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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: L'OMBRA DELLA VERITà
Genere: Romantico, Fantascienza
Rating: Per Tutte le età
Autore: pouffete galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 23/08/2013 19:03:34

Kaylee fa lo stesso sogno, ogni notte, da tutta la vita. Non si è mai domandata cosa significasse, non lo ha mai vissuto come un'esperienza traumatic
 
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IL SOGNO
- Capitolo 1° -

Capitolo 1
"Il sogno"


Si sorprendeva sempre a chiedersi se potesse esistere un tono di azzurro più chiaro di quello, più trasparente, più limpido, spesso fantasticava di veder posare quegli occhi azzurri proprio su di lei, le sarebbe andato bene anche se lo avesse fatto per caso o per sbaglio, un istante le sarebbe bastato. Non era mai successo, ne per caso, ne per sbaglio, per quegli occhi lei era tristemente invisibile, così bassa e magrolina, coi suoi capelli neri, ne corti, ne lunghi ed i vestiti larghi e pesanti che sacrificavano ancora di più la sua figura minuta. Si era rassegnata ad ammirarli da lontano, spudoratamente alle volte, sfidando la sorte coraggiosamente, sperando che il suo sguardo insistente causasse un qualche tipo di reazione, nonostante i suoi tentativi, quegli occhi non l'avevano mai vista.
Ma quella mattina quegli occhi la videro, furono attratti da un movimento lieve ma deciso, come il battito d'ali di una farfalla, videro la sua piccola mano porgere un pezzetto di carta. Il ragazzo per curiosità, nonostante rischiassero entrambi di venire puniti, prese il biglietto in cui lei aveva scritto le risposte corrette al test di fine semestre. La guardò e per la prima volta la vide, nonostante la gioia che provava fosse immensa per non rischiare di attirare l'attenzione lei si obbligò a distogliere lo sguardo e finse di ricontrollare l'ennesima volta il compito che aveva finito da venti minuti, dieci dei quali le erano serviti per raccogliere tutto il coraggio di cui era capace per decidersi a preparare quel bigliettino. Si chiese se l'avrebbe ringraziata, era più di quanto avesse mai osato sperare, riuscire a parlargli, ma adesso che stava per accadere sentì un nodo in fondo alla gola e seppe che non poteva farlo.
Il suono della campanella che segnava la fine dell'ora e il momento di consegnare il test la riscosse, si era distratta elaborando un piano di fuga avvincente ed elaborato, si guardò attorno e lo vide mentre porgeva i fogli alla professoressa che li prese guardandosi freneticamente attorno per individuare i suggerimenti dell'ultimo secondo tra compagni, non si voltò a guardarla, uscì dall'aula infilandosi la giacca e scherzando con alcuni suoi amici. Lo guardò scomparire oltre l'uscio, aveva fantasticato troppo anche quella volta, aveva creduto così intensamente che l'avrebbe ringraziata che quella volta la speranza delusa le fece più male del solito, rimase stordita qualche istante prima che la professoressa le sottraesse rapidamente dal banco il test, pensando che stesse approfittando della confusione per copiare.
Più abbattuta del solito si mise il cappotto e la sciarpa, si caricò lo zaino in spalla e uscì dall'aula, era l'ultima ora e un fiume di studenti si accalcavano al portone d'uscita, lei doveva prendere l'autobus per arrivare a casa quindi, complice la sua taglia ridotta, passò rapidamente tra i vari gruppetti e riuscì ad uscire in tempo. Fuori nevicava debolmente, l'autobus stava facendo salire gli ultimi studenti così dovette mettersi a correre, fortunatamente l'autista era un anziano signore vispo e scherzoso che le si era affezionato, forse perché così bassina, forse perché la vedeva ritrovarsi sempre sola sull'autobus, la aspettava ogni volta.
