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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Hetalia
Titolo Fanfic: SOLO TU, E BASTA
Genere: Sentimentale, Romantico, Commedia, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, AU, Shounen Ai
Autore: naruxhina galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 25/06/2012 13:18:42

La mia primissima Shonen ai! Un bruttissimo avvenimento rovinerà la loro vacanza o renderà speciale la loro estate? (GerIta)
 
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SARò SINCERO...
- Capitolo 1° -

Signore e signori, ci siamo… È un momento storico per la mia carriera di fanficciaro…
LA MIA PRIMA FIC SHONEN AI!
Per la verità dello shonen ai c’è stato in un’altra mia fic, ma lì c’erano sia coppie etero che omo; stavolta invece è la fanfiction tutta incentrata su un'unica coppia shonen ai!
Quando ho iniziato, su Manga.it (forse qualcuno se ne ricorda), odiavo lo shonen ai e lo yaoi, non per omofobia ma perché, anche se come scrittore mi do spesso al genere romantico, proprio non riuscivo a immaginare due personaggi maschi in coppia nelle mie storie, in qualsivoglia fandom, e quel tipo di storie mi faceva un po’ ribrezzo (un bel po’…)… Poi col tempo sono diventato meno rigido, e poi dopo altro tempo ho cominciato a scrivere su Hetalia, e forse a quel punto è stata una scelta obbligata visto che qui le femmine scarseggiano… In ogni caso ora posso dire di aver allargato di un alto pochino i miei orizzonti creativi ^___^
Buona lettura, e buona estate!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

PPS: Un link con la colonna sonora sarà inserito a un certo punto della storia ^__^



Il mare era tranquillo e le sagome delle loro ombre sembravano nuotare sulla sua cristallina superficie.
Il sole dietro le loro spalle scendeva sempre più; l’ombra ormai copriva tutta la spiaggia, colorando la sabbia di un bruno chiaro e fresco al tatto, un autentica gioia per i piedi scalzi.
Tra il rumore delle onde, la brezza, il tramonto e i suoi meravigliosi giochi di luce su persone e oggetti, e la poca distanza l’uno dall’altro a cui si erano seduti sulla riva, c’era tutto l’occorrente per battezzare quell’atmosfera come a dir poco romantica.
“Dai, passa!”
“Oh, qui!”
“Schnell!”
A toglier loro la completa intimità c’era una partitella di calcio in pieno svolgimento dietro di loro, sull’ampia striscia di sabbia che si stendeva tra le file sconfinate di ombrelloni e il bagnasciuga.
I loro fratelli erano riusciti a trovare tutti gli elementi necessari per inscenare una combattuta Italia-Germania. Al momento i tedeschi erano una rete sopra.
All’inizio Romano e Gilbert non si erano trovati per nulla simpatici, merito certo dei loro caratteri difficili, l’uno più dell’altro. Poi, accortisi di quanto erano uguali, si erano scoperti amiconi, e per dimostrarlo si erano sfidati: l’italiano aveva chiamato i propri amici, il tedesco aveva facilmente reclutato qualche altro turista suo compatriota, ne venivano sempre numerosi su quelle spiagge del bel paese ogni estate, per quel cinque contro cinque. A quell’ora la spiaggia era ormai poco affollata: c’era tanto spazio e poca gente da infastidire.
Malgrado Gilbert lo avesse convocato come perfetto mediano, Ludwig aveva rifiutato, ma c’erano anche altri motivi per cui si trovava lì a guardare il mare vicino all’altro grande assente del match, Feliciano, e tutti riguardanti lui appunto. Per inciso, Romano non si era sprecato a chiamare il fratello di cui conosceva tanto la pigrizia quanto la scarsa abilità: c’era da far fare al loro paese bella figura dopotutto.
Per un po’ i due avevano fatto da pubblico sulle sdraio, ma nessuno dei due era riuscito a concentrarsi a lungo sul pur emozionante match, avendo l’altro di fianco. Alla fine, con un semplice sguardo, si erano decisi a sedersi lì in disparte, per il momento senza parlarsi, a lasciare che il bel panorama e qualche profondo respiro di buona aria di mare sgomberassero per un po’ le loro menti, preparandoli al discorso.
“Feli?”
“Si?”
“Ho pensato un po’ a ieri sera. Un bel po’.”
Il ragazzo italiano annuì: “L’avevi detto l’avresti fatto.”
E lui aveva trascorso tutta la giornata aspettandolo, distraendosi con la compagnia del più esuberante fratello, fin quando Ludwig, assente ingiustificato, si era degnato di farsi rivedere dalla comitiva, appena in tempo per dire “passo” a una partita a pallone, come se non fosse già stato abbastanza insolito con la sua sparizione.
Solo Feli ne sapeva il motivo, e nessun altro.



