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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: CRUSH/LOVE HURTS
Genere: Sentimentale, Soprannaturale, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: OOC
Autore: mauro-lain-1986 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 21/12/2010 00:27:08


 
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CRUSH/LOVE HURTS
- Capitolo 1° -

-Era molto che non lo vedevo- esordì P. tra l’imbarazzo tipico di chi deve per forza di cose rompere il ghiaccio in una situazione sgradevole o almeno non desiderata. – Già- rispose F. mentre con lo sguardo cercava di evadere anche lui dall’imbarazzo guardando le pareti bianche del corridoio in attesa che aprissero le porte. Mancavano pochi minuti, l’orario delle visite imponeva tempi serrati, specialmente per pazienti in condizioni così. – Anche io, l’ultima volta che abbiamo parlato è stato in banca, per puro caso ci siamo trovati a parlare, erano cose futili di tutti i giorni, non sembrava che fossero ormai quasi dieci anni che non ci parlavamo- V. con il suo tono consolatorio e altolocato cercava di riportare alla normalità quella situazione che di normale non aveva nulla. Anzi, in situazioni normali quei tre non avrebbero mai scambiato una parola, ne un saluto o un gesto di intesa. Erano passati anni da quando si potevamo considerare tutti uniti, man mano che passavano gli anni prima si sono formati i gruppi ma via via per un motivo o per un altro ognuno a cambiato compagnia, a “trovato la sua strada” si dice così quando qualcuno finge di essere quello che vuole essere. Mentre che si avvicinavano al corridoio si meravigliavano ognuno della presenza dell’altro, non sapevano minimamente cosa li aspettava arrivando lì, ma ognuno di loro aveva un motivo, e così andavano avanti e indietro lungo quel corridoio mentre i minuti passavano e rendevano pesante l’aria, carica di odore di disinfettante. -Da quanto tempo è così?- chiese V. – Ormai è un mese e mezzo- Rispose secco F. –La prossima volta di le cose come stanno, chiamale con il suo nome!- quella precisazione per lui era doverosa, il suo carattere che oscillava tra lo schietto e il cinico gli imponeva di dire sempre la verità, usare parole anche molto pesanti a volte, ma sperava sempre che non ci fossero fraintendimenti! –Non c’è bisogno di essere così duri. Non è facile per nessuno, e lo sai!- Rispose a tono V. Si guardarono, ma era più uno sguardo di intesa che di rabbia, cercavano qualcosa di familiare, un punto fermo in un mondo che gira senza tenere da conto la voglia e il bisogno che hanno le persone di fermarsi! -Tu P. quando è stata l’ultima volta che l’hai visto?- Continuò sempre V. –Qualche settimana fà, era venuto con F. a vedere un concerto dove suonavo anche io ma poi non l’ho più visto- V. annui con la testa. In quel momento F. si fece pensieroso, serrò le labbra e digrignò i denti mentre gli riaffioravano le immagini di quella serata! Dal fondo del corridoio scansando la gente che aspettava paziente di entrare si faceva strada a passi lunghi e decisi T. si avvicinò ai tre e con un gesto della mano salutò F. e prese posto in una delle sedie vicino la porta che tra qualche minuto sarebbe stata aperta dalle infermiere. Il silenzio ed il distacca tra loro si fece improvvisamente più ampio. Era la presenza di T. che con il suo sguardo impenetrabile lasciava gli altri pietrificati a chiedersi a cosa stesse pensando, su che cosa la sua attenzione in quel momento era focalizzata. Dopo qualche secondo alzò lo sguardo, e mentre si aggiustava gli occhiali disse a F. –La settimana prossima è il suo compleanno, hai pensato a cosa regalargli?- -No, non mi sono mai fatto questo problema, nemmeno quando potevo parlargli. Tu?- -Mi ha raccontato molte volte del suo “rito” e per tre giorni vorrei fargli vedere i soliti tre film.- F. annui ancora. Sapeva di quella sua grande passione, e soprattutto che riaffiorava durante questo periodo. Il suo lato sentimentale di colpo si svegliava durante ottobre, e la sua mente si caricava dei ricordi che più lo hanno colpito, ricordi di immemori cavolate fatte in giro con loro, con P. prima e F. poi. V. non sapeva nulla di tutto c’ho, si girò prima verso T. e poi verso F. che stava impazientemente guardando l’ora sul cellulare. Fece un passo per avvicinarsi a T. le tese la mano e la salutò –Noi non ci conosciamo!- -Si, se così si può dire! In un paese piccolo si conoscono tutti in fondo!!- -Si hai ragione.- Sospirò –Da quanto lo conosci?- -Sono solo 3 anni, ma alcune volte sembrava che ci conoscessimo da una vita. Siete fortunati, tutti e tre!