MY TOWER - Capitolo 1° -
Hashirama avrebbe dovuto sentirsi appagato nel suo salotto la Vigilia di Natale. Il camino acceso, il gigantesco abete addobbato con tanta cura che spargeva un buon odore di resina e bosco. Una moglie amorevole, il figlio che stava per venire a cena. Tutto regolare, niente scossoni, Problemi azzerati, nessuna brutta piega o imprevisti nella sua vita. Non più. Esattamente come il mondo si sarebbe aspettato. Avrebbe dovuto essere grato per la fortuna che aveva. Avrebbe dovuto, ma non lo era. E, diamine, avrebbe avuto voglia di parlarne con qualcuno. Tuttavia, ogni volta aveva soprasseduto, non aveva voglia di sentire la fatidica domanda cosa ti manca? Perché, di preciso, non lo sapeva nemmeno lui. La perfezione poteva essere vuota? Capitava sempre più spesso che Hashirama se lo chiedesse. Era una sensazione cresciuta lentamente negli anni. All’inizio Hashirama aveva cercato di scacciarla con tutte le sue forze, l’aveva nascosta sotto il tappeto a ogni evento lieto della vita. I giorni più belli, li chiamavano. La laurea, la falegnameria ereditata dal padre e che ora andava a gonfie vele, il matrimonio con Mito, la nascita del figlio. Casa, macchina, stabilità, amici per bene con cui trascorrere i weekend a coppie parlando della famiglia. Forse non amava la tranquillità? Aveva voglia di lanciare una pietra per mandare in frantumi tutta quell’impeccabilità? Si annoiava? La gentilezza di Mito lo disgustava? Chiunque, sulla faccia della Terra, gli avrebbe dato dello stupido. “Tesoro, esci?” Mito lo aveva sentito prelevare le chiavi della macchina dalla scatolina affianco alla porta. L’aveva fatta lui, i piccoli oggetti erano le sole occasioni in cui gli era concesso sfogare le doti di artista. Li costruiva nel tempo libero facendoli passare per hobby. Da ragazzo sognava di diventare scultore, ma per un uomo responsabile e padre di famiglia era necessario un lavoro serio, esseri deformi dotati di una testa e migliaia di mani non sarebbero mai stati capiti. “Sì, mi è venuto l'atroce dubbio di non aver chiuso a chiave la falegnameria.” Mito si stava avvicinando sorridente per salutarlo, Hashirama sperava che si bevesse la scusa abbastanza inconsueta per un uomo preciso come lui. “Torna presto, ricorda che è la Viglia e abbiamo una cena importante.” Era anche il suo compleanno. “Mi credi così smemorato, cara?” Le aveva sorriso mentre lei gli sistemava il colletto del cappotto e ne tirava fuori i lunghi capelli, poi si era congedato con un bacio a stampo. Cosa esattamente lo stomacava così tanto? Se lo chiedeva scendendo le scale con le grandi falcate che non poteva evitare avendo le gambe così lunghe. Lui lo chiamava Sequoia. Accarezzava il telefono nella tasca, non vedeva l’ora di sbirciare. Sì, perché lui e Madara non avevano avuto il coraggio di eliminarsi a vicenda dai social. Da quando avevano deciso di non frequentarsi più, ormai cinque anni prima, nel mondo virtuale si ignoravano. Però, mentre Hashirama cercava di pubblicare il meno possibile, Madara non faceva altro che ostentare fotografie, locali, vita mondana, look estremi, vacanze, nuove conquiste regolarmente abbandonate al sorgere del sole. Ogni volta si premurava di inserire l’esatta posizione. Non lo avevano sbattuto fuori dal liceo dove insegnava storia solo perché sarebbe stato impossibile trovare un altro con le sue competenze. E poi gli studenti lo adoravano, il preside non poteva certo rischiare un ammutinamento. La puzza di messaggi subliminali dedicati proprio l’uno all’altro si era fatta sentire sempre più forte negli anni. Hashirama cercava di restare anonimo per non far soffrire Madara, addirittura non aveva mai inserito foto di Mito, del matrimonio e di suo figlio. Madara gli comunicava di continuo che campava uguale senza di lui. Anzi, meglio. Anche se le scrupolose posizioni sembravano gridare di andarlo a prendere. Pubblicava sempre tutto tranne dove si era trasferito dopo la loro rottura. Hashirama lo aveva capito che era stata una mossa studiata per fargli rabbia. Hashirama, mi sarei annoiato a morte con una vecchia ciabatta come te. Gli era sembrato di sentire l’immaginario rimprovero mentre la guerra fredda del digitale proseguiva una battaglia dopo l’altra. L’ultima registrazione di Madara era di appena tre minuti fa, un disco pub che frequentava spesso. Hashirama sapeva dov’era perché ci era passato davanti un sacco di volte, ma lo aveva sempre fatto in pieno giorno, quando era chiuso. Il coraggio di farlo quando c’era Madara non gli era mai venuto. Hashirama