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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: One Piece
Titolo Fanfic: SCUSA
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Autore: kei86 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 10/12/2003 16:54:09

versione definitiva e completa di una mia fic dall`omonimo titolo
 
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UNICO
- Capitolo 1° -

Ciao a tutti!!!!!
Come avevate letto nelle conclusioni della fic scusa, ripeto per chi non avesse letto, avevo dei dubbi sul finale! Dissi che forse non finiva lì e infatti ecco quì la rivistazione e il completamento della storia! Ho utilizzato un nuovo metodo di narrazzione, per me intendiamoci, e ho allungato un po' la storia. Visto che questa fic era piaciuta un sacco a DaRk- RoNin ( mi piace scritto coì) ho deciso di dedicargli questa pubblicazione sperando che possa leggerla!




SCUSA




Questa notte non sono riuscita a dormire! Tutte le volte che chiudevo gli occhi i fantasmi del passato mi passavano davanti come avventori di sventure. Non credevo di arrivare a questo punto! Di essere così distrutta, così triste da dover sognare in continuazione il mio passato! Ma dopo tutto è normale! Come tutti gli anni, in questo periodo, la mia vita diventa un misto di ansia e di angoscia.
Verso le sei del mattino mi sono alzata dal letto e mi sono fatta una camomilla per tranquillizzarmi. Non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto! Be’ non è che sia sempre stata una persona mite e gentile, ma non ero mai arrivata a non dormire per un risentimento! Mio marito avrebbe voluto strangolarmi! Nella camomilla non ho messo nessuna zolletta di zucchero. Avevo paura che mi facesse agitare ancora di più. Ho preso la tazza fumante e mi sono diretta verso la finestra. Scostando la tendina mi sono accorta quanto la città a quell’ora fosse già in movimento.
Le luci dei palazzi incominciavano ad accendersi, le macchine a circolare e i lampioni a spegnersi. La gente incomincia ad uscire di casa alle sei del mattino anche con questo brutto tempo! “Il lavoro è sempre il lavoro!” mi sono detta a bassa voce. Ho consumato la mia calda bevanda in silenzio, osservando il colore del cielo che andava sempre più schiarendosi. Poi verso le sette sono tornata in camera per vestirmi.
Zoro stava ancora dormendo. Nel vederlo così sereno e tranquillo ho avuto paura di svegliarlo e l’ho lasciato dormire ancora per mezzora. Ho aperto delicatamente le antine dell’armadio e ho tirato fuori una paio di jeans e un maglione, i primi che mi sono capitati. Ho chiuso il mobile con la stessa premura con la quale lo avevo aperto. Sono sgattaiolata fuori dalla stanza e mi sono diretta in bagno per farmi una doccia rilassante. Verso le sette e mezza sono andata a svegliare mio marito.
Mi sono seduta sul letto e dandogli un bacio in fronte gli ho dato il buon giorno. Lui quando si sveglia non è mai di buon umore, come me del resto, quindi per non farlo bestemmiare già di prima mattina devo utilizzare maniere dolci e gentili. “Buon giorno amore!” gli dico. Lui non mi risponde ma capisco che vorrebbe dire lo stesso. E’ già tanto che non mi ha mandata a fanculo visto quello che gli ho fatto passare.
Ha i capelli un po’ spettinati la faccia un po’ assonnata. “Vuoi rimanere ancora un po’ a dormire?” gli chiedo dolcemente. Lui mi fa un cenno negativo con la testa e si strofina le palpebre per vederci meglio. “Sei bellissima sta mattina!” mi dice. Si mette a sedere e mi da un caloroso abbraccio. Adoro quando fa così!
“A cosa devo tutte queste attenzioni?” gli domando sarcastica. Lui rimane un attimo a pensarci e poi mi risponde con un “ Ti amo!” In realtà so benissimo perché è così premuroso in questi gironi. Lo so il perché! Oggi è il giorno in cui vent’anni fa mia madre venne uccisa davanti ai miei occhi! L’unico motivo dei miei incubi. Io faccio finta di niente e rimango avvolta nel suo abbraccio senza fare resistenza. Con una mano mi accarezza il volto mentre l’altra passa fra i miei capelli bagnati. “Cosa mi hai preparato di buono?” mi chiede.
