- Capitolo 1° -
Sono sempre stato un ninja limitato, nei miei diciannove anni di vita, ma nessuno me lo ha mai fatto pesare. Però, non sono mai stato stupido e l'ho capito... mi hanno sempre reso le cose facili e la mia vita poteva andare, sino a quando non sono stato costretto a stravolgerla...
2 mesi prima...
Di ritorno da un nuovo elettrocardiogramma di routine da Donnie, il mio umore lunatico non era certamente cambiato, neanche dopo che i risultati avevano chiaramente detto che stavo peggiorando e più cicatrici si erano aggiunte al mio muscolo cardiaco. Mi ero sempre detto che avrei potuto lasciarci le penne nel momento più impensabile e quindi, anche se strano, la notizia poco m'importava. Raggiunsi il dojo e lì, con i fianchi stretti dalle mie mani d'acciaio, optai per ciò che mi avrebbero sicuramente sconsigliato: cioè allenarmi sino a crollare in terra sudato o dolorante. Non c'era nessun altro oltre me e i miei pugni iniziarono a colpire senza sosta il povero sacco da box, con un rumore costante. In ogni colpo la mia mente viaggiava: mi era stata diagnosticata una grave forma di cardiopatia all'età di dieci anni, dopo che avevo avuto un dolore accecante al torace. Grazie al Nexus e all'insuperabile Padiglione Medico che disponeva, mi misi l'anima in pace che avrei dovuto prendere la vita con più "leggerezza". Andare in pensione prima, caso mai! "Raphael" mi chiamò una voce alle spalla. Roteai gli occhi e guardai Donatello che aveva un aspetto davvero parecchio incazzato per essere un tipo che poche volte scattava. "Sì?" chiesi innocentemente. "Vorrei ricordarti che ti ho appena visitato e ti avevo suggerito riposo. Quindi la mia domanda è... che cazzo ci fai qui?!". Ridacchiai al gergo udito: "Relax, Donnie. Non vedi? Mi riposavo a modo mio!". "Certo! E secondo te sforzare un muscolo già malato per fatti suoi sarebbe un riposo ideale?". Sarebbe stato inutile discutere; Donnie avrebbe avuto la meglio con qualche geniale frase che mi avrebbe zittito. Così, con un leggero dolore al petto, decisi che l'allenamento di soli cinque minuti era stato sufficiente. Mi sedetti sul divano, massaggiandomi il petto, notando che l'espressione corrucciata di mio fratello Braniac si era addolcita. Si sedette accanto a me e senza preavviso mi abbracciò, cogliendomi del tutto impreparato. Non ero mai stato bravo con queste smancerie ma non potevo certo negare che non mi piacessero; mi sentivo semplicemente amato davvero. "Ti prego, non ignorare ciò che sappiamo" mi sussurrò tremolante: "Nessuno di noi vorrebbe perderti. Sei troppo importante...". Sospirai amareggiato e con un profondo respiro, un mezzo grido sfuggì dalle mie labbra: mi staccai da Donatello neanche fossi stato elettrificato e mi strinsi il petto, rannicchiandomi a pallina. "RAPH!" gridò la voce terrorizzata di Leo, uscito dal bagno dopo una doccia. Seguitarono anche Mikey e il sensei e fui condotto nel laboratorio di Donatello: lì, mi fu iniettato un forte antidolorifico tramite una siringa e mi lasciai abbindolare facilmente da un convincente richiamo chiamato sonno...