non aveva voluto ammettere con se stesso la meta che aveva in mente avviando il motore, come non avrebbe tollerato che qualcuno lo avesse visto uscire dal primo bar trovato con una porzione di Inarizushi che si era fatto incartare in una scatolina formato regalo. “Quello con le uova no, mi raccomando.” Madara detestava le uova. Il disco pub vantava tutti gli stereotipi che per Hashirama avevano sempre rappresentato lo squallore totale. Pacchiani neon fucsia e turchesi fusi insieme, la parete che guardava la strada fatta di ampie vetrate in modo che da fuori si potesse sbirciare la merce decidendo se entrare o no. Altri neon viola cupo all’interno, strategia per disturbare la vista quanto bastava per non vedere rughe e difetti fisici. Festoni natalizi consumati dal tempo appesi svogliatamente al soffitto giusto perché erano stati costretti. Tizi con la pelle rinsecchita da alcol e chissà cos’altro fumavano appoggiati allo stipite della porta in attesa di essere rimorchiati, nebbia di sigaretta persino dentro in barba al divieto di fumare. La musica dai toni bassi e ripetitivi sembrava creata apposta per disturbare le onde cerebrali. Hashirama, sentendosi fuori luogo con maglioncino, cappotto, mocassini e pantaloni di cotone, si era fermato dal lato opposto della strada, strizzava gli occhi per mettere a fuoco dai finestrini ben chiusi. Madara aveva la fortuna di compiere gli anni la Vigilia di Natale, un giorno speciale, qualcosa per renderlo ulteriormente particolare come se già non fosse bastato il suo aspetto. Hashirama aveva avvertito una fitta dolorosa al cuore, non era una data da sprecare così a quarant’anni. Si sentiva un verme per non essere mai riuscito a dargli di più. Eccolo, Madara era là. Hashirama era sobbalzato sul sedile vedendolo muoversi così elegante come solo lui sapeva far. Bellissimo, pantaloni di pelle rosso mattone, maglia aderente nera e scollata. Si era seduto su uno sgabello al bancone, Hashirama lo vedeva di spalle, Madara aveva sollevato un istante il sedere per liberare la punta della lunga chioma rimasta incastrata, poi aveva accavallato le gambe iniziando a bere il cocktail ordinato. I boxer di Hashirama erano esplosi, il suo corpo non reagiva così da quando avevano deciso di non vedersi più. Cinque fottuti anni.
“È crudele costringermi ogni volta a scegliere tra te e la mia famiglia, potesti venirmi incontro visto che per te sto portando avanti un castello di menzogne. Stai diventando morboso, Madara.” “Noi ci conosciamo da una vita, eravamo bambini, lei è arrivata molto dopo. Comunque capisco, Hashirama. Non preoccuparti, me ne vado prima di rovinare la tua preziosa riuscita sociale. Buona vita perfetta.” “Madara…”
La porta del motel sbatacchiata con forza risuonava ancora nelle orecchie di Hashirama come se fosse successo il giorno prima. Le sue dita avevano cercato a tentoni il telefono per spegnerlo, non gli serviva più. Preso dai ricordi, Hashirama non si era reso conto che Madara si era scolato la bevuta in pochi secondi e ne aveva già ordinata un’altra, non aveva visto nemmeno il tipo squallido che gli si era avvicinato. Uno che si credeva figo solo perché vestiva come una rock star a cinquant'anni passati da un pezzo. Sgraziato, modi da scaricatore di porto, Madara lo ascoltava solo per educazione. Intanto il secondo bicchiere era andato e Madara aveva già fatto cenno al barista di tornare. Il tizio gli infilava le mani tra i capelli, Madara si dimenava per scollarselo di dosso. Hashirama aveva perso il controllo quando lo aveva visto infilare le mani sotto la maglia di Madara, il tipo era tornato alla carica dopo uno spintone ma aveva rimesso Madara seduto con un schiaffo. Fregandosene di essere inadatto, Hashirama aveva il dovere di intervenire visto che là dentro facevano tutti finta di non vedere cosa stava succedendo. Era balzato fuori dalla macchina attraversando la strada in due secondi. “Ehi, nonnetto, perché tanta fretta?” Era a causa degli abiti, lo sapeva. “Sei solo?” Hashirama aveva strappato la manica della giacca dalla mano di quello che lo aveva artigliato come un rapace, non era sua abitudine essere maleducato. Ma stavolta c’era di mezzo Madara, l’unico capace di fargli perdere la ragione nel bene e nel male. Hashirama aveva ricominciato a ragionare solo dopo che la rock star troppo stagionata era stramazzata in terra con il naso sanguinante. Stavolta la musica si era fermata, disk jockey, avventori e barista guardavano sconvolti quel pazzo che elargiva cazzotti come caramelle. “Hashirama.” Il