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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Meitantei Conan (Detective Conan)
Titolo Fanfic: SEMPLICEMENTE AMORE
Genere: Sentimentale, Azione, Drammatico
Rating: Per Tutte le età
Avviso: OOC, AU, Shounen Ai
Autore: hattorikudo galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 10/01/2016 14:38:23 (ultimo inserimento: 27/03/16)

Tre donne, un unico segreto che minaccia di distruggere per sempre le loro esistenze.
 
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CAPITOLO 1
- Capitolo 1° -

Capitolo 1


Il tessuto grigio della felpa si contrasse sotto le dita della giovane donna che la stava stringendo, premuta contro il suo petto.
Ran affondò il viso nella stoffa, inspirando avidamente quel profumo. Menta fresca, una fragranza dolce e pura, inebriante e rassicurante, che aveva il potere di rassenenare le menti irrequiete e di addolcire i cuori otrbidi.
Il profumo di Shinichi. Ricacciò indietro le lacrime, affrettandosi a riporla nell'armadio.
Sospirò, passandosi stancamente una mano tra i capelli: ancora non riusciva a crederci, la sua mente si rifiutava di accettare quella terribile, crudele realtà di cui era vittima. Suo marito non c'era più. Shinichi se n'era andato per sempre.
Incredibile, già trenta giorni erano passati dalla sua scomparsa. Trenta giorni senza di lui, senza i suoi occhi così azzurri da fare invidia al cielo, i suoi capelli corvini sempre scomposti in buffi ciuffi che ricadevano sulla fronte e sembravano sfidare la gravità, senza le sue battutine sarcastiche, il suo sorriso un po' saccente, il suo abbraccio tanto sicuro e tanto dolce.
Ran Mouri conosceva Shinichi Kudo fin da quando andavano insieme alle elementari. Erano migliori amici, ed erano cresciuti insieme, tra gioie e dolori, lacrime e risate, sorprese e difficoltà.
Con il tempo aveva capito di non provare più semplice affetto nei suoi confronti, ma vero e proprio amore. E quanto era stata grande la sua gioia, nello scoprire di essere ricambiata a tutti gli effetti da lui.
Si erano fidanzati a diciassette anni, durante l'ultimo anno di liceo, nella primavera spensierata della loro gioventù. Shinichi era il ragazzo più bello, più coraggioso e più altruista che avesse mai potuto desiderare.
Era un detective brillante, dalla mente a dir poco geniale, in grado di risolvere misteri apparentemente impossibili. Certo aveva i suoi difetti, era chiuso e introverso riguardo ai suoi sentimenti, era forse un po' troppo presuntuoso e sicuro delle proprie capacità, ma Ran sorvolava su questi piccoli dettagli. Ran vedeva il vero Shinichi, quello che non avrebbe esitato a mettere a rischio la propria vita per salvare quella dei suoi cari, quello che preferiva salvare sia la vittima che l'assassino, quello che sapeva amare.
Si erano sposati cinque anni dopo, al compimento dei ventidue anni. Erano giovani, e credevano di avere tutta la vita davanti.
Quanto erano arroganti. Quanto si sbagliavano.
I primi tempi del loro matrimonio erano stati sereni e senza alcun problema particolare. Shinichi continuava ad essere un detective molto apprezzato, e Ran ormai era una campionessa nazionale di karate, il suo sogno nel cassetto di ragazzina.
Vivevano insieme in una piccola villetta alla periferia di Tokyo, e non avevano figli. Ognuno cercava di concentrarsi sulla propria carriera, per il momento, ripetendosi erroneamente, anche se non potevano saperlo, di avere tempo. O meglio, un po' di tempo lo avevano avuto. Ma non sufficiente. Cinque anni di matrimonio. Ma in quei cinque anni, Shinichi si era allontanato sempre più da lei.
All'inizio non c'era niente di cui potesse lamentarsi. Certo Shinichi si buttava a capofitto nelle sue indagini, trascurandola qualche volta, ma mai niente di rilevante.
Poi, un giorno, un'indagine più complicata delle altre lo portò fuori città per mesi. Forse sei, forse sette, non ricordava con precisione. Era meno di un anno, ma era stato abbastanza per sentirsi morire senza lui al suo fianco.
