da una serie originale:
"LA STIRPE"
una fanfiction di:

Generi:
Romantico - Dark - Horror - Azione - Fantasy - Soprannaturale
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
Con la scomparsa del fratello Melissa diventa una ragazza dal carattere incontrollabile. La sua vita assumerà una inquietante piega in una notte

Conclusa: No

Fanfiction pubblicata il 05/07/2011 19:17:45 - Ultimo inserimento 11/07/2011
 
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<i>Maledetti 150 caratteri, non bastano mai. Questa storia l'ho voluta iniziare per noia, nei momenti liberi la continuerò. Mi ci incimento piuttosto seriamente quindi sono apprezzati i giudizi.
Un bacio.</i>





<b>TREDICI ANNI FA</b>

<i>L’aria frizzantina serale di inizio estate scuoteva le alte fronde dei pioppi provocando un rumore scrosciante e continuo come lo scorrere di un fiume. Di quella notte era inquietante non la zona boschiva e buia dove un gruppo di persone e automobili a lato della strada si erano raggruppati, ma l’ansia che attanagliava il cuore dei presenti e l’apparente freddezza dei quattro Carabinieri presenti.
Molti curiosi attirati dal baccano erano corsi a vedere e a soccorrere ma quando i primi uomini giunsero sul posto fu subito chiaro della gravità dell’incidente. Due automobili si erano schiantate frontalmente e ora erano legate insieme in un groviglio di lamiere e vetri rotti. I parabrezza di entrambe le auto si presentavano scheggiati ma i frantumi non erano saltati via, al contrario dei finestrini laterali. L’impatto era stato duro e violento e si era portato via una vita, un ragazzo di trentatre anni di ritorno da una festa appena fuori paese.
Tuttavia mancava all’appello il guidatore della seconda auto, un Alfa rosso mattone con il muso completamente accartocciato. I Carabinieri esclusero che il corpo del guidatore fosse stato sbalzato via dall’impatto per via del parabrezza non esploso, forse si trattava di un pirata della strada fuggito appena reso conto che aveva ucciso una persona. Infatti l’Alfa si trovava nella corsia sbagliata di transito, forse un malore o un colpo di sonno per via della tarda ora lo aveva fatto sbandare e proseguire contromano scontrandosi con il trentatreenne che giungeva nel senso opposto.
Mentre il cadavere della vittima, avvolto in un sacco bianco, veniva issato sulla barella nell’ambulanza, la decina di curiosi raccolti intorno ad essa mantenevano un rispettoso silenzio solo una donna straziata dalla preoccupazione quasi urlava contro un Carabiniere tenendo stretta per mano una ragazzina di appena dieci anni. Poco più in dietro un uomo dallo sguardo basso scosso da lievi tremiti, apparentemente sotto shock.
“No! Mio figlio non è fuggito deve essere qui da qualche parte, ne sono sicura!”
“Signora” rispose calmo il Carabiniere. “I miei colleghi hanno cercato nella zona circostante, non lo hanno trovato”.
“Deve essere spaventato! Si sarà nascosto e sarà sicuramente ferito, dovete trovarlo!”. Ora la donna non riusciva più a reprimere le lacrime.
La ragazzina accanto a lei si guardò attorno imbarazzata, riusciva vedere i volti dei presenti illuminati a intermittenza dalle luci azzurre poste sui tettucci delle due auto di pattuglia dei pubblici ufficiali. Tutti fissavano lei e sua madre, che stava dando spettacolo, con aperta compassione.
La donna stringeva la mano della bambina cercando di farsi forza mentre cercava di mantenere la calma, il padre della piccola invece si manteneva sempre in silenzio incapace di parlare, perso nei suoi pensieri.
Si erano svegliati di soprassalto nel cuore della notte sentendo il telefono di casa squillare, non vedendo il figlio nel suo letto di ritorno da casa di un suo amico, subito avevano pensato al peggio. Un Carabiniere al telefono li informava che il figlio era stato coinvolto in un incidente ma era scomparso ed erano riusciti a rintracciarli risalendo al nome e all’indirizzo del ragazzo grazie alla carta d’identità che il giovane aveva lasciato in macchina.
La piccola Melissa non comprendeva a pieno la situazione, aveva appena avuto il tempo di vestirsi e correre in macchina con i suoi, ancora con gli occhi semichiusi; ora aveva sonno, voleva solo trovare il fratello, andare a casa e dormire.</i>


