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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CHRISTMAS\' WEEK
Genere: Commedia
Rating: Per Tutte le età
Autore: mangaka91 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 18/12/2011 14:19:30 (ultimo inserimento: 06/01/12)

Lunedì. E così mancava una settimana a Natale. Si guardò intorno nell\'aula gremita. Più buoni? Mah, forse. Certe facce non sarebbero mai cambiate
 
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LUNEDì
- Capitolo 1° -

Lunedì.
E così mancava una settimana a Natale.
Si guardò intorno nell'aula gremita. Più buoni? Mah, forse. Certe facce non sarebbero mai cambiate: erano un po' come gli alberi di Natale, i loro sorrisi erano addobbi scintillanti su piante ormai recise, destinate ad appassire con il tempo. Oppure fatte direttamente di plastica. Persone a intermittenza come le lucine. Magari se ne fosse fulminata qualcuna, come succedeva sempre a quelle del suo alberello spelacchiato.
Altre facce, invece...
Con una smorfia infastidita, prese a infilare confusamente quaderni e penne nella borsa a tracolla. Qualsiasi cosa le tenesse impegnate le mani – e possibilmente anche la testa – era ben accetta.
Eppure i suoi pensieri erano sempre là, maledizione. Piccoli, futili pensieri con manie di protagonismo. Era mai possibile che sfuggissero al controllo della loro stessa padrona?
A quanto pareva, sì. Anche se da dieci minuti non alzava gli occhi dal libro di Glottologia, era consapevole della sua presenza due file dietro di lei, tre banchi a sinistra. Non uno di più, non uno di meno. Lo sentiva con una precisione assoluta. Irritante.
Insomma, a che serviva quel radar interno, tarato su persone assolutamente irrilevanti?
Ma c'era di più. Oh, yeah. Come se non fosse già abbastanza inquietante sapere – in ogni momento, senza guardare – dove si trovava, avrebbe potuto dire senza esitazione anche cosa stava facendo, come era seduto. Sprofondato nel sedile, quaderno poggiato su una gamba, l'altra già fuori dal banco, verso il corridoio. Come a dire, sto qua solo perché mi va, posso andarmene in qualsiasi momento. Che poi era proprio il suo modo di stare al mondo: momentaneamente presente ma pronto a sfuggire senza motivo apparente.
Sfuggire dove, poi? Forse in quello strano mondo che scarabocchiava sempre su quel dannato blocco. Una cosa era certa, non capiva la sua - se così si poteva definire - arte. Erano figure astratte, e lei era irreparabilmente concreta. Incomprensibili, e a lei non piaceva non capire. In bianco e nero, e lei viveva esclusivamente a colori. Insomma, non si poteva pensare ad un'incompatibilità più palese.
Che poi, a pensarci bene, che importanza aveva? Sapeva già troppe cose di lui, senza che si mettesse a psicanalizzarne i disegni, manco fosse il test di Rorschach.
Eh già, sapeva troppe, troppe cose. Ed il fatto che le notasse, registrasse ed archiviasse in memoria in maniera assolutamente involontaria era ancora più fastidioso. Una violenza sulla sua volontà. Perché ormai conosceva a memoria i suoi gesti, le sue abitudini, riconosceva perfino il suo modo di trascinare i piedi, quando se lo ritrovava dietro in corridoio.
Eppure non aveva mai sentito la sua voce.
Eh già. Ridicolo, semplicemente. Cioè, neanche fosse una stalker, era in grado di descrivere nel dettaglio come era vestito quel giorno (jeans, una felpa grigia troppo grande, la catenina di caucciù a forma di geco che portava sempre. Ah, e poi le solite scarpe di gomma bianche e verdi), ma non sapeva che diavolo di voce avesse quel tipo. Profonda? Acuta? Limpida? Roca? Magari si mangiava le parole, chissà. Oppure era straniero, o aveva l'accento del sud.
Che poi, insomma, cosa le importava?
Per quanto la concerneva, avrebbe anche potuto avere la voce di Paperino, ecco. Eppure c'era poco da fare, ormai quello era un chiodo fisso: a volte nella sua mente si divertiva a fargli indossare vari tipi di voce, varie personalità, ma – inutile a dirsi – nessuna di esse gli si addiceva. Sembrava fatto per essere solo e solamente quell'inutile, amorfa, taciturna persona che era. Eppure, chissà perché, lei continuava a provare.
Forse perché era in quel modo che era cominciato tutto. Con il suo stupido silenzio.
Erano i primi giorni di lezione all'università, e lei era come è ovvio elettrizzata, gasatissima e di conseguenza, ahimé, desiderosa di attaccare bottone con qualsiasi forma di vita attorno a sé. Ebbene sì, non ci poteva fare niente ma era un'inguaribile chiacchierona. Lo ammetteva senza riserve: aveva una lingua, una voce - squillante ma tutto sommato gradevole - e le usava entrambe generosamente.
Fatto sta, a una lezione di tedesco se lo era ritrovato vicino - i bei tempi in cui una cosa simile poteva ancora passarle inosservata.
E insomma, gli aveva chiesto quale era l'ultima frase che aveva detto il prof.
Lui non aveva dato segno di aver sentito.
Perplessa, aveva ripetuto.
Ancora nulla.
“Ehi?” aveva sbottato allora, confusa e irritata. Era forse sordo?
Solo a quel punto lui aveva sollevato lo sguardo dal suo disegno – un labirinto di minuscole linee ondulate che si attorcigliavano fino a riempire tutto il foglio. L'effetto era psichedelico, la sua dedizione semplicemente maniacale. E insomma, mentre lei era ancora abbacinata da quel disegno, lui aveva sollevato il suo viso anonimo, l'aveva guardata per qualche attimo senza alcuna espressione poi era ritornato alle sue linee, come nulla fosse.
Un piede qui, l'altro in corridoio. Presente ma pronto ad alienarsi.
E il bello è che non lo faceva con arroganza. O almeno, lei ne era convinta. Non era arroganza, alterigia, spavalderia. Non era il “me ne frego di te” del figo di turno. Era semplicemente... boh, indifferenza forse. Come se tutto ciò che era fuori da quel blocco non avesse alcuna rilevanza, non esistesse proprio. Come se quel blocco fosse la realtà, e lui vi appartenesse: una creatura astratta, in bianco e nero, intrappolata in un mondo troppo definito e colorato...
Ad ogni modo, in quel preciso istante il radar si era acceso.
Ding, era stato un attimo, ma la consapevolezza della sua presenza le si era appiccicata addosso come la glassa dei dolci natalizi e non l'aveva più lasciata.... il tutto, ovviamente, contro ogni sua volontà. Il fatto che quell'episodio risalisse a due mesi fa e lei ancora si ricordasse che tipo di orecchino lui portasse al lobo destro era semplicemente inquietante.
Da allora, comunque, non aveva più provato a parlargli. Per orgoglio, certamente, e poi perché non avrebbe saputo come reagire ad un altro di quegli sguardi insulsi. Reagire civilmente, perlomeno.
Quel tipo ormai la irritava a pelle, ed il fatto che fosse diventato il polo sgradito della sua bussola interna non poteva che aumentare quest'effetto. Uno sconosciuto di cui non conosceva né voce, né nome.
Oh, che cosa ridicola.
Con un ultimo gesto stizzito, infilò le auricolari dell'i-pod e lasciò l'aula senza guardarsi indietro.
Anche se non l'aveva visto, sapeva per certo che lui non aveva alzato lo sguardo.
 
Continua nel capitolo:


 
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