sibilo di Madara gli era arrivato prima che potesse registrare il dolore alla mano. Nascosto tra i capelli, lo sguardo minaccioso con un occhio chiuso e uno aperto come quando erano bambini. Non era cambiato per niente, Madara. Sempre illegalmente bello, Hashirama aveva deglutito a secco davanti alle forme dei pettorali che sbucavano dalla scollatura. “Hashirama, tu non puoi piombare così nella mia vita dopo cinque anni. Non hai il diritto di distruggere gli altri solo perché tu sei perfetto. Sono un po’ cresciuto per le tue lezioncine, non credi? Raccogli la tua filosofia e sparisci.” “Andiamo via” Hashirama aveva sollevato Madara dallo sgabello con uno strattone sotto l’ascella “Il puzzo di fumo mi sta soffocando.” In realtà voleva togliersi da quella situazione prima che il buttafuori potesse intervenire, non aveva voglia di guai non previsti. “Mollami, so camminare da solo” Madara protestava agitandosi scoordinato dagli stravizi. “Non vedi che non ti reggi in piedi, Madara?” Hashirama aveva trascinato Madara fuori dalla porta, poi se lo era tirato davanti squadrandolo con lo sguardo severo. Puzzava di alcol e fumo passivo da rivoltare lo stomaco. “Sei impazzito, Hashirama? Ho una reputazione. Grazie a te non potrò più mettere piede qui e nessuno vorrà avere a che fare con me.” Ad Hashirama era bastato spostarsi di pochi centimetri per schivare lo schiaffo che l’amico avrebbe voluto dargli. Poi Madara era crollato seduto in terra, lo stato in cui era gli faceva girare la testa a ogni minimo spostamento. Hashirama gli si era accucciato accanto, gli aveva afferrato il mento per costringerlo ad alzare la faccia, Madara era pallido da fare schifo, finché erano stati dentro le luci colorate lo avevano camuffato. Le pupille di Madara erano dilatate, Hashirama se ne era accorto nonostante fossero sempre state indistinguibili dall’iride. Aveva mandato giù altro a parte l'alcol. Ad Hashirama veniva da piangere, forse la vita di Madara non era così bella come sembrava. Hashirama si sentiva immondo per averlo abbandonato. “Ti spacco la faccia, Hashirama” Madara lo aveva afferrato al collo “Fuori dalla mia vita.” Hashirama gli aveva acchiappato i polsi strappandoselo via, lo aveva quasi tramortito con uno scossone. “Allora, Hashirama, omofobia e stereotipi ti hanno ringraziato per averli fatti vincere?” Madara mormorava con la voce impastata, Hashirama gli teneva ancora i polsi con forza “Cosa ti hanno dato? Soldi? Soddisfazioni?” “Dove abiti?” La risposta di Madara era stato uno sputo preciso negli occhi. Hashirama si era asciugato con la manica della giacca senza perdere la calma, poi si era alzato in piedi tirandosi dietro Madara. Lo aveva trascinato fino alla macchina per sbatterlo sul sedile passeggero. “Ti vado a recuperare il cappotto.” Madara aveva cercato ancora di opporre resistenza, ma ad Hashirama non era servita neanche la metà della forza per sbatacchiarlo di nuovo seduto. A Madara non era rimasto che capitolare estraendosi il numerino del guardaroba dalla tasca, lo aveva tirato in faccia all’amico senza colpirlo. Hashirama faceva tutto senza cambiare espressione, raccolto il tesserino da terra, si era allontanato solo dopo aver chiuso Madara in macchina con le chiavi elettroniche. Non aveva mai sentito una responsabilità tale nei confronti di qualcuno, nemmeno verso suo figlio. Quando pochi minuti dopo era tornato, Hashirama aveva infilato a Madara il lungo cappotto elegante, ce lo aveva avviluppato visto che aveva iniziato a tremare di freddo. “Spero di vomitarti in macchina” Madara bofonchiava senza aprire gli occhi e con la fronte appoggiata al fresco del finestrino. Non si era accorto che Hashirama gli aveva sfilato il portafoglio dal cappotto per leggere l’indirizzo sui documenti. Madara, sempre il solito. Hashirama gli aveva lanciato una rapida occhiata, era sempre più bianco e aveva il respiro affannoso. La minaccia avrebbe potuto concretizzarsi.
