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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Saiyuki
Titolo Fanfic: THE WAR OF THE TWO ROSES
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: shoen galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 10/12/2003 22:24:19

lei ed io: esseri di luce e ombra, opposti di una medaglia, esseri braccati per la felicità.
 
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PROFUMO DI ROSE
- Capitolo 1° -

Capter one: Profumo di rose
The War of the two Roses

Occhi color del mare, gli occhi che amavo tanto che mi guardavano con disprezzo...le dita gelide intorno al collo...singhiozzi.
“Haaa” gridai...di nuovo quel sogno
Mi guardai in torno...niente.
Tutto intorno a me era silenzioso, ero andata a
dormire presto e a casa non c’era ancora nessuno.
Mi alzai e percorsi il corridoio buio; dalle finestre s’intravedeva la luna, in quel suo spettrale alone, di solito mi piaceva guardarla, era così bella e la sua luminosa immensità si rispecchiava nei miei occhi.
Avrei tanto desiderato potermi perdere in lei ma questo non mi era concesso; mi sedetti sul portico del tempio, la mia casa.
Con le gambe penzoloni guardavo il riflesso dell’astro lucente nell’acqua del piccolo stagno, in quel piccolo specchio d’acqua si rifletteva anche la pianta di rose, una bellissima rosa bianca dello stesso colore della luna o forse ancor più bello, aveva un profumo inebriante, che faceva venire un sensazione di capogiro e che ti faceva scivolare in teneri sogni.
Già, le rose, le stesse che piacevano tanto a mia madre.
Ritornai in casa, era completamente buia, un buio che mi opprimeva, oscuro come lo specchio della mia anima.
Tenebra e oblio erano ovunque, nel cuore, nella casa, nelle pareti nelle finestre nel pavimento, dappertutto...corsi verso la televisione e la accessi, alzai il volume al massimo poi partii trafelata verso lo stereo e
avviai anche questo, misi la prima canzone che mi capitò davanti agli occhi e alzai il tono dello strumento al massimo; qualunque cosa pur che facesse rumore, ogni cosa pur di non stare sola, sola con i miei demoni.
Guardai la luna attraverso la finestra e incominciai ad inveirle contro, insopportabile cerchio lucente, dello stesso colore di quelle orribili rose bianche, poi cominciai a ridere, ridere e ridere una risata pazza, folle crudele e meschina una risata che si trasformò in lievi lacrime finche non si trasformò in un pianto incontrollabile...piansi per ciò che non c’era più e che mi tormentava, piansi mentre spegnevo quegli oggetti rumorosi, piansi ancora in quel buio che mi opprimeva e che mi stringeva il cuore in una morsa.
Finché...da una luce uscì una mano che si protendeva verso di me e io allora la presi e questa mi attirò a sé nel suo dolce calore, sentii chiamare il mio nome...Kana, piccola Kana... ma era troppo tardi, scivolai in un dolce sonno senza sogni.
Quando mi svegliai la giornata era grigia e smorta e il sole da poco alto illuminava a malapena la città.
Mi vestii e mi diressi verso la scuola normalmente, quando arrivai la classe era come sempre: illuminata dal pallido sole, pulita, fresca e vuota.
Mi sedetti al mio banco appoggiandomi al muro con la schiena, chiudendo gli occhi, ripensai alla notte precedente, ai miei gesti folli e alla luce d’orata che mi aveva avvolto poco prima di addormentarmi.
Mi alzai e andai nell’aula di musica poco distante dalla mia classe, aprii la porta scorrevole e vi entrai.
Sulla cattedra vi era appoggiato un vaso di fiori graziosamente sistemati e molto belli…… erano rose bianche.
Mi avvicinai al vaso e presi una rosa con le dita; era ancora bagnata dalla rugiada mattutina non dovevano essere state colte da molto, la annusai, lo stesso profumo inebriante, risi bagnandomi la punta del naso con una goccia di rugiada.
