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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: One Piece
Titolo Fanfic: IL DOLCE SAPORE DEL PECCATO
Genere: Azione, Avventura, Soprannaturale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: AU
Autore: sanji94 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 03/04/2011 23:24:26 (ultimo inserimento: 26/04/11)

Mihawk Drakul 1407-1437 Quella lapide, leggerleggermente più grande delle altre recava il suo nome, inciso con una minuta calligrafia scura; la data d
 
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RISVEGLIO
- Capitolo 1° -

Il cielo era terso in quella profonda e lunga notte invernale. Il blu scuro di quelle tenebre sembrava dipinto con delle pesanti e pastose pennellate, proprio come era solito fare con i più costosi dipinti dell’epoca. Le stelle brillavano magnanime, come i più preziosi gioielli sul mantello di velluto cobalto della più ricca nobildonna del paese, tracciando il destino per chi sapeva coglierne il significato.
Quell’ombra scura sul tetto sconnesso di una cappella le stava guardando, incantato dall’unica luce che non avrebbe rovinato la sua pelle setosa e candida.
Abbassò lo sguardo per ammirare l’orizzonte di fronte a sé; le guglie del campanile della cattedrale svettavano nel cielo, quasi volendo congiungersi al dio che si adorava nel luogo sacro lì accanto. Spostò rapido lo sguardo verso sinistra scorgendo un lieve movimento.
Un semplice corvo che stava volando, mimetizzato nel cielo.
Con un balzò poderoso, ma aggraziato atterrò tra le lapidi.
Una leggera nebbiolina circondava quei blocchi di marmo immacolato scolpiti con nomi antichi di famiglie potenti e influenti; le scritte nere si intravedevano appena tra la leggera foschia che quel terreno umido lasciava trasudare, ma i suoi occhi erano diversi, riuscivano a scorgere anche la più piccola e insignificante sbavatura nell’incisione.
Mihawk Drakul 1407-1437
Quella lapide, leggermente più grande delle altre recava il suo nome, inciso con una minuta calligrafia scura; la data dardeggiava di quel colore rosso che solo il sangue aveva, quel sangue che da quel momento in poi sarebbe stato il suo nutrimento.
Respirò a pieni polmoni l’aria gelida di quell’inverno rigido che quell’anno era giunto fin troppo presto. Si strinse nella giacca anche se in realtà non provava freddo; il freddo era solo una delle frivole sensazioni che un semplice umano doveva sopportare, lui ora non era più umano.
Accarezzò la sua lapide con quella mano talmente candida e fredda da parere modellata nella neve.
Sorrise, pregustandosi la vendetta che di lì a poco si sarebbe fatto.
Percorse pian piano il sentiero di terriccio umido che conduceva verso la cancellata di ferro scuro che delineava il confine del camposanto.
Il cancello era chiuso, ma per una creatura del sangue quale era quello non era un problema. Si avvicinò cauto alle sbarre di ossidiana afferrandole saldamente, poi con una lieve trazione riuscì ad aprire un varco tra quelle barre che per qualsiasi umano sarebbe stato impossibile scalfire, ma lui le aveva piegate come se fossero carta.
Una volta giunto sulla strada la nebbia era scomparsa. Il selciato elegante era lucido a causa dell’umidità, ma lui continuava a camminare impassibile senza dare troppa importanza a quei particolari; il suo unico obiettivo era la casa di uno dei quattro regnanti.
Quella città era governata da ben quattro sovrani, ognuno dei quali dimorava in una propria reggia a seconda della propria posizione.
Con l’agilità che gli era stata concessa riuscì a salire sul tetto di una nobile casa; da quella posizione era in grado di tenere sotto controllo l’intera città.
Fece scorrere lo sguardo indagando il cielo scuro di fronte a lui e ad un certo punto la vide, più elegante e più grande delle altre, i pinnacoli e le colonnine che sormontavano le logge, gargoyle grotteschi che si affacciavano dai balconi verso la strada. Non c’era alcun dubbio, quella era sicuramente il palazzo del regnante dell’est.
