da una serie originale:
"HALF DEMONS"
una fanfiction di:

Generi:
Sentimentale - Romantico - Dark
Avviso:
Coppie Yaoi
Rating:
Per Tutte le età

Anteprima:
Leggete e lo scoprirete... XD

Conclusa: No

Fanfiction pubblicata il 10/10/2010 17:02:54 - Ultimo inserimento 19/06/2011
 
ABC ABC ABC ABC



 HIS SOUL


Eccomi, finalmente sn tornata !!! XD
ecco a voi la mia nuova ff, questa volta sarà 1 po' + lunga (spero ùù)
xciò ora vi lascio alla lettura...

Enjoy ! ^^

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<center><b>99 anime</b></center>

Era appena l’alba di una mattina d’inizio dicembre. Il vento freddo dell’inverno soffiava fra le ampie vie di Bologna, tra le luci colorate delle decorazioni natalizie, che si riflettevano sulle vetrine dei negozi, filtrando appena all’interno di questi ultimi.
La prima neve era già caduta, lasciando nell’aria la sensazione che anche quell’anno ne sarebbe arrivata, come al solito, ancora. Ma c’erano persone alle quali tutto ciò non importava. Almeno... non più.

<center>* * *</center>

I suoi passi veloci risuonavano per i vicoli stretti della città, marcando la sua agile figura che si muoveva sinuosa tra i muri. Il fiato cominciava a mancargli; erano circa tre ore e mezzo che quei tizi lo seguivano. Si trattava quasi sicuramente di <i>human</i>, servitori di altri demoni, ma non ne aveva la certezza. Si voltò qualche istante, cercando di capire dove fossero, senza riuscire a localizzarli. Perciò decise di fermarsi. Non avvertiva più la loro presenza, e si sentiva terribilmente stanco; sebbene fosse un demone, aveva dei limiti anche lui. Si guardò intorno, provando a riconoscere il luogo in cui si trovava. Era abbastanza vicino al centro della città, e forse era quello il motivo per il quale gli <i>human</i> lo avevano lasciato stare. Per loro era impossibile avvicinarsi a quella zona. Se lo avessero fatto si sarebbero trasformati in sabbia, scomparendo. Molti suoi simili li utilizzavano per i loro scopi. Troppo pigri per compiere missioni “lievi” di persona. Spesso servivano anche più richieste da parte del Sommo Superiore, perché si decidessero a fare qualcosa. Ma lui non era mai stato così. Aveva appena terminato la sua novantanovesima missione. Ora gli mancava solo un’anima. Avrebbe dovuto attendere il segnale e l’avrebbe trovata. Il problema era proprio quello. A volte bisognava aspettare anche mesi, che per loro era molto più tempo del nostro, prima che qualcuno li invocasse. Per lui questo avvenimento si manifestava con l’illuminazione di un simbolo a forma di teschio stilizzato, all’altezza del cuore. In verità era solo un avvertimento in più: il sesto senso dei demoni è questo. Quel giorno Djibril sentiva una strana pressione sul petto. E aveva un buon presentimento, il che per lui era abbastanza strano: in due millenni di vita non gli era mai capitata una cosa del genere, e non sapeva di quale umore sarebbe dovuto essere stato. Decise quindi di non pensarci, e s’incamminò, a passo più lento stavolta, verso la sua meta.

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Si guardò attorno, assicurandosi che non vi fosse nessuno nelle vicinanze, e aprì la porta sul retro, ritrovandosi all’interno dell’edificio. Si trattava di un’antica chiesa sconsacrata, Santa Cristina. Si diresse verso il piccolo altare ancora integro e dischiuse una piccola porticina seminascosta che si trovava di fianco ad esso, per poi richiuderla dietro di sé. Scese una lunga e stretta scalinata illuminata da una luce rossa e sinistra, mentre uno <i>strano </i> calore gli attanagliava le membra. Gli parve di trovarsi in una fornace, come se quel giorno il caldo fosse ancora più intenso del solito, ma decise di non darci importanza. Percorse ancora alcuni gradini, fino a giungere dinnanzi a un ampio portone in metallo. Si chiese come facesse quest’ultimo a non sciogliersi a causa della temperatura, ma quando lo toccò per aprirlo si accorse che era gelido. Lo spinse in avanti ed entrò, ritrovandosi in un ambiente più freddo e buio, illuminato al centro dalla stessa luce rossastra che c’era sulle scale. Non riuscì a scorgere le pareti della stanza, data la sua grandezza, così decise di avviarsi verso la conosciuta direzione che già altre volte gli era capitato di percorrere. Avanzò nella semioscurità, fino a ritrovarsi davanti una figura di cui intravide appena il volto dalle sfumature rosse e nere e una parte del corpo, sottolineata dagli arti muscolosi che la luce rendeva surreali.