La osservai meglio e la strinsi più energicamente, finche un dito non mi sanguinò, la misi nell’altra mano e la toccai con il dito ferito lasciando una piccola macchia rossa...poi mi riscossi da quel comportamento apparentemente perverso e mi allontanai dal vaso posando la rosa sul tavolo.
Mi diressi verso il pianoforte, lo strumento che da qualche tempo prediligevo e incominciai a suonare.
Chiusi gli occhi e mi perdetti nel suono che emetteva lo strano strumento, era così bello, soave, mi permetteva di staccarmi dalla realtà che mi circondava, perdermi nei miei pensieri più intimi, perdermi nella mia solitudine.
Mi riscossi e mossi le dita su quei tasti lisci, assaporai il timbro unico di quello strumento, e mi perdetti di nuovo nel suono.
Quando “La sonata al chiaro di luna” finì sentii una presenza dentro di me e mi girai di scatto.
C’era una donna con lunghi capelli castani, lisci e fini sciolti lungo la schiena, la pelle era chiara come le rose del vaso dietro di lei, sorrideva socchiudendo gli occhi grigi e plumbei, come il cielo di quella mattina, ma infinitamente più belli, vivaci e pieni di vita che ti facevano sentire bene, protetta e amata.
Era alta e indossava un grazioso vestito color turchese chiaro.
Mi alzai immediatamente e mi apprestai ad uscire dall’aula senza salutarla, ma ella mi fermò, si abbasso e mi guardo negli occhi, sorridendo.
Restai sorpresa dal comportamento della mia insegnante, poi avvicinò la bocca al mio orecchio e mi sussurrò dolcemente “suona ancora”...allora mi risedetti davanti allo strumento e incominciai a suonare abbandonandomi a quelle note che conoscevo così bene...
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Un dolce profumo di rose mi riscosse dal torpore del dolce sonno.
Mi destai e guardai fuori dalla finestra, il sole risplendeva e illuminava il giardino...una bellissima pianta di rose si innalzava nel suo mezzo, delle rose, vellutati, e facendole risplendere di un bianco marmoreo.
Mi piaceva molto ammirare questo fantastico spettacolo che accompagnava il mio risveglio, tutte le mattine.
E come tutte le mattine riguardai quella grande scritta sulla spalliera del letto e ripetei quel nome, il mio nome, senza mai fermarmi.
Mi piaceva tanto l’armonia di quelle lettere dette con un filo di voce, creava nell’aria dei bei suoni, quasi fosse musica; tanto che non riuscivo a staccarvi gli occhi, ovunque fossero scritte.
Una grande ansia mi assaliva a sentir pronunciare quel gioco di suoni melodiosi da qualcun altro.
E, nella mia mente, quando cresceva l’agitazione e mi sentivo smarrita, senza un punto di riferimento, continuavo a ripetere quel nome che mi dava tanta sicurezza; convincendomi a guardare avanti verso un nuovo giorno.
Dicevo a me stessa, di non mollare, di non mollare proprio ora, ora che stavo per intravedere il mio traguardo; la fine delle mie sofferenze e della mia solitudine.
E poi, tornava sempre la calma, la serenità, e mi abbandonavo ai miei mille pensieri troppo stretti nella mente.
Ero particolarmente felice quella mattina, anche se la giornata non era una delle migliori, mi sentivo in armonia con me stessa; ma nonostante il mio speciale buon umor il mio pensiero vagava sempre verso lei, che nella mia vita era la più importante, colei che mi era sempre vicina, come un angelo custode, lei mi proteggeva sempre, mi consigliava, mi dava calore, un calore che non avrei mai avuto e soprattutto non mi abbandonava mai, e anche se non avevo la certezza di questo, io ne ero fortemente convinta, e questo mia convinzione mi bastava.
Era tutto per me, lei che vi era, e che non vi era, lei che era essere di puro spirito, soffio di parole perdute, intangibile, astratta, impalpabile...colei che amavo sopra ogni cosa.
Ma non avevo tempo di perdermi in pensieri, pensieri da cui poi non sarei riuscita ad staccarmi, così uscii di casa con molta fretta, era presto, forse troppo presto, ma non importava la strada era lunga.
