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MANGA.IT FANFIC
Categoria: Originali (inventate)
Titolo Fanfic: LABYRINTH
Genere: Sentimentale
Rating: Per Tutte le età
Avviso: Shounen Ai
Autore: tiluvien galleria  scrivi - profilo
Pubblicata: 24/04/2010 22:13:35

due studenti in un campus, uno studioso e l'altro un rocker, costretti a lavorare allo stesso progetto per un profesore...
 
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LA RELAZIONE DI CHIMICA
- Capitolo 1° -

Aprì gli occhi lentamente.
Non capiva dov’era, non ricordava cos’era successo. Era tutto così confuso!
Gli girava la testa e non riusciva ad alzarsi per il troppo dolore, vedeva davanti a sé sopra al suo viso solo una forma ovale molto sgranata ed indistinta circondata da un alone luminoso, così decise di provare a metterla a fuoco, sbattendo le palpebre, e dopo un po’ i contorni si fecero più nitidi: un volto, un bellissimo angelo dai capelli rossi come il fuoco e dagli occhi suadenti, con un’espressione dannatamente preoccupata…
“Alessandro?!” sbottò, prima di tentare di sollevare il busto da terra, per avvicinarsi di più al ragazzo che gli era apparso come in sogno, sopportando alcune fitte atroci che gli squassarono la nuca, e non riuscì a trattenersi dall’esclamare “Che mal di testa!”
“Ma che è successo? E perché sono sdraiato nel prato? Alessandro…” chiese poi, dopo aver lasciato scemare un po’ il dolore, guardando in modo supplichevole l’altro, inginocchiato accanto a lui.
“Ehm… Ecco… Vedi, Fabio… Sei caduto e hai battuto la testa…” tentò di spiegargli quello, visibilmente in imbarazzo
“Si, ma perché sono caduto? Cosa stavo facendo?” incalzò il ragazzo, visibilmente irritato per quel non voluto disorientamento
“Ti aiuto ad alzarti, così ti porto in infermeria, ok?”
“Ok, dammi la mano…” rispose Fabio, accettando a malincuore l’aiuto,di cui non era affatto felice: era abituato a non dipendere da nessuno e a farcela da solo in qualunque situazione, ma ora aveva dovuto ammettere a sé stesso che non avrebbe potuto farne a meno. Rimettendosi in piedi, infatti, il dolore alla nuca si era fatto insopportabile e sarebbe certamente ricaduto a terra se Alessandro non l’avesse prontamente sostenuto, cingendolo con un braccio lungo la schiena.
“Grazie…” si trovò a mormorare, soffocando l’orgoglio, mentre si staccava da quel contatto sgradito, riuscendo ormai a stare in piedi da solo senza problemi , aggiungendo “Basta che ora non lo venga a sapere tutto il campus…”
“Che vuoi dire?”
“Conoscendoti, Alessandro, fra due ore al massimo avrai già sparso la notizia che mi hai dovuto portare in braccio…”
“Ma non dire stronzate! Perché dovrei fare una cosa del genere?”sbottò il rosso. Non lo sopportava quando faceva così. Perché era così convinto della sua malafede sempre e comunque? Eppure lui lo ammirava così tanto! Era ovvio che la cosa non era reciproca, visto che anche in una situazione come quella aveva da ridire. Non c’erano speranze.
“Comunque, ritornando al punto cruciale, non mi hai ancora risposto. Cos’è successo? Come ho fatto a sbattere la testa in mezzo a un prato? E soprattutto, cosa ci facevo… con te?” Insistette Fabio, sottolineando l’ultima parola con un malcelato disprezzo che ferì profondamente l’altro, soprattutto perché quel tono non era stato usato intenzionalmente, ma era uscito spontaneo, segno visibile della poca tolleranza nei suoi confronti
“Dai, andiamo in infermeria. È la cosa più giusta da fare, ora. Vieni?” ribattè allora, tentando di non guardarlo, per non mostrargli quanto c’era rimasto male
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda. Per di più hai ancora cambiato argomento. Non capisco perché non vuoi dirmi cos’è successo, comunque ti accontento, andiamo in infermeria”
Alessandro sembrò sollevato sentendo queste parole, così gli porse alcuni appunti di chimica, dicendo che gli erano scivolati dalle mani mentre cadeva, ma a quel punto la mente di Fabio si aprì al ricordo.