<b>OGGI</b>

Il trillo insistente del telefono scosse Melissa dalla sua meditazione, seduta sul pavimento del piccolo salottino, a gambe incrociate e occhi chiusi cercava di estraniarsi da tutto ciò che la circondava. Ormai era da qualche settimana che provava a sopprimere con la meditazione la forte ansia che sentiva dentro di sé, spesso sfociava anche nella rabbia repentina e immotivata, sperava quindi che prendersi qualche momento durante la giornata per rilassarsi fosse la cosa migliore.
Un altro trillo e la ragazza non poté più far finta di nulla, si alzò e corse al telefono un momento prima che riagganciassero.

“Pronto?”

Anna dal bagno li vicino urlò al di sopra dello scrosciare dell’acqua della doccia:
“Meli, chi è a quest’ora del mattino?”
Melissa la ignorò concentrandosi sulla voce femminile che proveniva dalla cornetta.

“Ciao tesoro!”

“Ehi mamma, che sorpresa!”. A stento trattenne uno sbuffo, voleva bene alla madre ma ogni anno era sempre la stessa storia, ogni volta che c’era l’anniversario della scomparsa di Fabio lei la stressava riempiendola di attenzioni, chiedendole come andava a lavoro, se aveva fame, … e da quando era andata a vivere in un appartamento con l’amica Anna l’anno prima, per avere un po’ di indipendenza, lei la chiamava per ogni futilità.

“Hai lasciato la tua rivista preferita a casa nostra ieri sera, vuoi che te la porti?”
“No mamma tranquilla, la prossima settimana che ritorno a trovarvi me la riprendo”.

Il giorno prima era andata a cena dai suoi, ogni sabato sera era dedicato alla famiglia almeno fino alle ventuno, poi tornava a casa, si faceva una doccia, si sistemava e poi usciva con Anna a far baldoria; la vita di una segretaria di uno studio dentistico non era di certo avvincente e lei doveva distrarsi in qualche modo.
La chiacchierata con la madre non durò molto, Melissa desiderava solo riagganciare e uscire di casa, distraendosi. Riagganciò salutando affettuosamente, guardò l’orologio e urlò ad Anna di sbrigarsi altrimenti avrebbero perso le ore più soleggiate della giornata.
Mentre l’amica si vestiva lei afferrava al volo le sue cose.
Era troppo bello uscire la domenica mattina andare al parchetto vicino al loro condominio e prendere il sole. Vivevano in un paesello di tremilanovecento anime pie, un paese con qualche locale e tranquillo ma essendo a chilometri dal mare le ragazze della zona con l’arrivo del sole estivo dovevano arrangiarsi abbronzandosi in qualche solarium, in terrazzi o, come loro erano solite fare, in qualche parco.

Uscirono alle undici in punto, in pantaloncini corti e canottiera, sotto braccio degli asciugamani colorati da stendere sull’erba e borsetta a tracolla.
Anna era per Melissa la sua unica vera amica; l’amicizia era il sentimento che più lei conosceva e sentimenti come l’amore non gli erano del tutto chiari. Non che avesse avuto qualche difficoltà con gli uomini, anzi aveva intrattenuto molte per così dire storie, ma nessuno di quei ragazzi che aveva frequentato poteva definirlo il <i>vero amore</i>.
Fin da piccola aveva avuto difficoltà a legarsi profondamente con qualcuno, era sempre in guardia, sulla difensiva; si sentiva sempre diversa, sbagliata, quasi un aliena certi giorni, a quindici anni pensò addirittura di avere qualcosa che non andava.
Anna la conosceva praticamente dalla nascita, erano come sorelle. Entrambe avevano frequentato le stesse scuole, perfino la stessa scuola superiore. Forse era per il fatto che si conoscevano da anni che aveva spinto Melissa a fidarsi di lei.
Le giornate passavano fin troppo velocemente, lei non ci faceva praticamente caso, erano poche le cose che poteva dire di apprezzare della sua vita monotona.
Una di queste era il sole.
Si stesero sugli asciugamani, i visi rivolti verso il cielo azzurro pieno di nuvole bianche; inforcarono i loro occhiali scuri e rimasero in silenzio, in ascolto.
Dei bambini gridavano giocando fra le panchine poco più in là, una madre correva dietro al più piccolo cercando di acchiapparlo tra le risate generali di altri genitori.
Poteva abituarsi a una vita scandita dalle solite vecchie abitudini, una vita nella norma con qualche pensiero per l’affitto e le bollette ma stava bene; da quando aveva lasciato la casa dei suoi si era sentita libera e se anche l’indipendenza poteva essere complicata lei non si sarebbe mai piegata e non sarebbe più tornata a casa, questo era certo.