“Djibril... finalmente ti sei deciso a venire. Lo sai che al Sommo Superiore non piace aspettare, no ?”, domandò, con una punta piuttosto evidente di malizia nella voce.

“Ne sono perfettamente consapevole. Cos’è che vuole questa volta, Malakia ?”, rispose, senza scomporsi. Quel tipo gli dava veramente sui nervi quando faceva così, sebbene fosse uno dei numerosi conti, suoi superiori, direttamente agli ordini del Distruttore Supremo. Neanche fosse stato un principe.

“Non fare quella faccia, diciamo che superata quest’ultima prova, sarai libero. Mi raccomando, non dimenticare l’ anima.”.

“Ma che discorsi fai ?”.

“Mi ha anche detto che questa volta sarà molto più difficile. E tu lo sai che su questo non sbaglia. Mai. Mi raccomando, fa’ attenzione, Djibril. Voglio vederti andar via a testa alta... ”.

L’altro rimase interdetto per qualche istante, poi annuì.

“Non preoccuparti, non esiterò.”, asserì convinto, e aggiunse: “Ecco il rapporto.”. Gli porse una pergamena arrotolata, con un sigillo sopra, che il conte prese in mano, dopo di che lo salutò con un veloce gesto e si volatilizzò, lasciando al suo posto solo una nuvoletta di vapore nero, che si dissolse in qualche secondo, lasciando il demone da solo nella stanza. Si diresse nuovamente verso il portone e ripercorse a ritroso la strada fatta all’andata, ripiombando nel silenzio della chiesa, per poi ritrovarsi sotto un cielo plumbeo, dal quale continuavano a cadere fiocchi di neve, freddi e pungenti.

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Non dovette camminare molto per arrivare a casa sua. Tirò fuori il pesante mazzo di chiavi e aprì la porta, ritrovandosi in un’ampia sala, al calduccio finalmente, grazie a una stufa posizionata al centro della stessa. Si diresse verso la cucina, dopo essersi tolto gli abiti superflui, per preparare la cena; il sole ormai era calato e lui non vedeva l’ora di riposare un po’. Mangiò piuttosto velocemente, per poi chiudersi nella sua stanza. Si stava svestendo per infilarsi sotto le coperte, quando la sensazione provata quella mattina gli provocò una fitta all’altezza del cuore, costringendolo a sedersi sul letto e capire cosa stesse succedendo. Si guardò il petto: il simbolo si era illuminato. Qualcuno lo stava invocando.

<center><b>100 anime</b></center>

Djibril si ritrovò all'interno di un piccolo edificio che non aveva mai notato prima e che pareva essere spuntato fuori dal nulla, all’improvviso. Era in un ambiente angusto, sopraffatto da un pesante odore di sangue.

<i>‘Ma cosa... ?!’</i>.

Ogni pensiero s’interruppe, quando scorse nella penombra un’esile figura, seduta sul pavimento, in mezzo a tutto quel liquido rosso e denso, nel quale affondò le scarpe, camminando in posizione eretta, tra i numerosi cadaveri riversi per terra, fino a raggiungere quel fisico minuto, immobile in quello sfacelo.

“I - Io... io... li h - ho u - ucci... si tu - tu... tti... ”, balbettò con gli occhi pieni di lacrime fissi nel vuoto, davanti a sé. Avvicinandosi, Djibril notò che i vestiti erano tutti strappati e ricoperti, come il resto della stanza, dagli schizzi di sangue. Cercò con lo sguardo l’arma che avrebbe potuto usare, senza trovarla. Poi un’altra strana sensazione gli provocò una nuova fitta al petto, diversa, però, da quelle provate in precedenza. Avvertiva qualcosa di strano in quel ragazzo, misto a tanta tristezza. Qualcosa di terribile.

“T - Tu sei un... de... mo... ne... ?”, domandò appena, alzando lo sguardo e fissando i propri occhi in quelli del demone: erano di colore viola - blu, come l’oceano all’orizzonte. Djibril annuì scuotendo leggermente la testa.

“S - sai anche... cosa... d - desi... dero, ve... ro ?”, aggiunse.

“Si.”. A quelle parole il piccolo chiuse gli occhi, lasciandosi prendere in braccio. Improvvisamente, dalle finestre rotte dell’abitazione, fuoriuscì una luce bianca e accecante. Poi i due scomparvero, senza lasciare traccia.

<center>* * *</center>

Il mattino seguente il demone si alzò per primo. Dopo essersi assicurato che il suo giovane ospite stesse ancora dormendo, decise di preparare la colazione. Apparecchiò la tavola, aspettando che il pane cuocesse, poi portò le vivande nella sala da pranzo e andò a svegliare il ragazzo. Lo scosse dolcemente e attese che quest’ultimo aprisse gli occhi. Le lunghe ciglia nere che gli incorniciavano gli occhi si schiusero appena, rivelando le iridi blu - viola.

