero, ma... può darsi che se sono stati sgarbati o magari l'abbiano sgridata possa essere stato solo per il suo bene e... -
- Per il mio bene, per il mio bene, per il mio bene!!! - scattò il bambino, furioso, le pupille contratte dall'ira. Stava esplodendo, non ce la faceva più, era troppo, troppo anche per lui, non riusciva più a contenersi; avrebbe voluto urlare ancora più forte, fino a sgolarsi, avrebbe voluto distruggere quella panchina, picchiare, prendere a calci tutto quello che gli capitava a tiro. Non gli importava più di nulla... - Credi che non l'abbia già sentito tante volte?! TUTTO VIENE FATTO PER IL MIO BENE, E SOLO PER QUELLO! "PER TE LA MAMMA PUÒ ANCHE MORIRE"! "TU SEI IL MIO ORGOGLIO"! QUANTE VOLTE CREDI CHE ME L'ABBIANO DETTO, QUANTE?!?! - Lacrime rabbiose iniziarono a rendere lucidi quegli occhi così tristi e quasi selvatici al tempo stesso. La voce si incrinò, facendosi più stridula. - E POI SI È VISTO QUANTO ERA VERO!!! LE PAROLE NON SERVONO A NIENTE! NON SONO MAI SERVITE A NIENTE, PERCHÈ TANTO IO RESTO QUELLO CHE SONO, NESSUNO MI VORRÀ MAI, IO SONO SOLO UN PESO, IL CARICO IN PIÙ DI CUI BISOGNA LIBERARSI!!! NESSUNO MI DARÀ MAI QUELLO DI CUI HO DAVVERO BISOGNO! TANTO VALE CHE IO MUOIA!!! -
Non sapeva perché stava dicendo tutto questo, ad una perfetta sconosciuta. Ma non aveva importanza... non contava nulla.
Bastava che tutta la collera che portava dentro uscisse, con forza, come un improvviso e violento getto d'acqua.
Bastava liberarsi da quel senso di frustrazione, di incomprensione... bastava sentirsi più leggero, per una sola volta sola nella sua breve vita, bastava scoppiare, solo per quel frangente...
Bastava. Era sufficiente così, andava bene lo stesso...
Si chinò, stringendosi alle ginocchia, singhiozzando convulsamente.
La bambina rimase qualche istante in silenzio, lasciandogli il tempo di sfogarsi, come voleva. Poi gli si avvicinò, lentamente, con cautela, accarezzandogli i capelli con la piccola mano. - Non pianga... non pianga, mi dispiace di averla resa triste... non dica più una cosa così terribile... io sono sicura che c'è qualcuno che le vuole davvero bene e che le possa dare quello di cui ha bisogno... -
Il bambino non cessò di singhiozzare, e non alzò lo sguardo verso di lei.
- ... no... non c'è... non ci sarà mai... -
La bambina fece un'espressione arrabbiata e molto seria allo stesso tempo.
- Allora, se proprio non esiste la diventerò io! -
Il piccolo alzò il viso, rigato dalle lacrime, il respiro ancora affannoso per l'eccesso di pianto. - Tu...? - ripeté nuovamente, incredulo.
- Sì, io, ho deciso! Ce l'ha una sorella, lei? -
Lui scosse la testa, continuando ad osservarla, perplesso.
- Bene, allora io sarò la sua sorellina! -
- La... mia sorellina...?! - reiterò il bambino, spalancando ancora di più gli occhi, sempre più perplesso. - Ma noi non ci conosciamo nemmeno! -
- Vorrà dire che non importerà! - La bambina esibì un sorriso molto dolce, ed estrasse un fazzoletto bianco dalla tasca del suo cappotto, asciugando le guance del piccolo con estrema cura - Allora, fratellino, va meglio...? -
- Ma... ma non dire cose assurde...! - borbottò lui, arrossendo impercettibilmente.
- Non sono cose assurde. - ribatté la piccola, gentilmente - La mia mamma dice sempre che alle persone che hanno bisogno di affetto bisogna darlo! -
- E chi ti dice che io ne abbia bisogno...!? -
- Beh, me l'ha detto lei, fratellino... -
Il bambino si sentì la faccia calda, e abbassò il volto, imbarazzato. - Non dovevo... dire così ad alta voce quelle cose. Avrei dovuto stare zitto. Tu non sai neanche come mi chiamo, cosa te ne può importare del fatto che sia arrabbiato...?! -
- Certo che mi importa! - esclamò lei, battendosi, con espressione seria, il petto in segno di garanzia. - Andiamo, fratellino, che cosa vuoi fare, adesso...? -
Il bambino emise un piccolo sbuffo, ma si rassegnò. Poi sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi un po'.