“Madara?” “Uhm” “Siamo arrivati.” Niente, non aveva mosso un muscolo. Hashirama aveva buttato fuori un sonoro sospiro rassegnato prima di fare il giro della macchina e raggiungerlo. “Madara?” Gli aveva afferrato la mano ma sembrava svenuto. Hashirama iniziava a preoccuparsi sul serio, non aveva la più pallida idea di quale miscuglio l’amico avesse mandato giù. Non gli era rimasto che caricarselo in braccio e richiudere la portiera con il piede. “Madara, dovresti darmi una mano, però. Se ti poso in terra per aprire il portone non sono sicuro di riuscire a rialzarti, inizio a essere stanco.” “Chi ha chiesto il tuo aiuto, Hashirama? Lasciami qui e vattene.” Madara biascicava quasi incomprensibile, ma almeno era sveglio e la sua irriverenza intatta. Hashirama aveva sorriso sollevato, non era mai stato così contento di farsi insultare da Madara. “Come vuoi, ma sappi che morire di freddo è doloroso. E poi non ho voglia di andare dentro a causa tua.” “Accidenti a te, Hashirama, se parlassi con un asino farei meno fatica.” Dalla sequoia all’asino era stato un attimo. Intanto Madara era stato costretto ad aprire gli occhi per infilare la chiave nella serratura. Hashirama sorrideva compiaciuto per averla spuntata, andava bene così, pretendere che Madara smettesse di borbottare sarebbe equivalso a chiedergli di non essere Madara. “A che piano?” “Terzo. Non perdere tempo a cercare l’ascensore, non c’è.” In effetti il palazzo era abbastanza miserevole. Muri scrostati, puzzo di muffa e macchie di umido che si allargavano dagli angoli, la prima finestra della tromba era rotta. Scale di pietra dai gradini alti e consumati, la ringhiera arrugginita come le tubature di acqua e riscaldamento che erano a vista. Hashirama si era fatto scappare un’imprecazione mentre si assestava meglio l’amico aiutandosi con un ginocchio. “Smettila di sballottarmi” Madara mugugnava, di nuovo senza degnarsi di aprire gli occhi “Sono stufo di rimandare giù il vomito, potrei togliermi la soddisfazione che non ho avuto prima.” “Sei pesante e ho un sacco di strada da fare.” “Allora sta’ zitto e risparmia il fiato per salire.” Madara aveva lasciato cadere la testa sulla spalla di Hashirama così forte da fargli male. Però quel contatto gli piaceva, il corpo di Madara era caldo come lo ricordava, Hashirama evitava di muoversi troppo per non perdere il suo respiro che gli sfiorava il collo. Ci si era messa pure l’erezione a intralciargli la camminata. Almeno non c’erano state altre discussioni davanti alla porta dell’appartamento, Madara non aveva avuto bisogno di farsi pregare per aprire e accendere la luce. Hashirama avrebbe preferito il buio, almeno non avrebbe sentito l’ennesima stretta al cuore davanti a quella desolazione. A quanto pare nessuno andava mai a trovare Madara. Nonostante fosse la notte di Natale nonché il suo compleanno, non c’erano tracce di addobbi o pacchetti. Nemmeno un misero mazzo di fiori. Il tavolo del salotto, ingombro di cianfrusaglie varie, aveva l’aria di non essere usato da tempo. C’era odore di chiuso, l’aria era afosa quasi come in estate. Le spesse tende non si spostavano mai dalle finestre. Hashirama avrebbe voluto regalargli un bel parquet al posto della moquette lisa. Dopo aver posato Madara sul divano, Hashirama era rimasto a guardarlo con gli occhi avviliti. Madara doveva aver sofferto molto, per questo arrivava a distruggersi così. Lo aveva accarezzato scostandogli i capelli dalla faccia, Madara non si era mosso, non apriva gli occhi. Hashirama sentiva il petto stretto in una morsa vedendolo respirare affannato, gli aveva sfilato il cappotto per dargli sollievo. L’angolo cucina era subito dietro, Hashirama si era concesso una lacrima mentre inumidiva una pezza, aveva deciso di portarsi dietro anche il secchio del pavimento, non si sa mai. Madara lo aveva guardato sentendoselo seduto accanto, tremava alla passate di pezza umida sulla faccia. Hashirama gli sorrideva, Madara gli aveva piantato addosso le pupille di ossidiana senza far trapelare emozioni. “Stai meglio?” “Fottiti.” Sì, stava meglio. Hashirama gli aveva liberato il viso dalle ciocche che si erano bagnate per sbaglio, poi si era diretto ai fornelli per mettergli insieme qualcosa da mangiare. Idea abbandonata subito, nel frigo non c’era nient’altro che una confezione di riso al latte mezza sbocconcellata e verdure surgelate. Non gli restava che preparare da bere, ma, subito dopo aver preso il bollitore del tè, Hashirama aveva dovuto schivare un vaso diretto alla sua testa. La ceramica si era frantumata sul bancone, Madara aveva ritirato la mano grondante sangue. “Fammi vedere” Hashirama gli aveva preso la mano tagliata. “Non sei gradito in casa mia, nessuno ti ha invitato. Vattene o ti faccio portare via in manette.” Hashirama lo aveva dovuto incastrare tra il corpo e il frigo per farlo smettere di dibattersi. Madara aveva stretto gli occhi e compresso le labbra. “Se mi sputi un’altra volta ti faccio a fette e ti metto al posto dei surgelati.” “Ah, sì? Accomodati” Madara gli si era appiccicato addosso, dopo essersi abbassato la lampo dei pantaloni, gli aveva urinato sulle scarpe. Hashirama gli