“Fermo.”
L’aria sibilò tra i denti di Feliciano, mentre il batuffolo d’ovatta imbevuto di disinfettante sfiorava nella maniera più gentile i graffi sopra l’occhio.
“Fermo, per favore, sto facendo piano.”
Malgrado le mille premure del biondo, gemette ancora. Aveva altre escoriazioni sul viso e sulle braccia, un livido sulla spalla e un altro sullo zigomo, e il pianto lo rendeva ancora più rosso.
Erano seduti sul letto dell’italiano, nell’appartamento che divideva col fratello per la vacanza. La lampada sul comodino spandeva una tenue luce sulle pareti rosa pastello della stanza.
“Aspetta che ci metto su un cerotto.”
Feliciano lasciò uscire un altro singhiozzo.
Ludwig, classico tedesco biondo, alto, occhi azzurri e pure grosso come un atleta, era davvero un bizzarro crocerossino.
Il suo occhio era livido, le sue nocche doloranti, e le ferite sulla sua faccia non avevano ancora ricevuto cerotti: aveva pensato all’amico prima che a sé, quello stesso amico per cui si era ridotto in quel modo.
Per quanto lui fosse gracile, non esisteva che piangesse per un po’ di bruciore; quello sulla pelle non era nulla, il bruciore che aveva nel cuore era molto più forte, ed era come una fitta ogni volta che posava lo sguardo sul suo occhio gonfio, sulla macchiolina di sangue che gli faceva capolino a un lato della bocca, per non parlare delle altre che aveva sulla maglietta. Ed era pure bianca, e di marca, non era giusto si fosse rovinata per colpa sua.
“Scusami.” –tirò su col naso. La sua voce, strozzata dal senso di colpa, era ancora più acuta del solito.
Ludwig si fermò un attimo a guardarlo, mentre toglieva la pellicola al cerotto.
Glielo appiccicò piano sulla fronte e poi premette un poco, ma con veemenza: anche nei suoi gesti gentili sapeva infondere tutta la forza e la decisione che lo contraddistinguevano.
“Mi dispiace…” –frignò ancora il ragazzo italiano, stropicciandogli gli occhi- “Ti hanno ridotto così… per causa mia.”
“Ehi” –sbottò Ludwig, improvvisamente infastidito- “La colpa non è stata tua, hai capito? Hai capito?”
Feliciano scostò la testa altrove e tirò di nuovo su; una vocina nella sua testa gli dava dello stupido e gli ordinava di darsi un controllo, invece di sembrare patetico come suo solito.
“Non è colpa tua se al mondo esistono gli idioti.”
Feliciano batté il pugno sul materasso del suo letto.
“Perché? Stava andando così bene questa vacanza! Dobbiamo sempre farci riconoscere in questo paese! Dobbiamo dimostrarci sempre i soliti incivili! Da te queste cose non succedono non è vero?”
Richiuse il kit di pronto soccorso: “Non dire stupidaggini. Gli idioti stanno dappertutto. In Italia, in Germania…”
“Scusami, non volevo venissi coinvolto.”
“Ancora?”
Si accigliò. Come ogni volta che lo fissava con quell’espressione, Feliciano indietreggiò, lasciandosi scuotere da un brivido di timore; non era mai stato un cuor di leone di suo, ma Ludwig quando si innervosiva faceva una faccia così scura da fargli dimenticare che fosse suo amico, e che di lui si fidava come la Torre di Pisa si fida delle leggi della fisica.
“Non devi scusarti, per nessun motivo, sarebbe come ammettere che hai qualche torto. Quelli ti hanno attaccato in cinque, e per un motivo dei più stupidi e ignobili che esistano: sarei pronto a dar loro un’altra lezione anche subito!”
Prima che con la superiorità numerica prendessero il sopravvento e lo bloccassero, era riuscito a stordirne un paio con un cazzotto ciascuno, ed era sicuro di aver mandato a segno almeno un calcio. Di sicuro almeno due di loro erano tornati a casa con un bel ricordino della Germania in piena faccia. Al di là della loro vigliaccheria, non valevano un soldo contro di lui: né come avversari, né come persone.
