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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Naruto Shippuden
Titolo Fanfic: PER OGNI MIO SUBLIME TORMENTO
Genere: Angst, Drammatico, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: bebedb galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/04/2024 21:26:20

OS intrispettica dedicata a Itachi. IC e Canon Compliant
 
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PER OGNI MIO SUBLIME TORMENTO
- Capitolo 1° -

«Nii – san...»
Sasuke è venuto a trovarlo. Sta rischiando un rimprovero dalla mamma, da tempo immemore gli ripete di lasciar riposare il fratello maggiore dopo le sfiancanti missioni.
Predica che si esaurirà comunque in sguardi dolci e carezze, non potrebbe far infuriare nessuno l’intenso affetto di Sasuke.
Appena Itachi prova a sorridergli, ecco che il petto gli implode in una morsa d’angoscia. Normale amministrazione, la beatitudine non fa parte di lui, ha formulato il concetto: la vita non mi piace a soli sei anni.
Il respiro brucia come lava, in profondità, questo è dolore fisico e ha iniziato ad affliggerlo relativamente da poco. Itachi si afferra la maglietta intrisa di sudore, tenta di strapparsela per avere sollievo, ma scollarla dal petto fradicio la rende gelida e trema.
L’immagine non quadra, Itachi non si trova nella sua stanza. L’aspetto della casa in cui sono nati lui e Sasuke è sovrapposto a qualcos’altro. Detesta non comprendere quello che succede intorno, essere impotente e non avere il pieno monitoraggio della realtà.
La pioggia tamburella incessante sulla finestra. Non che a Konoha non piova mai, però non ha questa connotazione persistente. Sembra non prevedere una fine, come i battiti del cuore.
«No...» il sussurro spezzato si fa strada tra le labbra aride.
Itachi gira di scatto la testa, spera che il tonfo ovattato sul cuscino gli schiarisca la mente. Quando le figure dei due ambienti saranno scissi e riconoscibili, un macigno di disperazione lo schiaccerà. Lo sa, la consapevolezza che il suo inconscio lotta per tenere lontana ormai è lì, lo raggiunge sempre allo svanire del sonno.
La pioggia persevera, un sottofondo costante. Itachi non ricorda neanche più da quanto non vede una notte rischiarata dalla luna.
Già, la luna. La notte.
«Nii – san, possiamo allenarci insieme? Papà parla sempre di te, lo sai. Voglio diventare forte anch’io.»
«No!» Stavolta grida. Itachi non se ne preoccupa, al momento non gli sovviene il motivo, ma sa che nessuno lo può sentire.
Vorrebbe parlare a Sasuke e ai genitori, piangere, raccontare tutto prima che accada l’irreparabile. Essere libero di disperarsi perché il suo migliore amico, l’unico che abbia mai avuto, lo ha lasciato solo.
È già successo, vero? La sua vita è finita, dunque.
Itachi singhiozza, sente le lacrime inondargli il viso. Nei pochi istanti in cui gli è concesso di essere autentico, considera quanto sia ingiusto dover morire a ventuno anni senza aver mai avuto niente, felicità compresa.
«Nii – san?”
Perché Sasuke è lì nel covo di Amegakure? Come mai ha ancora una voce di bambino? Itachi non può spiegargli niente, deve tapparsi la bocca e usarla solo per vomitare menzogne e cattiverie. Non può rovinare tutto adesso.
Sasuke si affaccia sorridente alla porta del bagno, la voce è distorta come la sua immagine. Ha la testa troppo grossa, si avvicina a scatti, sembra teletrasportarsi diversi metri ogni volta. Lo sguardo sempre in primo piano, non rispetta l’effettiva posizione di Sasuke nella stanza, rimane appiccicato al viso di Itachi. Gli occhi del fratellino lo tormentano malgrado siano ancora grandi, neri e innocenti.
Frugando tra i pensieri offuscati, Itachi indovina senza più dubbi che qualcosa non va. Forse ha la febbre, magari è un sogno fuso con la realtà. Non ha importanza, quello che capta non è reale.
Si siede sul letto maledicendosi per non aver chiuso quella dannata porta, l’immagine di Sasuke svanisce.
Ormai rientrato nel personaggio che si è costruito intorno, Itachi sospira e si massaggia la fronte viscida di sudore, solo allora il battito si calma e lui ritorna l’automa razionale che è sempre stato. Abituarsi alla vista che peggiora è arduo; la pelle sottile e flaccida, invece, non costituisce un problema.
È lieto che il suo alloggio si trovi in fondo al corridoio, nel punto più lontano da quelli dei colleghi. Dal momento che non sa quali nomi chiama la notte, è meglio che nessuno si accorga dei suoi lamenti. Spesso è attanagliato dal dubbio di aver invocato il nome del fratello o chiamato la mamma. Scappano sempre a tradimento, eludono l’autocontrollo di Itachi lasciandolo lì come un inetto smidollato.