- Ho sonno... -
- Molto bene - trillò lei soddisfatta - Allora potrà appoggiare la testa sulle mie gambe e la farò addormentare io, fratellino! -
- Eeeh...?!?!?! - esclamò il bambino, diventando tutto rosso - Ma...ma...ma...ma...! -
- Andiamo, non ha detto forse che aveva sonno...? -
- S... sì, ma... insomma... posso anche dormire... qua, sulla panchina... perché proprio... proprio...! -
- Perché la panchina è troppo scomoda! - delucidò lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Il bambino fece per replicare, ma un nuovo sbadiglio gli impedì di proferir parola. Cedette. Era molto stanco, quella notte aveva dormito poco o nulla.
Si sdraiò sulla panchina e appoggiò la testa sulle gambe della nuova compagna.
Chiuse gli occhi, di piacere, mentre lei gli accarezzava i capelli, intonando una canzoncina per bambini.
Si sentiva bene, in pace. Come mai era stato prima.
Le mani della bambina erano calde e morbide, nonostante il freddo.
Si provava questo a ricevere dell'affetto vero e proprio? Era davvero una sensazione così nuova e dolce...?
Un gesto semplice ed ingenuo, tenero. Un nome come un altro, eppure riservato a lui... Essere "fratellino" non gli dispiaceva affatto. E poi, il fratellino di quella bambina così gentile, così dolce, come le sue carezze...
E pensare che dopo tanto tempo di ostinata introversione, dove non aveva mai né parlato né espresso le sue emozioni era riuscito a piangere davanti ad un'estranea, della quale ignorava anche lo stesso nome.
Eppure, nonostante sapeva che avrebbe dovuto essere imbarazzato, magari vergognarsene un po', si sentiva benissimo.
La rabbia, la tristezza, il senso di solitudine... erano scomparse.
Quasi come se non ci fossero mai stati.
Al loro posto c'era un senso di calore e di dolcezza indescrivibili, che lo avvolgevano, come un delicato soffio. Qualcosa di leggerissimo, invisibile e impalpabile... eppure così vero, così intenso.
Il suo era davvero bisogno di affetto, come lo aveva definito la bambina?
Sì.
E lo riconosceva solo ora, lo poteva descrivere, lo poteva quasi toccare con mano...
Gli sarebbe bastato anche la cosa più minima, anche una carezza, anche un piccolo bacio, un buffetto, qualsiasi gesto... purché fatto con il cuore.
E una bambina, con un grazioso cappottino azzurro e un berretto di lana rosa calato sui capelli castani, era riuscita a capirlo e a dargli voce...
Ed ora era lì... accanto a lui. Tutto quello di cui aveva bisogno, tutto l'affetto che richiedeva...
"Vorrei poterlo ricordare... per sempre..." pensò il bambino, intensamente.
Ricordare.
Potere imprigionare, come in una foto, quella posizione, quel tocco così cortese e timido che lo riempiva di calore e di tranquillità, che aveva placato il suo animo burrascoso lasciando spazio ad una dolcezza infinita...
Potere sentire di nuovo tra le dita la stoffa di quel piccolo cappotto, gli odori e i soffusi rumori del parco, il tranquillo respiro di lei, le aggraziate note emesse dalla sua voce che salivano verso il cielo...
Ricordarsi, almeno ancora una volta nella vita, tutte quelle sensazioni che lo avevano accarezzato e sfiorato come una fresca brezza primaverile e che gli avevano fatto dimenticare il suo amaro presente... solo per quel fortunato istante.
- Sorellina... - mormorò lui, nel sonno, stringendo con il piccolo pugno un lembo del soprabito di lei, nella speranza di non doversene separare mai più.

Kyo si rizzò improvvisamente seduto sul divano, sul quale si era addormentato. Si guardò attorno, senza vedere nessuno, attorno a lui.
Si portò una mano sulla fronte, ricordandosi quello che aveva sognato poco prima. Sorrise.