Ludwig mise una mano in testa all’amico e gli scompigliò un po’ i già arruffati capelli: “Quindi basta piangere e basta scuse, va bene? L’importante è che li abbia fatti smettere prima che potessero farti di peggio.”
Feliciano chinò il capo, facendosi piccolo piccolo. Anche la sua voce, uscendo, aveva un che di minuscolo.
“Hanno dato del “frocio” anche a te…”
“……”
La mano di Ludwig si mosse ancora su quella testolina castana, mentre Feli si asciugava ancora gli occhi.
“Pensi che me ne importi che mi abbiano dato del “frocio” perché sono amico di uno di loro?” –domandò a bassa voce- “Se indica persone come te allora quella parola è un complimento.”
“Non è… Non è giusto che…”
“Che cosa non è giusto allora? Che io mi sia beccato delle botte che giustamente erano destinate a un “frocio”? Vuoi farmi arrabbiare?”
“No!” –si affrettò a rispondere!
Il tedesco si morse la lingua: era già stato spaventato abbastanza per quella sera. Ancora tremava. Tornò con la mano tra i suoi capelli e gli sorrise. Era un sorriso solido, deciso, anche se macchiato di sangue, anche se dietro quell’apparente indifferenza ai colpi si sentiva gonfio come un pallone. Uno meno muscoloso di lui ci sarebbe andato davvero male, pensò.
“Feli, sei un bravissimo ragazzo, senza dubbio l’amico più gentile che io abbia: per una persona così vale la pena di rischiare di prendere delle botte.”
Il solito sbruffone idealista, si punzecchiò da solo subito dopo aver parlato. Insoliti erano invece tutti quei complimenti all’indirizzo di Feli: in anni che si conoscevano era stato più generoso di rimproveri per i suoi difetti, ma quei difetti non gli erano mai parsi così piccoli come adesso, confrontandoli con quelli ben peggiori che la gente può avere.
“Alla fine devi sempre togliermi dai guai…”
“Così pare.”
“Anche tu sei una persona magnifica.”
Per lui d’altro canto non era la prima volta che gli rivolgeva simili frasi.
Feliciano prese un bel respiro e poi toccò la grossa mano che aveva in testa, un’abbozzata carezza di ringraziamento, per quella e tutte le altre volte che gli aveva ridonato il coraggio, che l’aveva fatto sentire di nuovo al sicuro in un mondo che per quelli normali è già un casino, per quelli come lui può essere un inferno.
“Grazie Ludwig… Se non fossi arrivato tu… Grazie.”
“Queste sono le uniche parole che voglio sentire!”
Gli mollò una pacca sulla spalla, dimenticandosi delle botte…
“Ahio!”
Verddamt! Scusa!”
“N-non è niente…”
Gli passò un fazzoletto per asciugarsi gli occhi: era ancora rosso fuoco, ma almeno non singhiozzava più.
“Sei grandioso Ludwig, hai tenuto testa a cinque avversari insieme!”
“Guarda che anche tu non te la caveresti male se fossi un po’ più deciso.”
“Dai, non prendermi in giro.”
“Non sono stato io quello che ha dato un calcio nelle palle a uno di quei balordi quando ha visto il suo amico tenuto fermo e prendere pugni dappertutto.”
Un altro rossore si aggiunse in lui, mascherandosi in quello che già c’era.
Chissà, magari era stato proprio quel colpo a convincerli ad andarsene davanti una difesa tanto accanita da parte di quelle due checche. Purtroppo prima di farlo avevano finito di sfogarsi rifilando un occhio nero all’uno e buttando a terra l’altro; Feli era caduto sulla breccia che ricopriva il vialetto dei giardinetti in cui, approfittando del buio e del luogo appartato, cinque perditempo avevano deciso di movimentare la propria serata dandole alla “femminuccia senza palle”.