<i>“Aspetta!”</i>

Melissa trasalì. “Mio Dio!”
“Cosa c’è?” chiese Anna sospirando, lentamente si stava perdendo in un dolce riposino e non sembrava molto interessata.
Quella voce. Si ritrovò a pensare Melissa. Le pareva così chiara nella sua mente, come se qualcuno le avesse bisbigliato nell’orecchio.
Si mise a sedere cercando di rilassarsi. Era tutta colpa di sua madre che con le sue telefonate le ricordava del fratello.
Pensava poco a lui, aveva qualche ricordo fugace ma non si soffermava quasi mai sulla sua scomparsa dopo quel tragico incidente … tranne per gli anniversari, quando lei e i suoi genitori andavano in chiesa, accendevano una candela sull’altare e mormoravano preghiere.
Il giorno prima erano stati tredici anni esatti da quando l’aveva visto l’ultima volta e l’unico episodio con lui che le appariva nitido nella mente risaliva a quando lei aveva nove anni e lui diciassette.
Osservò i bambini fuggire da un ragazzino bendato che a mani tese nel vuoto cercava di afferrarli mentre questi gli vorticavano attorno.
C’era già stata in quel parco, pensò.

<i>“Aspetta!”
“No! Fabio mettila giù o lo dico a mamma!”</i>

Di quel giorno si ricordava il gran caldo che avvolgeva il paese in una morsa di afa e di assenza di vento. Il parco era l’ultimo posto dove voleva essere, il sole era troppo forte e nel suo vestitino, bianco a fiori rosa, si sentiva appiccicaticcia.

<i>Erano soli, tutti erano intanati in casa al fresco, perché il fratello l’aveva portata fuori?
“Meli” la chiamò rincorrendola, una lucertola presa per la coda nella mano tesa davanti a lui.</i>

Ricordava il suo sorriso, i biondi capelli color del fieno corti a spazzola. Ricordava che era alto e slanciato, dalle braccia forti e dalla pelle bianca e sensibile come la sua, in quel momento lievemente arrossata per la calura.
Ma non ricordava il suo volto.
Sapeva che ce lo aveva lievemente affilato ma ancora tondo per i tratti da ragazzino che stava per abbandonare, gli occhi azzurri come il mare; ma questo lo sapeva solo per le foto che i suoi custodivano gelosamente a casa.

<i>“Non ti farà niente” diceva sorridendo apertamente. “Giuro, non permetterò che ti faccia qualcosa”. Le si avvicinò tenendo ben salda la bestiolina tra il pollice e l’indice, si chinò su di lei mettendole l’animale di fronte agli occhi. Melissa si costrinse a rimanere immobile, non voleva dargli la soddisfazione di scappare urlando.
La lucertola, di picanzoloni a testa in giù, si dimenava furiosamente e quando si accorse di essere troppo vicina alla bambina spalancò la bocca in un sibilo.
Melissa scattò in dietro con il cuore in gola mentre Fabio rideva come se non avesse visto nulla di più divertente, sbatacchiò a destra e a manca l’animale per poi lanciarlo con forza contro un muro. La lucertola cadde morta fra l’erba alta. Melissa era raggelata.
“Visto?”. Se ne saltò fuori il fratello continuando ad esibire il suo enorme sorriso. “Non ho permesso che ti facesse del male”
“Ma l’hai uccisa!” pigolò lei.
“Era un bestiolina senza valore, Meli” sogghignò. “Se qualcuno vuole farti del male tu reagisci, ricordalo”. “Ma comunque …” finì guardando altrove .
<u>“Ci sono io che ti sorveglio!”</u></i>

Anna cominciò a russare lievemente tenendo un braccio sopra al viso schermandosi dal sole alto.
Aveva avuto poco tempo per conoscere il fratello, poco tempo per apprezzarlo. Ma doveva ammettere che quel ricordo la turbava, spezzandogli il cuore; e mentre i genitori prendevano i loro figli per ritornare a casa a pranzare, Melissa si ritrovò a pensare se mai un giorno avesse mai scoperto che fine avesse fatto Fabio.