“Buon giorno.”, mormorò, sorridendo, e facendo sussultare appena il più piccolo.

“…”.

“Dai, andiamo a fare colazione.”, aggiunse, scostando le coperte, in modo che potesse scendere dal letto. L’altro lo seguì sbadigliando, per poi sedersi al tavolo e prendere il pane con sopra la marmellata. Djibril sorrise dentro di sé, contento che la colazione fosse piaciuta.

“Posso chiederti come ti chiami ?”, domandò.

“Lu - Lullaby.”, rispose, con una punta d’incertezza nella voce.

“È un bel nome. Io sono Djibril.”.

“Non sembri un demone... meglio così. Riguardo al mio desiderio... ”, aggiunse con un filo di voce, abbassando la testa.

“Quando vorrai. Io provvederò a cancellare il tuo ricordo dalla mente di tutti, ma solo dopo aver recuperato i Sette Rotoli. Quello che vuoi è scomparire, giusto ?”, asserì. L’altro annuì scuotendo appena la testa. Finì di mangiare, dopo di che si alzò e si diresse nella proprio stanza. Djibril si alzò a sua volta per sparecchiare, il più velocemente possibile, e dirigersi poi verso la camera di Lullaby.

<center>* * *</center>

“Posso entrare ?”, domandò bussando. Non ricevette risposa, così aprì la porta ed entrò. Il ragazzo era sdraiato sul letto, a pancia in giù, con la testa appoggiata sul cuscino. Il demone si sedette di fianco al più piccolo, accarezzandogli i capelli corvini che gli ricadevano dolcemente sul collo, appena sopra le spalle.

<i>‘Voltati Lullaby, mostrami i tuoi bellissimi occhi... !’</i>. Non appena ebbe formulato questo pensiero, la stessa strana sensazione della notte prima si manifestò attraverso quella nota fitta al petto. Scostò la mano dalla testa del più piccolo e la appoggiò sul cuscino, cercando di contrastare quel male che gli attanagliava le membra. L’altro si voltò.

“Cosa c’è ?”, domandò perplesso, rilevando un’insolita nota di dolore negli occhi azzurri dell’altro, nascosti appena dai ciuffi di capelli corvini che gli incorniciavano il volto pallido.

“Non ti preoccupare, non è niente.”, rispose, appena gli fu concesso. Lullaby sorrise. Era la prima volta che sorrideva, il che lasciò il demone interdetto per qualche istante.

“Posso sapere perché prima hai fatto quella domanda ?”, domandò. Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato, poi il ragazzo sollevò il volto e si decise a parlare.

“Ieri... ti ho detto che gli avevo uccisi tutti... io. Da solo. Senza nessun’arma. Per questo... ”.

“Come sarebbe a dire <i>senza nessun’arma </i> ?”, chiese ancora l’altro, senza capire.

“Insomma... e come se a volte non fossi più in me. Come se il mio corpo agisse da solo e... ”. La frase gli morì in gola, sopraffatta dalle lacrime. L’altro lo abbracciò, cercando di placare i singhiozzi: non capiva perché, ma si sentiva pienamente responsabile di quell’essere sensibile e indifeso, possessore di un potere troppo grande per lui. Che gli aveva fatto una richiesta apparentemente impossibile. E che avrebbe dovuto accompagnare nel suo ultimo viaggio. L’ultimo e il più pericoloso.
Appena i gemiti si furono calmati, il ragazzo allontanò il volto dal petto del demone e lo fissò negli occhi, cercando una risposta alle sue paure nelle iridi azzurre dell’altro. Djibril non sapeva cosa dire: in tutta quella sua lunghissima vita, non gli era mai capitato di incontrare una persona così. Mai. E non sapeva cosa fare. Aveva paura che qualunque cosa avesse detto si sarebbe rivelata inutile, o di troppo.

“Perché non dici niente ?”, domandò a bassa voce Lullaby, riaccostandosi al petto del demone, per poi soffermarsi sul simbolo del teschio che s’intravedeva dalla camicia appena aperta.

“Anch’io ho questo simbolo... ”.

“Come, scusa ?”.

“Questo teschio, all’altezza del cuore... ”, spiegò, sbottonandosi la camicia e mostrandogli il medesimo segno, nello stesso posto. Djibril lo fissò a lungo, senza sapere cosa pensare, dire o fare.

<i>‘Ma cosa... ?! No, non è possibile ! Non può essere ! È assolutamente I - M - P - O - S - S - I - B - I - L - E !’</i>.