- Non traspariva niente da quella voce, era così trasparente che non sapevano se quelle parole erano un rimprovero, o cariche di invidia. –Io non lo conoscevo bene, anzi, non lo conoscevo per niente, dimmi qualcosa su di lui!- Nemmeno finì quella frase che lo sguardo di T. divenne carico di rabbia –Se volevi veramente conoscerlo perché non gli hai mai parlato?- V. si bloccò. Erano quelle parole, ma anche il suo sguardo, così carico di risentimento e rabbia che fecero sentire V. così piccola da far affiorare ricordi che non pensava nemmeno di avere. Cos’era quella sensazione? Sembrava come avvicinarsi ad un pozzo così profondo da non poter vedere il fondo, la notte nera quando stai tornando a casa e non ci sono più lampioni che illuminano la via, era come se improvvisamente fosse tornata ad avere 6 anni! Ma era solo per un attimo, T. continuò –Già quando l’ho conosciuto probabilmente gli volevo già bene, e con il tempo ne ha fatte di cose per me, non mi chiedeva mai niente in cambio, forse voleva solo una cosa da me. Ma cosa vuoi farci.- -E cos’era?- -Non importa parlarne adesso.- -Era una questione privata?- -“E’” ancora una questione privata, non mi risulta che sia finita!- -Non è che sia così privata, in qualche modo riguarda un sacco di persone!- -Vi siete fissati che fosse così, e mi stupisce che proprio tu continui a dire e pensare queste cose.- -No, non è vero, non le penso.- -Non è vero!! Ancora adesso ti ostini a non dire la verità!- -Cosa ne sai tu della verità!?- -Ne so quanto te! Ho dato anche io parecchie cose per scontate con lui, ma non ho più voglia di nascondergli nulla!- -Nemmeno tu allora sei stata così una così una grande amica!- -Non fare semantica con me F.!! E’ passato quel tempo! Da un certo punto di vista non ero sua amica, non ero la sua ragazza, ma ero qualcosa che stava in mezzo a tutto questo, e se c’era confusione era proprio per questo! Ma non conta più questo! È cambiato tutto.- Di nuovo silenzio. Lontano pochi metri da loro stava il soggetto di tutte queste discussioni, inconsapevole di tutto, stava lì da più di un mese aspettando di trovare la forza per ammettere che non stava vivendo che un sogno. –Avete finito di discute?- P. era rimasto in silenzio a sentire gli altri parlare –Qualsiasi cosa dite ora non farà minimamente la differenza e di certo non vi farà stare meglio con la coscienza! C’è solo una persona con cui potete discutere di queste cazzate se ancora ne avrete voglia ed è lì dietro queste porte. E ora per favore, se proprio gli volete bene come dite state zitti!!- il tono raggelo tutti. Ogni discussione cessò e tra loro F. e T. ammisero che non era quello il modo di porre le cose. Più che la rabbia era il senso di colpa che parlava e così si dimostravano meno forti di quello che volevano far vedere. Un infermiera aprì la porta e così uno dopo l’altro entrarono. Attraverso un lungo corridoio a stento riuscivano a non guardare dentro le altre stanze. Solo T. che, ormai era di casa, filava dritta, e fu la prima ad entrare nella stanza. I quattro rimasero senza parole. T. era abituata a vederlo in quello stato e si preoccupava di fare tutte quelle piccole cose che faceva di solito, sistemargli i capelli, dare una piccola pulita nella stanza, e posare alcune cose sul comodino di fianco a lui. V. non sapeva come comportarsi, non era una situazione per niente facile, lo fissava, steso sul letto, immobile, con gli occhi chiusi, sembra quasi che stesse dormendo, il respiro regolare faceva muovere ritmicamente le coperte. Passarono alcuni minuti, T. si era accomodata su una poltrona nella stanza, seguiva con lo sguardo i movimenti degli altri tre; sembravano spaventati e curiosi allo stesso tempo, per lei fu difficile analizzare quei movimenti, nessuno si tradiva, né un gesto scomposto o una smorfia. Gli facevano quasi schifo nel loro rigido imbarazzo. V. andò vicino a T. –I medici sanno quando si sveglierà?- -No, hanno detto che in questi casi non si può sapere quando tutto tornerà come prima, se mai dovesse succedere poi!- -Non ci sono allora molte speranze allora- -Non si può dire, io non so se mai si sveglierà, potrebbe star facendo un sogno così bello che neanche la promessa di una vita migliore lo farà svegliare. Ma spero sempre che muoia il prima possibile- Era gelida mentre pronunciava quelle parole, tutti e tre la guardarono inorriditi, ma lei era convinta di quello che diceva. –Perché vuoi muoia?-Umpf –Sbuffò-Perché non voglio che ritorni qui solo per farsi riempire la testa di altre paranoie, delusioni…lo invidio sinceramente in questo momento, vorrei esserci io con lui in quel posto magico in cui non si prova dolore, non si soffre, e non bisogna per forza dividere le persone in categorie per uscirci insieme.