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Categoria: Manga e Anime
Dalla Serie: Kuroshitsuji
Titolo Fanfic: FIGLIO DELLA LUNA
Genere: Sentimentale, Drammatico, Dark, Introspettivo
Rating: Per Tutte le età
Avviso: One Shot, What if? (E se...), Shounen Ai
Autore: ita-rb galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 18/05/2010 11:48:08

Vincitrice del Contest di Fanfiction del Kuroshitsuji First Italian Forum. [...] "Di che colore è la felicità?"
 
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CAPITOLO UNICO
- Capitolo 1° -

Titolo: Figlio della Luna.
Serie: Kuroshitsuji.
Autore: L. Livia.
Rating: Arancione.
Genere: Sentimentale, dark, drammatico, introspettivo.
Avvertimenti: One shot, shounen-ai.
Breve Commento: Premetto che questa storia è nata da una lunga riflessione durata all’incirca più di ventiquattro ore, mi auguro che potrà essere apprezzata in quanto il Ciel di cui andremo a parlare questa volta non sarà il tredicenne che tutti conosciamo ma un ragazzo più grande –non per questo meno confuso-. Il pairing è Sebastian x Ciel, come ogni altra mia Fan Fiction su Kuroshitsuji infondo. Volevo ringraziare una mia amica per aver corretto gli errori di battitura e mi auguro di non aver contravvenuto nessuna regola del contest in quanto l’ho scritta interamente da me, non è un’RRS >.< e non ne ho mai scritte in vita mia >.<
Ho avuto difficoltà con l’inserimento del genere e del rating, sono le cose per me più difficili in quanto servono ad etichettare quanto presento e purtroppo io, che non sono in grado di catalogare me stessa, come posso catalogare il mio operato? XD Spero di non aver sbagliato annotazioni.
Questo è il link di uno dei video che mi ha ispirata: http://www.youtube.com/watch?v=YyAF1M3OmJI .
Detto questo vi lascio alla storia -sotto spoiler perché abbastanza lunga-.


Una notte, una tra tante, potei sentire il crepitare delle fiamme così vicine a me da incutere terrore, scorsi il ricordo di quella luce abbagliante e distruttiva aldilà di una foresta dalle foglie oscure. Privo di qualsiasi senso, questo sogno, permise alle barriere del mio cuore di piegarsi dinnanzi alla paura, facendo si che cominciasse a penetrare nelle sue pareti una sensazione d’angoscia pari ad una fastidiosa sonda. Non compresi subito la situazione in quanto, da che ricordi, ho sempre dormito un sonno senza sogni, eppure, camminando sulla terra bagnata mista a terriccio, riconobbi l’irrealtà di quanto mi si poneva dinnanzi: si trattava di un sogno latente, un incubo che con il tempo aveva mutato le sue forme, e quel bambino di spalle che abbracciava il largo fusto di un albero non era che la mia proiezione infantile. Desiderai fuggire di li senza curarmi di quel pianto che aveva preso a martellare nelle mie orecchie, rimbombando tra i rami tremuli, proprio per questo motivo gli diedi le spalle senza mostrare alcun tipo di premura nei confronti di quello strazio, eppure non riuscii a farlo fino in fondo e dovetti retrocedere, tornando sui miei passi, quando quei mostruosi esseri lo raggiunsero. Mi rifiutai di apparire impotente anche in un sogno, soprattutto se si considera la differenza d’età che mi separava da quel piccolo e tremante Conte. Mio malgrado non riuscii a colpire alcunché, tramutandomi in lui e finendo nelle le loro grinfie. Gridai ed inveii contro di loro ma conoscevano il mio volto, il mio nome e le mie piccole sembianze perciò nulla poté convincerli a desistere: venni nuovamente sacrificato su di un altare di pietra e nel cuore della notte dovetti svegliarmi di colpo, ansante e con le spalle scosse da brividi. Avevo chiesto loro di lasciarmi ma nulla era riuscito a convincerli così al seguito di molti altri, anche il mio sangue venne versato. Un tuono squarciò il cielo aldilà delle calde pareti della mia stanza ed io non sobbalzai neppure per la sorpresa giacché tutti i miei muscoli erano tesi da qualcosa ben peggiore di una stupida pioggia con i suoi annessi e connessi. La stanza era buia e neppure una candela illuminava l’angolo più lontano rendendo il tutto come un immenso punto nero nel cui centro mi trovavo io, con disperazione. Spostai dal mio volto entrambe le mani che erano andate a celarlo e le sentii tremare leggermente contro le coperte appena strette tra le dita. Cercai di respirare profondamente per allontanare quei brutti pensieri ma non vi riuscii poiché dinnanzi a me si stagliava ancora quel piccolo corpo macchiato di scarlatto, straziato e tormentato. Come non ricordare quegli occhi fissi e folli, quelle bocche ghignanti e divertite, come? A distanza di anni mi domando se facessero o meno uso di droghe, ma di sicuro non metterei mai in dubbio la loro sanità mentale poiché una psiche tanto deviata non può avere che follia nel suo cuore. Ancora un tuono seguì al mio ragionamento e subito dopo di esso il cielo invernale si tinse di azzurro partendo da uno squarcio fugace per poi tornare del suo colore originario. Vidi nell’oscurità due piccole mani tese dalle cui dita gocciavano piccole lacrime di sangue, le stesse che scivolavano lente dalla sua gote destra macchiando il colletto pallido della veste da notte, trattenni un singhiozzo di disperazione in quanto fin troppo frequentemente quel bambino aveva preso ad infestare le mie notti e solo allora decisi di scendere dal letto per avvicinarlo. Era distante solo per qualche metro e di tanto in tanto veniva illuminato dal temporale che filtrava con la sua luce ultraterrena dalle tende socchiuse. Giunsi di fronte al suo esile corpo ma sapevo bene che non avrebbe parlato, aveva lo sguardo fisso dinnanzi a se e malgrado la nostra altezza fosse ben differente non si premurò di alzare il capo per scorgere occhi gemelli. Fui io a dovermi chinare, inginocchiandomi in terra per giungere dinnanzi al suo volto, allungai una mano per carezzarlo ma questo si ritrasse contraendo la mascella.