Poche ore più tardi che per me sembrarono giorni, stanco com'ero, sentii un borbottare continuo fuori la porta del laboratorio di Donnie. Nonostante non avessi la benché minima forza, gettai la coperta di lato e mi trascinai stancamente sino ad appoggiare l'orecchio alla spessa porta di metallo. Potevo sentire Mikey, Leo, Don, il sensei e anche Leatheread. Che ci faceva il nostro amico coccodrillo lì era ancora un mistero per me ma quando sentii un familiare pizzicare al petto, capii all'istante. Il croc veniva a farci visita nei momenti di grande scoperta ma soprattutto quando c'era una situazione grave a livello salutare da risolvere. E non avevo bisogno di farmelo dire con il cucchiaino che la mia situazione precaria aveva assottigliato i momenti da vivere. Vita... che strana amara parola ironica. A viverla sembra una cazzata ma quando sei a un passo da perderla rimpiangi che sia stata troppo corta. La porta si aprì: io non battei ciglio, sapendo che non avrei avuto il tempo per fingere un sonno, così mi lasciai solo accogliere da sorrisi falsi e le lacrime amare di Michelangelo, che mi inghiottì in un abbraccio. Accarezzai quella stessa testa che mi raggiungeva il petto e sospirai. C'era qualcosa di grave su di me: me lo sentivo! "Raphael, dobbiamo parlare" mi disse il sensei. "D'accordo". Ci spingemmo nel salottino, prendendo posto sul divano e sulle poltrone, scambiandoci inizialmente degli sguardi confusi e ansiosi ma fu Leo a introdurre. "Raph, è arrivato il momento di metterti al corrente di qualcosa che potrebbe cambiarti la vita, in entrambi i modi". "E' da due anni che io e Leatheread stiamo lavorando su un progetto ma nonostante abbiamo i pieni risultati efficienti dei nostri calcoli, siamo a un bivio" continuò Donnie, mesto. "Possiamo operarti e trapiantarti un cuore compatibile" mi spiegò Leat: "Ma il problema è che non abbiamo muscoli a meno che non si ricorrano a cuori bionici della tecnologia Utrom". "Non sono un cervellone come voi altri, ma..." dissi, perplesso: "Perché non sembrate felici di questo?". "Abbiamo paura che il cuore bionico possa avviarti una crisi di rigetto e condurti alla morte". Non mi piacque ciò che Don disse ma mi poggiai la mano sul petto e lasciai rilassare le spalle: ero così confuso che il dolore al mio torace sembrava solo un tintinnare, anziché del pungere effettivo qual'era. "Non si potrebbe scegliere un cuore vero?" domandò Michelangelo, ingenuamente. Amavo il mio fratellino quindicenne: con lui avevo un legame molto forte e anche se a volte era talmente fastidioso che necessitava una bella sgridata o un pugno in testa, lo amavo più di ogni altra cosa al mondo e avrei fatto qualunque cosa pur di vederlo felice. Le sue lacrime dolevano peggio del mio cuore. "Michelangelo, ne abbiamo già parlato" rimproverò Donnie, adirato: "Ci vorrebbe un cuore compatibile, di uno stesso soggetto, con un gruppo sanguigno identico". Non fui l'unico a sgranare gli occhi a ciò che la mia mente gridò in un sol colpo... guardammo il nostro fratellino che si alzò in piedi con la fiamma della determinazione brillante nei suoi occhi azzurri vitrei di lacrime non cadute. "Voglio offrire il mio cuore a Raphie!". "No, mai!" scattai, prendendolo per le spalle: "Potresti morire! E non voglio, chiaro? Preferisco tenermi il mio cuore malconcio o avere quello bionico". "Però..." s'intromise Leat: "Costruire un cuore bio-organico Utrom richiederebbe circa tre anni; è un processo lungo e complicato, con vari settori specifici da seguire e...". "Il tuo cuore, Raphael, potrebbe non arrivare al 20esimo anno d'età" concluse il sensei. Chinai lo sguardo a Mikey che era scoppiato a singhiozzare contro il mio petto, mentre gli accarezzavo la nuca dolcemente. Il mio compleanno sarebbe stato fra sette giorni... e se era tutto reale, avevo solo 168 ore per vivere. La mia vita in sette fottuti giorni! Donnie affondò il viso nelle mani e prese un respiro tremante: "Potremmo continuare con le terapie, ma... non servirebbero che prolungare l'agonia!". "Il Battle Nexus non dispone di trapianti compatibili" seguitò Leo, frustrato. "Per favore..." implorò Mikey: "Fate qualcosa!". Straziò i nostri cuori Mikey che si afflosciava contro il mio stomaco, singhiozzando così incontrollabilmente da sfiorare l'orlo di una crisi si nervi: subito il sensei gli poggiò due dita al nodulo sotto al collo, calmandolo. Con respiri rapidi, il mio fratellino fu tirato fuori dalla mia vista annacquata. Odiavo piangere! "Raphael..." chiamò Leat: "Mi dispiace molto, ma le cose stanno così". "Sì, capisco... beh, se proprio devo morire, lo farò con tutto quello che non ho mai fatto!"...
Il lunedì della mia ultima settimana di vita cominciò: mangiai pancakes con sciroppo d'acero e un bicchiere di latte e cioccolato, qualcosa che mai avevo potuto assaggiare, in quanto seguivo una rigorosa dieta speciale. Successivamente, il mio corpo resse abbastanza bene due ore del normale allenamento ninja che i miei fratelli svolgevano ogni mattina, pomeriggio e sera: combattei anche contro Mikey e lo battei. Ignoravo le fitte sempre più forti del mio cuore. "Mikey, vuoi venire a fare un giro con me?" chiesi, lanciandogli un casco rosso. Il mio fratellino nascose il foglio di carta che stava scribacchiando e annuendo deciso mi seguì in magazzino e saltò in sella alla moto, mentre rombai per le strade meno trafficate della Big Apple. La serata volevo trascorrerla in compagnia di mio fratello e con il vento contro la pelle: volevo sperimentare l'adrenalina e la stupenda voglia di sfidare il limite della velocità. "Grazie, Raphie...!" mi sussurrò Mikey, abbracciandomi strettamente...