Gli stivali neri che indossava non provocavano nessun rumore sulla tegole, la sua grazia e la sua leggerezza erano inaudite, persino lui si era stupito.
A quell’ora della notte nessuno era sveglio, solo alcune finestre della reggia dell’est erano illuminate, segno che le cortigiane erano ancora in servizio ad intrattenere i clienti più facoltosi.
Scese dal tetto di quella casa prestigiosa per ritrovarsi di fronte all’immenso portone della reggia di quell’uomo che da quella notte in poi non avrebbe avuto pace.
Appoggiò la mano bianca e gelida sull’anello intarsiato, proprio come faceva un comune mortale per entrare in una casa normale, nonostante lui potesse entrare benissimo da una qualsiasi finestra senza dare nell’occhio.
Batté delicatamente l’anello per tre volte e nel giro di pochi istanti le enormi ante nobilmente decorate si spalancarono e un uomo snello in abito scuro lo invitò ad entrare. Proprio mentre stava entrando una donna altissima stava per uscire, i suoi sensi infallibili certo non potevano tradirlo, sapeva per certo di chi si trattava, era a causa sua se lui era morto.
Mentre gli passava a fianco non poté non notare il suo abbigliamento, un lungo e pregiato abito nero le ricadeva a terra a corolla, facendo scomparire sotto quei pizzi e quei merletti la sottoveste bianca, che proprio non si addiceva ad una cortigiana, il bianco era infatti considerato simbolo di purezza e, secondo il suo modesto parere, a donne come quella doveva essere proibito indossare abiti candidi. Il mantello di velluto nero le nascondeva completamente il viso, solo ciocche di capelli corvini fuoriuscivano disordinate dal cappuccio calato sul volto.
Si fermò per un istante mentre l’altra si dirigeva lontano da quella dimora, nascondendo un fremito di timore avendo riconosciuto la vera natura di quell’uomo che aveva appena incontrato.
Mihawk respirò il profumo che la donna aveva lasciato dietro di sé, sicuramente cannella. Non c’era dubbio, era stata con lui!
Il paggio che gli aveva aperto il portone si inchinò e senza guardarlo in volto gli indicò le enormi scale che conducevano ai piani superiori.
Mihawk sorrise compiaciuto. Amava incutere timore, e quello status di cui godeva gli permetteva di spaventare gli altri ancor di più; era facilmente riconoscibile per via della sua bellezza disumana che lui non nascondeva di certo.
Con un gesto plateale del mantello si avviò verso le scale, lasciandosi alle spalle il pesante portone che si richiudeva con lentezza. Superava con impeto i gradini di marmo grigiastro, soffermando lo sguardo sui capitelli intarsiati delle colonne; alcuni visi scolpiti erano bellissimi, lineamenti aspri di uomini addolciti dal sangue ultraterreno che scorreva nei modelli da cui erano stati presi gli spunti.
Camminò per pochi minuti nel dedalo di corridoi che costituiva la reggia, seguiva la pista giusta inalando il profumo che l’aveva sempre inebriato, questa volta misto ai profumi delle prostitute e all’essenza del sangue di ogni persona lì presente.
Giunse sul pianerottolo poco illuminato che conduceva alla stanza di quell’uomo che di lì a poco avrebbe cessato di vivere per merito suo. Sentiva quel profumo farsi più intenso.
Prima di aprire la porta e gettarsi a capofitto nella stanza decise che forse era meglio sfruttare le nuove capacità che gli erano state concesse, avrebbe dato sicuramente meno nell’occhio se sarebbe rimasto nascosto nell’ombra di qualsiasi angolo di quella camera.
Alla sua sinistra si apriva una finestra, che lasciava permeare la flebile luce della luna illuminando il davanzale candido; decise che quella era la strada che avrebbe intrapreso.
Si mise in piedi sul marmo bianco del davanzale, osservando il cielo notturno e le finestre dei postriboli illuminate a giorno; avrebbe potuto anche gettarsi da quell’altezza spropositata per poi cadere a terra senza nemmeno ferirsi; il suo corpo era diventato incorruttibile e quasi invulnerabile, c’erano solo poche cose che potevano nuocergli, e se avesse continuato così quell’uomo sarebbe stato una tra quelle.
