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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Cavalieri dello Zodiaco, I (Saint Seiya)
Titolo Fanfic: LA MIA RONDINE
Genere: Sentimentale, Romantico, Introspettivo, Song-fic
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, Shounen Ai
Autore: andromedashun galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 28/12/2010 18:15:12

Il tema stagionale era "rondini" e da tempo mi ronzava in testa una storia ispirata vagamente alla canzone di Mango che introduce la fanfic.
 
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LA MIA RONDINE
- Capitolo 1° -

La mia rondine


Ti vorrei, ti vorrei, come sempre ti vorrei
notte farà, mi penserai
ma tu che ne sai dei sogni
quelli son miei non li vendo

Che ne sai, che ne sai, chissà che mi scriverai
forse un addio o forse no
ma tu che ne sai dei sogni
...

nonostante tu sia la mia rondine andata via
sei il mio volo a metà
sei il mio passo nel vuoto

dove sei dove sei
dove sei dove sei dove sei
unico amore che rivivrei.

sai di vento del nord
sai di buono ma non di noi
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.

Non lo so, non lo so
quanto tempo ammazzerò
mio libro mio
non ti leggerò

baciandoti sulla bocca
lo scriverò un'altra volta.

nonostante tu sia la mia rondine andata via
sei il mio volo a metà
sei il mio passo nel vuoto

dove sei dove sei
dove sei dove sei dove sei
unico amore che rivivrei.

sai di vento del nord
sai di buono ma non di noi
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.

nonostante tu sia la mia rondine andata via
stessa luna a metà
sei nel cielo sbagliato.


(Mango - “La rondine”)




Lo guardo e la sensazione che mi sfuggirà, una volta di più, mi stringe lo stomaco e il cuore. Lui è così, ti sembra di averlo raggiunto, di poterlo stringere a te, di poter raccogliere le intricate sfumature del suo animo in eterno subbuglio e, l'attimo successivo, lui sguscia via, con il corpo e con tutto se stesso, geloso della propria, ombrosa, intimità.

E io mi chiedo come può essere così limpido l'azzurro dei suoi occhi, così luminoso l'oro dei suoi capelli e così immerso in un'inintelligibile tenebra il suo spirito infelice?

E' immobile sul prato, in piedi, gli occhi rivolti al cielo, somiglia ad un poeta romantico perso nella contemplazione di un misterioso infinito e come un poeta, come accade agli artisti smarriti nel proprio mondo personale, impenetrabile per chiunque, è distante da me, perché in quel suo mondo non accetta neanche la mia presenza.

Ci siamo avvicinati tanto Hyoga ed io, non avrei mai osato sperarlo, dal giorno del nostro rincontro alle Galaxian Wars e forse, davvero, non ho il diritto di pretendere nulla di più; eppure, ogni volta che mi concede qualcosa, mi illudo che il nostro percorso l'uno in direzione dell'altro possa giungere al definitivo, inscindibile contatto.

Invece mi concede un passo, poi mi respinge ad una distanza più incolmabile e il vuoto tra noi si intensifica.

Ma potrebbe anche essere che, in realtà, sia sempre tutto uguale e sono io a desiderare... a desiderarlo sempre di più... e per questo anche le mie sensazioni si amplificano.

E' primavera, la prima bella stagione da quando le nostre battaglie sembrano essere, definitivamente, terminate, ma anche in questo caso ho paura, non vorrei correre il rischio di illudermi e disilludermi ancora.

E' primavera eppure fa freddo e il vento danza con l'erba, accarezza i fiori appena sbocciati nel parco di questa gabbia dorata che è Villa Kido. Il mio corpo di saint dovrebbe aver imparato a sopportare i climi più rigidi e invece io patisco tanto il freddo... quello del clima e quello che assorbo dalle altre persone...da lui che dal gelo di Siberia sembra plasmato... la sua amata Siberia che, tanto spesso, mi rende geloso, anche se mi vergogno di provare un simile sentimento.

Il mio corpo è avvolto in una morbida felpa, ma sento il bisogno di stringere le braccia al petto quando mi assale una folata di vento più feroce, che mi fa rabbrividire; mi massaggio con forza le braccia, per trasmettere un po' di calore alla mia pelle attraverso lo strato di tessuto che non soddisfa il bisogno che ho di sentire calore.

Lui invece non si muove, nella sua solita maglietta blu, le maniche arrotolate sulle spalle, le braccia nude, forti, quelle braccia che vorrei mi afferrassero e stringessero forte, liberandomi da tutto il gelo che sento fuori e dentro di me.

I miei timidi passi non producono il minimo rumore mentre mi avvicino, per fermarmi al suo fianco, ad ammirare il suo profilo innalzato verso il cielo... il suo sguardo che non si accorge della mia presenza... che non vuole accorgersene. E io non parlo, timoroso all'idea di infrangere la sacralità di quella contemplazione.

Tanto per cambiare mi considero di troppo, non ho alcun diritto di invadere i suoi pensieri, non ho alcun diritto di pretendere nulla di più da lui.

Infilo le mani nelle tasche e distolgo i miei occhi, portandoli a terra, consapevole di sentirmi immensamente triste... e solo...

Non so perché... non dovrei... i miei fratelli sono al mio fianco, anche Ikki-Niisan... i cloth riposano nei loro scrigni da tempo...

Ma dentro di me le battaglie si ripetono, giorno dopo giorno nei ricordi e notte dopo notte, negli incubi.

“Shun...”

La sua voce giunge inattesa e mi spinge a sollevare il viso di scatto, per scoprire i suoi occhi, diamanti di ghiaccio che mi fissano, tra le palpebre un poco socchiuse... un'espressione così dolce, rivolta a me, e il cuore mi balza in gola in un moto di commozione.

“Hyokkun...”

Non so che altro dire, ma tremo e lui se ne accorge.

“Hai freddo?”

Mi stringo nelle spalle, nuovamente mi abbraccio, desiderando che a compiere quel gesto sia lui e sposto ancora lo sguardo verso il basso, perché non riesco a sostenere a lungo il suo.

“Non morirò di sicuro per questo.”

Spero che ribatta qualcosa, una frase tenera magari... o che faccia qualcosa... che mi circondi le spalle in un abbraccio e mi porti più vicino a sé.

Ma attendo invano e mi scopro a tentare di indovinare quale sia la sua espressione mentre mi scruta, cosa stia pensando di me; forse che sono ancora un fragile bambino che non ha neanche imparato a sopportare i disagi del corpo. Ma lui non può sapere che il freddo che sento viene soprattutto da dentro.

