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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: IL NERO
Genere: Drammatico, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: What if? (E se...)
Autore: skitake galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 07/11/2011 22:13:40

Come la vita cambia semplicemente, naturalmente e incondizionatamente.
 
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PARTE PRIMA
- Capitolo 1° -

Eccomi, davanti allo specchio del bagno, come ogni mattina, a guardarmi la pancia.
Non riesco a farne a meno, la trovo inutile, brutta e ingombrante.
Sono sovrappeso, è evidente.
Spesso quando sono davanti a questo specchio, l'idea di disprezzare la mia pancia mi spiazza: fino a prima di cambiare scuola non ci pensavo nemmeno, era solo la mia pancia. Adesso è diventata una cosa informe e senza senso.
Non mi piace.
E' passato quel gigante di mio fratello per il corridoio, ma non ho avuto il tempo di tirarmi giù la maglia. Prevedibilmente, mi ha vista ed ha scosso la testa mentre si è allontanato.
Sono nata in Italia, io, al contrario di mio fratello, lui è del mio paese di origine, il Senegal, e non è mai stato contento di essere in Italia. I miei genitori si sono trasferiti qui quando lui aveva cinque anni e mia madre era incinta di me. Era affezionato a quel paese, l'ha presa male, papà lo ricorda sempre le poche volte che lo incontra e che è a casa.
Tutto sommato potrei capirlo, mio fratello, anche a me sarebbe dispiaciuto lasciare l'Italia a quell'età.
Mi piacerebbe aiutarlo da sempre, ma non siamo in ottimi rapporti: non credo di essergli molto simpatica, da quello che ricordo mi ha sempre evitata, non ho mai scoperto perché, però.
In ogni caso mi sembra stupido continuare a guardarmi la pancia allo specchio, specie dopo essermi sentita in imbarazzo per lo sguardo di mio fratello. Meglio andare a fare colazione.
In cucina c'è mia madre che beve il caffè, ha già apparecchiato anche per me e penso di volerla ringraziare, ma mi trattengo.
Le do il buongiorno, lei fa altrettanto dopo avermi chiamato "tesoro".
Con lei vado d'accordo, forse perché non ha ancora delle amiche, abbiamo fatto grandi trasferimenti negli ultimi due anni e siamo qui solo da due mesi, e forse anche perché siamo le uniche donne di casa. Ad ogni modo parliamo spesso di qualunque cosa e litighiamo raramente. Non le parlo proprio di tutto, però, infatti non capisce bene perché io stia mangiando poco in questo periodo. Non voglio farla preoccupare. Dopo un po' mi prega di mangiare qualcos'altro, mentre mi alzo da tavola, ma le dico di non avere fame stamattina.
Poi mi preparo lo zaino e vado a prendere il treno. La mia scuola è lontana circa 25 chilometri da casa, quindi rimango in piedi per quasi tre quarti d'ora. Faccio il liceo scientifico, il primo anno. Sono sempre stata esageratamente brava in matematica e scienze, anche l'italiano mi piace, ma essendo straniera non può certo essere la mia materia preferita. Vorrei diventare dottore per tornare in Senegal con la mia famiglia, forse riuscirei a parlare almeno un po' con mio fratello.

Ho incominciato le lezioni il giorno successimo al mio trasferimento. E' stato un trauma. L'ambiente è totalmrente differente, le persone totalmente differenti, ho capito subito che ci avrei messo del tempo prima di integrarmi per bene. Infatti sono passati due mesi e non conosco nessuno. So solo un paio di nomi a memoria.
Capita che mi prendano in giro. Cerco di non badarci.
Oggi è la solita giornata: sola in treno, sola per strada, sola in classe, sola a ricreazione. Il resto sarà prevedibile.
E' la quarta ora, matematica, sono attenta e concentrata. Poi qualcosa mi colpisce dietro la testa, è leggero. Penso a della carta e sento ridere. Sto zitta ignoro quei ghigni, continuo a risolvere equazioni letterali.
Sento qualcos'altro, proprio sotto la nuca, sta volta è più forte, come le risate soffocate che sento subito dopo.
Mi sento umiliata. Chiedo di andare in bagno.
Una volta arrivata mi chiudo dentro.
Penso davvero che se fossi stata diversa, anche con una sola, piccola differenza somatica, questo non sarebbe successo. Mi sento male.
Vomito.
Ora in bocca ho il sapore acre delle cose che non ho mangiato negli ultimi giorni. Mi pulisco dalle labbra le delusioni degli ultimi anni.