Lo sfiorò, leggermente, con le dita, avvertendo ancora quella profonda fitta al petto, la quale lo costrinse nuovamente ad accasciarsi appena sulle coperte, sotto lo sguardo preoccupato del più piccolo.

“Djibril... vuoi spiegarmi cosa c’è ??? Si vede lontano un miglio che non sta bene ! Djibril ?”, domandò, con un’evidente punta d’ansia nella voce, prendendogli il volto tra le mani e avvicinandolo al suo. Sentiva il suo respiro fresco e caldo allo stesso tempo lambire i suoi capelli.

“Djibril... ”, mormorò nuvamente, attendendo una risposta. L’altro, dal canto suo, continuava a fissarlo, ammutolito. Lullaby passò le proprie dita sulle labbra rosee del demone, chiudendole, premendo appena con l’indice, senza staccarlo dal suo volto. Djibril schioccò un bacio leggero, appena accennato, leccando dolcemente la pelle diafana del ragazzo. Poi sorrise.

“Adesso sto’ bene... ”, mormorò, avvicinandosi al più piccolo e stringendo la sua esile figura tra le proprie braccia. L’altro rispose all’abbraccio cingendogli i collo e avvicinandosi ancora di più al suo corpo, che continuava a emanare calore. Rimasero così, immobili, per un tempo che parve loro infinito. Dopo di che il demone scostò appena il volto, sciogliendosi lentamente dalla stretta del ragazzo e lasciandogli un umido bacio impresso sulla guancia, sorridendo dolcemente. Poi si alzò dal letto e scomparve dietro la porta della stanza, lasciando Lullaby da solo nella sua camera, a contemplare il vuoto davanti a se, passandosi la mano sulla guancia, dov’era rimasto solo il ricordo delle labbra del demone. Sorrise dentro di sé, poi si alzò, dirigendosi verso il balcone. Forse aveva bisogno di un po’ d’aria. O, più semplicemente, di qualcuno.

<center><b>1 anima</b></center>

Il demone si guardò allo specchio, in bagno: non aveva affatto una bella cera. Si sentiva... diverso. Ma non era per il suo malessere. Non era per le continue fitte al petto. E neanche perché era un demone. Non riusciva davvero a spiegarselo. Si passò una mano tra i capelli corvini, massaggiandosi le tempie.

<i>‘La sua anima... ha qualcosa che non va’. È diversa, sì, ma non è solo questo: è pura. E ciò è impossibile ! Chi invoca un demone NON PUÒ avere un’anima pura. Non può. E poi... ha il mio stesso simbolo. Mi auguro che non sia ciò che penso, altrimenti... sarebbe davvero un problema !</i>’, pensò preoccupato. Ogni demone è capace di risalire a questo tipo di dati semplicemente attraverso l’anima che possiedono. Eppure Djibril non ne era convinto; doveva esserci una soluzione migliore. Sì, ne era sicuro. E non si sarebbe certo tirato indietro. Voleva assolutamente scoprire cosa c’era dietro. Arrivare in fondo a quella storia e uscirne con in mano la <i>verità</i>. Senza accorgersi che, in realtà, lo stava facendo per Lullaby. Si era ripromesso di non lasciarlo mai solo e non lo avrebbe fatto. Arrivò, anzi, quasi a dimenticarsi che la sua anima gli apparteneva, poiché, in fondo al suo cuore non avrebbe mai voluto <i>davvero</i> divorargliela. Anche se non era ancora convinto del perché. Decise di non darci peso; preferiva attendere prove più concrete, solo allora avrebbe potuto fare qualcosa. Si scosse qualche secondo, alzando lo sguardo, poi aprì la porta del bagno e uscì dalla stanza, dirigendosi verso la cucina: era quasi mezzogiorno e doveva ancora preparare il pranzo. Appena entrato trovò ad attenderlo Lullaby, in piedi vicino ai fornelli, su cui era posata una pentola piena d’acqua, nella quale stava cuocendo della pasta.

“Spero ti vada bene: preferisci il pesto o il ragù ?”, domandò sorridendo, voltandosi verso il demone. Djibril lo guardò tra lo stupito e il divertito, avvicinandosi e prendendo la minuta mano del ragazzo nella sua, muovendo il mestolo in senso orario, continuando a stringere delicatamente le dita del giovane attorno al ramaiolo. Lullaby si sollevò appena sulle punte dei piedi, lasciando a sua volta un dolce bacio sul volto pallido del demone, che si voltò di scatto, sorridendo e avvicinandolo a sé, lasciando che gli cingesse la vita con le braccia, mentre continuava a spiegarli come cucinare.

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Beh, ke dire, spero davvero ke vi sia piaciuta XD
al prossimo chappy ! ^^
*commenti*

Arigaton !




...Continua nel prossimo capitolo


 
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