Certo, quell'episodio non era mai realmente accaduto.
Eppure sentiva impresse nel suo cuore, vive più che mai, quelle sensazioni, quelle emozioni, che quell'incontro immaginario gli aveva lasciato.
Lei.
Era sempre lei il suo maggior sostegno, il suo coraggio, la sua forza.
Sempre, comunque, in ogni luogo, in ogni attimo in ogni respiro...
"Siamo davvero... così legati, io e te...?"
Si alzò in piedi, si diresse verso la cucina; fuori faceva già buio, anche se ignorava che ore fossero, probabilmente era tardi.
- Toru? -
"Ti cerco, continuo a cercarti, in ogni mio alito di vita... non mi stancherò mai di trovarti, di vedere il tuo viso così radioso, i tuoi occhi..."
La ragazza si sporse, dalla cucina, mentre reggeva in mano un piatto, ancora gocciolante d'acqua.
Gli sorrise. - Oh, Kyo! Credevo dormissi ancora... non ho avuto il coraggio di svegliarti, dormivi così bene... -
- Non fa nulla, adesso me ne andrò a letto... - fece lui, alzando le spalle con noncuranza.
- Ti ho svegliato io, forse...? - chiese, preoccupata.
- No, no... figurati... piuttosto... -
- Sì? -
Kyo guardò verso l'alto, come se sul soffitto cercasse di leggere le parole giuste da esprimere.
- Pensavo una cosa... -
- Che cosa...? -
- Secondo te è sbagliato auto-proclamarsi fratello o sorella di qualcuno...? - chiese, con espressione assorta.
Toru spalancò i grandi occhi castani, perplessa per una domanda così insolita. Poi sorrise. - Io trovo che sia un gesto infinitamente tenero! Non si parla di giusto o sbagliato... è... come una forma d'amare! -
Kyo la osservò, serio. Poi fece un sorriso indecifrabile. - Già... -
"...sei semplicemente geniale..."
- Ma tu guarda che mi sono andato a sognare... - commentò poi, a bassa voce, assorto.
- Hai sognato qualcosa di bello? - domandò Toru.
Kyo sorrise, sempre soprappensiero. - Oh, sì. Anche se non è mai successo... sarebbe stato bello se fosse accaduto davvero. -
- Deve essere stato davvero bello come sogno, allora...! - disse con enfasi lei, allegramente.
Lui le sorrise, guardandola con un'aria impenetrabile ma quasi divertita. - Non immagini nemmeno quanto. -
- Che cosa era...? - chiese, con una punta di curiosità, inclinando la testa da un lato.
- Non fare la ficcanaso. - rise lui, dandole un leggero colpetto sulla fronte.
- Ma come, non dirmi che te lo sei dimenticato...?! - esclamò lei, ridendo.
Il ragazzo fece un pausa, guardando avanti a sé, in un punto imprecisato.
- ... Dimenticarmene... mai... - poi il suo sguardo riprese espressione, e tornò a posarsi sulla ragazza - Diciamo che vorrei poterti ricordare per quello che hai fatto, e anche per quello che NON hai fatto, ok? -
- ... eh...?! - fece Toru circondata da punti interrogativi, gli occhi a palla.
- Niente. - sorrise lui, scotendo la testa - È un segreto. -
i punti interrogativi sulla testa di Toru aumentarono, come la sua perplessità. - Scusa ma proprio non riesco a seguirti... -
- Non importa. -
"... ma in fondo è anche per questo che... "
Kyo si alzò in piedi, dirigendosi a passi lenti verso la sua stanza.
- Buonanotte, sorellina. -




Salve a tutti, sono Yuri-chan!
Non so perchè ma mi è venuta l'ispirazione per questo raccontino Kyoru... così ho pensato di buttarlo giù.
Anche se in tutta sincerità non avevo in progetto che diventasse e si sviluppasse così! Anzi, è venuto molto più ottimista... e dire che io con Kyo scrivo sempre delle cose di una malinconia struggente (credo che il lato malinconico di Kyo sia davvero irresistibile!!! ^///^ )!
Beh, mi direte voi se ho fatto bene o è venuta una mezza schifezza!
Scusa, Yuki, per te l'ispirazione mi verrà in un altro momento!
Ringrazio le solite persone e chiunque stesse leggendo!
A presto
Yuri-chan
 
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