Salì sull'autobus, il vecchio autista le sorrise bonario e le fece cenno con la testa indicandole il solito posticino vuoto che l'aspettava, si andò a sedere, abituata ad isolarsi dal chiacchiericcio che permeava il bus al ritorno da scuola, cominciò a guardare assorta fuori dal finestrino, le cime degli alberi in lontananza segnavano un'acuminata linea dell'orizzonte, caratteristica e familiare per gli abitanti di Pine City ma che avrebbe attratto l'attenzione di qualunque turista, se mai ve ne fossero stati. La neve cadeva lenta, in qualunque altro posto non avrebbe potuto attecchire a quella velocità, ma in pieno inverno, in quella parte del Minnesota, si era già formato un sottile manto bianco sui tetti delle case, l'asfalto scaldato dai motori delle auto era ancora immune al bianco invernale, ma se avesse continuato a nevicare tutta la notte, l'avrebbe infine sopraffatto.
Pensando alla notte lo sguardo si perse ancor di più, anche se fredda e sileziosa, la notte era il suo momento della giornata preferito; un movimento inaspettato attirò il suo sguardo, qualcuno le si era seduto accanto, mascherando lo stupore rimase immobile a guardare fuori dal finestrino.
:- Ti chiami Kaylee vero?-
Si voltò di scatto, non riusciva a credere che quella voce fosse proprio la sua, ma Jason, il ragazzo dagli occhi azzurri che le piacevano tanto era seduto prorpio accanto a lei e la guardava aspettando una risposta.
Distolse lo sguardo, supplicando la sua pelle chiara di non lasciar intravedere il rossore e annuì chiedendosi come facesse a sapere il suo nome; Jason continuò a parlare :- Siamo in classe insieme, eppure non ci siamo mai parlati-, mordendosi un labbro lei annuì di nuovo.
:- Perché allora mi hai aiutato?-
Non sapeva cosa rispondergli, lo guardava stordita con gli occhi della sua immaginazione servendosi delle tante fotografie mentali che gli aveva scattato di nascosto; i suoi veri occhi, ora che finalmente lui la vedeva, si rifiutavano di guardarlo, nonostante questo sapeva esattamente come la stava guardando, aveva di certo lo stesso sguardo che rivolgeva al dischetto nero quando, durante una partita di hockey, si avvicinava troppo alla porta che doveva difendere.
Sapere che rivolgeva quello sguardo intenso proprio a lei, cercando proprio il suo viso la riempì di felicità e imbarazzo, rapidamente cercò qualcosa di convincente da dirgli.
:- Se non conseguirai buoni risultati a scuola... non potrai più far parte della squadra di Hockey.- mormorò a mezza voce, sperando di non venire fraintesa, ma sentendolo tacere si voltò fingendosi disinvolta e agitando il piccolo pugno in aria annunciò in tono solenne :- la reputazione della scuola dipende anche da te! Senza il portiere non possiamo sperare di vincere il campionato scolastico.- si sforzò di suonare convincente e parve funzionare, l'espressione inquisitoria di Jason si addolcì e lo vide rilassarsi contro il sedile dell'autobus devastato da diverse generazioni di vandali
:- Ah! Quindi segui il campionato scolastico, per questo vieni sempre a vedere gli allenamenti?-
L'aveva vista.
Distogliendo lo sguardo, sperando che la piccola messinscena a fin di bene reggesse, annuì di nuovo.
L'autobus imboccò una curva stretta e lei si ritrovò a schiacciare la guancia accaldata per l'imbarazzo contro il finestrino congelato, poi però sentì contro la sua spalla quella di Jason; non essendo abituata ad avere qualcuno seduto accanto quel contatto inaspettato la lasciò interdetta, cercando di non farsi notare guardò dritto in faccia Jason sforzandosi di capire cosa stesse pensando, fraintendendo quello sguardo lui si scusò e quando l'autobus tornò dritto, si staccarono.