Sposto appena gli occhi di lato per cogliere, di sbieco, il suo volto... per vederlo già disinteressato a me; è di nuovo lontano, in quel suo mondo all'interno del quale non accetta nessuno. Ma sono io che, questa volta, non riesco ad accettare, perché ho bisogno della sua considerazione così disperatamente come dell'aria che respiro, non voglio stare senza di lui... e non voglio che lui stia senza di me, perché se io sono solo, lui lo è di più, lui si rifugia nella sua solitudine e, senza avvedersene, di essa si rende prigioniero.

Così non rispetto più la sua scelta e gli parlo, deciso, sentendomi al tempo stesso colpevole:

“Cosa guardi con tanta insistenza?”

“Le rondini stanno tornando.”

Con mia sorpresa mi risponde calmo, un po' avevo temuto che mi avrebbe addirittura ignorato o che si sarebbe rivolto a me come ad una una seccatura, lo fa a volte, forse senza rendersi conto di ferire, quando si sente invaso, oppresso da attenzioni nei suoi confronti che al momento non ha piacere di ricevere. Invece la risposta è neutra, non dura ma neanche affettuosa, come se in realtà non gli importasse, se la mia presenza gli fosse indifferente e, in qualche modo, la cosa mi addolora ancor più che se mi trattasse male.

“Il richiamo di casa è troppo forte per loro, tornare al luogo in cui sono nate...”

Sta parlando a me o, piuttosto, a se stesso? Me lo chiedo perché non dà davvero l'impressione di trovarsi al mio fianco, ma in un universo parallelo che lo isola da quello tangibile.

“Ed è... quello che vuoi fare anche tu, non è vero?”

Il mio volto si abbassa mentre, in perfetta concomitanza con la frase che pronuncio, giunge il pentimento per essermi lasciato andare in un modo che non avrei voluto: l'ultima cosa che desidero è dargli l'impressione che io voglia violare il suo mondo... non voglio essere io, per lui, una delle tante persone che gli pesa avere intorno a sé, non lo potrei sopportare. Forse per questo tento sempre di mantenermi una presenza discreta, pur seguendolo, in ogni sua mossa, ma da lontano, senza che lui lo sappia... spero che non lo sappia almeno. Ma, probabilmente, se si fosse reso conto di qualcosa, me l'avrebbe fatto capire, mi avrebbe forse assalito con i suoi rimproveri che sanno essere tanto taglienti da risultare insopportabili per chi, come me, desidererebbe unicamente il suo affetto.

La stretta delle mie braccia si fa spasmodica, tanto che arrivo vicino a conficcarmi le unghie nella carne e, quando trovo il coraggio di sollevare lo sguardo, incontro i suoi occhi, meravigliosi e dolorosi a un tempo, che mi fissano, un poco socchiusi, le sopracciglia aggrondate. Temo di averlo fatto arrabbiare e vorrei chiedergli scusa ma... la voce non esce... non esce per scusarsi quanto meno... perché le mie labbra si muovono e sussurrano qualcos'altro, che neanche io stesso mi sarei aspettato di poter dire:

“Perché? Perché ti fa così male restare qui?”

Le sue palpebre si stringono di più, le labbra diventano una linea sottile, una leggera scossa delle sue mani mi fa capire che le dita vorrebbero stringersi in pugni... e magari per colpirmi, ma non ho paura, non mi farebbe più male del pensiero di non vederlo per tanto tempo... forse per sempre. Sostengo il suo sguardo, anche se mi provoca tanta sofferenza è per me come una calamita alla cui attrazione non so assolutamente resistere.

“Cosa ti aspetti che risponda?”

Deglutisco al suo tono senza espressione, ancor più di quanto risulti il suo volto, i brividi che scuotono il mio corpo si fanno più intensi e questa volta non posso fare a meno di distogliere gli occhi, abbassandoli; non so neanche perché sto soffrendo dentro a tal punto... cosa mi aspetto? Mi aspetto davvero qualcosa? Lui si aspetta che io... pretenda qualcosa da lui?

Scuoto appena il capo, ma è ancora Hyoga a parlare:

“Se hai tanto freddo, sarebbe meglio che rientrassi.”

Ora lo so, decisamente aspettavo qualcosa da lui, quello che ho sempre aspettato: una sua parola dolce, un suo interessamento a ciò che sto provando e, invece, sembra che voglia consapevolmente ignorare l'angoscia che ho infuso nella domanda da me posta.

“Non posso rientrare perché...”

Mi blocco e ancora sollevo il viso, perché rivoglio la sua attenzione e voglio che mi guardi, voglio che noti la mia commozione infinita... e i miei sentimenti.

“...perché... se ora rientrassi e poi mi guardassi indietro, avrei il terrore di non vederti più... di non trovarti più...”

Mi sembra che la sua espressione non sia più così tagliente, ha assunto una sfumatura di morbidezza dettata dalla curiosità impressasi nei suoi lineamenti... o mi voglio solo illudere che sia così?

“Si può sapere cosa ti succede? Perché sei così strano?”

Davvero non si rende conto di nulla? Davvero non capisce?

Il groppo che mi ostruisce la gola vorrebbe sciogliersi, vorrebbe esplodere... io vorrei poter dare via libera al pianto gettandomi tra le sue braccia, ma non lo posso fare, se ora mi respingesse significherebbe il totale annientamento per me.

Sospiro, il mio volto torna a terra, scuoto ancora il capo in un breve cenno e mormoro una parola leggera come il volo delle rondini su nel cielo:

“Nulla...”

Poi gli do le spalle, se non me ne vado da qui finirò per crollare e, se crollassi, potrei ottenere soltanto di peggiorare la mia situazione; una gamba davanti all'altra mi impongo di muovermi, in realtà vorrei mettermi a correre ma sento le membra rigide come se fossero di pietra, come se nuovamente Algor avesse usato contro di me il suo terribile scudo. E poi, se mi mettessi a correre, come spiegare a Hyoga un atteggiamento che risulterebbe ancora più bizzarro?

Un altro passo... due... tre... e il mio braccio viene preso in una morsa che mi strappa un gemito dettato più dalla sorpresa che dal dolore.