“Ciel.”

Lo chiamai e questo volse il suo sguardo verso di me, era vacuo e scorsi in esso solo un simbolo più scuro nell’iride incriminata. Conoscevo bene la sua natura, sapevo cosa significasse e me ne dispiacevo soffrendo a mia volta per lui e la sua perdita. Si avvicinò nuovamente con passo incerto e veloce per darmi un bacio sulla fronte e scomparire nel nulla. Abbandonò l’ombra dell’adulto che era diventato anche per quella sera e questo rimase fermo sul pavimento freddo con tutta l’intenzione di riprendere le facoltà motorie di cui era sempre stato conscio. Riuscii solo a piangere, silenziosamente ed inconsciamente.
Erano passati ben sette anni da allora ma nessuno, neppure il Diavolo stesso, sembrava che possedesse l’impegno necessario per il compimento della mia vendetta. Se presa singolarmente sarebbe stato facile pensare ad un comportamento puerile ma, immergendosi completamente nelle fondamenta di quel mio sentimento, sarebbe stato possibile per chiunque comprendere il motivo di tanta ostinazione.
Alla disperata ricerca di una notte eterna udii il ticchettare della pioggia affievolirsi per ricominciare improvvisamente a martellare contro i vetri spessi della finestra, solo a quel punto mi resi veramente conto dello stato in cui sarei potuto apparire a chiunque: disastrato. Ero steso su di un fianco, senza alcuna cura, sul pavimento freddo della mia stanza mentre lo sguardo rifuggiva dalla stessa per percorrere le evoluzioni dei lampi che squarciavano il cielo come se fosse l’impasto per dei gustosi biscotti. Sorrisi appena, in solitudine e con scherno verso me stesso a causa degli sciocchi pensieri che di tanto in tanto avevano preso a balenare nella mia coscienza da quando avevo perso le ultime funzionalità infantili, eppure la degustazione delle prelibatezze che Sebastian preparava ogni giorno non poteva che rendermi bambino ogni volta: incessantemente malgrado lo detestassi. Come può un giovane uomo prediligere l’infanzia se questa è stata teatro di mille e mille disavventure? Risulterebbe incoerente con la propria personalità e nulla più.
Faticai un poco ad alzarmi da terra, non perché avessi problemi di articolazioni o mi facesse male qualcosa, bensì perché non desideravo realmente tornare ad adottare una postura consona ora che la mia mente aveva preso a vagare nell’irrealtà. Rassettai appena la veste da notte e mi diressi di nuovo verso il letto, salendo dai suoi piedi per intrufolare la mia persona al di sotto dei pesanti strati di coperte. Chiusi gli occhi una volta raggiunto il cuscino e in breve tempo caddi in uno stato di dormiveglia che si protrasse sino al termine della tempesta, alle prime luci dell’alba, quando mi addormentai del tutto per essere svegliato solo un’ora dopo da una fastidiosissima quanto conosciuta voce: quella di mia cugina Elizabeth, anche detta Lizzie.

“Ciel che paura ho avuto questa notte! Non appena la pioggia ha cominciato a diminuire mi sono diretta alla carrozza ed ho preteso che mi scortassero fin qui. Sei riuscito a dormire? Sei stanco? Sai, ho portato con me un nuovo abito, è un regalo da parte mia e della zia e si abbina con il mio. Non trovi sia divertente? Potremmo vestirci uguali, oh, hai deciso finalmente di levarti quella benda, quanto sono contenta…”

Non appena giunta nella stanza si era catapultata nella mia direzione per sedersi di fianco a me, dandomi le spalle e guardando l’intero ambiente con aria sognante mentre raccontava quelle innumerevoli frivolezze. Mi domandavo come potesse comportarsi in una maniera tanto infantile all’età di diciassette anni quando avrebbe dovuto trovare qualcuno in grado di sposarla e renderla realmente felice ma non sapendo dare una risposta alle mie domande potei solo sgranare gli occhi colto dalla sorpresa per quella sua ultima affermazione. Mi voltai dall’altro lato fermandola in quel suo soliloquio:

“Lizzie cosa ci fai qui? Non devi entrare in camera mia.”

La rimproverai ma come al solito esisteva qualcuno in grado di trattare con lei ancor meglio di me e costui non era altri che il maggiordomo demoniaco di nome Sebastian. Adottava nei miei riguardi una terribile premura dettata dal contratto che con tutto me stesso avevo intenzione di celare agli occhi di Elizabeth come di chiunque altro così, entrando silenziosamente nella stanza, si avvicinò a mia cugina per parlarle in tutta tranquillità.

“Signorina Elizabeth non è bene che entriate nella stanza del Signorino, è sconveniente per una fanciulla come voi, non siete più una bambina, vi pregherei di attenderlo in salone, farete colazione assieme.”

A quelle parole seguirono degli istanti di silenzio, molto probabilmente Elizabeth stava valutando quanto le era stato detto da Sebastian ed infine accettò la proposta rendendomelo noto:

“Mi raccomando Ciel ti aspetto di sotto, non farmi attendere troppo, sono pur sempre una graziosa fanciulla.”

Mormorò trotterellando via con una grazia pressoché infantile, facendo ondeggiare i suoi lunghi boccoli dorati non più trattenuti in alto da due assurdi codini ma sciolti e fluenti –malgrado non fosse quello il modo in cui una ragazza dovesse presentare la sua capigliatura-. La osservai uscire dalla stanza chiudendo poi la porta alle sue spalle e solo allora potei rivolgere al mio maggiordomo uno sguardo furibondo che non presagiva nulla di buono. Era suo il compito di badare alla mia sicurezza ma, se anche Lizzie non minasse quest’ultima, avrebbe avuto comunque il dovere di preservare il mio sonno. Non sapeva di certo cosa accadeva negli ultimi tempi, o per lo meno lo speravo anche se non ero in grado di metterci la mano sul fuoco, ma comunque conosceva i miei impegni giornalieri e non era corretto da parte sua permettere a terzi di privare il suo padrone delle poche ore di tranquillità che erano a sua disposizione, soprattutto se questi terzi erano Elizabeth Middleford.