La femminuccia senza palle, cadendo, aveva strusciato con la fronte, ferendosi sopra l’occhio, dopo che, già dolorante e a terra per i colpi subiti prima, su di un fisico tanto debole, aveva avuto la forza di rialzarsi per soccorrere il suo soccorritore.
“Hai più palle tu di tutti loro messi insieme.”
“A-anche tu le hai! Più grandi delle mie. Scusa, che sto dicendo, voleva essere una specie di complimento… Ehm, non ho detto niente.”
Si carezzò la spalla, anche se non ne aveva realmente bisogno, se non per calmarsi un po’…
“Ludwig?”
“Si?”
“Io penso che tu…”
Ludwig restò ad aspettare, squadrando ogni singola vibrazione sulle labbra dell’altro fattesi improvvisamente mute, come a volerne carpire i pensieri che le scuotevano. Pensieri che non riuscivano a prendere forma, o che forse l’avevano già nella sua mente, ma che non sentiva di poter far uscire.
“Che tu sia… Il miglior amico che un mezzo scemotto gay come me possa avere!”
“Mi fa piacere sentirlo.”
Sembrava avesse buttato a caso le parole con quell’ultima frase. Aveva quest’impressione, come non fosse stato ciò che realmente volesse dirgli.
Ludwig passò ad occuparsi delle proprie sbucciature (si era lasciato prendere così tanto dal discorso e dal prendersi cura di lui che aveva richiuso troppo presto il kit!): esattamente all’opposto dell’italiano, non fece una smorfia né disse un acca, cosa per la quale quest’ultimo lo guardò con malcelata ammirazione
In quel mentre, Feli si guardò attorno, come furtivo, come se non conoscesse più la sua stanza. Ludwig lo notò: anche questo era da attribuire al fatto che fosse ancora scosso? Più probabilmente, si disse, non c’era altro da dire e stava semplicemente aspettando finisse, e lui dal canto sua stava pensando forse più del dovuto.
Si rialzò e chiuse nuovamente il kit.
“Tutto bene?”
“Si, tranquillo, mi conosci, a differenza tua sono di ferro, o così dicono…”
Il panzer, così l’avevano definito suo fratello e gli altri suoi amici italiani dopo che nessuno di loro era riuscito a batterlo a braccio di ferro dopo averlo sfidato: “sboroni”, sembrava fosse il termine italiano adatto per la figura che avevano fatto…
“Oh, se lo so…” –ridacchiò Feliciano, tastandosi il braccino.
“Bene” –disse la voce del suo salvatore dal bagno, da dove era andato a riporre il pronto soccorso- “Io stasera dormo qui.”
“COME?!”
“Nel salotto hai un bel divano, e con le finestre spalancate si sta bene.”
“Ma…”
Feliciano, passando improvvisamente da un sacco sfatto a una lepre, si lanciò giù dal letto, infilò le infradito e corse nel soggiorno dell’appartamentino che si era affittato per quelle vacanze estive. Suo fratello per quella sera avrebbe dormito da un amico che stava un paio di paesi più in là, e non voleva che il poveretto dovesse trovarsi a trascorrere da solo la notte con quello che gli era capitato.
“Avrai preso una bella paura, immagino tu voglia un po’ di compagnia, specie nel caso tu non riesca a prendere sonno.”
“Ludwig… Hai già fatto tantissimo per me stasera, non voglio approfittarmi di te.”
“Per me non è un problema, in campeggio ho dormito praticamente sui sassi, un divano…”
“Ma per me non devi… Cioè… Anche tu sei stanco e devi riposare, se poi resto sveglio non riposi, quindi…”
Anche l’italiano sapeva essere premuroso; nello specifico, lo era molto più spesso rispetto a lui in effetti…
Si tirò su un sorriso: “Dai, poi sembra che ti sto sempre appiccicato, magari gli altri cominciano a “sospettare qualcosina” e sai com’è quindi…”
