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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: RICORDI INNEVATI
Genere: Sentimentale, Romantico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot
Autore: selenika galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 20/08/2013 14:10:05

La storia complicata di due fratelli che si sono amati come pochi.
 
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RICORDI INNEVATI
- Capitolo 1° -

Ricordi Innevati




Credo che il momento più importante della mia vita, sia stato quello di cinque anni fa.
Era un giovedì nevoso e qui in città l'inverno fa così male che sembra ti sia scavando fin dentro le ossa. Lo so che lo odiavi anche tu, perché il tuo naso era costantemente arrossato e spesso ti ficcavi dentro grandi giacconi e sciarpe di lana.
Era lo stesso giorno in cui, diciotto anni, nacqui.
Sai, fratello, noi due abbiamo sempre avuto uno strano rapporto precario ed insicuro.
Quand'ero piccola mi lamentavo, perché tu spesso non eri a casa e io mi ritrovavo sola ad aspettarti davanti alla porta. Quando arrivavi, con quella tua aria da scansafatiche, i passi scoordinati e una sigaretta stretta tra le labbra secche, mi guardavi con i tuoi occhi azzurri e mi piaceva pensare che accennavi ad un sorriso tutto mio. Solo per me.
Talvolta, ti fermavi davanti alla finestra e osservavi quel mondo che forse non riuscivi a capire o a sentire tuo. Probabilmente tu non lo sai, ma io li notavo, quei momenti. Quelli in cui sembravi assorto nei pensieri, e in cui tutte le volte, mi chiedevo se in quei pensieri ci fossi anch'io.
Una volta, trovando coraggio, chiesi a mamma perché tu ti comportassi così. Allora non ti capivo, e tuttora faccio fatica. Lei stava lavando i piatti e quando sentì la mia domanda, si voltò verso di me e mi guardò con un'espressione che non riuscirò mai a tradurre in parole.
«Penso si senta solo» Rispose, e io per i giorni successivi, mi chiesi se sarei mai riuscita a farti meno solo. Avevo la presunzione di credere che io fossi la persona più importante per te, ma avevo la sicurezza che tu lo fossi già per me.





Quel giorno nevicava e non era raro nella nostra città.
Ero seduta sulla slitta rotta che avevamo trovato per strada due anni fa e tu ad un certo punto ti sedesti vicino a me. Osservavi in silenzio i fiocchi di neve scendere e sciogliersi sul terreno innevato. Io osservavo le lentiggini chiare sul tuo viso e i capelli biondi che ti ricadevano dolcemente sugli occhi.
«Fratellone?»
«Sì?»
«Te le ricordi le cioccolate calde che preparava la mamma?»
«Sì»
«Erano buonissime, vero?»
«Già.»
Mi vergognavo a chiedertelo, ma tu mi capivi e sapevi che non avrei mai trovato il coraggio di farlo.
«Ne vuoi una?»
«La beviamo insieme?»
«Non ho i soldi per tutti e due»
«Ah. Allora no, non mi va più»
«Ti prometto che un giorno ne compreremo due. Per noi»
Quel per noisuonava così intimo e prezioso che non mi dispiaceva più per le cioccolate, che comunque, tu non comprasti più e che ti dimenticasti presto.






Quando compiesti sedici anni, io ne avevo dieci e tutto ciò che potevo permettermi era un foglio di carta con un disegno di me e te.
Mi ricordo che alzasti gli occhi su di me, mi appoggiasti una mano sulla testa e mi accarezzasti i capelli scuri. Non dimenticherò mai la limpidezza dei tuoi occhi e la felicità che mi parve di intravvedere tra le loro sfumature.
All'età di quattordici anni, mi accorsi che lentamente ti stavi allontanando da noi. Nostra mamma aveva provato tante volte ad instaurare un rapporto, ma tu ti eri mostrato sempre freddo e disinteressato. Una volta, mamma venne in camera mia e mi disse che le avevi urlato contro. Me lo disse con le lacrime agli occhi. Non so bene qual'era il motivo del litigio, ma so che andai in camera tua e invece di bussare alla tua porta, ti travolsi con un mare di parole e insulti che non avrei mai voluto dirti. Eppure tu restasti immobile, in piedi con le cuffie al collo, fissandomi con un'espressione sorpresa, senza proferire una parola. Ero furiosa con te, perché tante volte avevo cercato di comprenderti e altrettante volte tu mi avevi scacciata dalla tua vita.
Non parlammo per settimane, ma troppe volte, mi ritrovai davanti camera tua, con un pugno sollevato e con la voglia di fare pace. Magari, anche tu lo feci.






Non mi parlavi molto, fratello. E non dicevi mai che mi volevi bene. Forse, lo ritenevi inutile, o forse non ci hai mai fatto caso. Come non hai mai fatto caso che io ne dubitavo.
Avevo quindici anni e il mio primo ragazzo. Non mi era mai piaciuto, ma temevo la solitudine che tu sembravi amare tanto.
Era il quindici agosto e sopra le nostre teste, sui cieli notturni, colori vivaci tinteggiavano l'oscurità rendendola meno spaventosa. Stranamente quella sera tornasti prima, probabilmente per una rissa, perché avevi un labbro sanguinante. Ma quando mi vidi piangere di fronte al ragazzo che era andato a letto con la sua migliore amica, non ci vedesti più dalla rabbia.
Corresti fino a lui e prendendogli la testa, lo buttasti a terra. Gli gridasti di vergognarsi e di sparire per sempre. Quando ti girasti verso di me, con quella faccia cupa, avevo paura che mi rimproverassi. Ma tutto ciò che facesti fu di asciugarmi le guance con le maniche della felpa e mi riaccompagnasti a casa nostra, fianco a fianco.
Non te lo dissi, ma nessun altro ragazzo riuscì a farmi sentire così felice come te in quella notte.






Quel giovedì nevoso, ritornasti a casa.
Te ne eri andato da mesi e ormai, a dire la verità, stavo iniziando a perdere le speranze, perchè temevo che avrebbero potuto rivelarsi illusioni. Eri uscito di casa, in fretta e furia, dicendomi che avevi bisogno di tempo. Non riuscì a capirti, ma so che passai tante notti insonni a chiedermi dove fossi e se avessi bisogno di me quanto io ne avevo di te.
Stavo spargendo il sale per terra, quando di scatto, come se l'istinto me lo avesse comandato, mi girai e presa dalla sorpresa gettai tutta la scatola di sale sulla neve. Ti guardai arrivare e pensai che tu fossi la cosa più bella e complicata della mia vita.
Quando fui di fronte a me, io riuscì a vederti per la prima volta.
Avevi gli occhi di uomo cresciuto troppo in fretta, le cicatrici di una infanzia triste e sola, il cuore rattoppato e malato. Il cuore che tante volte ho cercato di aggiustare.
Allungasti le mani verso di me e io credetti che volevi abbracciarmi, ma strette nei polsi, avevi due tazze di cioccolata fumante.
«Te l'ho promesso»
Mi ricordo che quel giorno mi abbracciasti e mi sussurrasti qualcosa che io penso siano le parole più dolci sulla terra. Le dicesti a bassa voce e se non fossi stata io, non sarei riuscita a sentirle. Perché sono parole segrete di un legame sottile come un fiocco di neve.

Ti voglio bene
 
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