UNA FARFALLA - Capitolo 1° -
-Volevo essere una farfalla. Una di quelle belle farfalle che dalla finestra della mia stanza, nelle fredde mattine di marzo, venivano a trovarmi. Le fissavo ipnotizzata ed era impossibile non allungare una mano verso il vetro e fingere di stringerle tra le dita. Senza far male, solo per vederle da vicino. Le immaginavo così leggere e sottili. Graziose e flessuose come un gambo. Resistevano al vento che le spingeva in aria, sempre più in alto, sempre più su. Me lo chiedevo spesso cosa si provasse ad essere così leggere, io che di aggraziato, flessuoso e sottile non avevo nulla.- La dottoressa mi guardava negli occhi ormai da un bel pò. Mi chiedevo come facesse a non spostare lo sguardo altrove, persino una statua avrebbe avuto problemi a fissare così un punto. Quel punto che lei si ostinava a cercare, a frugare e leggere erano i miei pensieri, i miei ricordi. Il suo sguardo ipnotizzato mi sembrava familiare, forse perchè immaginavo di averne uno simile in quelle mattine di marzo, immobile davanti alla finestra. -Volevi essere una farfalla?- chiese senza smettere di guardarmi. Si sistemò meglio dietro alla scrivania di plastica nera lucida e mi accorsi che aveva dei bei pantaloni grigi. Forse gessati. Le stavano bene. Donavano a lei che era una farfalla. La domanda mi colse impreparata mentre, involontariamente, pensavo al suo abbigliamento. Mi giunse il senso della frase solo quando smisi di pensare che scarpe erano abbinate a quel completo:volevo essere una farfalla? Sospirai e cercai una risposta breve da darle. Mi resi conto che in realtà cercavo un modo sincero per dirle quello che gli anni avevano chiarito, quello che all'inizio era solo caos nella mia testa e vuoto nel mio stomaco. -Volevo essere ammirata e amata come lo sono le farfalle. Volevo che la gente mi guardasse con interesse, ammirasse le mie ali colorate e leggere ma in grado di sostenermi in aria. Volevo che fossero tutti fieri di me, della mia bellezza, come se fosse la loro perchè se fossi stata tanto bella non avrebbero avuto motivo per lasciarmi o farmi male. Non avrebbero mai dovuto chiedermi nulla, con la mia bellezza avrei potuto soddisfare ogni richiesta prima che le avessero pronunciate. Volevo essere amata. Come io amavo le farfalle.- Mi accasciai quasi stanca sulla poltrona di pelle nera coi braccioli screpolati: mi ricordava un sofà simile a casa di mio nonno. Mi ci acciambellavo sempre come un gatto e dormivo con la faccia verso lo schienale perchè mi faceva sentire più sicura. Anche in quel momento, col caldo abbraccio della pelle dello schienale contro la mia maglia, mi sentivo stranamente al sicuro e in pace. Sentivo di essere arrivata da qualche parte, in un posto in cui non ero mai stata ma che riconoscevo come mio. Ero certa che, ovunque fossi, non potesse esserci nulla a sfiorarmi. Nemmeno io avrei potuto farmi del male. La dottoressa si sfiorò, come in una carezza, il dorso della mano sinistra con l'indice e anche quel gesto mi parve familiare. In realtà lo aveva fatto solo una volta e avevo capito che significava un punto di svolta. Lo aveva fatto alla terza seduta, quando avevo cessato il mio mutismo ostile e avevo parlato. Non disse nulla e la immaginai con un bilancino in testa mentre soppesava ad una ad una le mie parole.E chissà quanto pesavano, quanto valevano. Alzai gli occhi e notai per la prima volta il quadro che copriva la parete alle sue spalle. Un enorme guazzabuio di nero, grigi, verdi e blu macchiavano la tela e mi sembravano insensati. Anzi, pensavo addirittura che il quadro fosse appeso nel verso sbagliato! Inclinai la testa su un lato e le guance sfiorarono la spalla. Sorrisi immaginando la pelle delle guance riempirsi, coprire i vuoti che la mia ostinazione aveva creato. Avevo immaginato come batuffoli di cotone rosati che riempivano il solco del sorriso, che restituivano colore alla pelle. Immaginavo che la forma tondeggiante degli zigomi fosse tornata a casa. L'osso della spalla, ormai, non pungeva più sotto la pelle. Giocherellai con le dita sul ginocchio piegato e pensai anche a loro:mentalmente le salutai tutte, una per una, e le immaginai coprirsi di seta, riempire la pelle afflosciata sulle ossa e restituire loro uno spessore umano. Anche il polso era meno scarno: non potevo più stringerlo tra pollice e mignolo. Non avrei più provato quell'orgoglio malato. E per un attimo provai la stessa