“Sebastian come hai osato farla arrivare sino in camera mia?! Ho avuto un sonno disturbato a causa del chiasso che irrompeva fuori questa notte e il risveglio direi che non è stato proprio dei migliori. Almeno la colazione è pronta?”

Domandai in fine sapendo già di ricevere una risposta positiva da quello che era l’impeccabile maggiordomo della famiglia Phantomhive. La sua testa non si mosse, ritta ed impeccabile come la postura che aveva sempre mantenuto dal giorno in cui l’avevo visto la prima volta.

“Mi dispiace Signorino ma non ho potuto fermarla, si è diretta qui non appena ha messo piede nella villa –con una velocità fuori dal comune, devo ammetterlo- ed io mi trovavo per l’appunto in cucina a controllare la vostra colazione. La servirò in tavola tra qualche minuto.”

Concluse poi avvicinandosi al mio capezzale dopo aver scelto accuratamente gli indumenti giornalieri nel grande armadio infondo alla stanza. Scostai le coperte con un gesto secco e mi misi in piedi dinnanzi a lui osservandone i lineamenti immutabili ma orgoglioso di essermi avvicinato un po’ alla sua alta statura grazie ai sette anni trascorsi assieme. Ogni suo minimo movimento andò a riversarsi sulla mia persona, con delicatezza e metodicità: per prima cosa si premurò di slacciare tutti i bottoni della camicia che avrei dovuto indossare di li a poco, poi fece altrettanto con quella che avevo avuto per la notte e riuscì a sfilarmela senza batter ciglio per sostituirla con quella fresca di bucato che nominai precedentemente. Tutto accadde più o meno velocemente ma non in maniera esagerata affinché potessi rendermi conto degli spostamenti che si apprestava a fare. Indossai i pantaloni lunghi che negli ultimi anni la sarta aveva creato per me, simili a tanti altri del medesimo taglio, ed infine la giacca e le scarpe. Si soffermò un po’ di più sulla piega da dare al fiocchetto di raso nero ma nonostante ciò riuscì a renderlo impeccabile come suo solito. Non amavo le cravatte poiché queste avevano la strana capacità di farmi sentire costretto all’altezza del collo –una sensazione che detestavo forse proprio perché non vi avevo mai fatto l’abitudine-, pertanto la guarnizione della camicia era rimasta l’unica cosa ad essere immutata nel corso degli anni. Il colore del completo era nero, classico e alla moda, così come il tessuto: pesante ma non sfarzoso quanto il velluto. Presi la benda dal comodino per permettere a Sebastian di fermarla bene sulla nuca e così accadde, comprendendo bene quell’azione di rito che si ripeteva da ben sette anni.
Fui pronto per raggiungere Elizabeth in breve tempo e non appena giunto in salone potei ovviamente trovarla seduta a tavola con aria composta. Quando mi vide sorrise appena cercando di essere più educata possibile senza rischiare di nuovo di mettere a disagio me e la servitù ma non appena mi sedetti prese nuovamente a parlare con una frequenza spaventosa, rimproverandomi:

“Ciel come hai potuto sciogliere il fidanzamento? Ne sono rimasta davvero ferita e non m’interessano le motivazioni che hai dato a mia madre, non voglio avere nessun uomo all’infuori di te neppure se quel tipo mi sta facendo una corte spietata. Non puoi permettere che la tua dolce cuginetta vada in sposa a qualcun altro, non lo amo Ciel, non ho intenzione di farlo… mi stai ascoltando?”

La mia espressione per tutto il tempo doveva essere risultata neutra. Mi ero occupato di posizionare bene il tovagliolo sulle mie gambe in attesa dell’arrivo di Sebastian con la portata principale della colazione.

“Si ti sto ascoltando Elizabeth, ma vedi, come hai ben detto sei mia cugina, mi dispiace dirti che crescendo non provo alcun interesse per la tua persona proprio a causa di questi legami di sangue che ti rendono quella che sei.”

“Ma non è possibile Ciel, siamo sempre stati insieme sin da quando eravamo bambini, chi può conoscerti meglio di me?”

Domandò tendendo a rendere la voce leggermente stridula a causa del dispiacere. Proprio in quel momento, per fortuna, si affiancò al tavolo Sebastian con in mano un grande vassoio che sosteneva la teiera ed una torta alle ciliegie già affettata in tanti piccoli spicchi. Non risposi in quanto quell’arrivo mi sembrò provvidenziale e ringraziai il mio maggiordomo solo dopo averlo visto servire me ed Elizabeth, riservandogli uno sguardo molto eloquente che gli impediva di allontanarsi in un momento per me tanto critico.

“E chi sarebbe la nuova candidata per il cuore del mio adorato Ciel?”

Sorseggiai il tè già zuccherato dal mio maggiordomo che conosceva bene le abitudini del mio gusto personale il quale variava da qualità a qualità come da pietanza a pietanza. Avrei voluto che Elizabeth comprendesse la situazione senza inutili battibecchi ma a quanto potevo vedere non era propensa ad arrendersi tanto facilmente in quanto nel suo cuore era rimasta la giovane ragazzina capricciosa che avevo sempre conosciuto.

“Molto buono Sebastian.”

“Molto buono Sebastian.”

Canzonò mia cugina per riscuotere la mia attenzione. Fu come un riflesso incondizionato, non potei fare a meno di voltarmi verso di lei con aria sconcertata ma inconsciamente l’avevo aiutata nel suo intento: quello di attirare realmente la mia attenzione.

“Si può sapere cosa c’è?”

Ero psicologicamente stanco, Lizzie non poteva neppure immaginare quale tormento mi mandasse avanti negli ultimi tempi e con il suo arrivo alla villa non mi aveva di certo facilitato le cose. La sua risposta fu naturale, fluì dalle sue labbra leggermente truccate con una semplicità disarmante ma a me le sue parole sembrarono così ovvie e scontate che non riuscì neppure a scuotermi.

“Ciel io non posso avere nessun uomo all’infuori di te perché non lo voglio. Non ti piaccio forse? Sono i vestiti? Sono i capelli? Dimmelo per favore.”