Non oso voltarmi e guardare il suo volto adesso, anche se non riesco ad immaginare quale possa essere la sua espressione; mi tira indietro e mi trovo ad aderire con la schiena contro il suo petto così accogliente. Oh no, Hyoga, ti prego, se mi fai questo adesso io non credo che riuscirò a resistere!

Trattengo il respiro, quasi esternarlo significasse per me perdere totalmente il controllo, ho i nervi così tesi che mi fanno male mentre cerco di arginare le loro violente vibrazioni e sembrano sul punto di spezzarsi.

“Per favore, Shun, non rendermi tutto più difficile...”

E' supplichevole, adesso, il tono della sua voce, è dolce... ma non pronuncia le parole che ho sempre sognato di sentirmi rivolgere da lui; per questo il mio cuore perde un colpo, poi si mette a battere più forte, sembra volermi saltare fuori dal petto. Mi divincolo e so di avere perso, di dover ormai abbandonare tutti i miei propositi, perché le lacrime scorrono lungo le mie guance... neanche questa volta sono riuscito a resistere, a mostrare un briciolo di dominio sui miei sentimenti che si rivelano sempre così esplosivi... e tanto più forti di me, mi sconfiggono sempre.

E tra i miei sentimenti, come raramente accade, ora c'è anche la rabbia, tanta, anche se non riesco a capire se essa è rivolta più a lui o a me stesso. Mi dibatto con una tale forza che Hyoga, evidentemente, non si aspettava, così le sue braccia si allargano e io mi giro fulmineo, trovandomi faccia a faccia con lui; prima ancora che possa ordinare alla mia voce il contrario, essa esce, spezzata dai singhiozzi:

“Io... rendere tutto più difficile a te? Che cosa ho mai fatto, io, per renderti la vita difficile?”

No, così non va, non voglio apparire una vittima, non voglio piangermi addosso, non mi piace... ma mi sembra così ingiusta la sua incomprensione nei miei confronti!

“Shun...”

Un mormorio perplesso, indifeso... in questo momento, al giovane guerriero plasmato dai ghiacci si è sostituito un bambino fragile e così solo che vorrei stringerlo a me... non come un amante, ma come una madre stringe in grembo il suo bambino... per promettergli che non lo lascerà mai più. Le mie braccia si tendono, non è la ragione a comandare le mie azioni, e quando mai è stato così? Io posso solo farmi trascinare dal cuore, difficilmente riesco a fare altro... e quando mi rendo conto di ciò che sta accadendo, le mie mani sono già sollevate, su quel viso tanto più in alto del mio, posate sulle sue guance. Apparentemente lui rimane impassibile.

“Perché non vuoi che nessuno colmi la tua solitudine? Perché non vuoi... che almeno lo faccia io... o non mi concedi di provare?”

Le sue mani si innalzano, fino a sfiorare le mie, sembrano esitare qualche istante, poi le sue dita si chiudono, fanno forza sulle mie mani e le allontanano, è evidente che desidera interrompere il contatto da me instaurato. Lo sapevo, sapevo che l'avrei oppresso, che non avrei dovuto farlo eppure, nonostante tutto, mi ritrovo a non accettare il suo rifiuto e oppongo resistenza.

Si blocca e, per istanti che a me paiono infiniti, rimaniamo così, lui che stringe le mie mani per non lasciarle posare sul suo volto, gli occhi negli occhi, immobili, attimi sospesi senza che io possa prevedere cosa ad essi seguirà; per quel che mi riguarda potrebbero anche rivelarsi eterni, come se dopo non ci fosse niente.

Invece accade qualcosa che mi spiazza; Hyoga mi lascia e, in un gesto speculare al mio, questa volta è lui a posare le mani sulle mie guance e io sussulto, rabbrividisco ancora ma non di freddo, anzi, mi sento avvampare interiormente, una fiamma che arde, che brucia tanto da costringermi quasi ad urlare. Stringo i denti, serrò un po' le palpebre per trattenere le lacrime che vorrebbero sgorgare.

“Tu mi farai impazzire, lo sai leprotto?”

Quel nomignolo che usa spesso con me... frutto di un ricordo... dell'esperienza che forse maggiormente ci ha uniti... non lo sa che si tratta dell'arma con la quale riesce definitivamente a sconfiggere ogni mio tentativo di resistere ai palpiti del mio cuore.

“E' che...” bisbiglio tra i denti, ingoiando le lacrime, “... più il tempo passa e più mi è difficile fare a meno di te... io vorrei stare per sempre con tutti i miei fratelli ma tu... tu... non so come spiegarlo Hyokkun, è qualcosa di diverso, qualcosa a cui non riesco a dare un nome e che, quando diventa così intenso, mi fa tanta paura perché...”

Non mi consente di dire altro, sono costretto a porre un termine alle parole che pronuncio a precipizio, sconnesse, insensate; non ho la possibilità di rendermi conto del suo movimento, dell'abbassarsi del suo volto, non posso rilevare la frazione di tempo che passa dalla mia ultima parola all'attimo in cui le sue labbra si posano sulle mie. In ogni modo, il tempo non ha più alcuna ragion d'essere per me, potrei morire in questo medesimo istante.

Spalanco gli occhi sul nulla provocato dalla sorpresa inattesa, ma questo nulla si trasforma ben presto in tante altre cose, avvinto come sono dalla passione che mi afferra e mi trascina, facendomi affogare in questo bacio con il quale Hyoga sembra volermi impedire persino di respirare, nel tocco bruciante delle sue dita sul mio viso che mi stringono fino a farmi male e mi sollevano, senza che io riesca ad oppormi... senza che io voglia oppormi.

Cosa mi stai facendo, Hyoga? Perché? Lo sai che mi stai dando il colpo di grazia? Lo sai che da quel che mi stai donando adesso, io non mi libererò più? Da questo momento in poi io dipenderò dalle tue decisioni, potrai regalarmi la vita, o condannarmi alla morte dell'anima, perché con questo bacio mi stai dando tutto te stesso... e accettandolo, io, ti sto concedendo tutto me stesso.

Temo di non avere più consistenza dentro di me, sento le braccia che ricadono, inermi, lungo i fianchi, i miei occhi si chiudono e io mi reggo in piedi solo grazie alla forza delle mani di Hyoga sul mio viso, altrimenti, lo so, crollerei a terra, e resterei abbandonato come uno straccio, incapace come sono di conferire una qualunque reazione sia al corpo che allo spirito.