Non so cosa rispondergli visto che mi sono completamente dimenticata di preparare la colazione. Dal suo sguardo capisco che non ha importanza se non ho preparato niente. Lascia la morsa che mi avvolgeva e appoggia i piedi sul freddo parquet e lo vedo tremare per via di un brivido freddo. E’ la stessa scena ogni giorno.
Quando imparerà a mettersi le ciabatte? Lo vedo alzarsi e andare verso il bagno. Io mi alzo e lo seguo ma mi fermo in cucina cercando di creare dal nulla una nutriente colazione. Quando esce dal gabinetto trova su tavolo apparecchiato abbastanza male due fette biscottate con della marmellata e una tazza di the. “Tutto qui?” si limita a dire.
Io lo fulmino con lo sguardo ma mi calmo subito. Non voglio litigare con lui di prima mattina! Aspetto che finisca di mangiare e poi mi dirigo verso la cucina dove mi aspetta la lavatrice piena di panni puliti che devo stendere. Apro lo sportello e con la coda dell’occhio mi accorgo che mio marito si è alzato dal tavolo e ha sparecchiato. “Strano! Solitamente non lo fa!” dico sotto voce. Prendo i panni da stendere e cercando di non farli gocciolare sul pavimento vado in bagno. Intanto Zoro si stava vestendo in camera da letto.
Finito di stendere lo vedo uscire dalla stanza vestito elegante. Ci rimango un po’ male. Oltre al giorno del nostro matrimonio non l’avevo mi visto vestito così bene. “Dov’è mio marito??” gli chiedo come se non lo conoscessi. “Non sei spiritosa!” mi risponde. Io faccio una piccola risata e sento subito il suo sguardo di ghiaccio sul mio corpo. Odia vestirsi così e il fatto che io lo prenda in giro lo fa arrabbiare ancora di più. “Piuttosto! Tu hai deciso di andare vestita così?” mi chiede facendomi notare che non sono vestita come si deve per andare in un cimitero. “Mi sarei cambiata!” gli dico bruscamente.
Mi lancio in camera da letto e tiro fuori dall’armadio il mio vestito nero elegante. Lo infilo velocemente e mentre lo faccio un brivido sinistro mi blocca e mi fa ricordare quello che per poco tempo ero riuscita a dimenticare. Delle lacrime incominciano a scendermi sul viso, ma per mascherarle mi mordo la lingua. “Perché piangi?” Mi stava spiando appoggiato allo stipite della porta. Io faccio un piccolo salto perché non lo avevo visto e per dargli una risposta plausibile e intelligente rimango un po’ in silenzio a pensare. “Mi sono morsa la lingua!” riesco a dire infine. “Non ci credo! Sei sicura di volerlo fare?” mi risponde. Faccio finta di non ascoltarlo e mi infilo le scarpe nere lucide. Sono anni che non le metto e infatti mi vanno strette, ma mi abituo subito al dolore che mi provocano. “Sei pronto?” gli chiedo.
Lui non risponde e va verso la porta prendendo dal tavolo le chiavi della macchina. “Puoi anche rispondere?” gli faccio notare. “Sono pronto!” mi dice mentre si avvicina per darmi un bacio. Io non mi allontano e ricevo il suo bacio, poi lo incito ad uscire. Io esco per ultima, inserisco l’allarme e chiudo la porta facendo tutti i giri possibili. L’ascensore è già presente sul piano e quindi non dobbiamo neanche perdere tempo per chiamarlo. Scendiamo fino al sotterraneo dove abbiamo il box. Il numero sette. Apre il garage e entro in macchina.
Li sotto fa molto freddo! “Accendi il condizionatore per favore!” gli dico, mentre mi soffio tra le mani per scaldarmele. “subito amore!” mi dice. Infila la chiave e accende la macchina. L’aria calda del condizionatore della nostra auto mi allieta per qualche minuto, poi la mia mente torna alla realtà e ricado nel mio stato semi depressivo. Usciamo dal cancello e andiamo verso sud. Dopo circa un ora ci fermiamo davanti a un fioraio.