:- se ti interessa l'Hockey questo sabato giochiamo contro gli Angry-Bears di Rockford, se vuoi puoi venire.- disse lui spezzando l'imbarazzante silenzio, alzando le spalle come se fosse poco importante, sorpresa lei lo guardò a bocca aperta, ma la sua vena polemica non riuscì a tratteneresi, così senza pensarci esclamò :-Ma alle partite i posti sono riservati!- lo disse a voce troppo alta rispetto al suo tono abituale e se ne pentì subito dopo, lui le sorrise affabile e lei desiderò sparire :- Ti faccio riservare un posto se ci tieni, come ringraziamento- quando lui ebbe finito di parlare si accorse di avere ancora la bocca aperta, si affrettò a richiuderla e annuì, incapace di parlare.
Lui sorrise di nuovoe si alzò, la guardò e la ringraziò ancora prima di tornare accanto ai suoi amici famelici di informazioni riguardo alla ragazzina accanto al quale si era seduto. Lei rimase immobile per quelli che parvero pochi istanti, ascoltando il caos che i suoi pensieri producevano cercando un ordine che avevano perso nel momento in cui lui aveva pronunciato il suo nome; poi si accorse che l'autobus era fermo da cinque minuti davanti al sentiero che conduceva a casa sua e che tutti la guardavano.
Come se fosse stata pizzicata da un insetto invisibile saltò in piedi e si affrettò a raccogliere le sue cose, quando passò accanto al vecchio autista lui le fecel'occhiolino in segno d'intesa prima di rivolgere un'occhiata eloquente alle sue spalle,dove Jason rideva con i suoi amici, non riuscendo a non arrossire rimase in silenzio e scese dall'autobus, evitando di voltarsi cominciò a camminare, l'autobus ripartì, si chiese se Jason si fosse voltato a guardarla.
Il sentiero che conduceva a casa sua era immerso nella foresta e la neve era riuscita a imbiancarlo lievemente. Da dove si trovava non riusciva a vedere la casa perchè era molto al'interno della foresta, cominciò a camminare, il vento freddo le si insinuava sotto i vestiti, ma diversamente dal solito non la infastidiva, anzi la rinfrescava piacevolmente, il viso le andava a fuoco e sudava ma l'aria fresca diradava il vapore che aleggiava nella sua mente e le permetteva di ragionare con più lucidità.
Jason, il ragazzo che le piaceva dall'inizio del liceo,a lei e a molte altre, il portiere della squadra di Hockey, l'aveva vista, le aveva parlato e l'aveva invitata alla partita, tutto in un giorno solo. Percepì all'improvviso quanto quella giornata fosse straordinaria e un timido sorriso che raramente faceva capolino fra le sua labbra le illuminò il viso.
Pensò a quando quella notte avrebbe potuto sfogare la sua gioia, lasciando sgorgare fiumi di parole che non poteva raccontare a nessuno, o quasi.
Senza rendersene conto era arrivata davanti alla casa, da fuori aveva un aspetto straordinariamente ordinario, il tetto scuro faceva contrasto con le pareti esterne chiare, ma la sua posizione isolata in mezzo alla foresta la rendeva misteriosa, quello era di certo l'aspetto che le piaceva di più.
Ricordò che da piccola immaginava sempre che il bosco e la casa fossero infestati di spiriti, fate, demoni, mostri e tutte le altre creature incantate dei suoi libri. In realtà non era cambiata molto, credeva ancora di aver visto le fate in un vecchissimo tronco marcio, che nella notte l'ululato del vento si mischiasse ai lamenti degli spiriti perduti nel bosco, dando vita ad un coro malinconico che col tempo aveva imparato a non temere, che quando non trovava un calzino o la spazzola fosse colpa di uno spiritello o di un folletto che gli doveva aver sottratto quegli oggetti per qualche oscuro motivo che non le era dato conoscere, qualche volta ritrovava i suoi oggetti, altre no.
Fin da piccola aveva sempre creduto che se fosse riuscita a vederli la sua vita sarebbe cambiata e avrebbe potuto vivere un'avventura incredibile. Per questo crescendo aveva imparato a dire di non credere a quelle sciocchezze, senza smettere mai di guardarsi attorno, pronta a cogliere un battito d'ali o un movimento fugace.