“Ma sì! Ecco com’è andata!” esclamò “Ti stavo cercando perché dobbiamo consegnare domani la relazione sull’esperimento di chimica e non avevamo nemmeno ancora iniziato perché ogni volta che affronto l’argomento ti dilegui peggio di un fantasma… così quando ti ho visto seduto da solo nel prato ho deciso di affrontarti, ma appena mi hai notato, ti sei messo a correre come un disperato, e nel tentativo di raggiungerti sono scivolato e ho sbattuto la testa… ho ragione?”
Il rosso non sapeva cosa dire. Non c’era altro da aggiungere, e si sentiva tremendamente in colpa. Soprattutto si sentiva ferito dal tono accusatorio e sprezzante che l’atro stava usando nei suoi confronti. In fondo, cosa poteva saperne del motivo che lo spingeva a fuggire ogni volta che gli parlava?
Non riuscì a proferire parola, e Fabio interpretò il suo silenzio come un’ammissione di colpa.
“Sei il solito, Alessandro…” brontolò, convinto che non sarebbe mai riuscito a capirlo, nemmeno se si fosse impegnato. Anzi, non lo sopportava proprio! E quella caduta era l’ultima goccia che fece straboccare il vaso. In un impeto d’ira, gli vomitò addosso tutto quello che pensava di lui, con le parole che fluivano libere e violente come un fiume in piena:
“Non capisco come mai il professore si ostini ad affidarci progetti insieme! Ma non si rende conto che me la posso cavare molto meglio senza di te? Tu sei solamente una grossa palla al piede! Pensi solo a divertirti e te ne freghi degli studi! E poi, guarda come vai in giro... ti sembra il modo di vestirsi in un college?”
“Cos’hai da ridire sul mio stile? Io almeno ho personalità e non mi vergogno di apparire come sono, a differenza di te che ti diverti a recitare il ruolo di mister perfezione!”
“Non ti puoi permettere di insultarmi! Io tengo alla mia istruzione e al mio aspetto! Non mi rendo ridicolo come te, pieno di borchie e catene, con i jeans tutti strappati e un collare come i cani… per non parlare di quei capelli sparati in aria come se avessi infilato le dita nella corrente! Ma dai! Ti sei guardato? Halloween è passato da un pezzo, smettila di fare il pagliaccio e impegnati! Hai 23 anni, dovresti comportarti da uomo e non da ragazzino! Sei un aborto, non una persona!”
Alessandro non gli rispose neanche. Strinse i pugni talmente tanto da farsi male e le nocche divennero bianche, ma lo sguardo quello no, non riuscì ad alzarlo. Non poteva fissare in faccia la persona che lo stava insultando ed osservare i suoi occhi castani carichi di odio feroce, non senza soffrire il doppio di quanto stava già facendo. Era troppo arrabbiato e deluso, troppo amareggiato e ferito per poter fare qualsiasi cosa di cui poi si sarebbe pentito, così si limitò a voltargli le spalle e ad andarsene. Dapprima lentamente, poi la camminata si fece sempre più veloce fino ad arrivare a correre: non gli avrebbe lasciato anche il privilegio di vederlo piangere. Già, perché anche se non voleva, quelle dannate lacrime avevano cominciato a rigargli il volto e l’unica cosa che gli rimaneva da fare era correre via, lontano.
Anche Fabio non rimase a lungo in quel prato. Pensò piuttosto a tornarsene in camera e a mettersi d’impegno per finire la relazione: in fondo non c’era bisogno di ciondolare in infermeria per ore ed ore a causa di un semplice bernoccolo che sarebbe scomparso in pochi giorni. Sarebbero stati problemi del rosso spiegare al professore come mai la sua parte mancava, a lui non interessava. La sua ennesima fuga di poco prima non aveva fatto altro che dimostrargli quanto quel ragazzo fosse vigliacco ed irresponsabile, oltre a confermare quanto poco gli importasse della carriera scolastica sua e degli altri, dato che da quel compito non dipendeva solo il suo voto, ma anche quello del compagno.