Lui scende dal veicolo ed entra nel negozio. Mi accorgo che ci mette un po’ ad uscire e che in quel lasso di tempo piccole goccioline di acqua hanno incominciato a cadere. Quando esce ha in mano un mazzo di fiori che conosco molto bene. Entrando in macchina me li porge e mi chiede se vanno bene. “Si!” rispondo, ma non mi dilungo di più. Il mio senso di solitudine era aumentato di molto mentre lui non c’era. Ripartiamo e sta volta ci dirigiamo verso il cimitero. Alle nove e mezza sorpassiamo il cancello in fero battuto d’entrata. Dopo qualche minuto ci fermiamo. La pioggia è intensa e le miriadi di goccioline che s’infrangono sul vetro della macchina cadono lentamente creando un movimento ipnotico.
Guardavo attentamente attraverso il finestrino il cimitero,i miei occhi sono privi di espressione e alcune lacrime incominciano a cadere sulle mie guance. Ho lo sguardo fisso su quella bianca lapide dove appare come un neon il nome di mia madre Bellmer. La mia mente venne invasa di ricordi belli e brutti e ad ogni sensazione riprovata sentivo il mio cuore diventare sempre più vuoto e colmo di dolore. Incomincio a stringere fra le mani il medaglione che ho al collo, nel quale ho inserita la foro di mia madre. Il mio sguardo rimane fisso sulla lapide bianca. Ho il cuore a pezzi. Neanche la calorosa mano di mio marito poggiata sulla spalla riesce a confortarmi. Nell’altra mano ho il mazzo di rose rosse, i fuori preferiti da mia madre. La mia mente, ormai incontrollabile, rivive i momenti più significativi della mia infanzia.
Ricordo il suo sorriso splendente, le sue interminabili paternali,le storia che mi raccontava prima di addormentarmi. Come al solito, però, i miei più bei ricordi si trasformano nei più brutti. Avevo otto anni quando mia madre fu uccisa davanti ai miei occhi! Ricordo ancora la sua inseparabile sigaretta cadere a terra e spegnersi sotto le scarpe dei malfattori che ci avevano colte di sorpresa. Ricordo perfettamente ogni cosa: era una bellissima giornata di agosto. Il sole splendeva alto nel cielo e il vento muoveva le fronde leggere degli alberi. Il quartiere in cui abitavo era uno dei più tranquilli fino a quel maledetto giorno.
Stavo passeggiando tranquillamente insieme a mia madre, in cerca del regalo di compleanno per mia sorella Nojiko. Avevamo passato tutto il pomeriggio a girare negozi e mercati. Ricordo che ero molto felice. Mentre stavamo tornando a casa, verso il tramonto, un uomo correva per le vie del quartiere gridando che la banda di Arlong, capo di un clan mafioso, aveva deciso di creare nel nostro quartiere la sua base segreta. Il così detto Arlong Park!
Aveva subito preso il comando della situazione imponendo agli abitanti del quartiere una tassa sulla loro vita. Chiunque non poteva pagare veniva ucciso. Una cosa orribile! Volevano cento mila dollari per ogni adulto e cinquanta mila dollari per ogni bambino. Solo a ripensarci mi viene voglia di vomitare! Purtroppo Arlong in persona ci bloccò in mezzo alla strada pretendendo il tributo. La mia famiglia non era molto ricca, anzi viveva solo di commercio, visto che mia madre era un’ortolana specializzata nella vendita di mandarini. Purtroppo non avevamo duecentomila dollari da dargli, ma solo centomila.
Io e mia sorella eravamo state adottate quindi non risultavamo all’anagrafe della città. “E’ mia zia!”dissi ad Arlong con la freddezza di un cubetto di ghiaccio. “Se è così sgancia dolo centomila dollari e non rompere!” mi ricordo cosa gli disse. Mia madre però non voleva arrendersi a un gruppo di squinternati come la banda di Arlong e disse tutta la verità: “Io ho due figlie! I centomila dollari sono per loro! Io i soldi non li ho!”
Arlong le puntò in fronte il suo fucile e con il sorriso stampato in faccia le disse “Non sei furba!” e premete il grilletto. “NO!” ho gridato senza motivo. Mi era venuto il fiatone e le lacrime mi stavano colando come fiumi inarrestabili. Ogni hanno in questo giorno vengo qui al cimitero da sola a trovare mia madre. Solitamente passo tutto il giorno abbracciata alla lapide piangendo. Oggi però è diverso! Oggi sono venuta con mio marito per un motivo ben preciso: Presentarlo a Bellmer. Mi accorgo che Zoro si sente a disagio perché vorrebbe consolarmi ma non sa come. Mi abbraccia ma io lo respingo.