Quando era tornato, era diverso. Sicuramente era stato un lavoro sfiancante, aveva collaborato con la polizia per sgominare un'organizzazione criminale molto vasta che operava anche all'estero, ma Ran percepì subito che non era quello il problema. No, il problema erano loro due. Shinichi era freddo, distante nei suoi confronti, e sembrava non curarsi minimamente di lei, dei suoi stati d'animo, dei suoi sentimenti.
All'inizio aveva creduto fosse solo la stanchezza dovuta a quella difficile indagine, ma poi si era dovuta ricredere.
Shinichi si assentava da casa sempre più spesso, e ogni volta le diceva che doveva risolvere delle questioni ugenti ad Osaka. Non le aveva mai voluto rivelare i dettagli, le diceva soltanto che, per questioni di lavoro, doveva incontrare una certa Shiho Miyano.
E Ran non ci avrebbe trovato niente di strano, veramente. Gli avrebbe creduto, se non avesse notato l'eccessiva gioia che animava Shinichi quando le annunciava che sarebbe partito per Osaka.
Era come se tutta la sua freddezza si sciogliesse in un attimo, e l'entusiasmo tornasse prontamente ad impadronirsi di lui.
Quando tornava, di solito dopo una settimana, sembrava invece più triste e mogio. Ran non riusciva a spiegarsi questo suo comportamento, ma un'idea se l'era fatta: probabilmente quella era una scusa, e in realtà Shinichi andava in cerca di misteri intricati e difficili per dare prestigio alla sua carriera. E quando tornava a casa, Shinichi aveva perso il suo entusiasmo, e si mostrava apatico e annoiato come quando aveva appena risolto un nuovo caso, dopo l'inziale momento di adrenalina che lo scuoteva. Ma allora perchè quel comportamento nei suoi confronti? E se ci fosse stato sotto qualcos'altro?
Scosse la testa. No, non doveva pensarci, ricordare le faceva solo male.
Si guardò allo specchio, sorridendo con amarezza e sarcasmo a quell'orribile riflesso che le rimandava impietosamente la superficie di vetro. Labbra secche e tirate, viso pallido e scavato, occhi rossi e gonfi contornati da cerchi scuri, capelli che parevano una palla di fieno.
Sospirò di nuovo, sconsolata. Avrebbe dovuto farsi una doccia. Ma qualsiasi cosa le risultava terribilmente complicata, da un mese a quella parte.
I ricordi erano vividi nella sua mente. La sera, verso mezzanotte, Shinichi non era ancora tornato. Lei si torceva nervosamente le mani, seduta sulla poltrona in pelle rossa del salotto, pronta a sentire scattare la serratura della porta da un momento all'altro. Shinichi avrebbe ammesso, con un sorriso colpevole, di essere rimasto assorbito dall'ennesimo caso, non accorgendosi del tempo che passava. E lei gli avrebbe tenuto il broncio solo per una decina di secondi, poi l'avrebbe abbracciato con forza, rimprovernadolo dolcemente.
Invece, quella sera non andò così. Il telefono squillò, e Ran balzò in piedi, tesa come una corda di violino, agguantando la cornetta in meno di mezzo secondo. Era la polizia.
La macchina di Shinichi era stata ritrovata in una scarpata, e il suo corpo zuppo di sangue all'interno. L'ambulanza era arrivata quando era già troppo tardi. Era stato un tragico incidente, avevano detto. Era buio, fuori, e la macchina di Shinichi aveva perso il controllo, complice probabilmente anche una attacco
Quanto aveva pianto, Ran. Al telefono, al suo funerale, tutti i giorni che seguirono. Era come se niente avesse più senso, per lei.
Solo in quell'ultimo periodo stava ricominciando a concepire l'idea di infondersi un briciolo di coraggio. Solo l'idea, però, perchè come fatti non ci stava neanche provando.
Una suoneria allegra si diffuse nella camera da letto di Ran e Shinichi. O meglio, quella che era stata la camera da letto dei due sposi, dato che adesso nell'enorme letto matrimoniale dormiva una sola persona.
Ran sussultò, scuotendosi dai suoi tristi pensieri. Il cellulare di Shinichi stava squillando. Era ancora posato sul comodino, quel giorno, il maledetto giorno dell'incidente, Shinichi lo aveva dimenticato a casa. Aveva continuato a caricarlo regolarmente, era un gesto che glielo faceva sentire più vicino, come se dovesse tornare da un momento all'altro. Ben presto però se n'era pentita: tra presunti amici e clienti di Shinichi che non sapevano ancora della sua morte, era stata letteralmente invasa dalle telefonate di persone che si fingevano solidali e dispiaciute, eppure evitavano accuratamente di pronunciare la parola "morte", o di trattenersi troppo a lungo a parlare con lei.