Entrando in casa fu accolta dal consueto odore di zuppa di fagioli, tutte le sere la mamma preparava la zuppa per la nonna che puntualmente si rifiutava di mangiare quella " brodaglia puzzolente" fino a che non cominciava " The Opra Show" e mentre lei si distraeva dietro agli improbabili soggetti che si presentavano al programma, la mamma riusciva a infilarle in bocca la zuppa.
Entrando in casa avvertì a gran voce di essere tornata, sapendo che nessuno le avrebbe risposto, suo padre era a lavoro, faceva il curatore degli archivi demografici di Pine City, un lavoro straordinariamente eccitante, la madre invece aveva lavorato come maesra elementare per molti anni, ma quando la nonna aveva cominciato ad avere problemi di salute aveva dovuto lasciare il lavoro, da allora la casa era molto più pulita, ma non più allegra.
Salì di corsa le scale di legno che portavano al piano di sopra, svoltò a destra e aprendo una porticina scura salì altre scale, pochi gradini, stavolta vecchi e scricchiolanti, che portavano alla mansarda, dove lei aveva stabilito la sua camera. Alle pareti, per coprire la carta da parati antica aveva fatto montare molte mensole e compare due gigantesche librerie, tutte traboccanti libri, da che ricordava lei era sempre stata così, molti libri, tante storie da raccontare, pochi amici. In stanza aveva anche un piccolo portatile che si era fatta comprare con la scusa, neanche troppo falsa, di poter fare i compiti più velocemente e meglio. Accese il computer senza pensarci, era un gesto automatico che faceva sempre appena entrata in camera perché il portatile ci metteva un'eternità ad accendersi; buttò la cartella sul letto facendo cigolare le molle e si tolse il capotto, la sciarpa e gli stivaletti impermeabili.
Dal piano di sotto il consueto lamentarsi della nonna sulla zuppa di fagioli la distraé per un attimo, alzò gli occhi al cielo soffiando via la frangia dalla fronte e si sedette davanti al computer, fece per accendere Internet ma si ricordò della gran quantità di compiti che doveva fare per il giorno dopo; reduce dal miracolo che il suo essere studiosa aveva compiuto quel giorno, sorrise tra se e se e prese il necessario nella cartella.
Studiare non le costava fatica, ma non si divertiva nemmeno, semplicemente doveva farlo e lo faceva, era convinta che se gli insegnanti non la sgridavano gli altri non avrebbero mai riso di lei, anche se sapeva che non era solo quello a salvarla dal pubblico ludibrio.
Avere sempre i compiti fatti era solo un altro modo di passare inosservata, come il suo essere magrolina, bassina , con un taglio di capelli che le nascondeva il viso né bello né brutto, come il suo sapersi muovere tra la folla senza sfiorare mai nessuno; passare inosservata era il suo super potere.
La sua silenziosa e innocua presenza non attirava né l'odio né la simpatia degli altri, troppo impegnati a schernire chi era troppo grasso o alto o strano per passare inosservato.
Esteriormente lei appariva perfettamente normale, era solo un pò più bassa della media, ma non era nemmeno la più bassa, un pò più magra della media, ma non la più magra, un pò più intelligente della media, ma non la più intelligente.
Le sue due ore di studio più o meno intenso, a seconda della materia che affrontava, passarono rapidamente, inframezzate da sognanti sguardi fuori dalla finestra, la neve continuava a scendere, ma era così debole che bisognava sforzarsi per distinguere un fiocco di neve, l'aria era diventata più scura, la sera calava troppo presto per le persone normali, ma non per lei. Quando ebbe risolto l'ultimo esercizio di matematica, la materia che le costava più fatica e che lasciava sempre per ultima, si alzò dalla sedia e si rimise gli stivali e il cappotto.