Il martedì imitai più o meno ciò che avevo mangiato o fatto nelle prime ore del mattino, solo che dopo pranzo ebbi una sessione di "allenamento ninja da cervellone" con Donnie. L'argomento mi piacque da subito: si trattava di moto e le loro caratteristiche più importanti. Mi insegnò a potenziare il motore della mia Bellezza rossa, senza mai mostrare il dolore accecante della mia settimana che si assottigliava. Restammo nel garage a chiacchierare del più e del meno sulle moto o sui ricordi d'infanzia più belli della mia vita per così a lungo, che Mikey pensò di allietarci la fatica portandoci biscotti al cioccolato fatti da lui e bicchieroni di latte fresco. Divorai la maggior parte di quelle dolci leccornie, mentre tornai a "manomettere" la mia cara moto. Tanto sapevo che non avrei più potuto farlo...
Nel mercoledì, mi alzai di prima mattina, verso le 05:30. Non ero riuscito ad avere sonni tranquilli a causa del mio cuore martellante per gran parte della notte. "Buongiorno". "Ciao, Leo" risposi in un sussurro: "Dove stai andando?". "A meditare come mio abitudine mattutina. Vuoi venire anche tu?". Mi strinsi nelle spalle e lo seguii; perché non fare qualcosa che poche volte avevo realizzato nella mia vita? Ci sedemmo a gambe incrociate sul tatami arancio del dojo, illuminati da una candela e ad occhi chiusi, mi dovetti ricredere sulla noia della meditazione: per una volta, ritrovarmi in versione fantasma e privo di consistenza in un background grigio, senza inizio né fine fu davvero cool! Quello che non seppi era che Leonardo non stava meditando, ma dinanzi a me, mi guardava singhiozzando nel silenzio, incapace di trattenersi. Fortuna che non lo vidi o mi sarei ritrovato a frignare anch'io. Volevo solo comportarmi normalmente sino alla fine, anche se questo avrebbe significato reprimere la mia paura di morire...
Giovedì la trascorsi con il mio amico Casey: dalla mattina presto sino alla sera tardi, scorrazzammo con le moto anche in pieno caos cittadino e ben camuffato, accompagnai perfino April a far compere! Non avevo ma visto tante buste, sacchetti e soldi spesi in vita mia: questo mondo in superficie diurno mi era sempre stato estraneo. Ma non oggi. "Tieni, Raph" mi disse April. Mi porse un pacchettino rosso con una coccarda dorata, due colori che mi piacevano e senza attendere, lo aprii, spalancando la bocca. Era un orologio d'argento con un drago rosso e due mini Sai che pendevano. Luccicava contro il sole del mezzogiorno e lo ammirai sul mio polso destro. "April..." espirai: "Come facevi a sapere che questo era l'orologio che volevo da tempo?". "Noi donne sappiamo sempre come fare felice voi uomini". Scoppiammo a ridere anche al povero Casey che fu costretto a portare tutte le borse che April aggiungeva ad ogni locale che doveva prendere qualcosa. Ci divertimmo così tanto che il gelato a fragola, pistacchio e nocciola contornò il tutto magnificamente. Ancora una volta, non pensai alla mia morte...
Venerdì iniziai a star davvero male. Ero incapace di alzarmi dal letto e con i miei eccessi di tosse sanguigna non riuscivo nemmeno a respirare normalmente. Sotto il peso di una febbre così pesante, la mia unica gioia fu la mia famiglia che mi attorniava, dividendosi i turni da fare. Attraverso la mascherina dell'ossigeno, riuscii a chiedere quello che più avevo bisogno e in tutto l'arco della giornata furono soltanto dei bicchieri d'acqua. Con tutto il vomitare, niente riuscì a rimanere nel mio stomaco. "Raphie..." gemette Mikey, quando fu il suo turno: "Non lasciarci...". Quasi vicino alla perdita di conoscenza, a causa del febbrone, riuscii a sorridergli dolcemente, mentre due lacrime rigavano il mio volto...
Sabato la mia agonia si prolungo: stando a ciò che avevo origliato, fingendo di dormire, non avrei superato la notte, così accadde qualcosa che mai avrei pensato di avere. Un compleanno anticipato. Verso le 20:30, la luce del laboratorio si accese e tutta la mia famiglia, più April e Casey vennero a gridarmi e a cantarmi "Buon Ventesimo Compleanno", consegnandomi una montagna di regali. Ebbi uno stupendo portafoglio di cuoio nero, con una "R" cucita rossa in kanji con una nota all'interno, da parte di Casey. Quel regalino lo avevo desiderato in tanti mesi e stentavo a credere che adesso, nonostante tutto, fosse nelle mie mani.