Ran guardò il piccolo apparecchio quasi stranita. Stava continuando a squillare. Come doveva comportarsi? Cosa doveva dire all'interlocutore? Ma soprattutto, chi poteva essere?
Era inutile fare congetture, doveva rispondere. Lo afferrò con decisione, premendo il pulsante verde e portandoselo all'orecchio, cercando di ostentare un tono normale, per quanto possibile.
"Pronto?"
"Finalmente hai risposto, Kudo."Dall'altra parte, una voce femminile, gelida e seccata. Non aveva niente di dolce o di gentile, ma era profonda e ammaliante. "Stavolta hai battuto il record, un mese con il telefono spento o irraggiungibile. Sapevo che eri un tipo strano, ma non fino a questo punto."Altra piccola pausa, e altro sospiro, ancora più seccato. Caspita, certo che per essere una sua amica non lo trattava esattamente con i guanti bianchi. Anzi, sembrava che ogni parola, sputata fuori con tono incredibilmente acido e sarcastico, le uscisse a fatica. "Cos'è, mi usi solo per crearti alibi con la tua mogliettina e per il resto del tempo mi ignori? Beh, quando vuoi una copertura, non ti aspettare che io ti aiuti ancora." Cosa? Copertura? Ma di che accidenti stava parlando?
Ran strinse forte il cellulare, senza capirci niente. Chi era quella donna? Cosa voleva? E soprattutto, come poteva non sapere che suo marito non c'era più, dato che pareva abbastanza intima?
"Kudo, mi rispondi o no? Non ho tutto il giorno per parlare con te."La stessa voce, sempre più scocciata, la riportò bruscamente alla realtà
"Mi scusi, credo che ci sia un errore."La voce le uscì eccessivamente gelida, e infatti la sua interlocutrice rimase in silenzio per qualche secondo. Non doveva essere intimidita, soltanto interdetta da quella situazione non prevista.
Un sussulto impercettibile, strozzato, ma che non sfuggì alle orecchie di Ran, si propagò nell'aria. "Oh... non è il cellulare di Shinichi Kudo, questo?"
Ran sospirò, stufa di dover sempre dare spiegazioni. "Mi chiamo Ran Mouri, ero la moglie di Shinichi."Non seppe neanche perchè lo stava dicendo. Da quel che aveva potuto udire, sembrava conoscerla fin troppo bene. Ma adesso sapere il motivo non le interessava nemmeno. "Mio... mio marito se n'è andato più di un mese fa. Un incidente."La voce stava iniziando a vacillare, e dall'altro capo non udì più alcun suono per un po'.
"Mi dispiace."Improvvisamente, la voce di quella sconosciuta le tornò alle orecchie. Le sembrò terribilmente incrinata, come se si stesse sforzando di trattenere le lacrime. Alle parole successive, la voce però torno sicura come prima. "Conoscevo molto bene suo marito."
"Capisco."Disse soltanto Ran, senza interesse. Infatti la sua mente era da tutt'altra parte. Cosa significavano le parole di poco prima? Di quale copertura aveva bisogno Shinichi? Le stava nascondendo qualcosa, forse?
"Beh, io devo andare. Arrivederci."
Ran sgranò le palpebre. Aveva davvero intenzione di lasciarla così? No, lei doveva sapere. Ma anche se gliel'avesse chiesto, quante probabilità c'erano che quella donna le dicesse la verità?
Uno strano sospetto balenò improvvisamente nel suo cervello.
"Un momento... non mi ha ancora detto il suo nome."Aggiunse, con tono più gentile.
"E' vero, mi dispiace. Mi chiamo Shiho Miyano. Felice di aver fatto la sua conoscenza."Neanche il tempo di aggiungere una parola, e aveva già riattaccato. Ma Ran sapeva quanto bastava.
Sorrise amaramente.
Shiho Miyano, era il nome di quella donna che Shinichi diceva di dover incontrare durante i suoi soggiorni ad Osaka. Senza dubbio si conoscevano bene, ma, da quanto aveva capito, Shinichi l'aveva sfruttata come alibi per nasconderle il vero motivo di quei viaggi.