Di colpo, tutto finisce, lui si stacca da me e mi toglie ogni appiglio, quel che avevo temuto accade; ho le gambe così molli che non posso evitare di cadere in ginocchio, senza osare di aprire gli occhi, vedere i suoi, adesso, potrebbe condurmi al totale annientamento. Potrei dire che il mio corpo è assente, che non esiste in questo momento, se non fosse per le sensazioni così vive, il sapore delle sue labbra che è rimasto sulle mie, il calore delle sue dita sulla mia pelle... e le lacrime che mi solcano il viso, anch'esse caldissime... gli occhi mi bruciano e pulsano, in maniera insistente.

“Che cosa mi hai fatto, Shun? Io, non capisco niente...”

Quel che ho pensato, senza trovare la forza di esprimerlo ad alta voce, al tempo stesso lo pensa anche lui... ci riteniamo davvero vittime l'uno dell'altro? Vittime di cosa, poi? Di un sentimento talmente intenso da terrorizzarci? Un sentimento che sarebbe considerato, di fatto, proibito? Ma perché, allora, per me è anche tanto bello? Possono coesistere, insieme, tante emozioni così contrastanti?

Sì, a questo so rispondere, in fondo, per me, è sempre stato così, da quando combatto... la gioia immensa di poter servire Athena e l'angoscia altrettanto insopprimibile del dover affrontare tanta violenza, con tutto ciò che ne deriva... non vivo da sempre immerso, io, in una contraddizione che mi fa sentire spezzato in due? Quello che mi sta accadendo adesso è unicamente un tassello in più aggiunto alla confusione della mia esistenza.

Schiudo un poco le palpebre, la vista annebbiata dal caos emotivo oltre che dalle lacrime e lo vedo, come una maestosa creatura che torreggia su di me, sembra ancora più grande, immenso, adesso che sono in ginocchio, mentre lui, in piedi, mi osserva dall'alto in basso. La sua mano tesa compare davanti al mio naso:

“Dai, alzati...”

Riuscirò a muovermi? A sollevare il mio braccio e a posare la mia mano nella sua? Non è così difficile. Meccanicamente tento i primi movimenti, accetto il suo invito e lui mi trascina, fino a farmi alzare, sono così inerte che lo aiuto molto poco. Poi mi lascia, si volta:

“Scusami... sono stato uno stupido... non accadrà più niente del genere... te lo prometto, Shun.”

I miei occhi si aprono, in tutta la loro ampiezza, improvvisamente ritrovo la lucidità sufficiente per trovare assurdo il discorso che mi sta facendo.

Tutto qui? Perdonami... non accadrà più... ma cosa pensa... cosa vuole realmente?

“Perché... non dovrebbe più accadere?” mormoro io e ho la sensazione che le mie parole rimbalzino sulla sua schiena senza giungere affatto al suo udito. Invece ferma i passi che aveva intrapreso, pur mantenendosi di spalle.

“Tu... vuoi che non accada più? Lo vuoi davvero?”

Insisto, so che sto rischiando di andare troppo oltre, ma non l'abbiamo ormai superata la soglia? Non l'ha, dopotutto, superata lui?

“Io... non so cosa dire...”

Non posso vedere il suo volto, ma percepisco l'incertezza della sua voce, percepisco la sua paura... lui, il guerriero che, con volto impavido e ostentando una sicurezza che, probabilmente, come tutti noi, non ha mai realmente posseduto, si è sempre gettato senza reticenze incontro alla morte, in una situazione come quella in cui adesso ci troviamo è persino più spaventato di me. E' assurdo... noi siamo assurdi... cosa dovrebbe esserci, dopotutto, di così complicato?

Faccio un passo, giungo a sfiorarlo, allungo una mano, ma non oso posargliela sulla spalla:

“Io... so cosa voglio...”

La mia voce è più ferma di quel che avrei creduto e lui, finalmente, si degna di voltarsi verso di me e di guardarmi, non riesco ad interpretare se si tratti di uno sguardo in cui prevale rabbia, seccatura... o curiosità... eppure trovo la forza di ripetere:

“So cosa voglio... ma non so cosa vuoi tu...”

Le sue braccia si muovono con una tale aggressività che, per un istante, vengo colto dal timore che voglia colpirmi, invece mi afferra poco sotto le spalle, con foga, mi scuote un poco, appare sconvolto:

“E cosa vuoi tu? Dimmelo, una volta per tutte!”

“Davvero non te ne sei ancora reso conto?”

“Shun, tu... non capisci cosa significa tutto questo...”

“Non attribuire a me quelli che sono tuoi dubbi e paure. Per me significa solo una cosa, che non ha nulla di spaventoso, è anzi forse una delle più straordinarie che potessero capitarmi; ben altre cose spaventose abbiamo visto, nel corso della nostra vita!”

La sua stretta si allenta, improvvisamente pare quasi disarmato, schiude un poco le labbra, ma in questo istante sembra incapace di esprimere qualunque pensiero; si aspetta che sia io a prendere ogni iniziativa?

D'altronde, forse, è giusto così, in fondo lui, con quel bacio, ha preso la sua, mi ha aiutato a comprendere che le mie sensazioni non erano del tutto errate; mi ha fatto un regalo, il migliore che potesse farmi, anche se ora la paura lo porta a pentirsi e si tira indietro, vorrebbe rinnegare tutto, ciò che quel bacio ha significato per me e, spero, anche per lui. Ma io non posso permettere che le sue incertezze rovinino tutto! Per questo, in un impeto di orgoglio, prendo le sue mani tra le mie, anziché rifuggire il suo sguardo come la soggezione mi porta solitamente a fare, lo rincorro con insistenza, per poi fissare i miei occhi nei suoi.

Non è la prima volta che mi accade di trovare tutto il coraggio che mi serve in un colpo solo, quando la situazione richiede una svolta e tale svolta deve giungere da parte mia.

“L'impulso che ti ha spinto verso quel bacio può significare solo che anche tu condividi i miei sentimenti; e allora perché negarli o ritenerli spaventosi?”

Scuote il capo, malinconicamente:

“Vorrei possedere la tua capacità di rendere tutto così semplice, Shun.”

Sussulto appena, incredulo; mi sta dando del superficiale? O, forse, del bambino immaturo. La cosa mi ferisce, dimostra che, nonostante tutti gli sforzi che ho sempre fatto per mostrarmi in grado di affrontare questioni per me troppo dure da accettare, lui non ha poi una così alta opinione di me.