- Un enorme vulnerabilità si era mostrata. F. avrebbe potuto affondare il coltello ma aveva capito che se pur in modo differente volevano la stessa cosa. –Anche io lo invidio- continuò P. –Da quando ci conosciamo mi ha invidiato molte cose, sembrava che volesse la mia vita più di ogni altra cosa. Ma non è per niente esaltante come immaginava lui- -Anche io- Fece V. –Io no invece!- tuonò F. –Stai mentendo- Intervenne T. –Lo sai cosa sta vivendo lì in quel sogno.- -No, non lo so. E nemmeno tu!- T. sorrise amichevolmente-Si che lo so! Ora finalmente è libero di ricostruire quella parte della sua memoria che aveva perso, sta sognando…- -Basta così!-F. la interruppe bruscamente-Tornerò quando non ci sarai tu a far finta di conoscerlo!- A grandi passi F. lasciò la stanza e si diresse verso le scale –Lo sai che sono sempre qui, non credere che non ti abbia mai visto girare qui intorno cercando la forza di entrare. Lui sarebbe venuto senza farsi nessun problema. Ti voleva bene lo sai no?! Io non posso lasciarlo da solo ancora più di così!- F. si era fermato ad ascoltarla, non era arrabbiato con lei ma probabilmente lo era con se stesso –Se mi hai visto allora sai quanto mi è costato avvicinarmi a lui.- -Aspetta. Ora non puoi dirmi che è stato difficile! O mio dio ma il mondo sta andando veramente a rotoli, questo doveva essere un gesto semplice non un impresa titanica. Credi che per me sia facile, eh?! O divertente, sai il coma fa così ridere!! Io sono qui da un sacco di giorni, e non mi lamento affatto, per quanto sia pesante vederlo in quelle condizioni, per quanto sia difficile far entrare la mia vita in questa situazione io ci sto riuscendo! Non far sembrare questa un’impresa impossibile! Ti stai preoccupando per un amico, ed è la cosa più ammirevole del mondo.- F. ci pensò su un attimo e poi disse –Perché mi sembra un discorso così familiare?- -Lui ti avrebbe detto le stesse cose non è vero?- -Si!- -Eh già…comincia a fidarti di me, e lascia perdere lo sguardo da duro!- -Ci vediamo domani- -Ok a domani!-

T. si stava rivestendo dopo la visita di controllo. –Tutto bene T. Tutte le cicatrici si stanno rimarginando bene. Non hai più giramenti di testa?- -No, no! Va tutto bene.- -Ok allora ci rivediamo tra due settimane!- -Arrivederci dottore.-. Era divertente, no per niente, potrei sorridere per un po’, almeno fino all’uscita, no non posso. Cosa provava in quel momento lo sapeva solo lei. Mentre camminava accarezzava le cicatrici che si sentivano appena sotto la maglietta, lungo il braccio destro, sulla spalla, e sul collo che andava dietro la schiena. Disegnavano la mappa di un brutto momento, ripensava, ripensava, c’erano dei giorni in cui le bastava chiudere un attimo gli occhi per rivedere quella scena infernale. Per due settimane aveva rimosso ogni ricordo, fino a che in piena notte non si svegliò piangendo per aver ricordato ogni dettaglio dell’incidente. Ora i giorni erano tornati normali, anche se privi di quel poco di sicurezza che si ha dall’aver avuto per un sacco di tempo una persona affianco. Tutte le persone erano così gentili, si prendevano cura di lei, anche sua madre e suo padre, la lasciavano dormire invece di mandarla a scuola. Il primo giorno era voluta andare, ma c’era un silenzio irreale sul pullman, nessuno sapeva come prenderla, che cosa dirle, così ignorò tutti. “Era così semplice” pensò? “Cosa diavolo significa tutto questo?” probabilmente era l’imbarazzo che fermava tutti dall’avvicinarsi. Ma era così, la vita andava avanti, i giorni passavano, la stagione stava cambiando, il vento faceva muovere velocemente le nuvole, era riposante, stava seduta al tavolo di un bar mentre sorseggiava una tazza di tè caldo, il vapore le appannava gli occhiali. Guardava tutto quello che si muoveva vicino a lei. Aveva ancora la tentazione forte di mettere la mano in tasca e prendere il telefono e scrivere un nuovo messaggio, mandarlo a lui, per sapere cosa stesse facendo, sapere se si sarebbero visti, o solamente per fare due chiacchiere. Faceva ancora fatica ad accettare il fatto che quella persona non avrebbe risposto, ma, c’erano delle volte che lo faceva ancora, il dito scriveva in fretta le parole, e poi lo inviava, ma nessuna risposta arrivava anche se aspettava ore e ore. Qualche volta si sentiva talmente sola che l’unica cosa che sembrava tirarla su era camminare per ogni vicolo di quel paese, il suo paese, il loro paese, ripercorrere tutte le strade che avevano già fatto migliaia di volte, conoscendo ogni imperfezione, e tutto per sentirsi per un po’ bene, per ricordare quella sensazione. Essere protetta? No, non quello, ormai non aveva più paura di niente, oppure era proprio quello?! Era il suo sostegno che le mancava? Una parola di conforto, una risata, o semplicemente qualcuno sempre disponibile a cui chiedere un favore. Cos’era quella sensazione che la stava invadendo mentre sorseggiava ancora quella tazza di tè? Non era proprio la solitudine che la stava invadendo da giorni ormai? La scacciava, ma era talmente pesante che ormai faceva una fatica immane a cacciarla fuori dalla sua mente. A chi chiedere aiuto ora? Aspettava quella parola di conforto guardando il display del telefono, mentre guardava ogni macchina che somigliasse alla sua mentre passeggiava o stava tornando da scuola. Anche li in quel momento guardava la strada aspettandosi di vederlo arrivare e salire in macchina e cominciare ad ascoltare la musica e viaggiare, kilometri e kilometri fatti insieme. Si sentiva impazzire. Si sentiva in trappola, stretta su ogni lato, piccola, dentro una scatola ancora più piccola di lei. Ma c’era un sollievo, lui le aveva insegnato a pensare positivo, e, quando possibile vivere una piccola illusione, sarebbe guarito di certo, si sarebbe svegliato un giorno, magari proprio in uno di quei giorni piovosi, che gli ricordavano i giorni della sua infanzia, avrebbe preso il telefono e come se nulla fosse accaduto gli avrebbe mandato un messaggio con scritto semplicemente “Buongiorno T. scusa se non ti ho risposto! Cosa mi sono perso?” aveva immaginato ogni cosa, e già si sentiva più felice, perché in quel momento anche se prendeva il telefono per rispondere non sentiva più il mondo stringersi su di lei, in quei minuti, vedeva la vita ricominciare, si immaginava mentre ripartiva, e fantasticava, viveva nei suoi sogni. e faceva meno schifo quella realtà che era priva del suo unico amico! Guardava il cielo, tirò su una bella boccata dell’aria fresca dei primi giorni di autunno. Pagò il tè e si incamminò verso la fermata dell’autobus! guardava la strada che spariva sotto di lei, mentre tornava a casa. Ascoltava i “Red Hot Chili Peppers” e improvvisamente quella strada che si perdeva tra i tornanti di montagna e i campi si distendeva e le sembrava di viaggiare lungo la 101. Un timido sorriso accese il suo volto, e accarezzare le sue cicatrici non aveva più un sapore amaro, ma adesso era rilassante, sentiva che si stava estraniando sempre di più dal mondo che la circondava, stava perdendo i contatti con il mondo, e non le dispiaceva, era così piacevole. Le parole di “Scar Tissue” le risuonavano nel cervello, si sentiva tutt’una con la musica e la sua immaginazione. Il mondo intorno non esisteva più la sua immaginazione ne aveva creato uno migliore, conforme ai suoi sogni, alle sue aspettative, era tutto così nuovo e scintillante, era sola, davanti a lei tutto un mare con l’acqua che sembrava quasi trasparente e una spiaggia bianca che si estendeva per kilometri, solo un albero nero attirava la sua attenzione. C’era qualcuno, era lui, guardava anche lui quell’albero. –Lo sai che non sono qui vero?- -Neanche io sono qui. Ma per me è lo stesso- -Quest’albero…Che cos’è?- -Non lo so- -Prima qui c’era una casa e una strada, invece ora solo questo albero tutto nero- -Quella era una tua fantasia- -Si, ma il posto è lo stesso- -Non ho fatto nessun cambiamento, è sempre stato così- -Certo!- Stava sorridendo, anche T. era contenta, erano vicini, tutti e due con lo sguardo rivolto a quel grande albero nero che ondulava al vento. –Sono contenta di essere qui, anche se tutto questo non esiste- -Chi te lo dice che non esiste- -Sei stato tu a dire che non siamo qui ora- -E’ vero, ma questo posto esiste, non esiste là fuori, esiste nella tua mente. Questo luogo è te stessa, sei tu che stai vedendo te stessa come in uno specchio.- -E tu invece che ci fai?- -Io sto resistendo, non voglio essere cancellato dalla tua memoria- -Ma…come farei a dimenticarti?!- -E’ inevitabile, tutti i ricordi passano, potrà volerci qualche anno, forse decenni, ma ti dimenticherai di tante cose, e anche di me. Non sorrideva più. T. sentiva di nuovo il dolore delle cicatrici. –Tocca qui- Gli prese la mano e la passò su tutte le cicatrici –Le senti non è vero? Cosa sono queste per te? È un tuo regalo che non posso dimenticare! Non si possono rompere, e non posso perderle, e sempre quando ho voglia di qualcosa di tuo le accarezzo. Tu sei dentro e fuori di me, come pensi che posso dimenticarti?- -T. io non voglio tornare a casa!- -Che cosa significa questo?