Percorsi il lungomare guardando l’orizzonte, il sole appena sorto si specchiava in quell’abisso del colore dei miei occhi, lasciando che l’acqua rubasse un po’ del suo colore facendo bizzarri giochi cromatici con le sfumature del cielo, i gabbiani sorvolavano la spiaggia e il mare in cerca di qualche preda; gli chiamavano gli spazzini del mare, mi chiesi come si potesse dare quel nome a degli animali così belli.
Andai in spiaggia e stranamente uno di quegli uccelli candidi mi si avvicinò guardandomi, lessi nella sua mente e nei suoi pensieri...volare...libertà...indipendenza...sole e acqua, tanta acqua...tornai alla realtà e guardai il gabbiano nei suoi limpidi occhi neri poi...all’improvviso scattai in piedi e corsi sulla spiaggia, correndo come una forsennata per un pezzo di battigia, mentre la sabbia si sollevava.
Poi mi sedetti sorridendo e il gabbiano mi volò ancora vicino, riguardai di nuovo nei suoi occhi, forse sarà stata una mia impressione, ma mi sembrò che sorridesse, poi...volò via nella sua libertà.
Corsi per tutto il resto del tratto che mi separava dalla scuola, quando arrivai la campanella suonava già.
Corsi per le scale e mi fermai al terzo piano, ero nuova e non sapevo a quale classe mi avevano assegnato, sapevo di dover essere al terzo piano, ma...
Entrai nell’ultima sezione del corridoio; l’insegnante era una donna molto bella, m’ispirava dolcezza e sicurezza, era una donna alta lunghi capelli castano chiaro, lisci e fini sciolti lungo le spalle, la pelle era chiara e rosea , gli occhi erano plumbei come il cielo di quella mattina ma sembravano emanare un immenso calore che ispirava fiducia, sembrava fosse perfetta, “sarebbe bello averla come insegnante” pensai.
“Sanae....Sanae, sei Yuki Sanae vero?” mi disse dolcemente
Un tuffo al cuore, la guardai in un po’ sorpresa, ero al settimo celo, ma cercai di occultare le mie emozioni.
Mi scusai per l’improvvisa intrusione, spiegai la mia situazione e lei sorrise dolcemente, m’invitò a presentarmi, e io timidamente lo feci; scrissi il mio nome sulla lavagna con calligrafia tremolante, poi mi girai e con una voce da cui traspariva senza problemi la mia ansia, comincia di presentarmi mentre l’insegnante mi incoraggiava con sguardi rassicuranti; poi la donna mi fece sedere, vicino ad un banco in seconda fila…… fu per un momento, a mi accorsi di lei, e dei suoi occhi...
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“Che cosa avrà da guardarmi tanto quella?” pensai mentre la ragazza della seconda fila che era appena arrivata dopo un’entrata stravagante e imbarazzante, girava la testa di scatto accortasi dei miei occhi.
Era appena arrivata e gia non mi piaceva, ma col tempo iniziai ad osservarla.
Era molto sociale e ogni momento, era buono per conversare o per fare amicizia, nello studio era molto brava e scriveva molto bene; i suoi ideogrammi erano perfetti e lineari, le persone si affezionavano in fretta a lei, aveva già molte amiche anche se dopo pochi giorni di scuola, ma io ero convinta che nascondesse qualcosa, ma quelli non erano affari miei e non me ne preoccupai più di tanto.
Anche se qualche volta il suo bel viso mi affiorava nella mente, tra i ricordi, quasi facesse parte del passato, del mio passato, di un passato i cui ricordi la mia mente non conservava.
Ogni mattina suonavo e tutta la scuola s’inondava della soave armonia del pianoforte, e io mi perdevo in quelle note, ma c’era sempre una cosa che m’infastidiva nella stanza.
Un giorno quel fastidio divenne vero e propria irritazione e mi alzai vagando per la stanza come per cercare rimedio alla mia ira.
E finalmente mi accorsi...mi avvicinai all’oggetto della mia ossessione...un dolce profumo m’invase, quel profumo di fresco e di delicato, profumo di rose.


By
Kaname and Yuki





 
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