Come se mi avesse letto nel pensiero, con espressione contrita riprende, distogliendo un poco lo sguardo:

“Non intendevo dire niente di offensivo, Shun, sono stato anzi molto sincero; davvero lo vorrei, vivere tutti i sentimenti con la tua stessa purezza... e invece, non riesco ad affrontare con serenità neanche l'onore di essere tanto amato da una persona speciale come te...”

Questo non me l'aspettavo, fiacca nuovamente ogni mia buona intenzione di trovare le parole giuste; lui non se ne rende conto, ma quella che mi ha rivolto, con tono così infelice e dimesso, è un'autentica dichiarazione d'amore, la più toccante delle dichiarazioni d'amore.

Seguono istanti di sospensione assoluta e noi ci fissiamo negli occhi, finalmente vicini, lo sento, vicini come quando, da piccoli, ci scambiavamo confidenze negli angoli più reconditi dell'immensa reggia dei Kido. O come quando, nella casa di Libra, i nostri cosmi si sono fusi nella maniera più totale.

Attraverso il nostro contatto giunge a me il suo tremito, seguito da un cedimento nel quale mi trascina o, per meglio dire, dal quale mi lascio trascinare, accompagnandolo a terra, le mani ancora allacciate, gli occhi negli occhi...

E ci ritroviamo in ginocchio l'uno di fronte all'altro; le ultime parole sono le sue, gentili come le carezze che ho sempre desiderato ricevere da lui, ma tanto dolorose nella loro essenza:

“Un po' di tempo, Shun... dammi solo un po' di tempo...”

Mi viene da sorridere, anche se temo si tratti di un sorriso tinto di rassegnazione, dimesso, scortato da un sospiro; in fondo l'ho sempre saputo, non ho mai realmente sperato di trattenerlo, di convincerlo a non andarsene... tutto quel che ho ottenuto, forse, è una briciola di speranza in più.



***


Passeggio con le mani in tasca, senza scopo, da circa due ore, il volto sollevato in alto come lui quel giorno, ad osservare le evoluzioni delle rondini nel cielo; vorrei potermi librare in alto come loro perché forse, da un punto di vista sopraelevato, potrei vedere le cose sotto un'altra prospettiva, magari prendendomela meno, affrontando ogni giorno lontano da lui con maggior serenità e fiducia.

Sì, perché alla fine se ne è andato, come le rondini sono tornate da noi, allo stesso modo lui è tornato alla sua casa, l'unico luogo al quale, temo, sia sempre realmente appartenuto.

Le mani affondate nelle tasche, la mia espressione rivolta al cielo, i miei passi distratti, tutto in me deve apparire svagato e assente, ma magari dentro mi sentissi realmente così, almeno non passerei il mio tempo a rimuginare... su Hyoga sì... ma anche su tante altre cose, quelle medesime cose su cui rimugino da tutta la vita e che vanno a toccare il mio ruolo nel mondo, una posizione che ho sempre affrontato con un conflitto mai sanato.

Ho indosso la mia giacca color nocciola, abbastanza leggera da non risultare ingombrante ma calda a sufficienza in queste giornate che non si decidono a lasciare definitivamente spazio ad un clima tiepido; o sono io, dopotutto, che mi ostino a non percepire i frammenti caldi di un sole che mi appare ancora lontano, troppo lontano.

Lo so perché; il mio sole, quello che realmente illuminerebbe e scalderebbe le mie giornate, non è qui in Giappone, ma ha deciso di andare a riscaldare il freddo della Siberia... e chissà se tornerà mai. Il giorno in cui è partito ho tentato di non mostrarmi fragile davanti a Hyoga, le lacrime volevano uscire ma ho cercato di non rendergli tutto più difficile, come ama tanto spesso dire lui. Sono crollato dopo, all'aeroporto di Narita, alla vista dell'aereo che si librava alto nei cieli di Tokyo, portandolo via da me; sono caduto in ginocchio, reggendomi alla rete metallica, ignorando il dolore che sentivo alle dita.

Mi raggiunse invece il tocco della mano di Seiya sulla mia spalla; il mio fratellino, con la sua solare sensibilità, ha intuito più cose di quelle che voglia far credere e non se l'è sentita di mandarmi da solo a salutare Hyoga. Da quel giorno fa del suo meglio per non lasciarmi un momento, ma non unicamente lui... tutti sanno... hanno compreso... forse persino Ikki-Niisan che sembra aver messo da parte la sua gelosia per recarmi tutto il conforto possibile.

Sono davvero così egoista da non saper fare tesoro di quello che ho? Li ho tutti intorno, come ho sempre sognato, in pace, senza battaglie, senza il rischio di vederli cadere sotto i colpi di nemici troppo potenti... ma non c'è lui...

La mancanza di uno solo di noi è sufficiente a dare la sensazione che il puzzle delle nostre anime manchi di completezza; è così per tutti, ne sono sicuro, a tutti manca Hyoga... ma sanno affrontare la sua assenza meglio di quanto riesca a farlo io.

In fin dei conti, dopo quel che è accaduto tra noi, dopo la nostra reciproca confessione, mi sembra il minimo... lo sto pensando per giustificarmi? Perché, a dispetto di tutto l'amore da cui sono circondato, sento come se mancasse una parte fondamentale, essenziale di me? Perché sento che senza quella parte, quel particolare tassello del puzzle, io sono... vuoto dentro?

Mi fermo, ma il mio capo non si abbassa; i miei occhi si concentrano su una rondine, che sembra volersi lasciare guardare da me. La vedo andare e venire sopra la mia testa, dandomi l'impressione che stia tentando di parlarmi.

“Vuoi portarmi un suo messaggio? L'hai visto e lui ti ha parlato di me?”

Sono uno stupido; come può, quella rondinella, aver davvero attraversato i cieli di Siberia? Non merita lei, libera e al tempo stesso costretta ad affrontare ben altri problemi concernenti la sua stessa sopravvivenza, che io la investa con il mio malessere, non è giusto.

“Scusami...” mormoro sollevando una mano, tentando istintivamente di ridurre le distanze tra me e lei, di stabilire un contatto... e forse, tramite quel contatto... raggiungere qualcuno... rendere davvero la rondinella messaggera, l'anello di una catena con la quale avvincermi più strettamente a lui.

Mi viene da sorridere, perché, in uno strano gioco di specchi rifrangenti, mi scopro ad identificare quella rondine con il mio Hyoga... lui che è un cigno maestoso, che è tanto vicino alle creature signore del cielo, perché non potrebbe, per una volta, fondere il suo spirito con un uccello tanto più semplice ma che, in questo momento, mi sembra tanto in sintonia con la sua anima?