"Caro Raph, sei sempre stato l'unico vero amico verde che mi ha sempre capito e valorizzato davvero, dopo mio padre, che, come sai, è morto. Sei il fratello che ho perso, una famiglia che mi ha accettato e un'importante guida e anche se adesso una forza più forte vorrà strapparti da noi, sappi che ti voglio bene e vorrei fare di più per salvarti. Con affetto- Casey".
Ebbi le lacrime e lo abbracciai, sentendo un tirar su con il naso: probabilmente aveva lasciato libero un singhiozzo. April mi donò la copia originale del libro di "Jurassic Park" che solo da bambino avevo letto poche pagine, trovate nelle fogne. Leonardo mi donò una custodia intagliata di legno per i miei Sai, foderata di un raso blu stupendo; il Sensei mi regalò dei Sai nuovi, stupendi, lunghi e davvero affilati, composti da acciaio e nichel-cromo. Donnie mi aveva, nel frattempo, trasportato una nuova motocicletta rossa, potenziata e dal serbatoio più capiente, con inciso "A Raph" sul sellino. Era stupenda e così lucida! Mi rammaricai solo che non avrei mai potuto provarla. Tutti quanti si spostarono, guardando Mikey che si dondolava sui talloni, tenendo uno sguardo basso e amareggiato. Si mordicchiava le labbra, combattendo la voglia di piangere. "Io..." mormorò: "Io non ho un regalo per te. Non ho avuto alcuna idea... mi dispiace, Raph... mi dispiace davvero...". Gli feci cenno di venire accanto al mio lettino e lo abbraccia strettamente, attento a non strapparmi le flebo o altri fili sul mio petto: gli baciai la fronte e lo tenni a me come un bambino piccolo. Lo sentivo fremere e non volevo lasciare tutto questo... Ma ormai era tardi... La mia vita era terminata...
Galleggiavo in una nebbia grigia, dove il mio corpo fantasma vagava chissà da quando, senza meta, senza un cielo né un terreno. Ero morto, ormai e speravo solo che le porte dell'Inferno non mi sarebbero spalancate dinanzi. Al contrario, una luce bianca e luminosa esplose da un luccichio e mi rapì, trascinandomi in un vortice dove mi sentii pesante e un ronzio...
Suppongo che riaprii gli occhi: le mie iridi bruciarono, il mio corpo doleva... sicuramente non potevo essere morto. Era risaputo che i morti non provassero dolore, no? "Raph...". Girai stancamente il capo: ero in una stanza bianca, con il soffitto affrescato di cielo, a cupola e il pavimento di cristallo. Lo riconobbi: il Padiglione Medico! Questo significava che ero sul Battle Nexus? Perché? "Sono così felice di riaverti tra noi" continuò, seduto accanto al mio bianco letto. Ero stanchissimo e solo spostando lo sguardo pesante mi accorsi che mio petto era bendato e che Leo aveva gli occhi rossi da un pianto lungo e doloroso. "Hai visto? Abbiamo cambiato il destino". Mi strinse la mano, mentre la mia famiglia entrò da un portone aperto, avvicinandosi a noi con immensi sorrisi. Non vidi Mikey, però. "Figliolo, come ti senti?". Agitai la mano per dire dolorante. "Sei stato operato d'urgenza tre giorni fa. Abbiamo trovato un cuore compatibile" spiegò Donnie: "E' stato il suo regalo speciale". Sentii come una paura crescere dalle mie viscere. "Mikey ti ha donato il suo cuore..." spiegò Leonardo, debolmente. "Ma... non ti preoccupare... non è morto" continuò Donnie: "Leatheread, Mortew e Honeycutt sono riusciti a creare un cuore bionico-organico nell'arco di tre giorni e funziona bene. Hanno adoperato un nuovo sistema troppo lungo da spiegare che ha accorciato il tempo". "Mikey vive" sorrise Leonardo. "Ed è proprio accanto a te" mi indicò il sensei. Mikey riposava nel lettino accanto a me: aveva il volto pallido, una spaccatura al petto, coperta da bende, una maschera d'ossigeno, fili e flebo. Il mio dolce fratellino... Lui mi aveva regalato se stesso... Il suo cuore. Per strapparmi dalla morte... Ti amo, Michelangelo... ti voglio troppo bene... Non dimenticarlo mai... E io concludo la mia pagina di diario, caro Journal... mai e poi mai avrei pensato che un giorno mi sarei ritrovato a scrivere per raccontare un'esperienza che mai avrei dimenticato. L'amore che mio fratello mi aveva dato per strapparmi al cielo e tenermi qui...
The End
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Mi piace come hai espresso l'affetto tra Raph e Mikey... Continua così ^.^