Scese le due rampe di scale e si avviò verso la porta che conduceva in giardino, la mano protesa verso la maniglia si fermò a mezz'aria quando sentì la voce di sua madre.
:- Dove credi di andare a quest'ora Kaylee?- sospirò e rispose in automatico:- A fare una passeggiata in giardino mamma.- sua madre si affacciò alla porta e con sguardo sospettoso disse :- ma è già buio, e la cena è quasi pronta.- Kaylee guardò fuori dalla finestra e vide che il "buio" di sua madre corrispondeva a un tardo pomeriggio un pò scuro a causa delle nuvole, la guardò alzando un sopracciglio e sua madre sospirò concludendo la discussione :- d'accordo, ma vedi di rientrare non appena fa davvero buio, ok?- non aspettò nemmeno la risposta e tornò in cucina.
Aprì la porta e respirò a pieni polmoni una boccata d'aria gelida, uscì curandosi di non sbattere la porta, soffiava vento in alta quota, le punte degli alberi ondeggiavano e le fronde più alte si scuotevano, ma a terra era tutto immobile.
Le piaceva stare fuori e respirare l'aria che profumava di bosco e osservare la notte ricoprire ogni cosa, alzò gli occhi al cielo e vide solitari fiocchi di neve volteggiare sopra di lei disegnando piccoli cerchi a mezz'aria, non si vedevano le stelle quella notte perché il cielo era coperto dalle nuvole, ma sere più limpide, in mezzo all'oscurità della foresta, le permettevano di vederne così tante tutte insieme che spesso si chiedeva se era il cielo ad essere scuro e le stelle brillanti, o il contrario.
I tronchi pallidi e dritti delle betulle si protendevano verso l'oscurità del cielo notturno, come se cercassero di raggiungerlo, perse le foglie, erano rimaste solo le fragili impalcature di rami, simili a dita sottili e contorte di mani pronte ad afferrare gli sprovveduti che si fossero persi in quei boschi. Osservando gli alberi, ad una prima occhiata si potevano vedere quelli rischiarati dalle luci della casa, guardando una seconda volta apparivano quelli dietro, ma aguzzando lo sguardo si sarebbero potute vedere betulle all'infinito, dietro ad ognuna di loro se ne distinguevano molte altre nell'oscurità, a perdita d'occhio.
All'improvviso da dietro agli alberi apparve una luce abbagliante che proiettò le ombre dei tronchi verso di lei, la luce si muoveva e con essa anche le ombre ondeggiavano, rimase incantata dallo spettacolo fino a quando non riconobbe i fari dell'auto di suo padre, era l'ora di cena e lei non era ancora rientrata, corse in casa.
Fortunatamente sua madre era troppo impegnata acercare di non far bruciare le patate arrosto, non era mai stata una gran cuoca, per accorgersi di lei che sgattaiolava sul divano, davanti alla tv si tolse in fretta il cappotto e lo buttò sulla poltrona accanto al divano, lasciò gli stivali a terra e si sdraiò col telecomando in mano fingendo di essere lì da un sacco di tempo. Non appena ebbe acceso la televisione la porta d'ingresso si aprì ed entrò suo padre che salutò allegramente avvertendo del suo arrivo, dalla cucina nessuna risposta a parte l'odore di bruciato.
:- Kaylee eri tu là fuori?- domandò suo padre levandosi il cappotto e dirgendosi verso l'appendiabiti.
:- Con questo freddo? Scherzi?- mentì fingendo di stiracchiarsi i muscoli intorpiditi dal troppo tempo passato sul divano, suo padre rise :- Hai ragione. Però mi era davvero sembrato di vedere qualcuno.- pensieroso si prese il mento tra indice e pollice e strinse gli occhi cercando di ricordare, sua madre irruppe in corridoio ponendo fine alla conversazione, intimando a entrambi di andare a sedersi a tavola.