“Ehi, io esco! Stefano è già giù. Sicura che non vuoi venire con me?”. Lo sguardo di Anna pareva preoccupato, non le piaceva lasciare la sua amica a casa da sola mentre lei usciva con il ragazzo, la faceva sentire tremendamente in colpa.
“Vai tranquilla!” bofonchiò Melissa davanti alla televisione, in bocca un’intera manciata di patatine gusto paprica. Era triste passare in quel modo la domenica sera, a casa da sola con i suoi pensieri e un incredibile silenzio nell’appartamento. Anna usciva spesso di domenica con il ragazzo e altrettanto spesso tornava a casa l’indomani con un enorme sorriso stampato sulla faccia.
A lei interessava poco ciò che combinava con Stefano, ma sapeva che i dettagli li avrebbe saputi comunque dall’amica.
“Allora se ti serve qualcosa chiama, in teoria torno questa notte ma … va beh. Io vado. Ciao!”. Anna afferrò la sua copia delle chiavi di casa dal vecchio mobile accanto alla porta d’ingresso, una volta adibito a mobiletto porta macchina da cucire ma ora utilizzato come ripiano dove appoggiare varia roba.
“Divertiti!”. Urlò Melissa mentre da fuori Anna ridacchiava.
Cominciò a cambiare canale non sapendo bene cosa potesse fare di interessante alla TV alle otto di sera. Le giornate si stavano allungando, chiaro segno che l’estate stava arrivando, tuttavia alle venti cominciava a far buio e quando le ragazza guardo fuori dalla finestra le tenebre stavano già aleggiando per le strette strade.
Si sentiva stupida. Quel sussurro al parco l’aveva turbata più di quanto volesse ammettere. Era pazza?
“Gesù!” sospirò stropicciandosi gli occhi con i palmi delle mani.
Cominciava a sentire le voci! Questa era un’aggiunta che insieme agli scatti d’ira creavano la lista dei sintomi che portano alla follia. Da ciò che ricordava era sempre stata una ragazza di indole focosa, spesso era pigra ma le bastava poco per scattare come se fosse sempre sulle spine. Provò a pensare alla sua adolescenza, ricordava quel periodo come segnato da litigi, da fughe di casa che non la portavano oltre il paese. Il fatto di non sentirsi capita era una cosa normale per quel periodo no?
Ma allora perché all’età di ventitré anni ancora provava la stessa sensazione, lo stesso disagio?
Si guardò le nocche della mano destra, strinse il pugno fino a farle diventare bianche. Ed eccole li, piccole cicatrici ben visibili risaltare come piccoli segni rossi. Ricordava come se le era inferte, a sedici anni aveva passato non pochi guai. Era successo in una discoteca frequentata dai suoi coetanei, era la prima volta che ci andava e aveva decisamente bevuto troppo con il suo ragazzo di allora; uno sguardo sbagliato, un sorriso beffardo da parte di una ragazza sconosciuta che dimostrava almeno vent’anni, e lei … era scattata. Si era gettata come una furia senza nemmeno rendersi conto che era balzata in avanti, aveva puntato lo sguardo in un punto appena dietro la nuca della ragazza e aveva gettato davanti a se il pugno facendolo schiantare contro la mascella della malcapitata, i suoi senti le avevano tagliato la pelle della mano ma lei nemmeno si rendeva conto dalla rabbia che provava, subito c’era stato uno scoppio di urla tutt’attorno ma lei non riusciva a fermarsi, sbatté a terra la sua vittima e continuò a farle cozzare in faccia il pugno senza esitare.
Voleva ucciderla!
Quella fu la prima rissa a cui abbia mai partecipato; ma non l’unica. Ne aveva avute poi altre tre nei due anni successivi, ma doveva ammettere che era sempre sbronza quando accadeva e a malapena il giorno dopo si ricordava qualcosa. Una volta addirittura si era svegliata in ospedale, una stronza l’aveva colpita alla testa con una bottiglia di birra.
Vita di una ragazza problematica? No. Sospirò Melissa. Vita di una ragazza viziata, ma ora pareva cambiata.
Non ne poté più, spense la TV e afferrò il suo pacchetto di sigaretta dal tavolino davanti al divano, andò all’ingresso, si mise a tracolla la sua borsa e afferrò le chiavi di casa. Aveva bisogno d’aria.