Una rondine che va e viene, che non riesce a mettere radici in un luogo, che forse non appartiene realmente a nessun luogo, perché l'istinto la spinge a spostarsi, anno dopo anno, seguendo ininterrottamente il ritmo delle stagioni, per una necessità interiore, un bisogno che, probabilmente, surclassa ogni volontà razionale.

E il bisogno che ha Hyoga di tornare in Siberia, supera davvero la sua volontà... forse una parte di lui vorrebbe fermarsi per sempre accanto a me... sarà questa parte abbastanza forte da farlo tornare?

Tornare... farlo tornare da me....

Non so reggere oltre, gli occhi mi si appannano, la rondine diventa un'indistinta macchia nera su uno sfondo azzurro, tra le chiazze verdi e marroni che prima riconoscevo come rami e foglie degli alberi. La mia voce si rompe in un'invocazione sconnessa:

“Torna... al nostro gruppo manca il frammento che lo renderebbe davvero speciale...”

Mi blocco, mentre abbasso lentamente il braccio ed il volto, serrando con forza le palpebre:

“Ma la verità è che manchi troppo a me... amore...”

Un garrito calamita la mia attenzione, spronandomi a sollevare nuovamente il viso; hai voluto chiamarmi, rondinella? Vuoi davvero dirmi qualcosa? O desideri semplicemente recare conforto ad uno sciocco, insignificante ragazzino, tu che, così piccola, sai elevarti al di sopra delle miserie umane ed affrontare la vita con tanto coraggio?

Infondine un po' in me di quel coraggio, perché sono tanto più fragile di te e, senza di lui, non so dove trovare la forza per andare avanti e per affrontare i ricordi che rischiano, giorno dopo giorno, di sopraffarmi. Se fondere il proprio cuore con quello di qualcun altro significa questo, significa stare tanto male quando l'altra metà è distante, allora, forse, sarebbe meglio non amare, tenere il proprio cuore tutto per sé... ma non sono mai stato capace di farlo, quindi è ancor più inutile porsi il problema; ormai dovrei avere imparato ad accettare definitivamente quello che sono, senza trovare sempre un nuovo alibi per odiarmi.

L'isolamento che mi autoimpongo, immergendomi tra alberi, cielo e rondini, è dopotutto dettato dal mio solito terrore di essere di troppo... di risultare insopportabile. E loro sono troppo abili, ormai, a leggermi dentro; se Hyoga fosse qui e se potesse conoscere i miei pensieri, forse poserebbe una mano tra i miei capelli, arruffandomeli con affetto e dandomi del piccolo stupido...

Ecco che il mio pensiero ritorna a lui... ma quando l'ha mai abbandonato? La mia rondine in un cielo sbagliato, perché non è lo stesso che posso contemplare io... non è lo stesso nel quale permetterebbe anche a me di volare insieme a lui.

Ho perso del tutto la cognizione del tempo, me ne rendo conto notando che sta lentamente scendendo la sera; le rondini si sono ritirate nei loro ripari notturni... tutte... tranne una.

“Sei ancora qui? Non vuoi lasciarmi come ha fatto lui? Hai paura di farmi del male anche tu? Ma non devi temere, sai? Io me la caverò, mentre tu non puoi trattenerti fuori fino a tardi, non saresti al sicuro...”

Per illudermi ancor più che il mio messaggio la raggiunga, ristabilisco il contatto esattamente come avevo fatto prima; sono razionalmente consapevole che non può realmente sentire la carezza della mia mano allungata verso di lei, ma non ho mai creduto che le leggi della ragione siano le uniche valide e nessuno mi convincerà di questo! Chissà che, davvero, in questo modo non riesca a far arrivare la mia carezza anche a Hyoga? In fondo, nella mia fervida immaginazione, la mia amica pennuta è il tramite tra me e lui, colei che mi sta aiutando a sentirlo più vicino.

Quando riabbasso il braccio, tuttavia, lei è scomparsa e il macigno di solitudine che, per un po', ero riuscito in parte a fugare, mi aggredisce con violenza tale da costringermi a portare la mano al petto, afferrando con forza il tessuto della giacca; sento il bisogno di sedermi e appoggio la schiena alla corteccia di un albero, lasciandomi scivolare a terra per poi rannicchiarmi sul tenero tappeto d'erba.

Anche i miei sensi scivolano via, vinti da un'ondata di sonno alla quale non so resistere. Così lascio ricadere la testa all'indietro contro il tronco e non ricordo altro, fino al momento in cui vengo svegliato da una carezza sul viso e i miei occhi si aprono sulle tenebre notturne, tra le quali intravvedo appena i lineamenti duri di un volto arcigno, ma da me tanto amato.

“Ti sei addormentato qui fuori, piccolo pazzo?”

“Ikki... Niichan...”

“Sei incorreggibile, dai, vieni qui...”

In questo momento non chiedo altro se non di potermi crogiolare nell'abbraccio di qualcuno che mi voglia bene, anche se non vorrei mai far preoccupare proprio lui, che ha in me la sua principale ragione di vita, ormai non prova neanche più a nasconderlo, né a se stesso né a me, me lo dice costantemente.

E comunque, ora non avrei la forza di rifiutare il suo appoggio anche perché, una parte di me, è consapevole che lo ferirei; il mio cuore ferito non desidera ferire a sua volta, proprio perché sa quanto si sta male... e soprattutto, preferirei essere torturato a morte piuttosto che ferire lui... il mio Ikki-Niisan al quale devo tutto.

Così lascio che mi avvolga tra le sue forti braccia, alle quali mi abbandono totalmente; non si limita a sostenermi ma mi solleva come se fossi una piuma e io poggio il capo sulla sua spalla, restando così, mentre mi trasporta fino in casa e mi deposita sul letto, tra le coperte. Poi, anziché andarsene, rimane lì a contemplarmi, con il suo sguardo che sa diventare, nei miei confronti, tanto tenero e intenso.

Gli sorrido più dolcemente che posso:

“Grazie, Niisan...”

Le sue mani si posano su di me e iniziano a sbottonarmi la giacca:

“Su, toglila...”