La carne era poco cotta e le patate lo erano troppo, tanto che gli angoli più carbonizzati venivano tagliati via e accumulati in un angolo del piatto, ma sia lei che suo padre si guardarono bene dal dire alcunché in proposito, mangiarono tutto con appetito e si premurarono di non lasciare niente nel piatto, se non le povere patate bruciate.
Quando ebbero finito di mangiare, andò a recuperare la sua roba nel salone e si precipitò su per le scale.
:- Kaylee? Non ci hai raccontato come è andato il Test di fine semestre.- la mamma a braccia incrociate ai piedi delle scale venne raggiunta da papa che le appoggiò le mani sulle spalle sorridendo :-Oh andiamo, Kay porta sempre degli ottimi voti.- Kaylee li interruppe :- Infatti è andato bene, il risultato lo sapremo entro una settimana.- aspettò qualche istante e continuò :- posso andare in camera mia adesso?-.
:- D'accordo, ma prima vai a dare la buonanotte alla nonna.- disse sua madre, concludendo il discorso in un tono che non ammetteva repliche, come suo solito, non lo faceva di proposito, ma durante gli anni che aveva passato insegnando il tono della maestra si era unito indissolubilmente con la sua voce e non se ne era più andato.
Kaylee sbuffò soffiando via dalla fronte la frangia e si avviò strascicando i piedi verso la camera di sua nonna, socchiuse la porta e disse a voce abbastanza alta perché sua madre la sentisse :- Buonanotte Nonna!-. sentì il rumore simile ad un rantolo che emetteva sua nonna quando dormiva profondamente e ringraziò il cielo di non averla svegliata, altrimenti l'avrebbe trattenuta a parlare e non l'avrebbe fatta uscire mai più.
Premurandosi di non far scricchiolare le assi del pavimento traditrici si diresse verso camera sua, le scale decrepite che conducevano alla mansarda emetterono un coro di scricchiolìì e crepitii ma ormai era in camera sua e nessuno l'avrebbe fatta andar via da lì prima del giorno dopo.
Il buio in camera l'avvolse, non si premurò di accendere la luce, quando abiti da tanto tempo nello stesso posto il modo di muoversi attraverso le stanze diventa parte di te, si compiono sempre gli stessi movimenti, si acquisiscono gestualità compulsive e ripetitive. Si sedette al computer e sbirciò sulla pagina dedicata alla scuola le foto della squadra di Hockey, gli occhi azzurri di Jason le sorridevano attraverso il computer, ricordò che sull'autobus le aveva rivolto lo stesso sguado e il cuore le batté così forte che le sembrò di sentirlo rimbombare attraverso la stanza.
Le venne in mente che non gli aveva chiesto a che ora cominciava la partita e sorrise allo schermo pensando che aveva una scusa credibile per parlargli di nuovo.
D'improvviso le venne sonno, spense il computer e si buttò sul letto che l'accolse con la sua morbidezza, ringraziò mentalmente chiunque avesse reso i letti così comodi e si coprì col piumone.
Si voltò verso la finestra e vide una luce rischiarare le cime degli alberi tingendole di blu, pensò che infine la luna era riuscita a sfuggire alla coltre di nubi che l'aveva oscurata per tutta la sera, le sarebbe piaciuto andare ad affacciarsi alla finestra per guardare il paesaggio rischiarato da quel bagliore, ma nonostante la luce che si faceva sempre più forte l'attirasse, il sonno piombò su di lei improvvisamente, spengendo ogni luce e ighiottendo ogni cosa.

Ogni notte faceva lo stesso sogno, cominciava sempre nello stesso modo.
C era luce, luce ovunque, si muoveva ma era immobile, e la luce le riempiva gli occhi, le passava tra i capelli come una carezza, la catturava ma la faceva sentire libera.
Risuonavano attorno a lei le canzoni che aveva amato quando era bambina, la melodia di un carillon che aveva perso da molto tempo, non era sicura di sentire effettivamente della musica, sembrava provenisse direttamente dalla sua memoria, il corpo si rilassava riconoscendo ogni nota come un pezzo di se.