aveva afferrato il membro e lo aveva alzato fino a posarlo seduto sul bancone. In realtà lo aveva sostenuto dalle natiche, ma Madara doveva avere ben chiaro che avrebbe potuto spappolargli i gioielli in un attimo. “Non puoi vincere con me, ficcatelo in testa” Hashirama gli soffiava in faccia come una vipera “Ora fammi vedere quella mano.” Madara teneva lo sguardo basso mentre Hashirama lo disinfettava, la bocca piegata nel disprezzo. “Ho mollato a casa la mia famiglia la Vigilia di Natale, probabilmente Mito chiederà il divorzio e mio figlio non mi rivolgerà la parola chissà per quanto” Hashirama aveva iniziato a stringere le bende “Non ti dice niente questo? Perché pensi lo abbia fatto?” Madara ora lo guardava con le sopracciglia leggermente aggrottate, ma non più di rabbia, era malinconia. “Se vuoi cambiarti, apri pure il mio armadio e prenditi quello che vuoi.” “Grazie” Hashirama gli aveva sorriso sfiorandogli una spalla.
Hashirama si era lavato e infilato la prima cosa che gli era capitata, i pantaloni di Madara gli andavano corti, ma pazienza. Chissà cosa stava combinando quel mascalzone, Hashirama non vedeva l’ora di uscire dal corridoio per rivederlo. Poi se lo era trovato davanti così, con il viso pallido, assente e un coltellaccio molto grosso e affilato nella mano sana. “Madara, ma che diavolo…” era la prima volta nella vita che Hashirama balbettava. Senza dire niente, Madara lo aveva afferrato dal colletto per sbatterlo su una sedia con una forza straordinaria. Si era ripreso. Gli si era messo davanti puntandosi il coltello al petto. “Sei impazzito, Madara?” Hashirama aveva cercato di fermarlo, ma si era ritrovato con il polso quasi spezzato. Madara lo aveva sbatacchiato ancora sulla sedia, prima che Hashirama potesse replicare aveva iniziato a lacerarsi la maglietta. Lo sguardo languido era ipnotizzante, Hashirama non riusciva a sottrarsene. Madara si era leccato le labbra piene con la punta della lingua. Sotto il tessuto stracciato era emerso un sistema si cinghie di cuoio, fasciavano il torace di Madara confluendo in una verticale che gli percorreva il ventre, si agganciava a un collare borchiato. Hashirama aveva deglutito con la bocca secca, aveva dovuto sganciasi i primi due bottoni della camicia mentre i boxer gli si gonfiavano per l’ennesima volta. Madara gli si era avvicinato lentamente, Hashirama lo aveva osservato alzare un piede per posarlo sulla sedia, un rivolo imbarazzante di sudore gli aveva attraversato la fronte. Madara continuava a fissarlo con lo sguardo ardente e il respiro accelerato mentre il coltello faceva saltare la cucitura dei pantaloni, le lunghe gambe candide emergevano dalla pelle rosso mattone. Il ventre di Madara si alzava e abbassava imprigionato nella gabbia di cinture, la patta che gli ricopriva il pene aumentava a vista d'occhio. Madara, ormai nudo a parte le cinghie, aveva girato la punta del coltello verso Hashirama, gli rasentava con la lama il rigonfiamento dei pantaloni. Madara si era chinato per soffiargli nell’orecchio, Hashirama avrebbe potuto avere un orgasmo anche solo sentendo la carezza del suo respiro e gli straordinari capelli sul viso : “Ora liberiamo anche lui.” Hashirama era paralizzato mentre pantaloni e boxer cadevano a brandelli, la stessa fine era toccata al maglioncino tanto criticato al locale e alla camicia. La punta del coltello aveva fatto saltare un bottone dopo l’altro, non aveva lacerato la pelle di Hashirama solo grazie alla straordinaria manualità di Madara. Hashirama era completamente nudo sulla sedia, la pelle olivastra aveva la consistenza del velluto. Madara ondeggiava da una parte all’altra contemplandogli il pene turgido e leccando la punta del coltello. Hashirama tremava, doveva ammettere di essersi sgonfiato in un sospiro vedendo Madara posare il coltello sul tavolo. Madara gli aveva voltato le spalle, la splendida chioma gli sfiorava il sedere perfetto. Non era eccessivamente muscoloso, ma era duro come il marmo e le forme leggermente squadrate. Una delle cinghie gli passava tra le natiche. “Ti piace? Lo vuoi?” Madara si era posato i capelli sulla spalla dando il profilo ad Hashirama. Hashirama non era riuscito a spiccicare parola. Madara gli si era seduto in grembo facendo in modo che il sesso di Hashirama gli finisse tra le natiche. Aveva iniziato a sollevarsi e sprofondargli ritmicamente addosso, Hashirama aveva reclinato la testa all’indietro emettendo un gemito rauco, le vene del collo sembravano esplodergli. Avrebbe potuto venire solo così. “Madara…” aveva il