A lunghi passi nella notte cominciò a seguire il corso d’acqua artificiale che affiancava il paese sul lato est, diretto ad una centrale idroelettrica poco più avanti. Guardava giù per il crinale specchiandosi sulla superficie, camminava proprio sopra a un’alta sponda contenitiva del fiumiciattolo, nel periodo di piena si ingrossava notevolmente e il comune aveva deciso di alzare le barriere protettive per sicurezza, ai lati del corso erano state costruite case e strade e ciò che si voleva evitare era un’inondazione. La zona era piuttosto ben illuminata da alti fari e Melissa si sedette su un scalino della ripida scalinata in cemento che portava in discesa verso il fiume.
Quel posto di notte era spettacolare, c’era un gran silenzio e lo scrosciare dell’acqua era l’unico suono. Di giorno quel posto era visitato da famiglie in passeggiata e amanti del trekking, ma alla sera non c’era un’anima. Il posto ideale per stare soli sotto a un magnifico cielo stellato; lo si poteva ammirare tranquillamente lontano dalle luci del paese e i lampioni piantati nelle strade intorno al fiume non ne intralciavano la vista.
Il posto adatto a lei.
Rimase lì seduta per qualche minuto, i gomiti sulle ginocchia e le mani sotto il mento, guardava il proprio riflesso nell’acqua torbida senza pensare a nulla. Vedeva una ragazza sera rispondergli allo sguardo, lunghi capelli indomabili le cadevano a onde color castano ai lati del volto tondo come tendine, fino ai prosperosi seni. Corporatura morbida, spalle un po’ larghe, ma nel complesso un corpo seducente e resistente, le lunghe gambe scoperte dai corti pantaloncini. Pelle arrossata, scottata dal sole; per quanto amasse crogiolarsi sotto i raggi solari non riusciva proprio ad abbronzarsi, si ustionava soffriva come una dannata e poi tornava bianca.
Le sottili sopracciglia corrucciate risaltavano lo sguardo duro e cupo dei suoi scuri occhi; spesso le dicevano che aveva uno sguardo accusatore e attento, come se qualcosa potesse capitare da un momento all’altro. Ma la cosa che gli uomini amavano di più di lei erano le sue labbra, carnose e piene di un colore rosso acceso come se portasse il rossetto.
Qualcosa la distrasse da quella solitaria contemplazione, un uomo comparve riflesso accanto alla Melissa nell’acqua; vestiti da straccione, lunga barba grigia e sporca, corti capelli unti tenuti sotto un berretto altrettanto sporco con sopra il marchio di una pizzeria. Esibì un untuoso sorriso mostrando i gialli denti, in mano stringeva una bottiglia di liquore.
Melissa trasalì dal puzzo di sudore e alcol, scattò in piedi guardando dritto nei pesanti occhi del barbone, i muscoli tesi pronta a fuggire. Dentro di sé si insultò, come aveva fatto a non sentirlo arrivare? Quando era sola, di notte da qualche parte, aveva sempre le orecchie aperte come un gatto.
“Ciao tesoro” biascicò il vecchio, a malapena si reggeva in piedi, continuava ad oscillare; fissò il suo smorto sguardo sui seni della ragazza. “Sei proprio bella!”
Melissa deglutì silenziosamente stringendo i pugni e mantenendo la schiena retta, lentamente fece un piccolo passo in dietro. Erano troppo vicini, se il barbone avesse fatto uno scatto l’avrebbe agguantata. Rabbrividì al pensiero di essere anche solo sfiorata da quell’untume.
Non era la prima volta che di sera andava lì, erano a malapena le ventuno e a quell’ora dei possibili malintenzionati dovevano ancora arrivare, in tutte le sue escursioni serali lungo il fiume non aveva mai incontrato nessuno.
Stupida ingenua, i guai se li era andati a cercare e ora mentre il suo cuore le martellava nelle orecchie tremava come una foglia.
“Cosa vuole?”. Si sorprese di non udire la sua voce tremolare dalla paura. “Le darò tutto ciò che vuole, prenda tutto. Ma mi lasci andare!”
“La borsa” sussurrò, del tutto spiritato, il barbone. “La borsa, muoviti!”
Lei subito fece scattare le mani alla cinghia che portava a tracolla, senza staccare gli occhi dal vecchio fece per sciogliersela intorno alla testa, fu un attimo e il barbone gettò a terra la bottiglia, agguantò la borsa di Melissa e diede uno strattone; i lunghi capelli di lei rimasero impigliati nella cerniera e perse l’equilibrio in avanti strillando dal dolore e dalla sorpresa.
Il barbone continuò a strattonare mentre cercava di darsela a gambe, lei impigliata oppose resistenza afferrando la borsa e cominciando a tirare verso di lei.
“Lasciala, maledetta stronza, lasciala!”. Strepitò rauco il barbone prendendola per i capelli con una mano mentre l’altra ancora reggeva forte il suo bottino.
Melissa urlò con degli strilli acuti mandando ancora più nel panico il suo assalitore, la ragazza raccolse tutta la forza di cui disponeva e scattò in avanti sorprendendo il vecchio che sgranò di colpo gli occhi; Melissa gli diede una potente spallata come un giocatore di rugby, il barbone perse l’equilibrio e lasciò andare i capelli di lei, ma la mano destra ancora si serrava alla cinghia della tracolla quando Melissa la strattonò nuovamente, il barbone lasciò la presa e cade come un sacco giù per la ripida scalinata di cemento su qui un momento prima Melissa sedeva. Fu terribile, il barbone ruzzolò fino agli ultimi scalini e con un sonoro schiocco il suo collo si piegò in una brutta e impossibile angolatura.
La ragazza dall’alto, con ancora la borsa stretta nelle mani fra i capelli arruffati, sembrava pietrificata sul posto. Occhi sbarrati, respiro rapido, pulsazioni accelerate che le sbattevano in gola e ai timpani.