Veramente era Ludwig ora, lì in quella stanza, a star “sospettando qualcosina”… E si disse era il caso di controllare.
Alzò le mani: “Va bene allora, ammiro la tua tempra, Feli. Scampare a un pestaggio e andare a letto come se niente fosse, mi sorprendi.”
Era quello che aveva detto di volere fino a un attimo prima, ma tanta velocità nel cambiare idea, quando si sarebbe aspettato un po’ più di resistenza, l’avevano del tutto spiazzato.
“Allora io vado, eh?”
Cominciò a chiudere lentamente la porta.
“A domani.”
Rallentò ancora, per dargli il tempo di reagire.
“Aspetta!”
Beccato.
Tornò dentro e si richiuse la porta alle spalle.
Era più alto di lui e quando si avvicinava troppo, come in quel caso, Feli non vedeva che il suo petto e dovevano l’uno alzare il capo e l’altro abbassarlo per guardarsi negli occhi.
“Tu non vuoi che io me ne vada, giusto?”
“N-no.” –balbettò lui.
Feliciano si sentì la bocca impastata. Ancora una volta, la severità nello sguardo del tedesco fece sentire il suo effetto: si sentì teso, come sull’attenti, e l’ordine che gli stava imponendo, era quello di essere sincero.
“Non voglio…” –riprese fiato- “Che tu te ne vada.”
“Solo per quello che ti è successo prima? O anche per altro?”
“Per… Per…”
Come ipnotizzato da quella domanda, Feliciano restò bloccato un’interminabile manciata di secondi.
Esattamente come si era aspettato, Ludwig lo osservò salire sulle punte degli infradito: sembrò stesse affrontando una scalata, tanto aveva il fiatone.
Chiuse gli occhi e fu sincero, fino in fondo.
Quando si allontanò, le labbra di Ludwig erano scomparse nella sua bocca, come il tedesco stesse analizzando quella novità assoluta.
Feliciano si batté una mano sulla fronte, nascondendo la faccia: “Che cavolo ho fatto?”
Lo sospettava da un po’, e ora che ci aveva sbattuto il naso, o meglio le labbra, ora che Feliciano era lì, nervoso, a balbettare le solite scuse di quando si è fatta una gran stupidata, lui si isolò completamente nei suoi pensieri, chiedendosi come prenderla, come reagire.
“Non volevo… Io… Scusami, Ludwig, io lo so che tu non sei come me, lo so. Vai pure, non ti preoccupare, io starò bene.”
Ludwig si portò le dita sulle tempie: come se quella sera non ne avesse subiti abbastanza di colpi, forse poteva risparmiarsi di indagare tanto e farsi venire un cerchio alla testa tanto stretto.
Guardò l’italiano, suo amico da diversi anni, che, poteva essere da poco come poteva essere dal primo istante, provava qualcosa per lui.
Uno scemotto, un piccoletto svampito, un altro maschio, un “frocio”.
“Senti… Puoi rifarlo?”
“… Cosa?”
“Rifallo.” –ripeté lui, dopo un attimo di incertezza e rossore di guance.
L’aveva mai visto arrossire così, pensò Feliciano? Accidenti se diventava carino…
Fedele allo stereotipo del passionale italiano, non restò con le mani in mano davanti a quella richiesta, ma le andò ad incrociare dietro la sua testa, posando di nuovo le labbra sulle sue.
Le labbra di un altro uomo. Il suo primo pensiero.
Ma sono quelle di Feli. Quello subito dopo.
Io gli voglio bene, bene sul serio, gli disse il dolore che pulsava nell’occhio nero che si era procurato nel dimostrarglielo.
Fu solo verso la fine, ma ricambiò il bacio.
E lui a quel punto, fattosi coraggio, baciò ancora.
Con le finestre spalancate e il mare solo un paio di strade di distanza si stava davvero freschi: l’aria entrando dava i brividi sulla pelle sudata sotto le magliette, ma al contempo si sentivano bruciare.
“Ludwig… Voglio… dormire con te…”
E come faceva ora a tirarsi indietro, dopo essersi proposto per primo di “dormire lì”?