respiro spezzato. Ma Madara era spietato, adorava farlo aspettare e farsi pregare. Lo avrebbe stuzzicato e torturato prima di arrivare al dunque, voleva vedere quanto avrebbe resistito Hashirama. Perciò si era alzato di nuovo in pedi. Hashirama, rimasto con un palmo di naso, lo guardava ansimante e con gli occhi imploranti. Bellissimi, Madara aveva sempre adorato quello sguardo così struggente, Hashirama glielo passava avanti e indietro sul corpo statuario fasciato dalle cinture. Il viso di Madara era attraversato da un ghigno malizioso, aveva di nuovo dato le spalle ad Hashirama, si era piegato per sbattergli il sedere in faccia. “Lo vuoi?” aveva ripetuto spingendo per farsi sparire la faccia di Hashirama tra i glutei. Hashirama non riusciva a staccarsi, il corpo di Madara aveva un profumo molto aromatico, riusciva a lubrificarsi da solo al minimo tocco. Era unico al mondo Le mani di Hashirama gli avevano artigliato improvvisamente le natiche stringendogliele forte, sentiva la sua lingua bollente lottare per farsi strada sotto la cintura in cerca dell’entrata. “No, non va bene” Madara si era ritirato un’altra volta “Se lo vuoi devi guadagnartelo.” Gli occhi di Madara scintillavano di desiderio e potere, quelli di Hashirama erano lucidi e in attesa. Madara godeva vedendolo aspettare solo lui con il cuore in gola, ogni volta le pause erano studiate. Si muoveva lentamente nella stanza con lo sguardo di Hashirama incollato addosso, si era avvicinato al divano per tornare con nuovi oggetti. Hashirama tremava ancora più forte avendo riconosciuto, tra essi, un frustino. Hashirama non aveva saputo opporsi all’applicazione di un morso di gomma, addirittura Madara glielo aveva fissato dietro la testa facendo scattare un lucchetto. Le dita affusolate di Madara avevano continuato il loro lavoro fissando uno spesso guinzaglio al collo di Hashirama. “Sul pavimento, asino.” Madara aveva tirato forte il guinzaglio per costringerlo a mettersi a quattro zampe, i lunghi capelli castani sfioravano il pavimento, Madara gli aveva accarezzato le spalle muscolose con la punta del frustino. Madara gli si era inginocchiato dietro, risaliva le lunghe gambe olivastre con la punta delle dita, Hashirama sentiva il sesso pulsare pericolosamente. Usando un plug anale a cui era attaccata una coda grigia, Madara gli aveva allargato l’entrata, i gemiti di Hashirama erano ovattati dalla pallina di gomma che aveva in gola, le pareti tese allo spasimo gli facevano lacrimare gli occhi. Madara gli si era seduto di schianto sulla schiena, Hashirama aveva dovuto irrigidire gli addominali in tempo record per sostenerlo. Subito dopo una violenta frustata sulle natiche, il dolore era stato così tagliente che Hashirama lo aveva sentito direttamente nel cervello. Meravigliato da se stesso, aveva dovuto fare ancora degli sforzi immani per non venire. “Cammina, ti dirò io dove andare. Ascolta bene le redini perché ogni volta che sbagli…” Altra frustata, più forte della prima. Hashirama si era chiesto se la pelle gli si fosse staccata. La prima svolta era stata facile, Madara aveva dato uno strattone al guinzaglio a sinistra per fargli imboccare il corridoio. Hashirama procedeva praticamente alla cieca con i capelli che gli scendevano davanti al viso. Quando Madara aveva tirato a destra si era fidato, ma si era paralizzato vedendosi le piastrelle del bagno sotto le mani. “Trabocchetto. Ci sei cascato in pieno, somaro.” La punizione non si era fatta attendere. “Avanti, retro marcia. Svelto.” Hashirama si era beccato ben quattro frustate, finché non era riuscito a indovinare la porta gattonando all’indietro con il pene sempre più gonfio di desiderio. Il morso gli faceva lasciare strisciate di saliva per terra. Per fortuna l’appartamento di Madara era piccolo e restava solo una porta da attraversare. “Bravissimo, vedi che se ti concentri riesci?” Finalmente Madara si era alzato dalla sua schiena lasciandolo dolorante. “In piedi” in guinzaglio tirato verso l’alto non aveva ammesso repliche. Madara lo guardava intensamente mordendosi il labbro inferiore, gli esaminava la bocca che grondava saliva con le dita. “Lubrificazione perfetta” Madara sorrideva, poi aveva indicato il letto con un cenno del capo “Sali e mettiti di schiena alla spalliera. Mani dietro.” Madara lo aveva prontamente ammanettato alla struttura in ferro battuto. Gli si era seduto in grembo premendogli la patta di pelle sul sesso turgido, aveva iniziato a ondeggiare il bacino guardandolo negli occhi. “Lo vuoi?” Madara si era chinato sospirandogli