- Si stava arrabbiando, le onde del mare erano diventate più alte e il grande albero si piegava sempre di più sotto la spinta del vento. –Cosa vuol dire “non voglio tornare” e allora tutto questo? Tutto il tempo passato vicino a te sperando che ti svegliassi, stai dicendo che è tempo perso?- -Io ho paura di tornare- -Ma paura di che cosa? Per favore, smettila di fare così, quante volte hai combattuto la paura, quante volte l’hai vista. E ora perché ti tiri indietro? Io voglio tornare a parlare con te, viaggiare con te…- -Potrei tornare, ma non mi basta.- -Cosa non ti basta?- -Tu, voglio che mi prometti una cosa- Afferrò T. la tirò a se e le sussurrò qualcosa nell’orecchio, il vento si stava abbassando, il mare era diventato di nuovo calmo. T. lo stava stringendo forte, il calore e la sensazione tattile che provava non poteva essere così tanto irreale. Cominciava a capire, non essere e essere contemporaneamente, la sottile linea tra la realtà e il sogno era così labile in quel momento che stava già dimenticando tante cose. La sua mente si stava riempiendo solo con le sensazioni e le immagini di quel momento, la luce, la sabbia, il mare e il grande albero nero. –Adesso devi svegliarti- -Ma non sto dormendo!- -Devi svegliarti apri gli occhi!- -NO!- -Io sono qui, torna a casa tua- Mentre sorrideva tutto si deformò, come uno schermo che perde la sintonia, T. amaramente tornava a essere la padrona della sua coscienza. Si stava avvicinando alla fermata dove doveva scendere. Tanta gente l’avrebbe guardata una volta in paese, ma non le importava. Il sole era già tramontato, e la temperatura si abbassava piano piano, dopo aver studiato e cenato si era chiusa dentro la sua camera. Quando era stata dimessa dall’ospedale aveva tolto tutto quello che le ricordava le altre persone dalla sua stanza, aveva cancellato ogni scritta e ora tutto aveva una precisa collocazione. Si stringeva sempre di più, seduta sul letto sembrava di nuovo bambina, poi ripensava a quelle parole che gli aveva sussurrato, un compito gravoso quanto necessario, voleva ribellarsi, ma era il suo primo favore, no, era il suo unico vero favore! Mai glie ne aveva chiesto uno così, mentre lei chiedeva e chiedeva molto spesso senza rendersi conto di quanto, delle volte gli pesasse. –Basta, basta- Stringeva i pugni e non voleva più pensare! Guardava lo specchio, prese il pennarello e scrisse “Noi non siamo qui”. Stava per strillare “fammi stare bene”, ma ancora prima che aprisse bocca era già calma. Era davvero dentro di lei allora. La aspettava su quella spiaggia, voleva fargli ritorno, ma chissà quando avrebbe potuto. Dopo tanti giorni finalmente dormiva un sonno senza sogni. Durante la notte accarezzava le sue cicatrici, credeva di perdersi in un sogno se non era attaccata a qualcosa di reale, e non c’era niente di più reale di quei segni che portava addosso.

Dopo un paio di giorni V. era tornata a trovarlo, non sapeva perché lo stesse facendo, non c’era un motivo, o è quello che lei raccontava a se stessa. Era seduta vicino al letto e lo guardava, T. stava seduta su una poltrona lì vicino, e intanto leggeva e guardava V. contorcersi nei pensieri mentre stropicciava la coperta. –Ti ha mai parlato di me?- -Si, una volta, ma non ha detto niente di che. Mi ha raccontato che vi eravate incontrati in banca dopo che erano anni che non vi parlavate! Lo sapevi che il suo pensiero fisso quando parla o gli vieni in mente è il fatto che tu sei bella per essere nata il giorno prima di lui?!- -Che cosa?- -Si! Beh devi capirlo, si è sempre considerato brutto, e non aveva per niente un alta considerazione di se, e diceva sempre “lo vedi un giorno che ti combina?”. Io l’ho trovato sempre molto divertente. Ma non credo che per lui sia questo gran problema!- -Si è vero. Un solo giorno di differenza, anzi è anche meno di un giorno, qualche ora! Ma non glie lo dire!- -Lo giuro!- V. sorrideva quasi in modo amaro, era ancora molto nervosa, continuava a stropicciare la coperta e lo guardava mentre respirava. –Da quanto siete amici voi due? - -Sono più o meno 2 anni, anzi, 3 anni!- -E quanto lo conosci?- -Lo conosco bene! Mi è stato affianco tante di quelle volte! Gli ho visto fare di tutto e ho visto tutte le sue espressioni. Si è arrabbiato solo una volta.- -E perché?- -Aveva perso le chiavi della macchina, anche un po’ per colpa mia. Ma poi si è risolto tutto e è tornato normale!- -Ah ok!- Dopo quelle parole T. si era messa a studiare V. le sue espressioni erano strane, sembrava che si stesse trattenendo, come se le mancasse l’innesco per cominciare a parlare. –Vuoi che esca dalla stanza?- -No no, non ce né bisogno! Non ho niente dargli, solo che mi sarebbe aver scambiato qualche parola di più con lui, alla fine cosa cazzo ci divide? Un solo giorno non è niente. - -Per lui un solo giorno significava quasi un fallimento.