La vidi arrivare quasi sull’orlo delle lacrime così sospirai appena sentendo il mio stomaco contorcersi in una morsa irritante sino a bloccare il mio appetito. Non riuscii a risponderle malgrado mi sentissi in colpa così mi alzai dalla sedia per raggiungere la grande scalinata che mi avrebbe portato al piano superiore.

“Torna a casa Lizzie, la zia sarà in pena per te, le telefonerò non appena ti metterai in viaggio.”

Non ascoltai nessun altro reclamo, udii solo il mio nome espresso con un tono di voce a dir poco alto mentre le davo le spalle per dirigermi verso lo studio. Teoricamente avrei dovuto sposarmi con una ragazza molto differente da lei, aveva dei lunghi capelli lisci color dell’ebano, una pelle pallida come la porcellana, degli occhi profondi e scuri dal taglio felino e delle forme più pronunciate. Era la figlia di un imprenditore francese con il quale avevo da poco firmato un contratto di fusione della Phantom in terra straniera perciò mi era sembrato anche doveroso ostentare una simile proposta dopo aver assistito al discreto interessa che questa mostrava nei miei confronti. Neppure lei mi aveva entusiasmato per dirla tutta, eppure nel suo sguardo vi era qualcosa che riconoscevo, un sentimento o forse un passato, qualcosa che la rendeva strettamente riconducibile a me. Avevo chiesto a Sebastian di fare delle ricerche sul suo conto ma quello che ne conseguì non aveva di certo un aspetto eclatante: scoprii i suoi gusti personali e le abitudini che aveva ma nulla che potesse davvero interessarmi a distanza di una settimana dal fatidico giorno.
In solitudine mi trovai a domandare a me stesso quanti matrimoni erano celebrati per amore ma non seppi rispondermi, ricordando che anche la zia Angelina era morta dopo essersi sposata con un uomo che non possedeva il suo cuore.

Ed il mio, così pieno di rancore, il mio cuore, nelle mani di chi vorrò metterlo un giorno?

Domandai a me stesso cercando di riflettere sulle possibili eventualità di un futuro non calcolato ma non seppi rispondere neppure a quello, constatando che probabilmente nessuno avrebbe potuto detenere il predominio sul mio cuore dal momento che questo era così tanto oscurato da sentimenti negativi che negli anni accrescevano solamente l’un l’altro.
Rimasi tutto il mattino nello studio, privandomi anche del pranzo, per uscire solo all’imbrunire. Avevo appena terminato di sistemare dei documenti quando udii il fastidioso rumore del telefono provenire dal piano inferiore, rimbombando per numerose volte lungo la grande scalinata fin quando non risposi direttamente io a quel richiamo –dal momento che nessun membro della servitù, neppure l’impeccabile Sebastian, se ne era stranamente curato-. Alzando il ricevitore dall’altoparlante conico domandai chi vi fosse dall’altro lato della comunicazione ed in breve tempo riconobbi l’accento francese del Signor De Roux che appariva crucciato. Gli chiesi come mai avesse quel tono, desideroso di conoscere il motivo di tanto turbamento, ma quando tentò di spiegarmi la situazione dovetti tenere a freno l’inespressività del mio volto, che tanto inquietava la mia persona dinnanzi allo specchio. Gabrielle era morta, si era trattato di un incidente, o almeno così si credeva dal momento che la natura dell’incendio non era stata ancora ritenuta dolosa per mancanza di prove. La villa di campagna del Signor De Roux aveva subito la medesima sorte di quella in cui per lunghi anni avevo abitato e nulla poteva privare il mio petto di quella terribile morsa di dolore che dilagava a macchia d’olio nel mio ventre, simile ad una malattia. Riuscii a congedarmi molto presto e con rammarico, dirigendomi nuovamente verso lo studio per preparare un ufficiale telegramma in occasione del lutto del mio socio in affari. Dinnanzi alla porta vidi Sebastian, sembrava che non sapesse assolutamente nulla riguardo l’accaduto ma nonostante tutto non mi convinse proprio perché sul suo volto era inciso uno dei suoi soliti quanto falsi sorrisi. Mi soffermai appena senza pronunciare una parola in quanto fu proprio lui a parlare per primo:

“È successo qualcosa Signorino?”

Quella domanda ebbe la capacità di scaturire una solita quanto irosa reazione. Vidi la sua espressione confusa quando ricevette un sonoro schiaffo in piena guancia e solo allora premetti sulle sue spalle affinché entrasse nello studio, retrocedendo.

“Signorino…”

“Non ne sapevi niente vero Sebastian? Non hai neppure risposto al telefono. Maledetto demone senza cervello, cosa credi di fare? Che senso ha tutto questo?”

Avevo fatto bene a non mettere la mano sul fuoco per quanto riguardava l’implicazione del maggiordomo nella mia vita privata, quella che tenevo lontano dagli occhi di tutti per motivi ben evidenti. Lui conosceva ogni singola cosa e solo per uno sciocco gioco del destino si rifiutava di mettermene al corrente. Arrivai a considerare l’ipotesi che si divertisse tremendamente nell’assistere alle mie sventure ma tutto questo era condito da un suo minimo intervento.

“Non hai adempiuto ai tuoi compiti, avresti dovuto rispondere tu… avresti dovuto farlo.”

La mia voce si era stranamente affinata sino a divenire un sibilo stridulo che aleggiava nell’aria con rammarico. Non riuscii a trattenermi, sentivo le mie spalle tremare quanto le labbra e la mascella, ero conscio che una simile conversazione non sarebbe potuta durare a lungo senza mandarmi all’esasperazione.

“Perdonatemi Signorino, ero impegnato in altri compiti.”

“Quali altri compiti? Io non ti ho dato nessun incarico Sebastian. Cosa hai fatto a Gabrielle?”

Quell’ultima domanda fuoriuscì dalle mie labbra come se davvero non avessi desiderato chiedere altro sino a quel momento. Sentivo in cuor mio che quello era stato un dispetto, un misero dispetto di quel maggiordomo troppo perfetto ma non avevo nessuna prova per dimostrarlo, soprattutto in quel momento poiché urlare non mi avrebbe portato da alcuna parte.

