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Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: IL CONFINE DEI SOGNI
Genere: Giallo, Avventura, Fantascienza, Soprannaturale, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Autore: hachi87 galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 01/10/2010 01:05:13

Un sogno mi ha sconvolta, e volevo esorcizzarlo in qualche modo.
 
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CAPITOLO PRIMO
- Capitolo 1° -

Nel parco della città c'era una strana aria.
Il cielo plumbeo rifletteva gli animi della gente che avevo intorno.
La mia amica Simone sedeva su di una panchina ricavata da un tronco d'albero. Teneva le mani lunghe e affusolate l'una intrecciata all'altra, quasi stesse pregando. Strana cosa, visto che era stata fino a quel momento la persona meno religiosa che conoscessi.
I capelli lisci e castani incorniciavano il volto pallido, dove risaltavano degli occhi grigi solitamente vivaci, che in quell'occasione però sembravano uno specchio del cielo sopra le nostre teste.
La tensione era palpabile, restare lì era una tortura.
Continuavamo a parlare del team tedesco che stava lavorando chissà dove in città.
C'erano ben diciannove bombe APB. Che merda vivere in quest'epoca. Una bomba che uccide solo esseri umani. Antipersonnel Bomb. Uccide è un eufemismo, visto che passi dall'esistenza alla non esistenza in un secondo, e se nel mentre stai leggendo un giornale, quel cazzo di giornale rimane lì, indifferente, come se fosse sempre stato in quel posto, e tu non ci sei più.
La paura era l'unico sentimento che si leggeva negli sguardi di quel manipolo di gente lì radunata, e continuare a parlare di quei discorsi mi faceva solo stare peggio.
Guardandomi intorno vidi una bambina, sola, che si guardava le scarpe, lievemente impolverate dalla sabbia dei sentieri.
Mi fece un po' pena, lì sola, così piccola, e con una così grande paura intorno a lei... Decisi di avvicinarmi, e di tenerle compagnia.
- Ciao. - mi limitai a dire, sedendomi accanto a lei sulla grossa panchina blu di metallo scrostato. - Vuoi che resto qui con te?
La bambina mi guardò appena, i capelli lunghissimi le si piegavano in grembo. Sorrise lievemente, e scosse il capo.
- Andiamo sull'altalena.- mi rispose con voce dolce, pacata.
La seguii senza rispondere nulla, e presi posto nell'altalena accanto alla sua.
Dopo aver dondolato appena puntellando sui piedi, con le mani agganciate alle catene avvolte in gomma giallastra, incuriosita le chiesi:
- Perché sei voluta venire qui sull'altalena?
Lei esitò qualche momento, guardando nel vuoto, pensosamente. Poi, mirando davanti a sé e dedicandomi giusto uno sguardo fugace, mi rispose semplicemente:
- Perché se devo morire, preferisco farlo mentre sto facendo qualcosa che mi piace.
Quella risposta così semplice e logica, mi fece appena sussultare il petto.
Aveva ragione, quella bambina. La semplicità di quel desiderio mi colpì.
Decisi di tornare a casa, e lasciai lì i miei amici senza nemmeno salutarli.
Anche io volevo fare qualcosa che amavo.
Presi l'ascensore, sempre con quella sensazione di sospensione perenne. C'era un tale silenzio che potevo sentire tutti i rumori degli ingranaggi che macinavano sopra la mia testa.
Arrivai al mio piano, ed entrai in appartamento. I miei genitori e le mie sorelle non c'erano. Sembrava quasi che fosse obbligatorio rimanere soli, ognuno a torturarsi per conto proprio.
Presi il cellulare e andai sul terrazzino della cucina. Da lì si vedeva tutta la città. Da quell'angolo di periferia si vedeva proprio un bel paesaggio.
Composi il numero del mio ragazzo, con le dita che mi tremavano appena. Avevo litigato con lui una settimana prima, e ancora non ci eravamo sentiti. In certi momenti ti accorgi di quante cavolate ci fanno arrabbiare e perdere l'occasione preziosa di amare ed essere amati.
Sentii il suono della linea libera, e con il cuore in gola attesi che rispondesse. Speravo che non riattaccasse, mi sentivo troppo sola. Ma rispose.
- Ciao Lisa - si limitò a dire, ma non con il tono secco che mi aspettavo. Era la voce di chi aveva aspettato fino a quel momento, un misto di impazienza e sollievo.
- Ciao amore - dissi io, e non mi riconobbi, perché la mia voce era flebile e timorosa, quasi spezzata.
Cominciai a raccontargli tutto, della paura che succedesse il peggio, che il team non riuscisse a disinnescare le diciannove bombe sparse in città, di morire, di morire senza averlo rivisto, baciato.
E in quel momento, mentre parlavo con lui al cellulare, al centro della città vidi un lampo, con una strana forma sferica, che si gonfiava bianca e fumosa.
Capii che quel che avevo temuto stava succedendo. Iniziai a tremare con violenza, e le lacrime iniziavano a scendere, alla vista della città che veniva investita da una feroce onda d'urto, che lasciava intatti gli edifici ma sebrava piegarli, un'onda che quasi non si vedeva.
In quegli ultimi secondi, nei lamenti, riuscii a dirgli addio e a dirgli quanto l'amavo. Che l'avrei amato per sempre, e che avevo paura.
Mi sembrò quasi di sentire, nell'ultimo istante, il telefonino cadere per terra, dove prima c'ero anche io.
____________________________________________________________________

Aprii gli occhi, e mi trovai a terra, nel terrazzino.
Il telefonino era lì sul pavimento accanto a me. Battei gli occhi un paio di volte, per far scivolare via le lacrime che mi acciecavano.
Una strana polvere sabbiosa riempiva l'aria. Tossii forte, la sentivo nei polmoni, e gli occhi mi bruciavano da morire. Provai a guardare il telefono. Era completamente morto, non c'era verso di riaccenderlo.
Forse si era rotto definitivamente a quell'ennesima caduta.
Entrai di corsa in appartamento. Era tutto intatto. Non era successo niente, era tutto come prima.
Il peso che avevo avuto sul cuore fino a quel momento, era del tutto svanito.
Uscii di corsa dall'appartamento e mi precipitai giù per le scale.
Volevo trovare la mia famiglia, e chiedere loro cos'era successo.
Arrivai nell'atrio del palazzo, e vidi i miei genitori chiusi dentro in macchina, giusto sulla strada davanti al portone d'ingresso.
Parandomi gli occhi come potevo e mettendomi la maglietta sulla bocca, corsi verso di loro, ed entrai in auto.
- Cosa fate qui dentro? - chiesi loro, spolverandomi appena gli abiti.
- Aspettiamo che la polvere scenda un po', è abbastanza fastidiosa da respirare - mi rispose mia madre, guardando fuori con l'aria impaziente di chi vuole uscire di lì al più presto.
- Vabbeh, ma comunque devo avvisare tua sorella e il suo ragazzo che ce l'hanno fatta. Oh, hanno iniziato i festeggiamenti! - disse con voce felice, sentendo gli scoppi dei fuochi d'artificio.
La polvere iniziava a scendere verso il terreno e a liberare l'aria, ma aveva dato a tutto ciò che ci circondava un'aria surreale, quasi come una fotografia color seppia.
Scendemmo dall'auto, e vidi uno scorcio di cielo azzurro illuminarsi di fontane colorate. Non mi ero mai sentita così felice in vita mia.
 
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