Ma allora, cosa le stava tenendo segreto Shinichi? Riattaccò con la mente completamente offuscata, ma istintivamente, oltre all'incredulità e allo smarrimento, qualcosa scattò dentro di lei. Lo spirito della ragazza forte e combattiva di un tempo. Voleva sapere, doveva sapere.
Ma da dove cominciare? E se avesse... D'istinto, gli occhi di Ran si posarono sul cellulare che stava ancora stringendo nella mano.
In fin dei conti, aveva già una possibile prova tra le mani. Lo sollevò davanti al viso, osservandolo a lungo. Da un lato i sensi di colpa le dicevano che era una cosa riprovevole, che sicuramente Shinichi aveva avuto un buon motivo per nascondere la verità. Dall'altro, invece, aveva un brutto presentimento che le attanagliava lo stomaco in una morsa velenosa. Una strana, stranissima sensazione. Le parole di quella donna, quella Shiho, quelle parole misteriose di cui non aveva capito il significato...
Mi usi solo per crearti un alibi con la tua mogliettina, aveva detto. Quindi era qualcosa che soltanto lei, soltanto Ran e nessun altro, non doveva sapere.
No, no, non era possibile. Come le saltava in mente di dubitare persino di Shinichi, così generoso e altruista, così sincero e leale? Lui, che amava la verità, che odiava le bugie dal profondo del cuore, non poteva aver mentito. Non a lei, almeno.
La giovane si convinse ancora di più, e con un sospiro, posò il cellulare sul comodino.
Non era il momento di fare simili congetture, doveva concludere quel lavoro che si era ripromessa di portare a termine e che, complice una lacrima di troppo e lo squillo del cellulare di Shinichi, aveva interrotto.
Era passato un mese, ma ancora non era riuscita a disfarsi delle cose di suo marito. Le sembrava troppo presto, troppo crudele doversi separare anche da quelli, ma avere in casa i suoi oggetti, i suoi vestiti, era ancora più doloroso. Era come se Shinichi fosse partito per un breve viaggio, e dovesse tornare da un momento all'altro, con i capelli scompigliati e un dolce sorriso stampato in volto. Conservare quell'illusione faceva ancora più male, quindi Ran, seppure dopo molte esitazioni, aveva deciso di inscatolare tutta la sua roba, e di farlo da sola. Doveva prendersi il giusto tempo, per dare l'adeguato addio ad ogni pezzo di Shinichi, e ad ogni pezzo del suo cuore.
Cercando di fermare il tremolio della mano, riaprì le ante dell'armadio, cominciando a liberarlo da tutte le giacche, le camicie, i pantaloni di Shinichi. Mancavano solo quegli indumenti, gli altri li aveva già tolti poco prima. Era difficile, maledettamente difficile, ma Ran cercò di non pensarci e di farsi forza. Ripiegata l'ultima camicia, prese un profondo respiro, guardandosi attorno. Con quella stanza aveva finito.
Ah, no, che sciocca, c'era ancora il comodino su cui aveva posato il suo telefono. C'era un solo cassetto, ma ricordava fosse sempre vuoto.
Decise comunque di togliersi il dubbio, e velocemente si diresse ad aprirlo. Con sua grande sorpresa, però, c'era qualcosa. Un libro.
Ran aggrottò le sopracciglia, afferrandolo per leggerne il titolo. "Uno studio in rosso" di Arthur Conan Doyle. Sorrise, sentendosi invadere dalla nostalgia. Shinichi era un vero e proprio maniaco di Sherlock Holmes, adorava leggere quei libri e poi raccontarglieli in ogni minimo dettaglio, noncurante del suo scarsissimo interesse nell'ascoltarlo.
Ma a quanto si ricordava, Shinichi non aveva mai posseduto quel libro. Lo aveva desiderato, certo, ma sapeva che non possedeva la copia originale del primo romanzo che narrava le avventure di Sherlock Holmes. Magari l'aveva trovato in qualche libreria d'antiquariato, durante uno dei suoi viaggi fuori città. Strano che non gliene avesse parlato, però. Shinichi amava parlare per ore di quel detective inglese, e se avesse trovato un simile bottino, come minimo l'avrebbe intrattenuta un'intera giornata solo per raccontarle l'introduzione del libro.
