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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: STOCKHOLM SYNDROME.
Genere: Sentimentale, Azione, Drammatico, Fantasy, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: OOC, AU
Autore: --gabriella-- galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 27/06/2011 17:29:14 (ultimo inserimento: 29/06/11)

Il titolo e la fanfiction me l'hanno ispirati i Muse. <3 Che dire, non aspettatevi le solite sdolcinerie da questi due. Ow, buona lettura! :D
 
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I'M READY TO GO, LEAD ME INTO THE LIGHT.
- Capitolo 1° -

Oh mio dio.
Confesso che mi fa uno strano effetto ritornare qui.
Era da tempo che non ci venivo e/o postavo fanfiction.
Bah, che dire. In questo tempo sono maturata tantissimo.
Non vi consiglierei mai di andare a rileggere qualche mia vecchia FF perché fanno /schifo/. Lo dico sinceramente. Anche perché ero una bimbaminchia priva di fantasia.
Okay, la smetto di rompervi i coglioni. Premetto solo che i protagonisti faranno parte sì di una storia d'amore, ma non tutta pucci pucci come credete.
Se sapete il significato di Sindrome di Stoccolma, non dovrà essere difficile arrivare a capire un po' della trama.
Detto questo: buona lettura. (:



Una sorte di intro.

Migliaia di emozioni le stavano esplodendo in testa, come una bomba. Riflessioni su riflessioni che portavano tutte ad un punto, a creare altri dubbi. Paura. Angoscia. Panico. Non sapeva cosa fare. Nessuno mai l'aveva preparata per quel tipo di emergenze. Da quanto si trovava lì? Poche o tante ore? Uno o due giorni? Aveva la mente totalmente annebbiata. Non sapeva dove abitava la lucidità. Ma in fin dei conti, chi sarebbe rimasto calmo in quel caso?



I'm ready to go, lead me into the light; 1.