gioia infantile e sconosciuta di poco prima, mentre approdavo in un posto sconosciuto ma sereno. La dottoressa aveva allontanato gli occhi da me e si era tolta gli occhiali, posandoseli in grembo e rigirandoli per le stanghette nere: fossi stata in lei, li avrei scelti meno grande e non neri. Il suo viso minuto e pallido si perdeva dietro ad una montatura immensa come un corpo infantile disperso nei vestiti dei genitori mentre giocano ad impersonarli. Ero al sicuro, era strano pensarlo ma confortante in un modo a me nuovo. Era come se fossi stata a casa, sotto le coperte. Nulla poteva farmi male in quel momento, nemmeno io ci sarei riuscita. -Vuoi essere una farfalla?- Ci misi un pò a capire: mi sembrava fosse la stessa domanda di prima e non capivo perchè l'avesse dovuta ripetere ma lei, pazientemente, la pronunciò ancora, calcando sul presente del verbo. Abbassò gli occhi e tornò a giochicchiare con le stanghette, in attesa della mia risposta. Cosa avrei potuto rispondere? -Sì. Vorrei ancora esserlo. Però ora mi sento al sicuro. E' pazzesco, volevo essere come loro senza capire che anzichè divenire leggere e affascinante, diventavo sempre più fragile ed effimera. Come loro.- Accarezzai le screpolature sul bracciolo e mi concentrai in particolare su un frammento di pelle alzato: pensai che sotto quel lembo, nascosto da una sottile pellicina, poteva esserci tutto il mondo che fino ad allora mi era sfuggito e che non sapevo di poter vivere. -Ora vorrei essere leggere come loro. Ma capisco che è più importante sentirmi protetta nel posto in cui sono. Loro sono costrette a spostarsi, a cambiare ambiente di continuo e poi muoiono. Io voglio essere più duratura, voglio seguire il vento verso casa.- La vidi annuire silenziosamente mentre le mani interrompevano il loro gioco. Le guardai la faccia e vidi uno sguardo concentrato ma stanco, come se quella conversazione fosse pesata più a lei che a me. Io, ormai, di pesante non avevo più nulla: un tempo il cuore pesava nel petto, il vuoto gravava sul mio cervello e tutto ciò che era attaccatto alle ossa ad un certo punto era diventato inutile. Nel momento in cui ero diventata farfalla avevo perso il peso di vivere. Ma senza quel peso avevo perso anche il vivere. -Ma quel quadro là dietro di lei, è appeso al verso giusto?- chiesi indicandolo con un cenno. Pensai si sarebbe voltata a guardarlo, lo credevo un gesto istintivo ma lei rimase immobile come una statua: forse aveva una paralisi ed io come un'ebete non me ne ero resa conto. A quel punto, dopo tutto quel tempo di immobilità, il soccorso sarebbe stato inutile. -E' un mare in tempesta. Il cielo che piange, il vento che lambisce le onde, le scogliere che silenziose subiscono. Avresti aggiunto qualche altro elemento al quadro?- Si animò tutto di un colpo, riprese vita come per magia e si mise più vicina alla scrivania. Inforcò nuovamente gli occhiali e prese a muovere lo sguardo per la stanza. Dall'immobilismo all'iperattività. -Ci avrei disegnato una farfalla.- Per la prima volta da che ci conoscevamo la vidi sorridere dolcemente eppure in un modo quasi fastidioso. Come se avesse già previsto quella risposta. Ed io avevo già previsto la domanda successiva. Magari fossi stata così brava a prevedere il prossimo: avrei evivato tante grane e forse avrei anche vinto qualche gara di scacchi. -E perchè avresti messo un essere così fragile in quel casino assordante?- -Perchè la sua bellezza non è eterna, la sua vita dura un istante. E se per arrivare alla fine deve passarci in mezzo, allora lo farà. Senza agevolazioni nè sconti. Si può solo passarci in mezzo e pregare di uscirne. Prima o poi.- La lancetta dell'orologio segnalò la fine della seduta e per un attimo mi sentii smarrita come se lasciare quella sedia significasse lasciare il porto sicuro per tornare ad essere la farfalla nella tormenta. Si alzò anche la psichiatra e mi strinse delicatamente la mano: i suoi occhi guizzarono ancora sul mio viso e accennò ad un arrivederci. -Ci vediamo giovedì.- E in quel momento la senzazione di essere al sicuro tornò vivida in me e mi accompagnò per buona parte della giornata.
Spero che vi piaccia. Non so come proseguirà... Commentate!! Grazie! Jamie91
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sakamae - Voto:
coccinella-88 - Voto:
comunque ancora complimenti per lo stile!
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erin96
grazie! Kiss Erin96