sulla faccia, il petto fasciato di cinghie premuto sul suo “Ti conviene farmelo capire o starò qui tutta la notte. Ho ingollato porcherie a stomaco vuoto e potrebbe venirmi un colpo, tu rimarresti legato a morire di stenti con il mio cadavere rinsecchito tra le gambe. Colpa tua, non dovevi lasciarmi solo.” Hashirama aveva annuito con gli occhi affranti, il cuore di Madara si era sciolto, lo aveva visto cambiare tirando in ballo la sua salute. La piccola chiave per sbloccare il morso era appesa al polso di Madara, l’aveva mimetizzata nella mano bendata, la bocca di Hashirama era stata libera pochi istanti prima di essere occupata da quella di Madara. Hashirama aveva chiuso gli occhi sentendo la lingua dell’amico che gli si faceva strada prepotente sul palato, i capelli di Madara gli accarezzavano il petto mentre continuava a muovere il bacino per premere le erezioni una contro l’altra. Madara si accarezzava il corpo scolpito con le mani, Hashirama poteva solo immaginare che fossero le sue. Le dita candide si erano tese per sganciare la patta, Madara si accarezzava il sesso gonfio fissando Hashirama con il solito sguardo irresistibile. Si era tirato su per sbatterglielo nella bocca, aveva afferrato Hashirama dai capelli, tirava forte per affondare fino ai testicoli, l’altra mano gli spingeva il plug nel corpo. Madara gemeva e sospirava inarcando la schiena, Hashirama faceva girare la lingua bevendosi le goccioline saporite del suo intenso piacere. “Hashirama…” Madara emetteva un respiro spezzato a ogni spinta, la voce gli si era fatta rauca. Hashirama avvertiva chiaramente i capelli strapparsi. “Hashirama!” Madara gli aveva messo le gambe sulle spalle e ci si era seduto, Hashirama si era ritrovato con i suoi testicoli alla base del collo e il sesso così affondato in gola da soffocarlo. Solo Madara era capace di ucciderlo così, facendolo godere. Madara gli era uscito dalla bocca, era quasi arrivato al limite. Era scivolato sul corpo di Hashirama fino a sederglisi ancora sulle gambe, gli aveva estratto il plug e aperto le manette lasciandolo libero di toccarlo. E se lo era goduto, fino un fondo. Aveva lasciato fare Hashirama che lo accarezzava venerandolo con gli occhi. Hashirama lo abbracciava, gli baciava il petto senza mai perdere il contatto visivo. Madara restava immobile lasciandolo fare. “Madara” Hashirama si era fermato stringendolo forte, tremava appoggiandogli la testa sul petto “Madara, ti batte il cuore.” Madara aveva sospirato, gli erano venute le lacrime agli occhi. Gli era mancato da morire. Gli aveva accarezzato i capelli e baciato la testa. Le mani di Hashirama gli scendevano lentamente sulla vita, ne seguivano le forme, passavano sui fianchi delicate e bollenti. Si riempivano delle natiche di Madara. Madara arcuava la schiena per facilitare le dita di Hashirama che lo accarezzavano sotto la cinghia in mezzo ai glutei, stava fermo, con gli occhi chiusi e le labbra socchiuse, aveva ripreso a respirare sentendo Hashirama che slacciava la cintura. Un singhiozzo acuto e il corpo ancora più inarcato, le lunghe dita di Hashirama gli erano affondate nella carne incandescente. Madara gli strofinava il sesso sul ventre mentre Hashirama gli baciava i capezzoli chiari, i baci si erano trasformati in morsetti e risucchi così forti da rasentare il dolore. La mani di Hashirama tiravano lentamente il bacino di Madara verso di sé. Improvvisamente, Madara si era sentito alzare il movimento aveva intensificato lo sfregamento intimo sul ventre di Hashirama facendogli sfuggire un gemito. Hashirama se lo era calato lentamente sul membro che gli svettava tra le gambe. Madara gli era scivolato intorno senza resistenza, Hashirama sentiva il cuore esplodere trovandosi dentro di lui, fino in fondo. Madara gli aveva incollato il sedere sul bassoventre, reggendosi alle sue spalle larghe aveva iniziato a muovere solo il bacino. Cavalcava Hashirama mandandolo fuori di testa, Madara sapeva restare flessuoso e morbido pur soggiogandolo sotto la pressione delle natiche. Adorabile egoista come sempre, Madara faceva i suoi comodi costringendo Hashirama ad adattarsi se volevano raggiungere insieme l’orgasmo. Hashirama aveva imparato a riconoscere tutti i suoi segnali, li ricordava anche dopo cinque anni di distanza. Quando gli affondi di Madara si facevano più intensi significava che era vicino, Hashirama gli accarezzava le gambe di marmo, le aveva sempre adorate. Madara si sollevava per ricadergli addosso sempre più pesante, Hashirama lo aveva afferrato dai fianchi