- -Un fallimento eh?! Non mettiamoci a parlare di fallimenti per favore. Io non so dove cavolo sto andando, ci credi che era meglio quando eravamo bambini?- -Si, ci posso credere- T. stava sorridendo, si ricordava che molto spesso lui le aveva detto che era meglio quando era ancora un bambino, quelle parole sembravano così familiari. –Lui mi diceva la stessa cosa!- -È quasi divertente lo sai. Adesso anche a me viene da sorridere. Cazzo quanto siamo ancora bambini. Io mi guardo intorno e penso sempre che non lo voglio un mondo come questo. Non era questo che sognavo, e non è per questo che sono cresciuta.- -Forse è compito vostro rimetterlo a posto. Siete le persone giuste che possono farlo. Siete rimasti gli unici a crescere con grande educazione e rispetto, ogni cosa ve la siete conquistata, avete lottato. Pensa questo, ora lo fate voi il mondo.- -Compito nostro?- -Certo, mi diceva sempre che eravate voi i migliori! Le generazioni che sono venute dopo lo hanno sempre deluso! Aveva anche fatto una teoria, quella dei quattro anni, una generazione simile alla vostra ogni quattro anni. Anche se io mi guardo in giro e comincio a pensare che aveva sopravvalutato la sua teoria.- -Che personaggio eh?!- -Si, veramente un personaggio.- -E’ il tuo personaggio o sbaglio?- -Per tanto tempo sono stata gelosa di lui. Lo quasi odiavo.- Si era alzata e si era appoggiata su davanzale della finestra, tutte le sensazioni che aveva provato qualche mese prima stavano tornando piano piano, la voglia di tenerlo legato a se, una gelosia talmente forte che quasi lo odiava. Odiare l’oggetto dei propri affetti era così strano che si sentiva ancora più male. –A ripensarci adesso odiavo me stessa. Lui non ha mai fatto niente per farsi odiare, era sempre così gentile- Sentiva su di lei le corde di questo legame stringersi, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva immagini di lui che si faceva in quattro per aiutarla. Si sentiva così colpevole. Passava le dita sulle sue cicatrici per chiedere scusa. Così silenziosa la sua vergogna scivolava attraverso la sua pelle –Non credo che ti debba disperare a questo punto. Se lui c’era sempre, ti aiutava, allora che problema c’è?- -Non è vero, il problema è che non so se mai per lui potrò essere ugualmente utile.- -Ma eri o no sua amica?- -Certo!- -In questo caso eri già utile. Un amico sta lì per aiutarti quando ne hai bisogno, per ridere con te e per tirarti su quando ne hai bisogno!- “Un amico” pensava. Pensava, pensava, un amico, era forse veramente solo un amico per lei?! –E se non fosse solo un amico?- -Vuoi che sia qualcosa di più?- Non rispondeva, non riusciva a pronunciare nessuna parola, non sapeva cosa dire. E dire che c’aveva pensato più di una volta. –Se me lo prendessi io…non avresti nessun problema, se fosse il mio ragazzo, cosa diresti?- -Cosa vuoi da me?- Si sentiva scuotere dentro, si stava arrabbiando, come quando qualcuno toglie ad un bambino il suo giocattolo preferito. –Tu lo stai solo usando, tutti quei favori e poi per lui cosa hai fatto? Torna a casa e lascia perdere questa storia- -Tu…- Le tremava la voce, si sentiva vibrare tutta.-Tu, cosa stai cercando di fare?- -Lo voglio, tu non lo meriti- -Tu che cavolo stai dicendo?! Tu che nemmeno lo conosci, cosa vuoi saperne?- -Tu hai fatto solo finta di conoscerlo, tu lo hai usato, tu non sei sua amica- Si girò verso di lei, T. era fuori di se, tutto il suo corpo era in tensione, ogni muscolo deformato, pronta a scattare -tagliati la lingua grandissima puttana, che lo sanno tutti che lo fai solo per i soldi. Io da lui non ho mai preteso nulla se non la sua amicizia e la sua presenza, sono anche arrivata a scacciarlo ma mi faceva così male che l’ho rivoluto a tutti i costi dentro la mia vita. Cosa cazzo ne sai tu di vera amicizia, tu che sei sola come la cagna che sei.- V. era pietrificata, sembrava che avesse davanti un mostro, non una ragazzina non ancora maggiorenne. Lo sguardo fiammeggiante, e i gesti che dissimulavano una rabbia che andava al di là di ogni ragione la facevano sentire tanto piccola da voler fuggire ma la inchiodavano sulla sedia senza via di scampo.-Non è vero io…- -Tagliati la lingua!! Non c’eri con lui quando ne ha avuto bisogno, quando si sentiva talmente solo che dentro di lui i suoi pensieri facevano così rumore fare un eco così forte da tormentarlo ogni giorno! Dove eri tu quando non si sentiva per niente legato alla sua stessa vita? Dove eri quando voleva solo essere salvato?