Curiosa e un po' malinconica, Ran si mise a sfogliare velocemente le pagine, come per sentire l'essenza di Shinichi su quei fogli, sicuramente sfiorati dalle sue dita.
Ma una scritta a penna in una delle prime pagine attirò la sua attenzione.
Al mio fanatico di Sherlock Holmes, cerca di non perdere troppe ore di sonno per leggere questo libro. Ti amo.


Ran credette di aver letto male. Non le aveva scritte lei, quelle parole. Scrutò la calligrafia un po' incerta e frettolosa come quella di un bambino, come se potesse carpirvi chissà quali misteri. Eppure, quella scritta diceva tutto e niente allo stesso tempo.
Sentì il sangue raggelarsi e il cuore perdere un battito. Non era neanche la scrittura di Shinichi, quella. Ma allora...?
Sgranò gli occhi, scuotendo la testa. Le prove c'erano, ma il cuore non ci credeva.
Shinichi aveva un'amante? Il suo Shinichi?
Era di sicuro quella Miyano, quella che aveva chiamato poco prima. Strinse i pugni fino a far diventare bianche le nocche. Come aveva potuto?
Cercò di ragionare lucidamente. Un momento... Shiho aveva detto che Shinichi aveva bisogno di una copertura. Quindi significava che lei si limitava soltanto a fare da spalla a Shinichi, permettendogli di incontrare la sua vera amante.
No, no... com'era possibile? Perchè Shinichi avrebbe dovuto tradirla? Il loro matrimonio andava bene, erano una coppia felice, fin quando...
Si bloccò. Fin quando non era tornato da quella lunga indagine. Doveva essere successo qualcosa, in quei mesi passati senza di lei... doveva averla conosciuta lì.
Subito si mise a frugare, guidata solo da un'irrazionale rabbia, sensazione quasi sconosciuta per la dolce, fragile Ran, per la ragazzina un po' timida e sempre gentile che era sempre stata. Non sapeva cosa stava cercando, nè dove cercare questo qualcosa. Voleva solo una prova, anche insignificante, un indizio qualunque. Ma Shinichi era astuto, e non avrebbe mai potuto lasciare qualcosa che potesse... incriminarlo, per così dire. E il libro, allora, perchè era lì in bella vista? Qualcosa non tornava.
Ran si bloccò, esasperata, guardandosi freneticamente intorno. Il cellulare. Sì, il cellulare poteva essere una prova. Lo prese in mano, mentre le dita cominciavano a tremarle.
Perdonami, Shinichi...
Iniziò a scorrere la lista dei messaggi. Era partita da quelli ricevuti, ma non ne aveva trovati molti. Shinichi li cancellava spesso, lo sapeva, perchè riceveva continuamente richieste di lavoro e la sua casella di posta era intasata.
Quei messaggi erano appunto, banali richieste di lavoro, persone che chiedevano semplicemente il suo aiuto per risolvere un caso difficile.
E d'altronde Shinichi non sarebbe mai stato così stupido da lasciare in giro prove compromettenti. Decise però di non darsi per vinta, e una volta appurato che lì non avrebbe trovato nulla di interessante, passò alla voce "messaggi inviati."
Li scorse velocemente, ma anche quelli erano messaggi di lavoro. Stava per chiudere il cellulare, rassegnata, dicendosi che probabilmente era una sciocchezza, quando si rese conto di non aver controllato l'ultimo messaggio della lista.
Il messaggio portava la data di appena una settimana prima. Shinichi era appena tornato da Osaka, lo ricordava, e anche quella volta, al momento della partenza sembrava quasi euforico, e al ritorno inspiegabilmente triste. Ran ne era sicura, era sulla pista giusta. Il destinatario era un certo Heiji Hattori. Aggrottò la fronte.
Quel nome non le diceva assolutamente nulla. Forse era soltanto un altro degli innumerevoli clienti di Shinichi.
Gli occhi di Ran si spalancarono, mentre leggeva quelle poche righe che suo marito aveva inviato ad Heiji.
Sono appena tornato a Tokyo e già mi manchi... Ogni volta diventa sempre più difficile mentire a Ran, ma so che la verità la traumatizzerebbe e basta, e non me la sento di ferirla. Miyano mi ha assicurato che se Ran le chiederà spiegazioni, sosterrà la mia versione dei fatti.