Lascio che mi aiuti a spogliarmi e a restare solo con i vestiti leggeri che ho sotto: in casa fa caldo, soprattutto il mio adorato fratellone mi riscalda il cuore e vorrei trovare il mezzo più efficace per mostrargli la mia gratitudine, meriterebbe ben altro che prendersi cura del mio umore deprimente:

“Mi dispiace così tanto...”

So benissimo che nessuna scusa è sufficiente, ma voglio almeno che lo sappia, che sia a conoscenza del fatto che io mi rendo conto di tutto e che sento quanto tiene a me, me ne rendo totalmente conto e vorrei tanto riuscire ad essere meno egoista.

Mi sollevo fino a mettermi seduto e abbasso lo sguardo sulle mani abbandonate in grembo, che si tormentano tra loro; la sua voce giunge alle mie orecchie:

“Se solo potessi stringere tra le mie dita la gola di quel maledetto Cigno, io...”

Mi muovo con uno scatto fulmineo verso di lui e gli poso una mano sulla bocca:

“No Niisan, ti prego!”

Si blocca, quindi prende delicatamente la mia mano e la scosta dal suo volto, permettendomi di scorgere le sue labbra piegate in un sorriso:

“Hai ragione... non sono poi proprio io a poter criticare gli altri... Chi ti ha causato più sofferenze di me, dopotutto?”

Scuoto con foga il capo, sono il genere di discorsi che meno vorrei udire da lui, ma ho la mente troppo confusa per trovare le parole adatte a ribattere; mi lascio così, come sempre, trasportare dall'istinto e mi getto contro di lui, circondandogli il busto con le braccia e nascondendo il volto sul suo petto.

Percepisco distintamente il suo condiscendente sospiro, cui segue la carezza che affonda, protettiva, tra i miei capelli.

“Cerca di dormire un po' adesso e non pensare a nulla fino a domani.”

Ho sonno in effetti, forse causato dalle contorsioni mentali in cui mi imbarco dal mattino alla sera; in battaglia non c'era tutto questo tempo per pensare... ma non oso certo dire che stavo meglio... non sarei tormentato dagli incubi se non fosse stato per quel periodo sanguinoso che ha caratterizzato gran parte della mia esistenza.

“Dormiresti con me stanotte?”

Lo sussurro piano, mentre la sua mano accompagna la mia testa sul cuscino; in sua presenza vengo vinto ancora troppo spesso da questa debolezza... da questa regressione infantile... o che più probabilmente vorrebbe ricondurmi ad un'infanzia che non ho mai realmente conosciuto. Averlo al mio fianco mentre dormo, ha la capacità di tenere lontani gli incubi che mi terrorizzano, dovuti a tutti i traumi accumulati.

Facciamo tutti brutti sogni a causa delle nostre esperienze passate, vissute in un'età nella quale gli esseri umani dovrebbero godere fino in fondo il loro essere bambini... spero, così, che anche a lui serva un po' la mia vicinanza... che dormire con me lo protegga dai suoi di incubi i quali, di sicuro, non devono essere meno spaventosi di quelli che tormentano me.

“Non ti lascio...”

La risposta culla il mio lento scivolare in un nuovo sonno, questa volta più tranquillo... non farò incubi, ma avrei tanto desiderio di trovare tutti i miei fratelli al risveglio...

Mi abbandono al nulla imponendomi di concentrarmi solo su Ikki-Niisan, per sfuggire al vuoto che mi assalirebbe se solo pensassi a un altro nome... a un altro volto che temo non abbia bisogno di me come io ne ho di lui.



***


Al mio risveglio, Ikki-Niisan è ancora accanto a me; ha davvero dormito tutta la notte al mio fianco. Il mio letto non è larghissimo, ma stringermi a lui è stato bello. Scopro con piacere che il suo braccio mi circonda protettivo e sorrido al suo cipiglio ombroso anche mentre è immerso nel sonno.

Tuttavia è tranquillo, direi sereno ed è un'autentica conquista.

Io invece, nonostante tutto, dopo l'attimo di tenerezza e sollievo che mi avvolge come il suo abbraccio, mi ritrovo immerso nel senso di mancanza che non mi ha più abbandonato da quando Hyokkun è partito... e che... lo so... non mi abbandonerà mai, se lui non dovesse tornare.

Sguscio con tutta l'attenzione e la gentilezza che mi è possibile dalla stretta di mio fratello; non voglio rischiare di svegliarlo, finché dorme così sta bene e non ho nessuna intenzione di turbare i suoi pochi momenti di tranquillità emotiva.

Io però non riesco più a stare a letto, il sonno è passato e se ora rimango qui, sdraiato, a far nulla, verrò sopraffatto dalla depressione; sono comunque un guerriero e non mi va di crogiolarmi nella mia angoscia senza affrontarla... negli unici modi che conosco... rendendomi quanto meno attivo.

Riesco nel mio intento e Ikki-Niisan rimane totalmente immobile anche mentre io mi metto in piedi, senza risolvermi a distogliere lo sguardo da lui: è troppa la tenerezza che mi trasmette, vorrei vederlo sempre così, lontano dai tormenti, dai problemi... dai sensi di colpa, soprattutto nei miei confronti, che vorrei trovare il modo di cancellare, tutti in una volta, perché entriamo entrambi in un circolo vizioso... se lui si sente in colpa verso di me, genera in me altrettanti sensi di colpa... e andiamo avanti all'infinito.

Non potremmo semplicemente smetterla, e vivere, insieme e in pace, come sempre abbiamo sognato?

La tentazione di posargli un bacio sulla fronte, o sulla guancia, è pressoché irresistibile, ma faccio violenza su me stesso e mi trattengo, se dovessi svegliarlo a causa di un capriccio non me lo perdonerei mai!

Così mi impongo di lasciarlo tranquillo e di distogliere, mio malgrado, l'attenzione da lui, anche se ricacciarmi nella mia triste realtà non è piacevole, per nulla.

Passeggio verso la finestra; ieri notte abbiamo lasciato le persiane aperte, così i primi raggi dell'alba si infiltrano attraverso le tendine senza alcuna difficoltà; mi avvicino e apro appena la vetrata, silenziosamente, un piccolo spiraglio che mi permette di infilarmici attraverso per raggiungere il terrazzino su cui la mia stanza si affaccia. Cammino fino alla balaustra di candido marmo e vi appoggio gli avambracci, sporgendomi in avanti, perdendo il mio sguardo lontano... vorrei che arrivasse tanto lontano fino ad incontrare due occhi azzurri che adesso staranno contemplando le distese siberiane con i loro ghiacci perenni.