“La Signorina Gabrielle?”

Il suo tono era così tremendamente complice di se stesso da farmi quasi salire la bile. Conoscevo quel tono di voce, era lo stesso e compiaciuto che aveva utilizzato nel mettere a suo piacimento la punteggiatura ai miei sbagliati propositi riguardo alle ricerche su Jack the Ripper solo quattro anni prima.

“Lo sai, Sebastian, non posso neppure pensare che ignorassi tutto questo, è impossibile…”

Riuscì addirittura ad avere il coraggio di bloccare le mie parole, probabilmente perché ne conosceva oramai il nesso e neppure se avessi continuato quel soliloquio sarebbe figurata una nuova prerogativa.

“L’accordo non è stato forse firmato ugualmente?”

“Cosa significa?”

Rimasi sorpreso da quel ragionamento, o forse non lo compresi neppure, mi bastò quella considerazione per farne di mie in merito ma mai avrei scovato quella che era la reale:

“L’anima del Signorino è promessa a me.”

Non compresi subito il nesso delle sue parole, esse riuscirono solo a farmi correre un brivido lungo la schiena, lasciando che ogni funesta esclamazione andasse a morire sul ciglio delle mie labbra per essere raccolta dalle sue in un mellifluo gesto. La lingua rosea saettò fuori dalla sua bocca per cercare di schiudere la mia ma non trovò affatto collaborazione e dovette pentirsi per quell’oltraggio quando venne morsa con rabbia. Lo vidi ritrarsi irritato, lasciando sulle mie labbra un sapore ferroso, solo a quel punto proseguì:

“Non ho ben capito cosa desiderate: una fusione, un contatto fisico, cosa? Avreste avuto entrambi se solo me l’aveste permesso, eppure le mie intenzioni non sono andate a buon fine Signorino, temo che ci sia qualcosa di sbagliato in questa situazione. Nel caso non l’aveste ancora capito, malgrado ciò che potete pensare, la vostra anima mi apparterrà molto presto, non ho intenzione di vedermela strappare sotto il naso da una ragazzina immatura per farla sua dinnanzi ad un prete: non vi è concesso.”

Quel discorso aveva preso finalmente una forma ed ogni tassello del puzzle era giunto al suo posto in brevissimo tempo tanto da confondermi. Deglutii appena notando come il suo immutabile volto ostentava uno sguardo serissimo e probabilmente furibondo. Sono sempre stato uno dei pochi a comprendere quanto si trovasse al di sotto di quella maschera e non ho mai dovuto desiderare di privarlo della stessa proprio per questo motivo.

“Che giustificazione sarebbe questa?”

Domandai adirato rallegrandomi in parte di aver rinunciato al fidanzamento con Elizabeth, conscio che anche’essa avrebbe potuto correre lo stesso pericolo a causa di quel folle demone. Mi avvicinai a lui furibondo nella speranza di farlo retrocedere ma rimasi spiazzato nell’osservare le sue membra immobili dinnanzi a me, odiando quel suo atteggiamento inflessibile che solo di tanto in tanto riuscivo a penetrare con uno schiaffo.

“Non mi sto giustificando Signorino.”

“Si lo stai facendo eccome. Elizabeth avrebbe fatto la stessa fine di Gabrielle se avesse mantenuto la posizione di futura sposa?”

Il silenzio avevo imparato ad apprezzarlo nel corso dell’infanzia ma ad odiarlo con l’avanzare del tempo e in quel momento detestavo lui come il mio maggiordomo.

“Rispondi Sebastian!”

Ordinai imperioso ma ciò che ne seguì non mi piacque affatto: la sua voce mormorò una frase affermativa ed io non potevo accettarlo in quanto non si trattava di un mio ordine, anzi, sarebbe arrivato a privarmi dell’unica famiglia che mi restava se solo questa avrebbe ostacolato il progetto di impossessarsi di un’anima senza valore.

“È disgustoso, sono morte delle persone a causa di un’anima priva di valore, una tra tante che non differisce neppure per privilegio. Io come tante altre persone ho diritto di vivere come di morire e con questa concezione non credi di poter trovare in ogni spirito del risentimento o dell’amore? La mia -perché la mia- vale così tanto per te?”

“Non ho alcun contratto con altri esseri umani e solo per questo la vostra anima è più preziosa della loro.”

Non potei fare a meno di ridere a quelle parole, sconcertato, non che avessi realmente voglia di farlo ma probabilmente fu una reazione istintiva dettata dal nervosismo che si era accumulato nella mia psiche. Raggiunsi la scrivania girandole attorno e diedi uno spintone ad un gruppo di fogli ordinati che contenevano i preparativi per il matrimonio. L’indomani mattina sarei dovuto andare in chiesa per confessarmi una prima volta ma a quanto pare Sebastian era arrivato con un’impeccabile puntualità a ricordarmi che si trattava di suolo nemico. Se avessi dedicato me stesso a quella donna, seguendo le promesse che dettava la Chiesa, l’anima in suo possesso sarebbe stata purificata? Per quel motivo avrebbe cambiato proprietario? Ma era davvero giusto parlare di una cosa tanto importante con certi termini?
Rabbrividii raggiungendo la grande vetrata che avevo dinnanzi ed osservando il crepuscolo serrai la mascella per proibirmi di piangere, solo a quel punto udii ancora la sua voce, la sua fastidiosissima voce:

“Posso fare qualcosa per voi Signorino?”

“Esci da questa stanza Sebastian.”