- Bastava questo, V. si sentiva circondata, non poteva rubarlo a T. dopo che lo stava difendendo con tutta se stessa, T. avrebbe messo in gioco anche la sua vita per lui. “Io sono pronta a fare così?” pensò V. –Che..Che cosa vuoi fare?- -Io non farò nulla, voglio solo che lo lasciate in pace. So io di cosa ha bisogno ora. Né tu, né nessun altro lo sa!- T. era di nuovo calma, era tornata davanti alla finestra e guardava il traffico delle macchine che uscivano e entravano nel parcheggio. Passarono dieci minuti così. V. distese le pieghe che aveva fatto sulle coperte, riprese la borsa e disse rivolta a T. -Io vado a casa.- -Va bene, spero di rivederti- Girandosi scambiò un sorriso amichevole. V. si chinò e diede un bacio a lui –Spero che ti rimetterai in fretta!- -Quando sarà il tempo tornerà da noi!- -Come fai ad esserne così sicura?- -Io credo in lui- T. Tirò un sospirò –Tutte le volte che sembrava fare cose senza senso si è poi dimostrato avere un piano dietro. Io ho fiducia in lui.- -Ma come fai a parlare così?- T. Piantò per bene i piedi per terra e con uno sguardo senza emozioni la guardò negli occhi –Io so che è così, e anche se non è così fa lo stesso! Io spero con tutto il mio corpo che lui si svegli e venga da me, ma se non dovesse succedere allora io andrò da lui. Anche verso il nulla, ma andrò io da lui.- V. distolse lo sguardo da T. riflette un attimo prima di parlare. T. era così seria che merita una risposta altrettanto seria. –Se la pensi così allora non sei di certo sua amica. Sei la sua ragazza se sei così attaccata a lui!- -No, non lo sono, non glie l’ho mai detto, e non abbiamo mai parlato di questo.- -Per certe cose le parole non servono. Lascia perdere!- Dicendo così uscì dalla stanza. Cos’era lei in quel momento? Cos’erano quei sentimenti che le ribollivano dentro? Era amore? Lo fissò, e provò l’impulso di scappare, andare lontano e dimenticarlo, per un istante si sentì strana, senza una patria dove tornare, aveva perso ogni riferimento. Quei sentimenti la confondevano. Ma rimase dov’era non si mosse di un passo, anzi, si avvicinò a lui, gli si sedette vicino, gli accarezzò i capelli, la guancia e le labbra. Per la prima volta lo baciò. Sentì trasformarsi dentro di lei quel caos che aveva sentito, adesso sembrava tutto così chiaro e così ancora più confuso, sembrava di guardare dentro una nuvola di polvere, era piacevole, caldo, e tenero. -Hai le labbra screpolate brutto cretino!- Per lei viveva, ascoltava e capiva ogni cosa gli stesse dicendo. Di nuovo l’onda, la travolgeva voleva stringerlo a se, ma non poteva. Gli prese la mano e la strinse forte, come se volesse dargli la sua energia. –Svegliati idiota, torna da me- Voleva quel desiderio diventasse realtà appena finito di dirlo, ma non si illudeva nemmeno più, anche se voleva tanto che succedesse. La nuvola dentro di lei volteggiava, sembrava distendersi su ogni suo pensiero, su ogni preoccupazione, tanto da fargli desiderare di rimanere lì per sempre. Prese la borsa e uscì, doveva tornare a casa –Io vado a casa! Ci vediamo domani!- Fece una pausa –Spero di sentirti!- sorrise e si incamminò.

Quel giorno, il sole splendeva, anche se l’aria era un po’ fredda. T. stava in piedi sul balcone di casa sua, guadava il panorama che si allontanava oltre le case vicine. La vallata e le colline tutto intorno erano verdi e splendevano, l’aria era pulita e sapeva di quel poco di umidità che c’è nelle giornate senza vento. Non era andata a scuola quella mattina, aveva fatto colazione e si stava godendo un po’ di relax prima di mettersi a studiare ancora un po’. I capelli neri riflettevano la luce del sole, e la sua pelle chiara assorbiva un po’ di sole prima che l’inverno arrivasse. Tutto intorno a lei in quel momento si muoveva, chi lavorava e chi andava a scuola, era tutto così insignificante pensò! Entrò e cominciò a studiare e rivedere quelle cose che aveva fatto i giorni passati a scuola. Veloci i suoi occhi passavano sulle parole e sulle pagine, a differenza di prima aveva imparato a riflettere e a memorizzare. Dopo l’incidente aveva rimosso tante cose che ora non le interessavano più e riusciva più facile concentrarsi. Nessuno la disturbava, il telefono non vibrava più incessante come prima. Ormai tutte quelle persone erano diventate sgradevoli, certe le odiava fisicamente, aveva conservato pochi ricordi, ma delle persone era rimasto solo un vago ricordo, sua cugina le aveva raccontato tutto però! Dopo che aveva metabolizzato il ricordo dell’incidente, M.A. le aveva raccontato tutto. Lei faceva veramente fatica a ricordare. Le uniche cose chiare erano le cose fatte con lui, ogni istante era chiaro, ma tutto il resto era spento, come tante