Scuoto tristemente il capo, perché mi sto facendo pena da solo e, al tempo stesso, mi considero irritante e patetico, privo di considerazione per chi mi sta intorno.

Mi chino di più sul parapetto e appoggio il mento sulle mani, liberando un sospiro nell'aria fredda di questo mattino prossimo alla primavera. Però, questa volta, il freddo non mi infastidisce, non lo accolgo male, forse perché mi illudo che possa rinfrescarmi le idee rendendo tutto meno doloroso o, forse, perché, semplicemente, mi fa sentire più vicino a lui...

Lui è il gelo che, a tratti, si tramuta in una fiamma che divampa, incapace di contenere passioni troppo intense.

Un suono dolce mi giunge alle orecchie e sollevo il capo con un sorriso, riconoscendone immediatamente la fonte.

“Sei tu...”

La rondine garrisce ancora e voglio credere che si tratti di un saluto rivolto proprio a me, magari da parte di Hyoga.

La parte di me che ancora riesce a conservare una parvenza di razionalità mi spinge a ridere tra me di me stesso. E quella stessa parte è consapevole di quanto basse siano le probabilità che la creatura volteggiante sopra la mia testa sia la medesima rondine con cui mi intrattenevo ieri. Ma metto risolutamente a tacere quella parte, niente e nessuno, neanche la ragione e il senso pratico della vita potranno togliermi i sogni.

“Sono uno sciocco” mormoro rivolgendomi a lei, senza smettere di sorridere del mio autocompatimento misto ad una sorta di bizzarro orgoglio.

La rondine continua a volteggiare sopra ad un punto del parco che il mio sguardo non riesce a raggiungere.

“Cosa vuoi mostrarmi?” continuo quel singolare dialogo a mezza voce che, nella mia fantasia, lei sta intrattenendo con la mia persona.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo, mi arrampico fino a mettermi in piedi sul parapetto e, da lì, senza distogliere lo sguardo dalla mia messaggera, servendomi di tappe intermedie costituite dalle complesse architetture dell'edificio, giungo fino a terra, tra l'erba. Non è certo un problema per me e constato con piacere che non ho perso del tutto l'agilità inculcatami dal mio passato di addestramento guerriero.

“Ma perché devi sempre scegliere la strada più complicata?”

Sussulto, mentre dall'angolo della mansion che mi era celato alla vista, accompagnata dai voli della rondine nel frammento di cielo sopra di lei, sbuca una figura, con passi solenni, il viso momentaneamente oscurato da un baluginio del sole che, tuttavia, non mi impedisce di sorridere, incredulo.

“Era anche la via più breve però” sussurro con voce tremula, “e ora capisco che avevo i miei buoni motivi per fare presto...”

Allarga le braccia e, in pochi istanti, io sono aggrappato a lui e strofino il volto sul suo petto accogliente, inebriandomi nella stretta delle sue braccia forti.... e tanto per cambiare non so trattenere le lacrime che tuttavia, questa volta, sono liberatorie.

Rimaniamo così per parecchio tempo, non saprei dire quanto ed è lui ad interrompere questi istanti di sospensione:

“Vuoi restare aggrappato a me per sempre?” ridacchia.

Io non mi muovo e rispondo, restando assolutamente immobile nella mia posizione:

“Se mi stacco e sollevo lo sguardo... temo di vederti svanire... sono così propenso ai sogni che, a volte, non so distinguerli dalla realtà...”

Un'altra risatina dalla sua voce che non mi è mai sembrata tanto tenera; con gentilezza si libera dall'abbraccio, ma non interrompe del tutto il contatto, mantenendo le sue mani sulle mie spalle. Lo fa per mettere l'uno di fronte all'altro i nostri sguardi e ora posso vedere benissimo i suoi occhi che, stranamente, non mi appaiono gelidi, figli dei ghiacci tra i quali si aprirono per la prima volta, anni fa. Sono invece dolci, accesi di una luce che non ho mai scorto in essi.

Le sue mani si sollevano fino al mio viso, mi circondano le guance e sono salde, in quel tocco imprime una violenza che, lo so, è voluta, ma non con l'intento di fare del male.

“Continui a vedermi? A sentirmi? Sono concreto, leprotto? Ti sembro convincente?”

Non so che dire, la paura non mi abbandona del tutto ma, nonostante questo, annuisco e le sue dita accompagnano il mio cenno del capo, regalandomi una carezza che mi porta a chiudere un attimo gli occhi con un sospiro di beatitudine. Ma li riapro subito, non vorrei mai rendermi conto di essere immerso in un'onirica fantasticheria... e ogni gesto potrebbe confermarmelo, potrebbe farmi svegliare all'improvviso, portandomi ad urlare per la delusione che mi risulterebbe insopportabile a questo punto.

E' ancora qui... forse dopotutto è reale... meravigliosamente reale.

Lo fisso, con insistenza, come a voler imprimere ogni tratto del suo volto, ogni prezioso filo dei suoi capelli d'oro nella memoria... così, anche se dovesse svanire, i miei sogni saranno ancor più realistici.

Infine, le mie labbra formulano da sole una domanda che, in qualche modo, dà voce alle paure che non riesco a cacciare:

“Sei tornato... per restare?”

“Sono tornato perché neanche la Siberia era in grado di colmare quel vuoto che... un solo essere al mondo, ormai, sarebbe in grado di colmare...”

Non oso dare un'interpretazione alle sue parole, ho paura di indovinare il loro significato. E' ancora lui a volermi dare ineluttabili indizi, avvicinando le sue labbra al mio volto, a sfiorarmi l'orecchio, come a volerle rimarcare con assoluta certezza:

“Mi hai catturato, Shun... sono tuo prigioniero e... mai, in nessun modo, vorrei liberarmi dalla trappola che mi hai teso... sei quanto di più bello mi sia mai capitato nella vita e sarei uno sciocco a voler scappare da tanta bellezza...”

Non so cosa rispondere, se non con un sorriso che non si libera affatto dell'incredulità che mi porto dentro; dopotutto, credevo di essere io il suo prigioniero, che ormai tutto, in me, dipendesse dai suoi umori e dalle sue decisioni.

Ma forse, in fin dei conti, è normale... lui ama me e io amo lui... siamo prigionieri l'uno dell'altro... e al tempo stesso liberi di volare, finalmente, nel medesimo cielo, insieme alla rondine che ci saluta con il suo trillo felice.






 
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