All'ora di pranzo scendo alla mensa. Non ho lezioni oggi pomeriggio, ma a casa non c'è nessuno, tutto sommato preferisco mangiare circondata da ragazzi.
Raccimolo quello che riesco, la stanza è affollata. Rimedio del rostbeaf, qualche patata al forno e un budino alla vaniglia. So già che non mangerò tutto ma cerco lo stesso di sperarci.
E' pieno di tavoli circondati da ragazzi, ma non c'è posto per me: "è occupato" è la banale scusa che cercano di farmi bere. Vicino ad una finestra c'è un tavolo a cui siede solo una ragazza voltata di spalle, vedo solo che ha dei capelli neri lunghissimi. Anche i vestiti sono completamente neri.
Dopo un po' di agitazione, apro bocca.
«Posso sedermi?»
La ragazza si volta ed io sobbalzo. E' bellissima: ha gli occhi molto grandi, scuri, truccati, le labbra piene, rosee e la pelle molto bianca.
Non so se sentirmi ammirata o intimorita. Quella mi guarda come se dovesse farmi una foto.
«Sei nera» dice tornando al suo piatto.
«Anche tu» le rispondo.
Quando la ragazza torna a guardarmi sono già pentita di averle risposto così.
Il suo silenzio viene lentamente picchiato dal chiasso della mensa.
Sto per andarmente ma mi afferra la manica della felpa scolorita.
«Siediti» la sento mormorare.
Lo dice in modo autoritario, quasi come un'imposizione, ma sono talmente contenta, da inciampare nella sedia mentre appoggio il vassoio sul tavolo.
Quando riesco a sedermi davanti a lei, quella ragazza mi fissa. Sotto quegli occhi neri e profondi mi sento indecende, forse scandalosa. Cerco di sembrare in tutti i modi traquilla e naturale.
«E' inutile, chi vuoi prendere in giro?»
Dopo essermi bloccata riesco a domandare:
«Cosa, scusa?»
Lei continua ad elencare ogni mio difetto con gli occhi.
«E' inutile che cerchi di sembrare posata».
Deglutisco. Il disagio che sento in questo momento è paralizzante, cerco di pensare ad altro per calmarmi sul serio. Sembra che ci riesca.
«Così va meglio» dice quella riprendendo sorprendentemente a mangiare.
Per quel giorno non mi rivolgerà più la parola.

***

«Ciao, mamma. Stai bene oggi? Non fa niente se non rispondi, non mi importa più. Spero tu ti stia divertendo con Jimy e Curt, ma scommetto di sì.
Sai cos'è successo oggi? E' una cosa strana, nonostante mi siano successe molte cose, questa è stata imprevedibile, mamma. Stavo mangiando alla mensa, pensando a Socrate, e mi si è avvicinata una ragazza di colore. Come puoi immaginare, mamma, non sono razzista, è un'intolleranza totalmente insensata e francamente sarei un'ipocrita bell'e buona se fossi davvero razzista, insomma, moltissimi personaggi storici che rispetto molto non hanno la pelle bianca, quindi non vedo davvero nessuna ragione plausibile per esserlo. Ma questa ragazza, mamma, mi si è avvicinata, inaspettatamente e anche in maniera silenziosa, come avrei potuto non rimanre scioccata dalla sua presenza, sono anni che ogni persona di questo mondo si sente in dovere di evitarmi, eccetto la zia, perché questa si è avvicinata? Sai perché? Voleva sedersi al mio tavolo e ce n'era altri liberi o mezzi vuoti, proprio al mio però si voleva sedere e non ne capisco il motivo, nonostante abbia cercato tutto il pomeriggio una risposta.
La prima cosa sensata da fare che che sono riuscita a pensare è stata quella di respingerla proprio in maniera razzista, ma tu non sai, mamma, quanto mi sono vergognata subito dopo averlo fatto, mi sono sentita davvero come avrebbe dovuto sentirsi Giuda. Mamma, che vergogna, lei mi aveva solo chiesto il posto, ed io ho dovuto sottolinearle il fatto che il colore della sue pelle è diverso dal mio e che quindi anche lei è diversa da me anche come persona, quando io non lo penso affatto e ne ho sofferto molto, ma ormai avevo fatto il danno e non potevo riparare, ero davvero sicura che se ne sarebbe andata via piena di risentimento. Mamma, sai che cos'è successo? Mi ha risposto, oltre ogni mia aspettativa, oltre la mia maledetta comprensione, ha cercato un feedback che sapeva io non ero disposta a darle, perché dopo avermi risposto se ne stava andando, lasciandomi con l'amaro in bocca... Come facevo a farla andare via così, a quel punto? Senza poter scoprire come era in grado di essere imprevedibile, dovevo scoprirlo, altrimenti non mi sarei più potuta accettare. Alla fine l'ho presa per la maglia e le ho praticamente imposto di sedersi, non è stato facile, credimi mamma, non lo è stato affatto, maledizione. Non ho potuto fare a meno di notare che aveva i nervi a fior di pelle, cercava di nasconderlo, ma per me è stato impossibile non notarlo, mamma, ticchettava velocemente il tallone, aveva lo sguardo schivo e credo anche avesse il respiro affannato. Da capire è cosa la disturbasse tanto da renderla così nervosa e agitata, forse era la mia presenza, oppure l'adrenalina che la sua risposta inaspettata le aveva lasciato nelle vene, forse poteva essere frastornata dall'affermazione razzista che le avevo rivolto, non lo so, mamma, so solo che domani tornerà a quel tavolo, ma a questo punto non ne sono sicura davvero.
Spero di avere ragione, mamma.
Ora torno dalla zia, si sta facendo buio.
Ci vediamo domani, mamma.»

***
 
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