La radio del bungalow-bar poco distanze prese ad allietare quel finale di giornata sulla spiaggia con uno degli ultimi successi dell’estate.

http://www.youtube.com/watch?v=qjHlgrGsLWQ

Nel frattempo, un coro di urla annunciava che l’Italia era riuscita a pareggiare.
L’aria era satura di mare, allegria, libertà, tutto l’occorrente per un’estate meravigliosa. Ma i due seduti sulla riva ancora aspettavano a tuffarcisi.
Feliciano comunque ne aveva già avuto un assaggio la sera prima, trasformatasi da una delle più brutte a una delle più belle; ma l’ultima cosa che voleva era che per Ludwig valesse l’esatto opposto.
“Non vorrei tu dessi troppo peso a quello che abbiamo fatto dopo il bacio.” –disse l’italiano- “In certe situazioni delicate può capitare che due persone…”
“Si, mi è capitato qualcosa di simile con una ragazza, tempo fa.”
Rise: “Poi succedono cose del tipo quando ti svegli e fai “Oh, cavolo! Ma che ho fatto?!”... Hai presente?”
“No, non è che io sia proprio pentito di quello che è successo.”
“No?”
“No.”
Alla fine era riuscito a prendere sonno, un sonno sereno, che nessuno spregevole insulto o violenza subita aveva potuto scuotere, dal quale si era risvegliato con in mente un altrettanto classico scenario da mattino dopo: loro due su un letto, mezzi addormentati e nudi, che si cercavano dietro gli occhi appiccicati, per poi trovarsi e stringersi l’uno all’altro nel migliore dei buongiorno.
Ovviamente una stupenda scena per qualche film, ma nella vita reale il romanticismo non si dispensa tanto facilmente, specie considerando la loro situazione.
Si era spaventato quando, riaprendo gli occhi, non aveva visto nessuno accanto a sé sul lenzuolo tutto stropicciato. Uno spavento di quelli che senti dolore al cuore. Ma poi aveva trovato il suo messaggio su un foglietto di carta posato sul comodino ed era subito ritornato il sereno.

Non ti preoccupare, sono solo andato a fare due passi per schiarirmi le idee
Dopo ne parleremo con calma
A più tardi