Non avrebbe mai saputo capire se era sveglia o se dormiva, se vedeva o se sognava di vedere, era in mezzo, in equilibrio tra due opposti confinanti. Non ricordava se da piccola avesse mai avuto paura di quel sogno, ma da che poteva ricordare, non aveva mai sognato nient'altro.
Dalla luce emerse un'ombra, era esile ma molto alta, molto più alta di lei, le veniva incontro, sorrideva ma lei non vedeva il suo volto, sapeva che sorrideva, lo sapeva e basta. Non si era mai chiesta come facesse a saperlo.
Conosceva quell'ombra, non ricordava quando si erano presentati, cosa si erano detti la prima volta che si erano incontrati in quello strano mondo lucente, e non aveva nemmeno importanza per lei, si conoscevano da così tanto tempo, da sempre.
L'ombra la salutò con la mano, quella mano dalle dita sottili e lunghe, come le sue braccia e le sue gambe, lei ricambiò sorridendogli, e andandogli incontro a sua volta. Non aveva paura, non ne aveva mai avuta, non ne aveva motivo.
<< Sono felice di vederti>> non lo vedeva parlare, non vedeva la sua bocca ma sentiva la sua voce dentro di se e allo stesso tempo sentiva la felicità che provava l'ombra vedendola.
<< Anchio>>
L'ombra inclinò la testa di lato, la guardava, continuò a parlare << E' stata una buona giornata?>> , sorrise e annuì, ma non disse niente, l'ombra la guardava ancora, sapeva che c'èra dell'altro, capiva sempre quando le era successo qualcosa.
Kaylee sorrise, sentiva l'affetto sincero che provava l'ombra per lei, sentiva di essere importante per qualcuno, si chiedeva spesso, quando si svegliava, se era quello che si provava ad avere un amico, anche se solo nei sogni.
<< Oggi è successo un miracolo!>> esclamò infine, allargando le braccia in maniera teatrale, si sarebbe vergognata a parlare così ad alta voce in pubblico, a dire cose così stupide, ma non in quel sogno.
L'ombra allargò le braccia imitadola, le sue però erano così sottili e lunghe che quasi uscivano dalla sua visuale, drizzò la testa ed esclamò a sua volta << Un miracolo?>> le sorrise e lei sentì un piacevole tepore diffondersi nel suo corpo poi continuò << E che genere di miracolo?>> si avvicinò a lei e una delle sue lunghe dita affusolate le sfiorò la guancia, si stupiva sempre di come ciò che vedeva e sentiva sembrasse reale, l'ombra disse ancora, in tono suadente e gentile << Raccontami ogni cosa, a me puoi dire tutto>>.
L'indecisione che aveva provato poco prima scomparve, non gli aveva mai parlato di Jason, non ne aveva mai avuto motivo, la piccola diga che aveva eretto cedette e sgorgò fuori un fiume di parole.
<< Io non ti ho mai parlato di lui, ma è dal primo giorno di liceo che c'è un ragazzo che mi piace.>> mentre parlava le scorrevano davanti agli occhi i ricordi di quei primi giorni in cui il cuore aveva cominciato a batterle con un ritmo diverso, in qualche modo, sapeva che anche l'ombra vedeva quelle immagini << Lui sai, gioca ad Hockey,è il portiere della squadra ed è veramente bravo>> vide le azioni più belle degli allenamenti che era andata a vedere di nascosto << E' da tanto che lo guardo, ma lui non mi ha mai notata, oggi però l'ho aiutato a fare un test, e lui si è accorto di me!>> il momento in cui gli passava il bigliettino, lo sguardò confuso che le aveva rivolto << Poi sull'autobus si è seduto accanto a me e abbiamo parlato, mi ha invitato alla partita e ha detto che mi farà riservare un posto!>> il momento in cui pronunciava il suo nome e gli altri in cui le sorrideva, rivivendo quei momenti, il sorriso che le rivolgeva era più dolce, in qualche modo più intenso e sott'intendeva qualcosa che le era sfuggito. << Il suo nome è Jason, sai credo di essermi davvero innamorata di lui>>.