Lo aveva ucciso.

La consapevolezza di ciò che aveva fatto le arrivò di colpo e si sentì come se avesse appena ricevuto un pugno nello stomaco. Era un’assassina.
Non riuscì ne a urlare ne a muoversi. Se ne stava ferma, immobile; una piccola parte della sua mente le fece notare che delle luci si erano accese nelle piccole case attorno al fiume.
Il suo cuore diede un battito più forte che risuonò nel suo sterno smorzandole il respiro, si piegò in due dal dolore, le mani portate al petto mentre la borsa ancora impigliata ciondolava sulle sue spalle. Stava avendo un infarto? Che diavolo era successo?
Un altro tonfo, questa volta più potente di prima, e lei non riuscì a respirare mentre cadeva in ginocchio, dei sassi le si conficcarono nella carne ma lei stava troppo male per badarci.
Ancora un battito forte come un colpo di tamburo e lei si sentì morire, spalancò gli occhi verso il cielo buio, pregando che tutto finisse, mentre se li sentiva bruciare inondati di lacrime.
I suoi occhi bruciavano come se ci fossero dei granelli di sabbia a raschiarli.
Rantolò cercando di rimettersi in piedi, il suo cuore ora batteva così veloce che pareva che avesse messo le ali. Le mancava l’aria e cercò di riprendere il controllo di sé stessa mentre sbatteva le palpebre velocemente cercando di rimettere a fuoco ciò che la circondava nonostante il bruciore.
Guardò giù, verso il fiume, incapace di guardare la sagoma senza vita alla fine della scalinata. Guardò sé stessa invece, riflessa nell’acqua scrosciante lì, dove una Melissa ansimante le restituì uno sguardo terribile. Due occhi gialli la fissavano, poteva vedere due guizzi color dell’ambra al posto dei suoi due occhi scuri, due occhi gialli che parevano infiammati di una furia non sua, una rabbia devastante che pareva provenire solo da un demonio.
Melissa rantolò terrorizzata cominciando a indietreggiare, non voleva più vedere! Che cos’era quella cosa?
Si stropicciò gli occhi facendoseli bruciare ancora di più, urlò nuovamente mentre correva a gambe levate verso casa.




...Continua nel prossimo capitolo


 
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