Mi sentivo decisamente osservata. Costantemente. Una sensazione sgradevole che mi ero autoimposta di abituarmici. Perché se sei, in un certo senso, "diverso" vieni visto sotto una luce un po' .. strana, ecco. Anche se, di strano non avevo nulla. A parte il rosso acceso dei miei capelli; la gente mi scambiava per un lampeggiante. Ed è per questo che molte volte, alla mia venuta, alcuni si voltavano per fissarmi. Spudorati. Proprio come per dire "sì, ti sto guardando." Bah. A me sono sempre piaciuti i miei capelli. Non mi sono mai fatta dei problemi in riguardo. Oh, ehm, è a questo punto della 'narrazione' che dovrei presentarmi? Non sono nulla di speciale, sono una ragazza sedicenne di nome Nana. E, tanto per farvelo sapere, lo sono anche di fatto. Non vedo cosa possa interessare. Perché perdere tempo inutile a dire chi sono? Insomma, a nessuno importa. Di questi tempi le persone non fanno altro che pensare all'esterno. In poche parole: superficiali. Questo sono. Frivoli. Non vanno oltre le apparenze. Che rabbia.
Mettendo da parte pensieri futili come questi, era meglio sbrigarsi. Sapevo benissimo di essere in anticipo per la scuola, ma era una mia caratteristica. Arrivare presto fuori il cancello della Yomishi per godermi la brezza mattutina e quel leggero venticello. Rifiutavo ogni tipo di mezzo per arrivarci, usavo le mie gambe. I miei, persone iper-super-mega-protettive, avevano insistito tanto sul fatto che sarebbe stato meglio che mi avesse accompagnato l'autista, ma non importava. L'avevo avuta vinta io. E ora, vagare per le strade quasi deserte, era una prospettiva più che allettante.
Era bello godersi quel momento, osservare il laghetto artificiale alla mia sinistra, arrivare di fronte alla pasticceria e sentire l'odore di dolci appena sfornati, sentire alcuni clacson suonare da lavoratori frettolosi. Piccole cose che ti miglioravano la mattinata. Mi fermai al semaforo, che segnava il pedoncino rosso. Intanto mi sistemai la cartella in spalla. Mancava solo un piccolo tratto di strada, bisognava attraversare l'incrocio e svoltare a sinistra e poi sarei arrivata a destinazione. Mi sarei seduta sulle panchine, all'ombra di un albero e avrei osservato arrivare man mano, a piccoli o grandi gruppetti, il resto degli studenti.
Confesso una cosa. Delle volte vorrei solo confondermi con gli altri. Non vorrei essere notata per la mia capigliatura o per .. il rango da cui provengono. Inizio a sentire ogni giorno il peso di tutto ciò. Il resto del corpo studentesco mi conosce - quelli che sanno della mia esistenza - solo per quello che sono i miei genitori. Due lavoratori benestanti e che economicamente non hanno tante difficoltà. A volte vengo additata come 'quella altezzosa, viziata e che ha i soldi che le escono dalle orecchie'. Ebbene, nessuno sa che io non sono minimamente legata a simili sciocchezze. Le cose che mi rendono felice, sono le suddette che ho elencato qui sopra. Io sarei felice anche se guardassi un acquilone volare. Non per dire, ma non m'interessano i beni materiali. Vorrei solo qualcuno che mi apprezzasse per quello che sono, una persona semplice che ama le cose della vita.
Ed è sempre dura ammettere con quel pizzico di amarezza che nessuno andrà mai oltre la maschera. La gente ha paura di conoscere. Come i cavalli, indossano dei paraocchi. Lasciamo perdere. Il semaforo è rosso ora, il che vuol dire che posso attraversare. Sarà meglio affrettarmi.
Attraverso quella strada tanto familiare. Mi sapeva di vissuto.
Nel senso, sembrava che fosse lì da tanti, tantissimi anni. E invece .. era stata costruita solo dodici anni fa. Ironico, neh?
Arrivai all'angolo, ma la frenata improvvisa di una BMW nera mi impedì di proseguire oltre. Fui costretta ad appiccicarmi al muro, sennò mi avrebbe schiacciato i piedi. Non riuscivo a vedere chi ci fosse al volante, aveva i finestrini oscurati. Pensai che forse volesse delle informazioni su dove andare. Ma quello che accadde fu troppo veloce, troppo per la mia testa e per rendermi conto di quello che stesse succedendo.