E' stupido e meschino, lo so. Me l'hai detto tu stesso, ricordi?
Ma non ce la faccio. Ti amo troppo per rinunciare a te.




Quelle parole, impresse sul display luminoso, sembravano ridere di lei e di tanta incredulità. Sembravano essere messe apposta lì per prenderla in giro, per prendersi gioco del suo cuore.
Per parecchi minuti, Ran non fu capace di compiere il minimo movimento. Continuava a stringere il cellulare, immobile, a fissare quelle parole con così tanta intensità da sentire gli occhi bruciarle.
Poi, lentamente, prese coscenza della realtà. Deglutì, gli occhi ancora sbarrati. In lei si erano accumulate talmente tante emozioni, così confuse e diverse, che non seppe distinguerle lei stessa.
Non sapeva dove finiva la rabbia e dove cominciava il dolore, non sapeva dove finiva lo smarrimento e dove iniziava il disgusto.
Sapeva solo che faceva male. Molto male.
Per un momento aveva le sentito le gambe cedere, e aveva temuto di svenire. Barcollando, si era però appoggiata alla maniglia della porta, evitando così una rovinosa caduta. Trasse un altro respiro profondo, avvertendo gli occhi pizzicare. Cosa significava? Shinichi aveva un'altra relazione... con un uomo? La sua mente si rifiutava persino di osare immaginarlo.
Scivolò a sedere sul pavimento, stringendo con violenza il cellulare.
Quanto era stata stupida. Adesso capiva perchè Shinichi era così freddo e distante nei suoi confronti. La verità era semplice, ma devastante. Shinichi non l'amava più. Shinichi l'aveva presa in giro.
Provò a calmarsi, ma le risultò impossibile. In quel momento, era come se il suo cuore avesse preso a galoppare in tutt'altra direzione rispetto alla mente, che le ricordava di non fare sciocchezze.
Ma lei non aveva intenzione di dare ascolto al buonsenso, nè di starsene lì a piangere come una stupida per un uomo che l'aveva soltanto ingannata.
Lei voleva sapere, voleva capire. Non le interessava altro.
Furibonda, alimentata da una forza a lei estranea, compose il numero di cellulare a cui Shinichi aveva inoltrato il messaggio. Il numero di Hattori.
Il telefono squillava, e nessuno rispondeva. Era passato quasi un minuto.
Improvvisamente, Ran si sentì una sciocca. La rabbia scomparve dal suo viso, lasciando spazio ad un'espressione fragile e incerta.
Strinse più forte il telefono, senza avere però il coraggio di chiudere la chiamata. Come si sarebbe presentata? Che cosa avrebbe detto?
Doveva essere impazzita. Già si imaginava la scena: sì, mio marito mi tradiva con te, vorrei sapere i dettagli. Questo aveva intenzione di dirgli?
Era stata proprio stupida. Ma appena allontanò la cornetta dall'orecchio, sentì una voce. "Pronto, chi parla?"
Subito riavvicinò l'apparecchio all'orecchio, il cuore che le batteva all'impazzata. Avrebbe potuto riattaccare, e non chiamare mai più.
No, ormai doveva andare fino in fondo.
Deglutì, per farsi coraggio. "Salve, vorrei parlare con... con Heiji Hattori."Scandì quel nome con difficoltà. Il nome dell'amante di Shinichi, le scottava sulla lingua in una sgradevole e ripugnante sensazione che non riusciva proprio a scacciare.
"Prego?"Con sua sopresa, si rese conto che la voce che le aveva risposto era quella di una donna. Totalmente diversa da quella di Miyano, però: pareva un po' incredula e anche seccata, ma la sua voce era limpida e dolce, sottile come quella di una bambina.
Ran si schiarì la voce, cercando di darsi un normale contegno. "Vorrei parlare con Heiji Hattori." Ripetè, stavolta più decisa, avvertendo la stizza crescerle dentro.
Seguì un breve silenzio, poi la voce della giovane donna la scosse all'improvviso. Questa volta era triste e intrisa di un sottile sarcasmo.
"Mi dispiace, ma temo che non sia possibile."
"Per quale motivo?" Ran aggrottò le sopracciglia, senza capire. Ma le successive parole le fecero gelare il sangue nelle vene.
"Mio marito... è morto un mese fa."
 
Continua nel capitolo:


 
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