Non rispose ed io non seppi neppure che espressione si dipinse sul suo volto quando mi sentì pronunciare quelle parole, sentii solo la porta chiudersi elegantemente e lo scattare della maniglia, accompagnata sino all’ultimo dalla pressione della mano del demone. Non mi voltai, sperando che solamente il vetro conoscesse l’unica lacrima di cui gli occhi avevano deciso di farmi dono.
Dopo cena, un pasto che davvero mi risultò pesante ingoiare a causa del senso di colpa, mi diressi al piano di sopra, esattamente nella stanza adiacente a quella da letto, comunicante con quest’ultima per una porta. Si trattava del bagno ed io avevo realmente bisogno di farmene uno perciò avvisai Sebastian di bollire dell’acqua nelle cucine, la quale sarebbe poi andata a stemperarsi con quella corrente. Ci volle quasi una mezz’ora per riuscire nel mio intento ma infine riuscii a calarmi in quel caldo abbraccio per rilassare i miei muscoli prima di andare a dormire. Lui non era presente, avevo deciso di rimanere da solo e malgrado ostentassi indifferenza ero furibondo nei suoi confronti. Speravo soltanto che il sonno avrebbe portato via con se tutto quel dispiacere assieme ai pochi ricordi che avevo di quella ragazza. Stavo cercando di lavare le mie membra dal senso di colpa ma ero ben conscio di non poter riuscire nel mio intento in così breve tempo.
Quella notte percepii ancora quella presenza e nel destarmi riconobbi il volto diafano dinnanzi al mio. Era sul mio letto e posava le mani sporche di sangue ai lati del mio volto per fissarmi con i suoi occhi vacui color zaffiro. Tremai nel trovarlo tanto vicino a me e sentii il freddo delle sue membra come se fosse tangibile. Vidi le sue labbra muoversi debolmente ma non udii alcun suono fuoriuscire da esse. Sapevo che desiderava dirmi qualcosa d’importante così cercai di chiedergli cosa non avessi percepito ma, fatta eccezione del gocciare sanguigno sulla mia guancia, non vidi altro.

“Ciel, parlami.”

Mormorai ma la risposta mi arrivò vaga e troppo fievole per comprenderla.

“… Lui.”

Enfatizzò quella parola muovendo appena le palpebre, allargandole di poco, proprio per quel motivo fu l’unica cosa che poté rimanermi impressa.

“Chi? Di chi parli?”

Lo afferrai inconsciamente per le spalle e proprio in quel momento scomparve. Desiderai ardentemente che tornasse indietro ma ovviamente non accadde, ed io, ancorato alle coperte, cercai di prendere nuovamente sonno senza riuscirci proprio a causa di quello che avevo visto. Rimuginai su quella parola, “Lui”, ma non riuscii a sospettare di nessun altro se non Sebastian: colui che era divenuto il mio pensiero fisso nelle ultime ore. Solo verso le prime luci del mattino riuscii ad addormentarmi, ma per mia fortuna caddi in un sonno senza sogni, com’era abitudine che fosse. Non sognai le fiamme che avvolgevano la lunga chioma di Gabrielle, quelle scene potei solo immaginarle così come il suo corpo carbonizzato, e dovetti correre in bagno per rigettare in quanto, malgrado fossero passati numerosi anni, la mia mente non sopportava la vista degli incendi come del troppo sangue.
Mi diede leggermente fastidio che quelle mani demoniache toccassero il mio corpo anche solo per errore quel mattino. Il sol vederlo tanto vicino mi rendeva inquieto e nervoso ma malgrado ciò non dissi nulla, ne mi ritrassi quando prese a sbottonare la mia camicia da notte. Di tanto in tanto i miei occhi si posavano sulle sue mani, tristemente, senza avere il coraggio di proseguire per scontrarsi nelle pozze color sangue che caratterizzavano i suoi. Mi sembrava possibile udire il melodico gocciolare della rugiada dalle foglie e così, avvisato da quei fruscii distorti e troppo lontani per essere percepiti, mi voltavo verso la finestra dalle tende tirate come un’anima in pena.

“Dovrei stare attento, Sebastian, non è vero? Rischierei di essere avvolto dalle fiamme a mia volta.”

Mormorai inconsciamente quando mi trovai nudo dinnanzi a lui, confuso ancora per quanto era accaduto il giorno prima. Il cuore batteva così forte da rimbombare nelle mie orecchie ma nonostante ciò non mutai espressione, oramai reso come una bambola vuota dinnanzi al detentore della mia anima.

“Ad ogni modo appartiene a te.”

Mormorai allungando una mia mano verso la sua, guantata ed affusolata, perfetta nella sua forma come il restante corpo che occupava per mio volere. Posai il suo palmo dapprima contro il mio per lasciarlo scivolare sul petto privo di indumenti all’altezza del cuore. Non mutai espressione neppure a quel punto perché non avrei sopportato un sorriso falso ne una qualunque frase occasionale. Non stavo dichiarando il mio amore ad un demone ma parlavo dell’anima, il premio che tanto agognava e che era racchiuso nelle pareti del mio cuore: irraggiungibile ed inutile organo sofferente.

“Se solo me l’avessi detto non avrei proposto un matrimonio a quella fanciulla. Entrare in chiesa e giurare fedeltà sarebbe stato dannoso a te quanto al patto che avevi stabilito con la mia persona: avrei capito senza che tutto questo fosse accaduto.”

Scossi appena la testa lasciando cadere la mia mano lungo un fianco, lentamente parallela al busto che tenevo ritto, differentemente dalla testa. Non avrei mai avuto il coraggio di fissare i suoi occhi sanguigni nel pronunciare quelle parole In un certo senso quel patto stava prendendo le sembianze di un matrimonio cristiano con il passare del tempo ed era quasi raccapricciante che la morte di molte persone si identificasse con un capriccio di gelosia, o meglio, di possesso.

“La vostra anima o il vostro cuore?”

Domandò stranamente assorto ed io non seppi trattenermi dal porre un’altra domanda in risposta alla sua. Qualsiasi cosa avessi detto sarebbe risultata stranamente diretta e fuori luogo giacché il discorso stava prendendo una piega fuori dal comune. In sette anni non avevamo mai fatto un simile discorso ed ora, così d’improvviso, non poteva far altro che turbarmi.

“Ti accontenteresti di un contenitore che pulsa?”

“Solo con il contenuto.”

Rispose ed allora non potei far altro che alzare il volto verso di lui, tremendamente dubbioso su quello che avrei detto di li a poco ma nonostante ciò proseguii nel mio intento:

“Fallo ancora, baciami Sebastian.”