avvicinandosi perché tra poco Madara avrebbe avuto bisogno di contatto. E Infatti Madara, puntuale come un orologio, aveva raddrizzato la schiena per conficcargli la punta del pene nel ventre. Ondeggiava con la schiena arcuata al massimo, le ultime due spinte di Madara erano state accompagnate da tremiti e gemiti, Hashirama aveva aspettato quel momento prima di dare l’ultimo poderoso colpo di bacino e riversarsi dentro di lui. Madara gli aveva bagnato la pancia e poi gli si era accasciato addosso ansimante e sudato. Gli era rimasto sdraiato sopra, Hashirama sentiva il suo cuore battere così forte da sembrare un terremoto. Hashirama lo aveva abbracciato, un bacio sulla testa poi aveva iniziato a farlo scivolare lentamente su un lato sostenendolo saldo, lo aveva adagiato sul piumone. Si guardavano negli occhi sfatti dalla passione. “Non mi è piaciuto quello che hai fatto, Madara. Sono stato male.” “In che senso?” Madara sibilava minaccioso stringendo gli occhi e espellendo aria dal naso come un toro infuriato. Hashirama sorrideva. Si sarebbero sbranati come animali per sempre, ma quella era la vita vera, quella appagante, priva di maschere e ipocrisia. “Non mi riferivo all’amore, con te è sempre meraviglioso.” Hashirama gli aveva spostato le ciocche dalla fronte, poi si era avvicinato per baciargli le palpebre. Una volta Madara gli aveva confessato di odiare il piccolo difetto di averle leggermente rigonfie, ma, diamine, se Hashirama le adorava. Amore. Il cuore di Madara era accelerato all’improvviso, si era scostato affinché Hashirama non lo sentisse. “Non sopporto quando ti distruggi così” Hashirama gli accarezzava i folti capelli, il suo sguardo era malinconico. Madara gli aveva posato la guancia sulla mano, il sospiro era il segnale che il toro furioso era rientrato nella gabbia. “Sono crollato, Hashirama, come un ponte che si sbriciola in fondo a una valle” lo sguardo di Madara era perso nel vuoto, la lacrima che gli era sfuggita bagnando il palmo di Hashirama lo imbarazzava “Non sono più riuscito a rialzarmi. Il mio sostegno eri tu.” “Vieni qua” Hashirama se lo era stretto addosso, Madara lo aveva lasciato fare. Madara aveva sorriso, le labbra di Hashirama sulla fronte erano state irresistibili. Gli aveva avvolto le spalle larghe e olivastre. “Madara” “Sì?” Gli occhi di ossidiana lo fissavano ruffiani e speranzosi. “Ho un regalo per te.” Hashirama aveva dovuto fare uno sforzo immane per non ridere vedendo Madara trattenere stizza e delusione. L’irritazione era aumentata quando Madara lo aveva visto tornare con nient’altro che una bottiglia d’acqua, se l’era presa così tanto da infilarsi sotto le coperte e avvolgersi per escluderlo, il sistema di cinture che aveva ancora intorno al corpo era finito sul pavimento subito dopo. Adorabile testone. Hashirama si era avvicinato sorridente, era scivolato sotto accanto a lui. “Tieni, hai bisogno di bere.” Madara si era tirato su sbuffando e lanciando via le coperte, Hashirama continuava a sorridere mentre gli strappava brusco la bottiglia. Ma l’espressione gli era cambiata e aveva rischiato di strozzarsi quando Hashirama gli aveva messo sotto il naso una scatolina regalo. “Madara” “Sì?” “Buon Natale” Il toro dagli occhi a fessura era tornato, Madara aveva disintegrato il pacchettino con uno schiaffo. Si divorava gli Inarizushi senza neanche ringraziare. Hashirama faceva finta di niente, ma in realtà tendeva le orecchie, adorava ascoltare i lievi rumori che Madara faceva mangiando. “Madara…” si era fermato perché gli scappava da ridere. Madara aveva fermato la masticazione per guardarlo torvo, era rimasta solo mezzo pezzo. “Buon compleanno.” Il viso di Madara si era rilassato, contemplava il pezzetto di Inarizushi che aveva nella mano. “Hashirama… questo…” Gli occhi di Madara erano lucidi, Hashirama gli accarezzava i capelli per rassicurarlo. Sapeva quanto gli costavano le parole gentili. “Questo è stato il compleanno più bello che io abbia mai avuto” Madara sorrideva guardando il compagno “Non dimentichi mai come li voglio.” Si era avvicinato ad Hashirama, lo aveva abbracciato posandogli l’ultimo morso di Inarizushi sulle labbra. Quando lo aveva visto masticare lo aveva baciato. “Ti amo, sequoia” Madara gli aveva sussurrato sul lato del collo aggrappandosi alle sue spalle. “Ti amo anche io. Voglio stare con te.” Hashirama aveva scelto. Madara non era morboso, ma una persona sensibile capace di affezionarsi davvero. Sarebbe stato il suo sostegno, perché lo voleva.
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