Un uomo scese dall'auto, mi afferrò per le spalle e mi spinse dentro con forza. «Ehi, dolcezza, sta zitta e buona, e non ti capiterà nulla.» fece.
Non spiccicai parola, avevo in viso un'espressione terrorizzata. Il panico mi aveva raggelata, non riuscivo a fare nulla. Nessuna parola, nessun grido, nessun pensiero. Sentivo solo viva la speranza che forse qualcuno mi avesse visto. Che qualcuno fosse stato testimone di quel rapimento.
Per essere sicuro che io non provassi a scappare, l'uomo mi legò le mani dietro la schiena. Era grassoccio, i capelli oleosi e un viso marcato. Sembrava un vero criminale. Il tipo che guidava l'auto, invece, aveva i capelli biondo cenere tirati indietro e occhiali da sole. Non aveva detto nulla. Seduto davanti, di fianco al guidatore, c'era un ragazzo dai capelli neri. Non riuscivo a guardarlo in faccia. Ma non sembrava fosse più grande di me. Forse di qualche anno. Com'era finito a fare il criminale?
..sicuramente non era il momento di fare domande del genere.
«D-dove mi state portando?» riuscii a dire quando dopo una decina di minuti spuntammo sull'autostrada. La mia voce suonò gracchiante ed anche bassa. Mi si leggeva in faccia la scritta 'SONO TERRORIZZATA'.
Mi rispose l'uomo che mi aveva presa. «Tranquilla, non vogliamo farti nulla di male. Solo che ci servono un po' di soldi e forse il tuo paparino potrà accontentarci.»
Non aggiunsi nulla. Era di soldi che avevano bisogno? Che dovevano farci? Sperai solo che non mi portassero in una di quelle baracche tutte sporche come si vedevano nei film.
***
Percorremmo un lungo tratto di autostrada, non so quanto tempo avessimo impiegato, anche perché avevo le mani legate e il mio orologio ancora non aveva le gambe; l'orologio sul cruscotto? Non riuscivo a vederlo. Comunque svoltammo a sinistra, tagliando la strada a parecchie auto, che in tutta risposta rifilarono vari insulti. Nessuno parlava, tutto taceva. Era una cosa tremenda. Ero quasi sicura che si sentisse solo il mio impercettibile tremore.
Stare seduta con le mani legate, poi, per non so quanto era molto, ma molto scomodo. Una cosa mi sorprendeva.
Il mio pensiero era cambiato. Nel senso .. credevo a quell'uomo. Credevo che sul serio non mi avrebbero fatto nulla e che loro avessero solo bisogno di soldi. Perché pensandoci, cosa avrebbero mai potuto volere da una ragazzina? Era più che logico come ragionamento. Non serviva a farmi sentire sollevata, ma ad alleviare la paura sì.
La meta non era quello che mi aspettavo. Mi aspettavo qualche barraccone o addirittura una roulotte. Invece .. eravamo arrivati di fronte ad un Motel carino. Cioè, sembrava non fosse del tutto 'disabitato'. Era di un beige scolorito, a due piani e con una fila di finestre tutte uguali. C'era un'insegna blu luminosa che diceva 'Charlie's Motel'. Non era quel tipo di alloggio a cui ero abituata, ma vabbè. Questo mi fece pensare ad una cosa, però. Per quanto sarei dovuta rimanere segregata?
Entrammo nel parcheggio e prima di scendere, il tipo grassoccio mi slegò le mani. «Non fare nessun passo falso.» mi disse con una voce minacciosa. Restai in silenzio. Scendemmo tutti e quattro, il tipo di cui ancora non conoscevo il nome mi teneva una mano sulla spalla mentre camminavamo.
Quello biondo, appena sceso, si accese una sigaretta, mentre il ragazzo più giovane continuava col suo silenzio. In viso non aveva un'espressione, era completamente piatto. Privo di sentimento. Cosa molto shoccante.
Non aveva guardato verso di noi nemmeno una volta, camminava affianco all'altro tipo che sembrava un po' seccato da quella situazione. Come se avesse dovuto badare ad un poppante.
Attraversammo il parcheggio ed entrammo lì dentro. I due uomini mi lasciarono da sola col ragazzo mentre andavano a ordinare una camera. Da vicino riuscivo a vederlo molto meglio. E .. quello che vidi mi fece uno strano effetto. Aveva dei grandi occhi oro. Oro, capite? Mai visti in vita mia e molto rari. Erano bellissimi. Mi chiesi semmai gli avessi parlato, mi avrebbe risposto? Chissà. Dalla faccia non mi sembrava un tipo socievole.