La malattia lo tormenta giorno e notte, le parti di sé che ha preferito annientare possono tornare a galla inaspettate. Una diagnosi dettagliata non gli interessa, è sufficiente ingollare pillole finché il respiro non smette di bruciare e il pericolo di sragionare cessa. Il problema è che gliene occorre una dose sempre più alta e non sa quante ne restano. Non può certo contarle ogni volta e spesso non dispone del tempo necessario per procurarsele.
Lo sbuffo annoiato lo accompagna in piedi, il malanno è proprio un impiccio che non ci voleva. Ciondola verso il bagno con addosso solo la maglietta tempestata di disgustose gore, i capelli arruffati, le gambe nude sempre più magre.
Un attacco di tosse improvvisa e dolorosa lo costringe ad accelerare il passo. Per così dire, il massimo che le gambe instabili riescono a fare. E infatti, quando raggiunge il lavandino ha già lasciato una scia di sangue per terra. Il resto lo rigurgita lì, con le mani tremanti aggrappate alla ceramica, circondato dal cupo rotolare della pioggia dentro i tubi di cui sono infarcite le pareti.
Maledetti tubi, ad Amegakure sono un materiale. Ogni struttura è costruita con i tubi.
Si inzacchera i capelli, le punte svaniscono nel lerciume dello scarico. Pazienza. Non deve più essere attraente per nessuno. Bisogna archiviare presto l’imprevisto.
Le dita tracciano altre striature rosse cercando spasmodiche il sacchettino di pillole nell’armadietto, non risparmiano lo specchio, i rubinetti, macchiano la pelle profumata del contenitore e anche le stesse compresse. Itachi rimanda giù parte di quanto ha vomitato così.
La tosse si fa più forte, l’emicrania gli frantuma le ossa del cranio. Itachi attende l’arrivo dell’effetto accartocciato sul water. Il nauseabondo gusto di uovo marcio che avverte in bocca permarrà, non lo abbandona da diversi mesi. Improbabile che qualcuno non se ne sia accorto, Itachi cerca di parlare lo stretto necessario anche per questo.
Le ondate di benessere arrivano. Dapprima lo lambiscono appena per ritirarsi subito, poi si spingono sempre più avanti, più ampie, fino sommergerlo tutto.
Itachi solleva la faccia dalle mani, le labbra distorte in un macabro sorriso. Ribalta gli occhi, il sangue ha ripreso a scorrergli nelle vene trasmettendo gradevole calore. Bene, il corpo ha smesso di mettergli i bastoni tra le ruote.
Torna al lavandino per ripulirsi mani e viso. Ora riesce a esaminare il riflesso di quel mostro che tra poco conoscerà la pace per la prima volta. Pallido, gli occhi sempre più infossati, sfinito da quella vita che non gli appartiene. Rigira con le unghie pitturate di viola -che stile ridicolo- la collana regalatagli da Sasuke. Tornerà al mittente, Itachi sa che Sasuke la custodirà con cura. Dopo. Nel futuro che lui non vedrà. Non che gli dispiaccia, Itachi è nato sbagliato ed è giusto che venga eliminato dal corretto percorso di miglioramento dell’umanità. È stato solo sfortunato, si è reso conto da subito di avere il tempo contato. Uno come lui non può campare a lungo.
Itachi non è fatto per questo mondo. Sa di essere condannato a reprimere sentimenti e desideri, fingere di non averne per adattarsi a quello che gli altri si aspettano da lui.
Non solo dopo quella notte, no. Corroso da un marciume di cui non scova l’origine, il vero Itachi è andato perduto nei meandri delle imposizioni dettate dal suo dovere di shinobi. Giorno dopo giorno, un pezzo alla volta. Non trova l’origine del nodo di angoscia, eppure l’ha cercata. Il motivo svanisce strada facendo, tra i ricordi. Forse non esiste proprio; lui è difettoso, inadatto.
Quello che gli altri trovano naturale per Itachi è insensato, i suoi pensieri profondi e laceranti invisibili al resto del mondo. Arreso davanti all’impossibilità di risalire alla causa del suo malfunzionamento, Itachi bolla sbagliata e inadeguata qualunque emozione lo riguardi, sopprimerle sul nascere è la scelta più assennata. Sperare nell’altrui comprensione un immane spreco di energie.
Eppure, la chiave deve essere in quell'incubo ricorrente che gli capita… da quando? Sembra un suo tratto distintivo, una parte integrante delle sue cellule.
Un uomo ferito gli chiede dell’acqua, salvo poi trasformarsi in una feroce tigre all’esprimersi della sua buona intenzione. Itachi reagisce, si difende, sgozza la tigre prima che possa divorarlo. Ma poi, al riabbassarsi dello sguardo, al posto della tigre c’è un gattino agonizzante che con gli occhi chiede: perché? Forse il senso di colpa è l’inganno finale, macchinazione studiata dall’uomo misterioso sin dall’inizio. D’altronde, niente può annichilire di più un avversario.
I sentimenti. Una condanna. Meglio farne a meno, un sacco di sofferenza risparmiata.