So che non mi sto comportando da brava moglie, ma in questo momento ho bisogno di stare per qualche minuto da sola. Lo vedo rattristarsi e rimettersi seduto composto e giocherellare con le dita nervose sul volante. So cosa sta provando! E’ da un po’ di gironi che sono lunatica e adesso sono al culmine della mia depressione. Non sa cosa dire, un po’ perché non vuole ferirmi un po’ perché non si sente a suo agio.
“Non dovevi presentarmi qualcuno?” mi chiede molto gentilmente. Io mi riscuoto e cerco di cancellare per un istante i ricordi molando la presa al medaglione. Apro lentamente la portiera e poso piedi sull’asfalto inzuppato d’acqua. Apro l’ombrello anche se non ne ho voglia e mi volto per guardare mio marito. con un leggero cenno della testa gli dico di rimanere ancora un po’ nella macchina. Lui capisce e non replica. M’incammino con passo lento e leggero verso la tomba di mia madre. La potrei riconoscere tra mille! IL cuore mi batte all’impazzata, i sentimenti si accavallano uno sopra l’altro e non mi fanno capire più nulla. Ho paura! Non so ancora il perché ma ho paura.
Forse perché quello che sto per fare l’avrei dovuto fare molto tempo prima. In effetti sono già cinque anni che io e Zoro siamo sposati. Piove veramente molto, sembra quasi che anche il cielo provi quello che in questo momento provo io. Il terreno è fradicio e i tacchi delle mie scarpe sprofondano dentro alla terra. Arrivo davanti alla lapide bianca come se fossi in una processione. Leggo la frase incisa sopra la tomba “Le tue figlie che tanto amavi” e subito alla paura si aggiunge anche lo sgomento e la tristezza. Le mie gambe sono diventate fragili e tremanti, infatti cado a terra come un frutto maturo appoggiando le ginocchia al suolo fradicio. Lascio per un momento i fiori e afferro violentemente, con entrambe le mani, la gonna del vestito.
Zoro, da dentro la macchina, sta assistendo a tutta questa scena pietosa e quando mi vede crollare a terra esce dal veicolo e corre verso di me. Non ha aperto l’ombrello. Quando mi arriva vicino io alzo lo sguardo e osservo il suo vestito elegante completamente inzuppato. “Stai bene?” mi chiede porgendomi un mano per alzarmi. Io non rispondo e afferro la mano. Una volta in piedi lui mi raccoglie gentilmente sia i fiori che l’ombrello.
Lo guardo fisso negli occhi e come per incanto mi ricordo il motivo di questa visita drammatica. Le lacrime continuano a cadermi copiosamente sulle guance facendomi diventare gli occhi rossi come due pomodori. Cerco di riprendere in fretta le redini di me stessa imponendomi di non piangere e di essere allegra, ma prima di riuscirci devono passare parecchi minuti. Rimango un attimo in silenzio a contemplare la lapide e dopo aver preso molte boccate d’aria riesco a ire qualche parola.
“Ciao mamma! Sai è da tempo che volevo dirtelo! Io …” Mi fermo un attimo perché la mia mente è volata di nuovo nel passato. Cerco di sopraffare questo pensiero e riprendo a parlare,ma le parole adesso sembrano più difficili da pronunciare e più insensate di prima. “Io … io volevo … presentarti u a persona!” indico Zoro. “Questo che vedi alle mie spalle è mio … mio …. Bè lui è …. È…” mi fermo ancora per trovare il coraggio di dirlo.
“Lui è mio marito!” dico in fine. Non riesco a rimanere nel presente, infatti i ricordi riaffiorano ad una velocità inaudita. D’improvviso mi si para davanti agli occhi quella volta in cui io e mia madre stavamo parlando del giorno del mio matrimonio. Avevo sette anni, mia sorella era andata a fare un po’ di spesa e io ero rimasta da sola in casa con Bellmer.
Ero seduta al tavolo della cucina e stavo facendo un disegno. Mia madre tuta interessata si avvicinò e spiò il mio capolavoro. “Che bello!” mi aveva detto. “Spiona!” fu la mia risposta. Avevo disegnato un abito da sposa. A quel tempo il mio sogno era quello di viaggiare e di trovare un futuro marito all’estero. Ricordo bene quello che mi disse: “Quando sarà il giorno del tuo matrimonio! Voglio essere in prima fila per vederti entrare in chiesa con indosso quel magnifico vestito e poter essere fiera di dire: questa è mia figlia!” La pioggia non demorde e continua il suo insistente scrosciare. Le ginocchia ricominciarono tremare e senza neanche accorgermi mi ritrovo a terra ad abbracciare la lapide. Sto singhiozzando di nuovo,ma le lacrime non mi impediscono di dire “Scusami! Scusami tanto mamma!”