lampadine fulminate in mezzo ad un insegna luminosa. I minuti passavano e il cielo diventava sempre più scuro, le nuvole passavano veloci, forse avrebbe piovuto, ma le interessava poco. Sarebbe lo stesso uscita quel pomeriggio, doveva andare a casa di lui a prendere il suo portatile per portarlo in ospedale per regalargli la giornata con i tre film, anche se lui non li avrebbe visti o non li avrebbe nemmeno sentiti andava bene lo stesso, i dottori gli assicuravano che percepiva tutto quello che succedeva lì intorno e sentiva le voci, per questo è importate che qualcuno gli stesse sempre vicino. Erano da poco passate le 4, aveva pensato di aspettare per andare a casa sua, non voleva disturbare, era di famiglia prima, si trovava bene con loro. Da quando andava da lui per un semplice favore o per cenare tutti insieme la consideravano la sua ragazza. Si arrabbiavano tutti e due quando succedeva perché non era così, ma si arrabbiavano per motivi diversi, lui perché non lo era, e lei perché non poteva esserlo, il loro interesse in comune rendeva quella relazione impossibile fin dall’inizio. Era arrivata, aspettava un po’ davanti al grande portone marrone, era…intimidita come sempre, non si sentiva di fare la brava ragazza come aveva sempre fatto. Sarebbe stata attenta e gentile, sarebbe stata se stessa. Suonava il campanello, dopo qualche secondo rispose P. la madre di lui –Chi è?!- il tono era spento, e anche un po’ cupo –Sono T. posso salire?- Passò un secondo mentre tutte e sue si sentivano tese –Si! Adesso ti apro- Il portone si aprì subito, salì le scale e entrò dentro la casa di lui. Nonostante fosse molto tempo che non entrava lì non era cambiato nulla, era rimasto tutto al solito posto. –Ciao P. Come stai?- esordì T. una volta dentro –Eh…-tirò un amaro sospiro- non molto bene- -Dove sono gli altri?- -Sono tutti e due a lavoro- Rimasero un po’ in silenzio. –Vuoi qualcosa da bere?- T. Avrebbe voluto rifiutare ma P. si sentiva tanto sola che rifiutare quel gentile invito di rimare qualche minuto a parlare sarebbe stato da insensibile –Certo!- Rimasero per qualche minuto a parlare. Di cose come la scuola, e così via. La conversazione era più piacevole di quello che loro stesse credevano. –Grazie per la compagnia T. sei venuta per prendere il suo portatile, vero?- -Si! –è in camera sua pensaci tu!- -Certo! Grazie ancora!-. Attraversò il corridoio e arrivò subito nella sua stanza. Nessuno aveva toccato nulla. Il letto era rifatto, i vestiti messi in ordine sulla sedia e il portatile ancora aperto sulla scrivania tra lo stereo e i dvd! Aveva visto lui fare questi gesti tante di quelle volte che li riproduceva in maniera perfetta, chiuse il portatile e prese tutti i cavi. Mise tutto nella borsa che usava per andare in università e poggiò tutto sul letto mentre cercava i dvd con i film. Mentre cercava cominciò ad aprire tutti qui fogli che teneva ripiegati sulla sua scrivania. Erano i disegni che lei gli aveva fatto, era meravigliata che li aveva tenuti ancora. Sorrideva mentre li leggeva e si rendeva sempre più conto che era lui quello giusto, non voleva disperarsi perché era in quelle condizioni, ma era felice che dentro quel corpo che da più di un mese non si muoveva c’era l’anima della persona che probabilmente amava. Riposò i fogli come li aveva trovati, ne prese un altro e gli scrisse sopra “sono contenta che non siamo veramente padre e figlia, perché mi avrebbe fatto veramente schifo amare mio padre!” fece un disegno veloce, quasi uno schizzo, e mise quel foglio in mezzo a tutti gli altri in modo che una volta a casa e l’avrebbe trovato gli avrebbe fatto veramente piacere, e con lo zaino sulle spalle lascio la stanza, salutò la signora P. e uscì. Quel pomeriggio in piazza non c’era molta gente. Tirava vento e le nuvole coprivano il pallido solo autunnale che si andava spegnendo oltre l’orizzonte, era una scena che le piaceva, lei in mezzo a quella piazza così grande con il vento che la spazzava, gli faceva muovere la giacca. Si sentiva in un certo senso protetta, era forse quello stesso pensiero che la proteggeva, o chissà cosa dentro la sua mente le faceva avvertire quella sensazione. Dopo qualche minuto che aspettava guadando i sampietrini neri, era arrivato il pullman. Aveva in mente una canzone…“An End Has A Start” degli Editors, si adattava a quel tempo, non troppo cupo, pieno di umidità che presagiva pioggia, l’aspettava, la voleva, la chiamava. Voleva che lavasse tutto quello che di sporco c’era intorno a lei, perché proprio lei aveva fatto fuori tutto lo sporco che aveva vicino di lei.
 
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