L’arrivo di Sasuke lo ha dissuaso dal farla finita. L’immagine del fratellino, ricordata mentre già volava giù da una roccia, ha fatto sì che ci ripensasse. Che tenesse stretta questa insopportabile vita.
Itachi aveva sei anni, quel giorno.
Ha accettato l’agonia senza rimedio e ci si è rassegnato dopo aver stretto il fagottino. Da allora ogni tormento ha uno scopo. Vivere in funzione di Sasuke rende sublime il dolore, niente più è vano. Neanche seppellire emozioni. Nemmeno fingersi un mostro o imitare il comportamento altrui nel tentativo di mimetizzarsi.
Non è stato inutile uccidere prima lei per cancellare le ultime esitazioni emotive e personali. Shisui, in un certo senso, è riuscito a fregarlo. Gli ha strappato un legame, una promessa, l’esclusiva di un affetto insostituibile e irripetibile. Il primo, immenso dolore. Neanche questo frivolo, ogni strazio è trasformato in bene per Sasuke e il futuro.
Affezionarsi. Uno sbaglio che Itachi ora non commette più.
Dopo quella notte, è iniziato lento e inesorabile il declino fisico. I battiti si sono fatti sempre di più irregolari e dolorosi, vertigini, malori improvvisi. Gli ospiti invisibili che hanno approfittato del corpo compromesso di Itachi per infestargli i polmoni, lo hanno reso felice.
Sì, felice. Perché alla fine di quella lunga strada, la tanto agognata pace lo attende.
Barcolla di nuovo verso il letto nella speranza di godersi le residue ore della notte nel sonno innaturale indotto dai farmaci. Mera consolazione, ormai ha imparato ad apprezzare le uniche quisquilie a cui non gli è negato l’accesso. Abbandonarsi adesso non danneggia nessuno.
Al diavolo. Mentre si arrotola nelle lenzuola stropicciate e puzzolenti di sudore, prova quasi ilarità per aver tentato, anche se per poco, la ricerca della felicità. È sempre stato consapevole della marcia ingranata male destinata a crescere con lui culminando nella rovina. Donare la sua misera esistenza per il bene altrui è l’unica scappatoia plausibile. Da sempre.
Itachi fissa il soffitto traballante, la grezza pietra ulteriormente ingrigita dal buio gli ispira una domanda. E se avesse ucciso anche Sasuke quella maledetta notte? Suo fratello non sarebbe stato meglio immerso nella pace, piuttosto che a dibattersi nell’ignominia del mondo a doversela vedere con la giovinezza rubata e il futuro fatto a pezzi?
D’altronde Itachi conosce a menadito l'infamia della vita, non è nessuno per averci condannato il fratello. I tentacoli della società schiavista, ormai, invadono ogni pertugio. Costringono la gente a non potersi conquistare il personale appagamento, adattarsi agli schemi imposti dalla collettività è l’unica via. Il singolo individuo affoga risucchiato nella melma della dittatura a cui nessuno sfugge, Una gabbia che la maggioranza finisce per considerare confortevole, all’interno della quale non c’è pietà per chi funziona diversamente.
Itachi sospira finalmente libero dal bruciore ai polmoni, si gode le piacevoli vertigini, sorride. Idiozia, deve smetterla con l’ossessiva mancanza di fiducia nel prossimo e accordarne almeno un briciolo a suo fratello. Sasuke non è come lui, è adatto a vivere nella maledetta realtà; anche se, per ora, non lo dimostra. La troverà giusta e lotterà per migliorarla.
Itachi chiude gli occhi, ruota la testa per posare la guancia sul cuscino, è un contatto che ha da sempre il potere di rilassarlo. Non sa perché. Altro particolare andato perduto con gli indegni aspetti di sé, sepolto chissà dove.
Chi se ne frega.
Malgrado non conosca la felicità, Itachi può donarla.
L’infinita catena di privazioni e dolore non sarà valsa a niente.




Note:

Questa storia partecipa al Contest Pinguini in cerca d’autore! Indetto da Rosmary sul forum Ferisce la penna. La citazione che ho scelto è riportata all’inizio.

Gli eventuali trigger qui sono: traumi infantili rimossi che sfociano nella depressione, e uso di sostanze a scopo palliativo che culminano in un conseguente stato allucinatorio.
Il trauma a cui mi riferisco è quello subito da Itachi a quattro anni, quando suo padre lo ha costretto a camminare tra i cadaveri su un campo di battaglia.
Analizzando il personaggio di Itachi nell’anime, l’ho sempre trovato compatibile con lo spettro autistico non riconosciuto, di cui neanche lui è al corrente. La gente lo trova diverso e/o strano da quando è nato, famiglia compresa. Non socializza, sembra non provare emozioni. Eccelle in vari campi trovandosi molto più avanti dei coetanei, tutto questo a suo scapito. Sasuke e la pace sono i suoi interessi assoluti, binari da cui gli riesce difficile uscire. Si sente difettoso, sbagliato, e non adatto al mondo. Tutto questo è presente già prima della strage.

 
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