Confondendosi tra le ombre scivolò sul cornicione che ornava quella parete, per ritrovarsi su un piccolo balcone che permetteva di entrare nella camera del reggente. Le grandi ante della finestra erano socchiuse, ma l’interno non si vedeva a causa di quella cortina di stoffe pregiate che ricadevano morbidamente per lasciare un po’ di discrezione all’interno.
Senza fare il minimo rumore sgusciò oltre i tendaggi per giungere in quella stanza illuminata da flebili candele cremisi, che donavano a quell’ambiente l’aria soffusa che si respirava in un postribolo. Si sedette mollemente su una poltrona situata nell’angolo più remoto della stanza, nascosta dall’ombra profonda gettata dalle fioche fiammelle.
L’altro era sdraiato nel letto, mezzo busto infilato sotto le regali coperte e lo sguardo fisso verso il soffitto, immerso in chissà quali pensieri.
Quel profumo intenso permeava quelle pareti.
-Noto con estremo piacere che non sei minimamente cambiato- la voce pastosa e ben modulata proveniva da quell’angolo oscuro della stanza, dove l’occhio umano non scorgeva nulla.
L’uomo dai capelli rossi non si fece prendere dal panico e rispose con una calma che quasi faceva paura.
-E tu sei prevedibile- lasciò vagare quelle parole nell’assoluto silenzio della stanza –come sempre-
Un sorriso compiaciuto dipinse quel volto sfregiato, lasciando trasparire un piccolo segno di divertimento.
Il vampiro arpionò con la mano lo schienale della poltrona, strappandone un lembo e permettendo all’imbottitura di uscire. La voce tranquilla di quell’uomo erano in grado di influire sul suo umore, nonostante apparentemente sembrasse impassibile.
-In qualsiasi caso- mormorò con un gesto vago della mano –l’importante è che tu stia bene, ero certo che qualcuno ti avrebbe somministrato le migliori cure-
Una risata senza controllo fuoriuscì dall’ombra, rendendo l’aria più pesante e ricca di tensione; anche le fiamme delle candele tremarono.
Il vampiro si alzò. Gli stivali lucidi che facevano scricchiolare il dolce legno del pavimento, e quella figura statuaria che si muoveva tranquilla lungo il perimetro della stanza; fece un passo verso il centro della camera dove la luce era più intensa, mostrando tutta la sua bellezza.
Shanks trattenne un respiro stupito.
-Non noti nulla di strano?- domandò il vampiro reclinando leggermente la testa verso sinistra.
Il rosso rimase impassibile. Non si aspettava che l’altro fosse diventato così bello nel giro di una settimana; aveva un fascino sottile, diverso dal solito charme che poteva avere un qualsiasi essere umano. Non riuscì a proferir parola, nemmeno a muoversi, era come se fosse paralizzato dalla bellezza e dall’essenza oscura che Mihawk lasciava permeare.
-Ebbene si!- esclamò il vampiro non vedendo alcuna risposta dall’altro –sono diventato una creatura della notte. Devo dire che è tutto merito tuo, anche se in realtà avrei preferito continuare a passeggiare alla luce del sole come voi umani!- man mano che terminava la frase il tono si inaspriva e pareva che anche le fiammelle sentissero la rabbia in quella voce.
Shanks si mise a sedere, la schiena pigramente appoggiata ai lussuosi cuscini, il viso pallido. Riuscì solamente a balbettare una domanda –Come?-
Sollevò l’angolo della bocca in un accenno di sorriso –Ti interessa sapere come sono diventato quel che sono?-
Non riusciva ancora a pronunciare la parola vampiro; era difficile per loro, soprattutto se giovani, ammettere la loro natura.