All'improvviso accadde qualcosa che non era mai successo, quando ebbe finito di parlare, il nome Jason risuonò nella sua mente, ma non aveva più il suono dolce e musicale che aveva avuto fino a pochi istanti prima, adesso le sembrava un nome dal suono aspro, fastidioso, come il ronzìo degli insetti. La disgustava, lo odiava.
Fu riempita di emozioni negative e sensazioni che non le appartenevano, il viso del ragazzo che le piaceva era così imperfetto , e il fatto che non sapesse fare un semplicissimo test scolastico che avrebbe necessitato di un minimo di studio e impegno le sembrò veramente ignobile, odioso come il fatto che non l'avesse notata per così tanto tempo.
Poi arrivò la tristezza, ed era così insopportabile, essere tristi senza poterlo rivelare a nessuno, e il motivo della sua malinconia era a sua volta straziante, avrebbe dovuto saperlo che era impossibile, avrebbe dovuto prevederlo ma non lo aveva fatto, aveva vissuto illudendosi e adesso che il sogno si era frantumato, vedere la realtà era troppo doloroso.
Non riusciva a seguire il filo dei suoi pensieri, non era nemmeno sicura che fossero i suoi.
Stordita dal dolore si guardò attorno cercando l'ombra, era lontano da lei, il corpo che di solito le appariva sfocato cominciò a farsi più vivido, il colore cambiò, da nero divenne grigio pallido, altre ombre emersero dal buio, ma non le guardò, concentrò tutte le forze che le restavano sul viso del suo amico del sogno, voleva vedere che viso aveva, voleva vedere la sua espressione, il mondo lucente decadeva attorno a loro, un baratro sempre più ampio e profondo li separava, lo implorò mentalmente di girarsi, lui parve sentirla, perché improvvisamente si voltò.
Non fu tanto l'aspetto del suo viso a sconvolgerla, ma l'espressione, così triste, il suo amico si guardò attorno e parve rendersi conto solo in quel momento di ciò che stava accadendo, poi guardò intensamente lei, sembrava spaventato.
Provò ad avvicinarsi, ma non riusciva a raggiungerla, lei si allontanava senza volerlo, cadeva, improvvisamente allungando un braccio lui riuscì a prenderla, a fermare la sua caduta, la teneva così forte che le faceva male.
Capì che non sarebbe riuscito a trattenerla.
<< Mi dispiace>>

...

Freddo.
Sentiva freddo dappertutto, aprì gli occhi e vide il chiarore dell'alba far brillare la brina sui fili d'erba che le solleticavano il naso, sentì il suolo duro e umido sotto di lei e provò ad alzarsi.
Una folata di vento le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire, all'improvviso si accorse di non avere più i vestiti addosso, capì di essere sdraiata sul prato in giardino ed ebbe paura.
Prima di poter pensare ad ogni cosa, si alzò e corse in casa, tremante salì le scale, boccheggiando per la paura e per il freddo, il cuore pareva aver deciso di sfondarle la cassa toracica, il battito le rimbombava in testa.
Le lacrime calde cominciarono a rigarle le guance congelate,ma si sforzo di non cominciare a piangere fino a che non fosse arrivata in camera sua, sali gattonando gli scalini scricchiolanti e finalmente fu in mansarda.
Tirò giù dal letto il piumone e si coprì, rimanendo seduta per terra, piangendo, sotto shock.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione, la sua pelle chiara sembrava macchiata, guardò meglio, tirando fuori dalla coperta il suo avanbraccio, vide un grosso livido bluastro.
Un livido a forma di mano.

Continua...

Nota Autrice
Una fanfiction per chi come me, riesce a vedere del romanticismo anche nella fantascienza. Fatemi sapere cosa ne pensate :)
 
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