Era sparito praticamente tutta la giornata.
“Ludwig, va tutto bene?”
“Se ti riferisci alle botte, si.”
L’occhio si era decisamente sgonfiato: doveva averci dato dentro di ghiaccio per non farsi notare e dover dare spiegazioni; anche Feli aveva ben poche tracce visibili, salvo il cerotto sulla fronte, che con suo fratello aveva spacciato per una porta.
“Mi riferivo anche… Beh, a dentro.”
Ludwig poggiò le mani nella refrigerante sabbia, sgranchendo un poco il collo: “Ah, quello…”
Già, quello; di cos’altro poteva preoccuparsi? Non solo gli si era dichiarato un amico, e già quello di solito è una mazzata, l’aveva fatto un suo amico maschio; quindi un doppio colpo per un etero su cui nessuno (specie sé stesso) aveva mai avuto dubbi.
Lo tenne sulle spine qualche altro secondo, poi iniziò a parlare, guardando però fisso verso il mare, mentre Feli non gli staccava gli occhi di dosso.
“Ti starai chiedendo cos’abbia fatto tutto questo tempo, vero?”
“Se ti va di dirmelo…”
“All’inizio ero confuso su come affrontarla, poi mi è venuta un’idea.”
“Che idea?”
“Ho visto un film porno, un porno gay.”
“Ve?!” –si lasciò scappare Feliciano, la sua personale esclamazione.
Il tedesco si guardò intorno, per assicurarsi che gli altri fossero ancora tutti presi dal gioco; ci teneva alla sua sfera privata, specie ora che per colpa di Feli tutto al suo interno stava venendo messo in discussione.
“Finora sono stato solo con ragazze, e naturalmente ho visto quel genere di film solo con ragazze dentro… Ieri… Non posso dire non mi sia piaciuto… Così oggi ho fatto un test.”
L’ingenuo Feli era arrossito al solo pensiero (non che non ne avesse visti di porno gay, ma non era un argomento di cui credeva si potesse parlare così facilmente…): “E… il risultato?”
“Se devo essere sincero... Non mi ha fatto per nulla un bell’effetto: dopo poco più di dieci minuti ho messo pausa. Non mi piaceva, né mi provocava granché dove sai. Questo e un po’ di giri a vuoto per casa mi hanno convinto definitivamente.”
Solo allora si girò verso i suoi occhi castani, come quelli di un bambino che aspetta col fiato sospeso il finale della fiaba che gli stavano raccontando.
“Io non sono gay.”
Feliciano annuì e si girò verso il mare. Anche lui aveva impiegato coscientemente quella giornata a togliersi dalla testa illusioni eccessive. Uno non cambia mica sponda da una sera all’altra per il bel faccino da ventenne efebico come il suo.
“Ho fatto quel che ho fatto con te, ma la realtà è questa. A me non piacciono gli uomini.”
Naturale, continuò ad annuire Feliciano, contento che il ragazzo a cui aveva confessato i sentimenti che aveva dolcemente covato in silenzio si fosse dimostrato così maturo con lui: alla sincerità che gli aveva mostrato quando la sera prima l’aveva chiesta, aveva risposto con la propria, non si sarebbe aspettato nulla di diverso dal tipo a cui aveva affidato il suo amore.
Alla fine non lo aveva certo deluso, per questo, sotto i suoi occhi tristi, regnava sovrano un piccolo sorriso.
“A me piaci tu.”
Feliciano annuì. Poi si rese conto e drizzò la testa!
“Eh?!”
“A me piaci solo tu.” –continuò il biondo, divertito dalla sua espressione.
“……”
Vistolo così paralizzato, Ludwig provò a vedere se con una delle solite carezze in testa riusciva a risvegliarlo.
“Io… Io ti… piaccio?”
“Se sei l’unico maschio con cui ho fatto sesso anche non essendo gay qualcosa significherà.”
Quella era la conclusione a cui era giunto in un giorno di isolamento, passi a vuoto e porno omosessuale. Una conclusione che spalancava nuovamente il libro di fiabe che Feli aveva chiuso con troppo anticipo.
“Quindi… Non ce l’hai con me?”
“Dovrei?”
“Temevo pensassi che volessi farti diventare…”
“Non mi hai fatto diventare niente, Feli.”
“E io ti piaccio?”
“Si.”
“Come ti sono piaciute le tue ragazze?
“Si.”
La canzone sembrava essere diventata la loro colonna sonora.
“Quindi non ci sarebbe niente di male se io… e te…”
Accidenti, sbottò, non riusciva a dire più niente con una conclusione sensata!
“Sarà strano per me certo, ma… Penso valga la pena di provare.”
Per lui si, ne valeva la pena, anche se era un altro maschio.
Il cuore di Feli batteva più forte ad ogni frase: doveva dare sfogo a quell’esplosione che aveva dentro, ma le parole avevano fallito.
Così si rivolse alla sua mano, che scivolò sulla fine e profumata sabbia fino a raggiungere la sua. Le loro dita si incrociarono strette.
“QUELLO ERA FALLO!”
Adesso si: anche con i loro esuberanti fratelli a gridare e insultarsi la spiaggia era diventato un posto romantico, oltremodo romantico.
Poi smisero di ascoltare anche la canzone.
Poi smisero di ascoltare anche il mare.
Restarono soli sul serio.
Ludwig si mosse.
“Ludwig, sei sicuro? Siamo in spiaggia, davanti a tutti.”
Il tedesco sgranò gli occhi, come al risveglio da un trance; si guardò intorno frettolosamente, ma nessuno sembrava averlo visto avvicinare il viso a quello di Feli.
E dire che dei due non era certo lui quello che di solito agiva senza pensare!
“Ludwig, non sforzarti, se ti causa imbarazzo non devi.”
Però aveva già il fiatone: anche lui stava per esplodere!
“Beh, però ci starebbe proprio bene a questo punto...”
“… Sei sicuro?” –gli chiese, lanciando una rapida occhiata ai loro amici e fratelli.
“Se qualcuno avrà da ridire, lo sistemo come ho fatto ieri: così mettiamo subito le cose in chiaro!” –scherzò lui carezzandosi le nocche d’acciaio.
Feliciano rise. Se gli avessero chiesto cosa lo avesse fatto innamorare del suo amico tedesco avrebbe detto senz’altro la sua forza, ma non quella fisica. Ludwig era forte nell’animo, e accanto a lui non c’era un solo istante in cui non si sentisse forte a sua volta, sicuro, protetto da un principe azzurro che non digerisce ipocrisie o ingiustizie.
Una sbarra di solido acciaio che però sapeva fondersi al calore che emanava un piccoletto sciocco e dolce come un lui.
Ludwig guardò un’ultima volta intorno a sé, nervoso come un bambino, ma poteva permetterselo solo per un altro attimo ancora.
Perché Feli era già vicinissimo.