Rabbrividii per quelle mie stesse parole quanto per il contatto che ne seguì: repentino ed impeccabile. Sentii il calore del suo respiro giungere dinnanzi al mio, chinandosi per raccogliere attenzione e dedicarsi a quest’ultima con tutto l’impegno di cui era capace. Sfiorò le mie labbra senza ribattere, con le proprie, morbidamente dopo averle mordicchiate per qualche istante, rendendole gonfie d’eccitazione. Si unirono alle sue lasciando che la lingua potesse fare il suo ingresso senza forzare contro la barriera dei miei denti, gli permisi di trovare la mia e carezzarla magistralmente tanto che dovetti domandare a me stesso quale ruolo aveva coperto Sebastian prima di divenire il mio fedele servitore. Si fermò dopo qualche tempo, sentendo che il mio respiro prendeva a mancare nel petto a causa della foga, allora si scostò appena dal mio volto arrossato e domandò:

“Siete soddisfatto Signorino?”

Non avrei mai creduto di poter udire quelle parole al seguito di un gesto tanto estasiante. Tutto ciò apparve ai miei occhi come un’immancabile violazione causata dall’assenza di tatto che aveva mostrato Sebastian nei miei confronti e per riflesso lo allontanai da me con una leggera spinta traballando a mia volta verso il letto ma senza perdere l’equilibrio. Afferrai la camicia pulita, indossandola per coprire almeno parte del mio corpo dai suoi sguardi insensibili.

“Esci immediatamente dalla stanza.”

Retrocesse senza dir nulla ed io dovetti trovarmi alle prese con quegli indumenti che fin troppe volte, distrattamente, avevo visto togliere e mettere sul mio corpo nudo. Ci misi un po’ più tempo del normale ma in sette anni non avrei mai potuto dimenticare la modalità con la quale, partendo dal primo bottone in alto, si chiudeva una camicia o si indossasse un pantalone. Ben presto mi presentai al piano inferiore con naturalezza, ostentando una tranquillità che non avevo affatto in quel momento sebbene mi ostinassi a mostrarla. Consegnai a Maylene il telegramma che avrebbe dovuto spedire al più presto in Francia, alla residenza del mio socio in affari, il Signor De Roux, dopodiché mi diressi verso la tavola per fare colazione e solo a quel punto vidi nuovamente il volto del mio maggiordomo; non era vicino come precedentemente gli era stato ordinato perciò mi tranquillizzai un poco nel notare la sua aria distinta nello scuro completo mentre annunciava le portate che avevo dinnanzi. Vi era una vastità di dolci, uno dei miei punti deboli, ed io non sapevo esattamente come comportarmi, sembrava quasi che fosse una mossa di recupero da parte di Sebastian ma non ci giurai. Allungando una mano per afferrare un biscotto tentai di guardare la sua figura slanciata con la coda dell’occhio ma riuscii solo a confondere la traiettoria infrangendo le mie dita contro la teiera bollente. Trattenni un gemito di dolore e per riflesso ritirai subito la mano. Lo vidi avvicinarsi preoccupato, o per lo meno mostrando un’espressione del genere malgrado sapesse che una scottatura non avrebbe causato in me alcun danno se non un fastidio diffuso.

“Signorino…”

“Lascia stare Sebastian va tutto bene.”

Farfugliai scostandomi dalla tavola, infastidito che a causa sua mi fossi scottato ma nonostante tutto cercai di placare il mio nervosismo, fonte principale di quel pasticcio. Me ne rendevo conto eppure non desideravo prenderlo per vero in quanto ciò avrebbe preso le sembianze di un’ammissione di colpa. Ci volle ben poco tempo per calmare i miei sensi, così, tranquillamente, mi dedicati al primo ed importante pasto del giorno tentando di allontanare il più possibile il pensiero della sua nonchalance dimostrata solo poco tempo prima.
Non dovetti dedicarmi ad un qualche particolare compito quel mattino, probabilmente Sebastian aveva compreso la sensazione raggelante che le sue azioni avevano riversato nel mio spirito, o più semplicemente aveva intuito nel silenzio del suo signore la ricerca autopunitiva del lutto.
Rimasi per gran parte del tempo in giardino, scorgendo solo di pomeriggio l’arrivo di quella piena e tondeggiante Luna contrapposta per gradi all’Astro. Splendente, candida ed adornata della sua corte invisibile. Tentai di rimembrare quando potei scorgere il suo volto per l’ultima volta ma non riuscii a ricordarne neppure i tratti. Capii che, con l’avanzare degli anni, numerosi piccoli dettagli cadevano nel dimenticatoio, sfuggendo non solo alla vista ma anche ai ricordi: alterazione temporale. Argentea creazione nella sua placida forma che, con la purezza e l’innocenza, mostrava le proprie fattezze solo ai degni eletti. La Luna aveva tradito la mia fiducia ed osservandone l’atteggiamento fiero solamente allora compresi la pesantezza di un simile gesto. Rabbrividii appena a quel punto, dopo un’attenta e breve riflessione, rifiutandomi di fissare ancora la falsità di cui si fregiava, ed alzandomi dalla postazione che avevo occupato tanto a lungo mi allontanai. Sembrava quasi che l’intera situazione fosse stata appositamente creata per mandare il mio animo all’esasperazione, difatti scorsi presto movimenti arcani dietro le tende chiare della mia stanza e raggiungendola potei notare quella figura minuta e solitamente afflitta che osservava tutto attorno a se con aria assorta. Stranamente sembrava che la sua attenzione non fosse colta dal sottoscritto e tutti quei segni lasciati sulle pareti dovevano averlo appagato nella maniera corretta. Negazioni, preghiere e silenziose scie interrotte a tratti dalla cattiveria del vento. Quelle lettere scarlatte erano riuscite a tingere non solo le piccole mani ma interamente le sue membra fatta eccezione per parte del volto.

“Aiutami.”

Mormorò riuscendo solo ad agitare la mia persona in quel mare di sangue. Sentii la testa vorticare pesantemente ma non riuscii a perdere i sensi in quanto, con premura, si mosse nella mia direzione quando inciampai su me stesso.