La camera che ci diedero era al primo piano - tra l'altro che facemmo a piedi - ed era la numero nove. Entrammo. Era di dimensioni discrete. Appena si entrava c'era un letto matrimoniale posizionato alla parete sulla destra. Di fronte ad esso, appeso al muro, c'era un televisore al plasma, non troppo grande né piccolo. Più avanti, c'erano delle scalette, che portavano a dei divanetti - due precisamente, uno a due posti e l'altro a tre posti - che stavano al centro della stanza. C'era anche un balcone, abbastanza ampio. Alla sinistra c'erano due porte bianche. Una, pensai fosse il bagno, l'altra non ne avevo la minima idea. Affianco al divanetto a due posti c'era un minifrigo, contenente bibite, pensai.
Il tipo grassoccio mi portò dentro trascinandomi per un braccio. Mi fece sedere su uno dei due divanetti e mi puntò un dito. «Okay, credo sia il momento di fare 'conoscenza'.» mi fissò in modo strano. La mia linguaccia non stette zitta e prima che potessi rendermene conto parlò con aria arrogante esordendo un «Voi sapete chi sono io. Non c'è bisogno che mi presenti. Potreste dirmi chi siete senza troppe storie?» Il tipo biondo fece un sorrisetto sarcastico, come per dire 'Hai capito la ragazza'. Quello che aveva parlato per primo non fece una piega davanti alla mia presunzione e disse «Io sono James, quello lì è Kotaro e il ragazzino lì è Len.» io li guardai tutti e tre. A vederli, ora, mi sembrava una banda un po' ridicola.
Il tipo biondo mi si avvicinò. «Adesso scusaci, ma siamo arrivati al punto che dobbiamo confiscarti qualsiasi cosa che faccia sì che tu possa avvisare la polizia o quant'altro.» mi sorrise, era il classico tipo alla 'faccio del sarcasmo in ogni momento, baby'. Mi prese la cartella e il cellulare che tenevo accuratamente in tasca. E con quest'ultimo prese a scroccare i numeri della rubrica. Sapevo perfettamente quale cercasse. Prima che premesse sul tasto per chiamare, James fece un cenno a Len che mi tirò con poca grazia e mi portò nella stanza 'anonima' che non sapevo cosa contenesse.
Lo scoprii poco dopo, era una sorta di cameretta tutta per me. Sembrava di essere in carcere. Mi aveva portata lì per cosa? Per evitare che ascoltassi cosa dicesse Kotaro a mio padre? Una volta entrati chiuse la porta alle sue spalle e ci si posizionò davanti, stile bodyguard.
«Perché mi hai portata qui?» chiesi indispettita e curiosa di sapere cosa dovessero dire e che tipo di minaccia avrebbero fatto a mio padre. Mi avvicinai a lui, ma la sua altezza, la sua postura e i suoi muscoli mi dissero che non ce l'avrei mai fatta contro di lui. Cercai di uscire, ma erano sforzi vani. Mi prendeva per le spalle e mi metteva a distanza, come se niente fosse, come se pesassi una piuma. «Senti, bambina. Non sono qua per giocare. Perciò o la smetti o la smetti. In ogni caso non riusciresti mai ad uscire di qui.» .. si riferiva al fatto che fosse molto forte. Aveva pienamente ragione, ma qualcosa si smosse dentro di me. Mi ero offesa, ma di brutto. Senza che riuscissi a rendermene conto, misi su un'espressione da bambina offesa, gonfiando le guance. «No. Non dirmi che stai per metterti a frignare e a lamentarti. Che seccatura.» sbuffò. Un'altra offesa, gonfiai di più le guance. Chi si credeva di essere?! Non poteva offendermi, oh.
«Belfustocondeimuscolipompatimasenzacervello, cos'hai detto?» Ma che cavolo mi passava per la testa. Lui mi guardò dall'alto al basso. «Ah, aspetta, a questo punto dovrei sentirmi ferito?» Quanto. Odiavo. Quel. Tono. Sarcastico. Non poteva prendersi gioco di me, che cavolo. «Probabilmente gli stupidi non si offendono se vengono considerati per quello che sono, forse perché sanno di esserlo.» cercai di fare con tono freddo e imbronciata. «Non se a considerarli tali sono altri ancora più stupidi di loro.» 'Fanculo. Mi ero già rotta delle sue prese in giro. Sbuffai e andai a stendermi sul letto. Adesso che avevo l'opportunità di appropriarmi della conoscenza dell'ora, lo feci. Erano solo le undici e cinque e mi chiesi se sarebbe finita presto quella tortura.




-fine;
 
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VOTO: (1 voto, 2 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 2 commenti
--gabriella-- 27/06/11 17:46
Pisella, se non fosse stato per te non credo l'avrei scritta.

<3
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ciki-chan - Voto: 27/06/11 17:39
AMOREEEE <3 Quanto è bella *W* Io li amo a loro due D:
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