Si accomodò tra le lenzuola morbide a fianco di Shanks, intrecciò le dita candide in grembo ed iniziò a spiegare con voce grave. –Dopo che tu mi hai lasciato in fin di vita in balia di quei sudici uomini credevo di soccombere, ma improvvisamente un’ombra è piombata dal cielo e ha letteralmente distrutto quegli individui, non ne ha lasciato nessuno in vita!-
Si fermò ripensando a quei momenti di sofferenza e di speranza, gli ultimi momenti di vita normale prima di essere tramutato in un trasformato, come venivano chiamati dal volgo quelli come lui. Pugni e stivali sudici che infierivano sul suo corpo ormai inerme, senza nessuna pietà, senza nessuna compassione per un ragazzo appena trentenne che stava per morire, e tutto per portare in salvo quella sgualdrina da quattro soldi che Shanks amava.
-Dopo averli uccisi tutti quanti mi ha guardato e, forse provato dalla compassione, ha compiuto il gesto più estremo che un vampiro potesse fare. Trasformarmi in uno di loro!-
Chiuse gli occhi e chinò il capo continuando la spiegazione –Ho passato tre giorni di agonia. I giorni che si passano prima della risurrezione. Per i primi due giorni la carne deve morire, per poi resuscitare il terzo giorno, divenendo la creatura incorruttibile che sono ora-
Il dolore dell’agonia gli bruciava nella mente come un ferro caldo impresso sulla pelle, come si usava per la marchiatura del più infimo schiavo.
-Ed ora…- mormorò ricomponendosi e tramutando il viso in una maschera di marmo neutra –sono venuto a vendicarmi per avermi abbandonato in quel vicolo quella notte!-
Gli occhi di Mihawk lampeggiarono.
-Non ti sei ancora cibato vero?- domandò Shanks noncurante della reazione del vampiro, che scosse la testa in segno di diniego.
Mihawk si avvicinò al rosso, che non si mosse neanche di un centimetro apparendo tranquillo. Con la nocca di un indice candido gli sfiorò la guancia, quella sfregiata, e gli spostò una ciocca di capelli ramati dall’occhio. Scese delicatamente dalla gota seguendo il percorso che le vene tracciavano sotto la pelle abbronzata del reggente; sentiva quel sangue pulsare sotto il suo tocco delicato, avrebbe potuto benissimo essere più avventato, ma una cosa che aveva imparato in breve tempo era il gusto che c’era nell’impossessarsi della propria preda in modo languido. In realtà era nella natura dei vampiri il fatto di attrarre i poveri malcapitati con la loro bellezza per poi finirli con un semplice morso, o come meglio veniva chiamato con un Bacio di Sangue.
Avvicinò la testa alla guancia di Shanks leccandola avidamente. Quel profumo intenso che il rosso emanava gli attraversava la testa provocandogli una dolorosa fitta; quel profumo che aveva sempre amato e che ora sentiva più forte.
Con le labbra delicate sfiorava quella pelle bruna soffermandosi nell’incavo del collo dove di lì a poco avrebbe scoccato il morso definitivo.
Leccava languido il collo del rosso, sentendo sotto la lingua il pulsare della giugulare, che gli avrebbe permesso di cibarsi.
-Un ultimo appunto- mormorò alzando la testa –ho notato che ti porti ancora appresso quella donna. Vedo che dopo averla salvata ti viene ancora a trovare tutte le notti. Spero che sia proprio lei a trovarti-
Shanks era di nuovo immobile, forse per la paura o forse per qualche altro motivo ancora sconosciuto.
Mihawk piegò la testa infilandola tra la spalla e il collo, pronto a lasciare il suo segno.
Il campanile della cattedrale risuonò le prime ore della giornata, bloccando la mossa decisiva del vampiro.
-Sta giungendo l’alba- quelle parole fuoriuscirono dalla bocca sorridente di Shanks, che molto probabilmente aveva calcolato tutto.
L’altro alzò la testa e si avvicinò alla finestra scostando lievemente le tende. Imprecò poco educatamente vedendo il cielo che iniziava a tingersi di rosa; l’alba era ormai imminente.
Uscì rapidamente sul balcone issandosi sul nobile parapetto che ornava il terrazzo.
-Per stanotte sei stato fortunato. Ci rivedremo presto!-. Mentre pronunciava l’ultimo augurio si gettò nel buio che stava scemando, dileguandosi rapidamente tra le case.

 
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