“Vuole cancellarmi. Non permettere che mi uccida.”

Supplicò quasi con un tono di voce flebile, guardandomi nella medesima maniera che aveva esperimentato ben altre volte: vacui occhi color zaffiro in un lago di porpora. Non compresi bene cosa stesse dicendo ma mi spaventai al suo posto lasciando che i miei sensi si impadronissero della possibilità di agire sino a plasmarla, sfruttandola per tornare ritto nella posizione iniziale. Non spostai lo sguardo dal bambino, conoscevo bene i turbamenti di Ciel e non desideravo affatto che a causa mia rivivesse eternamente un simile supplizio. Si trattava di una parte di me che non desideravo cancellare seppur aveva comportato numerosi sacrifici e rinunce, eppure senza di esso non sarei mai stato me stesso.

“Di che colore è la felicità?”

Domandò prima di svanire nel nulla lasciandomi nel petto una sensazione d’inquietudine diffusa. Cercai di fingere indifferenza ma non avrei potuto mentire a me stesso in quell’area fatta di specchi ed accuse. Desideravo estirpare le scritte al di sopra delle pareti, abbatterle e cancellare impronte di piccole mani come preghiere e suppliche. Sarebbe stato troppo umiliante continuare a leggerle ma esse non svanirono neppure quando chiusi gli occhi, rimasero nella mia mente a tormentare i miei occhi al punto che provai l’impulso di cavarli via.
Gridai inconsciamente, senza neppure rendermene conto, conscio di averlo fatto solo nel momento in cui scorsi il suo volto diafano come la luna ma affilato, sensuale e tagliente quanto la notte che adornava con la sua presenza. Circondai il suo collo con entrambe le mie braccia, di slancio e senza dir nulla, permettendo a quel volto di non incontrare il mio colto dagli spasmi. Lo affondai nell’incavo della sua spalla ma non piansi, non riuscii a farlo neppure ricordando la drastica fine di Gabrielle, collegandola mio malgrado a quella fatta dai miei genitori nella medesima villa in cui quotidianamente camminavo. Sarebbe stato bello credere che quell’illusione fosse soltanto ciò. Sapevo bene che non nascondeva un manto bianco ma grandi plichi di scienza. Riuscii a calmarmi solamente pochi minuti dopo, quando quelle scritte presero ad affollarsi talmente tanto attorno alle mie membra da confondermi.

“Mi ha chiesto di che colore è la felicità dopo avermi pregato d’impedire che venga ucciso.”

Mormorai scostandomi dal busto del mio maggiordomo e guardando aldilà dei suoi occhi, cercando in quel colore la risposta alle grandi preoccupazioni.

“Desidero solo che non si presenti mai più. Non voglio vedere quel maledetto colore Sebastian, fallo smettere!”

Non mi rendevo neppure conto dell’impossibilità ad ottemperare a quella richiesta a causa dell’irrequietezza rilasciata dalla sua visita e non potei neppure spiegare in che situazione si trovasse la mia persona a causa della stranezza che la caratterizzava con quelle strane e deliranti tinte.
Desiderò per brevi istanti calmare le mie repentine mosse e vi riuscì solo quando lo shock iniziale venne a mancare per cedere il posto alle domande. Non avrei trovato pace per la mia anime a e tormentarla a quel modo ancor prima del tempo appariva come un vero e proprio peccato. Non apprezzavo il tempo, non apprezzavo la sua ricerca ma soprattutto potevo sentire nel mio ventre una sensazione ‘si tanto spiacevole da impedire la mia compostezza.
Si avvicinò nuovamente alle mie labbra mantenendo gli occhi socchiusi in quel suo particolare taglio ed io non potei fare a meno che rimanere ipnotizzato dall’essenza che essi trasudavano. Mi sembrò di sentire nell’aria un vago senso di liberazione e nel momento in cui decise di unirla alla mia tentai di abbandonarmi a quei gesti tanto strani ma ricercati.
Mi trovavo stretto nell’abbraccio della Luna per mio volere ultimo e con essa potei udire l’altrui disperazione rimbombare nelle orecchie ripetutamente e sempre più fievolmente: “Vuole cancellarmi. Non permettere che mi uccida.”.
Poi mi abbandonò, definitivamente e con rammarico ma scomparve lasciando che altre mani percorressero sinuose la pelle adulta del corpo da cui era stato cacciato.
Mi rivolse un ultimo sguardo quando fu troppo lontano per essere scorto ma io potei percepirlo sulla pelle come il disgusto che stava celando malamente dietro quell’espressione glaciale che mi contraddistingueva da numerosi altri ragazzini infelici.

Figlio, amante e sposo della Luna.

Non seppi neppure se a pronunciare quelle parole furono le mie labbra sensibili oppure solamente l’eco del suo decorso. Potei udirle quando tutto venne a mancare: una bolla di sapone giunta in frantumi tra mille piccole parti di sogno.

“Signorino…”

Il suo volto tanto vicino al mio, padrone di quelle movenze e della moltitudine di sensazioni che aveva regalato a colui che aveva dinnanzi, si mosse appena per scorgere negli occhi zaffiro la risposta vitale che tanto attendeva:

Di che colore è la felicità?
 
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VOTO: (1 voto, 3 commenti)
 
COMMENTI:
Trovati 3 commenti
fan3000 09/07/10 12:35
nn ti preoccupare, secondo me ha 1 padronanza della lingua notevole, xò migliorarsi nn fa mai male!!! ^_^
aspetto i tuoi prossimi lavori!
XDXDXD
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ita-rb 09/07/10 09:26
Sono contenta che sia piaciuta >w< comunque non sono ancora soddisfatta, mmi auuro di migliorare ancora il linguaggio ed accorgermi da me degli errori di battitura o di distrazione, cosa che purtroppo non riesco a fare.
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fan3000 - Voto: 18/06/10 18:41
BELLISSIMAAAAAAAAA!!! in effetti c' ho messo 1 po' x capirla (è scritta cm i testi del mio libro di epica!) xò è davvero carina ù_ù! bravaaaaa!!! XDXDXD
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