Mio marito si avvicina e come ha fatto prima mi da un appoggio per rialzarmi. Lo guardo di nuovo negli occhi e scorgo tutto il dolore che prova in quel momento. Non è pena, ma dolore! Si! Sta provando dolore per me. so che vorrebbe consolarmi ma non sa come fare. E io gli do ragione. Se fossi io al suo posto non saprei cosa fare.
Mi porge l’ombrello per non farmi venire un accidenti e mi accompagna in macchina. Non lo ringrazio. Mi sento di nuovo a pezzi. Nel mio pensiero continua a ripetersi come in un disco rotto la frase “Scusami! Scusami tanto mamma!” Lui sale in macchina e poggia una mano sulla mia spalla. Vuole dimostrarmi il suo affetto. Io cerco di non essere brusca e la lascio li dov’è. In fondo mi fa piacere sentirlo così vicino. Sento il mio cuore ripiombare nel vuoto iniziale e sento la paura aumentare. Non voglio entrare in depressione!
Osservo ancora una volta la lapide candida di mia madre e faccio cenno con la testa a mio marito di partire pure. Per tutto il viaggio rimango in silenzio a osservare dal finestrino le migliaia di persone che, con l’ombrello aperto, andavano e venivano sugli affollati marciapiedi. Arrivati a casa corro in camera a cambiarmi e mentre mi sto mettendo più comoda crollo. Incomincio un pianto interminabile e violento. Mi butto sul letto e cerco disperatamente di trovare conforto abbracciando il cuscino.
Zoro entra nella stanza preoccupato e si siede vicino a me, mi accarezza i capelli bagnati. “Che ironia della sorte! Anche sta mattina quando mi hai accarezzato i capelli erano bagnati!” gli dico accennando un sorriso falso. Lui mi stringe a se e mi bacia sulla fronte. “Non fa niente!” mi dice. Nel suo abbraccio mi sento protetta e sicura, infatti vi rimango avvinghiata per molto tempo. Quando è ora del pranzo vado in cucina a preparare qualcosa ma quando impugno un coltello sento la mano dio mio marito fermarmi.
“Lascia faccio io!” mi dice. Io lo guardo perplessa perché non l’aveva mai fatto prima. Lo lascio fare e vado a sedermi sul divano. Non ho voglia di accendere la televisione neanche di leggere un libro. Prendo dal mobiletto affianco al divano un porta ritratto con la foto sorridente di mia madre. La guardo attentamente e resto in silenzio a contemplarla. Una lacrima scorre sul mio viso ma non fa in tempo a cadere perché l’asciugo prima.
Non volevo farmi vedere di nuovo in lacrime da lui. Non oggi! Poso la foto e vado a sistemare il letto in camera. Il pomeriggio lo passo seduta sul divano a guardare un film abbracciata al mio Zoro. Verso le nove di sera mi corico sul letto. “Sono stanca!” gli dico. Prima di addormentarmi però auguro la buonanotte a mia madre :“buonanotte! Mamma!” chiudo gli occhi e mi addormento quasi subito. Per una volta riesco a dormire come si deve senza fare i soliti incubi. Sorrido nel sonno felice. Finalmente sono riuscita chiedere scusa.





THE END




Come mi ha fatto notare la mia amicona YUKINO86 il finale è leggermente diverso dal precedente! E in effetti non ha tutti i torti! Pwerò ormai io l'ho scritta cos'! anche eprchè non credo che riuscirei a rimetterci le mani sopra! Credo cha la rovinerei!
Chiedo scusa se nel testo ci sono errori, o orrori in base al contesto, di calligrafia. In questi giorni non sto molto a rileggere quello che scrivo! ^^" Spero che la nuova versione vi sia piaciuta! A me molto! (Ma va?? L'ahi scritta tu!) =_="""

Saluto e Ringrazio:

- YUKINO86
- SHAINARETH
- DARK- RONIN & SISTER(NANA)
- SAJA

In fine saluto tutti quelli che, non so quando, trovano il tempo di leggere le mie fic! Vi ringrazio!!!!!!

 
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