Gilbert staccò gli occhi dal pallone e casualmente questi cascarono proprio su di loro nel momento in cui le labbra stavano abbracciandosi.
Was?!
E cascarono così anche la sua mandibola e le sue braccia…
Romano si avvicinò e capì tutto in uno sguardo: “Aò!” –provò a svegliarlo- “Che non lo sapevi che mio fratello era una checca?”
Ich glaube…” –cominciò a dire nella sua lingua madre- “Non sapevo… che lo fosse il mio…”
L’abbronzato italiano gli diede una pacca: “Eh, lo so, quando lo scopri è dura. Non ti dico io all’epoca, che mazzata… FREGATO!”
Approfittando del suo stato confusionale, quel bastardello gli aveva soffiato il pallone da sotto il naso! Gilbert si era subito lanciato dietro di lui, ma quello si sbrigò a segnare il vantaggio della squadra italiana!
“Alé!”
Gilbert non si risparmio in ingiurie e imprecazioni teutoniche, solo che non sapeva se rivolgerle allo scorretto avversario o a suo fratello che continuava a baciarsi in pubblico con un uomo!
“Allora, battete o no?”
Si menò un paio di ceffoni in faccia e cercò di togliersi quell’immagine di testa: c’era una partita da vincere!

I loro fratelli l’avevano già vinta e ora potevano finalmente fare il tifo, ognuno per la propria nazionale.



Ludwig e Feliciano vincono così la loro partita sull’omofobia: gli ignoranti violenti tornano a casa con la violenza, e chi invece ha voluto bene ottiene un momento meraviglioso su una spiaggia col tramonto. Ognuno raccoglie ciò che semina, che sia etero o gay ^__^
Questa cosa del “Non sono gay, non mi piacciono gli uomini, mi piaci tu” mi è venuta in mente parecchio tempo fa e mi è subito piaciuta come concetto. Personalmente credo nella possibilità che qualcuno possa innamorarsi di qualcuno dello stesso sesso pur non essendo omo: se c’è amore, se c’è volontà di voler bene, perché limitarsi? Perché non tentare?
Sono contento di questa fic, per come è venuta, per messaggio che trasmette, e anche per il tono estivo-vacanziero in cui è riuscita a calarmi e spero abbia fatto calare anche voi!
Buon proseguimento d’estate!

PS: GERMANIA X ITALIA ORA E SEMPRE!

 
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