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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Kuroko's basket
Titolo Fanfic: MY PLACE
Genere: Sentimentale, Sportivo
Rating: Per Tutte le età
Autore: echocide galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 22/09/2014 00:13:05

Il basket era sempre stato la mia vita. Era sempre stato il luogo giusto per me. Poi ho perso tutto.
 
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CAPITOLO 1
- Capitolo 1° -

Titolo: My place
Personaggi: OC!Sena Kashiwazaki
Genere: introspettivo
Rating: G
Avvertimenti: longfic, original character
Wordcount: 425 (Fidipù)
Introduzione: Il basket era sempre stato la mia vita.
Era sempre stato il luogo giusto per me.
Poi ho perso tutto.




Capitolo 1
Correre, la mattina presto, mi era sempre piaciuto: sentire l’aria fresca contro la pelle del viso, vedere le case riprendersi dal sonno notturno e animarsi, era sempre stato qualcosa di incredibilmente.
E, ancor di più, mi piaceva correre la mattina, prima di una partita importante.
Fin da quando ero piccola, fin da quando i miei ricordi non sprofondano nella nebbia perché troppo lontani nel tempo, vicino a me c’era sempre stato un pallone da basket: mio padre aveva giocato negli anni del liceo e, quando ero stata abbastanza grande da capire le regole del gioco, mi aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Amavo il basket, forse perché era un’altra cosa che mi accomunava all’America, il paese da cui mia madre proveniva e in cui era morta.
Per quanto non sapessi niente della donna che mi aveva messo al mondo – le uniche cose di cui ero a conoscenza era il suo aspetto, che avevo ereditato, e quanto avesse fatto girare la testa a mio padre –, avevo cercato in ogni modo di avvicinarmi a lei.
Un giorno, sarei anche voluta andare in America.
Giusto per vedere il mondo in cui Kathrine O’neall aveva vissuto fino alla sua morte.
Mi sarebbe anche piaciuto incontrare i miei nonni materni che, a quanto sapevo, vivevano da qualche parte nei pressi di Los Angeles.
Yo-chan vorrebbe andarci come viaggio per il diploma delle superiori.
E non è una cattiva idea.
La mia migliore amica aveva promesso che mi avrebbe accompagnata perché, sinceramente, non me la sentivo di andare da sola: chissà cosa avrebbero detto quei nonni, che non avevo mai visto, quando mi sarei presentata alla loro porta.
In fondo ero nata da una pazzia della loro figlia.
Mi fermai, piegandomi e poggiando le mani sulle ginocchia, riprendendo fiato: quel giorno ci sarebbe stata l’ultima partita – se avessimo perso – del torneo interscolastico; a questo dovevo pensare!
Se chiudevo gli occhi, vedevo ancora i visi delle senpai: non avevano detto niente, ma si sapeva benissimo l’importanza di quella partita.
Sarebbe stata l’ultima che avremmo giocato con le giocatrici più anziane.
«Forza.» mormorai, riprendendo a correre: durante quella partita, avrei dato il massimo.
Avrei portato la squadra alla vittoria.
Avrei portato la squadra a disputare la finale.
Di ciò ero assolutamente sicura.
Sorrisi, mentre giravo l’angolo, ancora ignara di quello che mi sarebbe successo di lì a poco: sentì un urlo femminile, poi il rumore di una frenata e, alla fine, la vidi.
Un’auto che veniva contro di me.
Dovevo scattare.
Se mi muovevo, potevo salvarmi.
Eppure i miei piedi erano come incollati a terra, mentre osservavo la vettura farsi più vicina.
Poi ci fu solo il dolore.
Non sentivo nient’altro.
Solo il dolore.

 
Continua nel capitolo:


 
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