Basta. Era deciso. Avrebbe del tutto cancellato quello stupido punk nullafacente dai propri pensieri, il compito veniva sopra ogni cosa.

Rimase incollato ai libri per tutto il resto del pomeriggio, concentrato al massimo: non solo doveva fare il doppio del lavoro per colpa di quello scansafatiche, ma voleva anche ottenere un punteggio altissimo, sia per non rovinarsi la media, sia per dimostrare che da solo sapeva cavarsela molto meglio, infatti aveva deciso di scrivere la relazione per intero non limitandosi alla parte di sua competenza, così ovviamente avrebbe apposto solo il proprio nome esonerando quel rockettaro da strapazzo dal dividere immeritatamente il voto. Che andasse pure a farsi fottere! Non aveva certo bisogno di lui!
Calò il sole, lentamente, e lui nemmeno se ne rese conto; alzò il naso solo quando fu troppo buio per continuare, ed accese la luce, infastidito per aver sprecato anche quel secondo del suo prezioso tempo. Non badò neppure alla ribellione del suo stomaco che, brontolando per i morsi della fame, gli ricordava che l’ora di cena era passata da un pezzo, ma lui doveva finire presto, non aveva tempo da sprecare per mangiare!
All’improvviso si risvegliò da quest’iperattività: c’era qualcosa di strano nella stanza che lo distraeva, ma non capiva cosa e tale consapevolezza lo stava alquanto irritando.
ma sì! Cos’era quel rumore insistente che gli martellava i timpani? Era un aritmico e profondo tum tum tum, ma non riusciva ad identificare da dove provenisse…
Già… la porta! Qualcuno stava bussando da almeno 5 minuti.
Che ore erano? Guardò l’orologio, segnava le 21.30. Si alzò per aprire, molto indispettito: chi si era permesso di venirlo a disturbare a quell’ora, sapendo che non voleva vedere nessuno? Che scopo aveva mettere sulla porta il cartello “Do not disturb… I’m studying!!!” se poi nessuno lo rispettava? Sicuramente era per una stupidaggine, ci avrebbe scommesso, e lui non aveva tempo da perdere!
Spalancò violentemente la porta, grugnendo un “Che cazzo vuoi?” a denti stretti al povero malcapitato, ma la scena che gli si parò davanti lo lasciò letteralmente senza parole.
Sotto la luce al neon del corridoio c’era Alessandro.
Non si aspettava di certo una sua visita, non dopo ciò che era successo nel pomeriggio.
Inoltre il ragazzo sembrava davvero sconvolto: aveva gli occhi rossi e gonfi come se avesse pianto a lungo e da poco, i capelli erano spettinati più del solito e i vestiti erano tutti stropicciati… poi quell’espressione!
Troppo tormentata e triste per poter appartenere ad un solo essere umano, e mostrava allo stesso tempo segni tangibili di una cicatrice nell’anima non ancora rimarginata…
Fabio non sapeva perché, ma vedere il rosso, solitamente forte, solare e strafottente in ogni situazione, ridotto ad uno straccio lo faceva stare male, era come se artigli invisibili gli stringessero il cuore…
Forse era solo il rimorso per essersi comportato da vero bastardo nei suoi confronti, ma dopo tutto era stato proprio Alessandro ad esasperarlo con il proprio comportamento! Insomma, aveva esagerato con le parole, ma non riteneva di doversi sentire in colpa! Eppure…
Se non era solo questo, allora cos’era? Perché si sentiva così confuso, e così imbarazzato da non riuscire a spiccicare più nemmeno una parola?
Era una sensazione troppo irrazionale, troppo illogica per i suoi gusti, e per questo iniziò a prendersela con sé stesso: per nulla al mondo doveva perdere il proprio sangue freddo!
Alessandro, allo stesso tempo, non sapeva come comportarsi. Tutti i suoi amici, soprattutto Silvia, gli avevano sconsigliato di andare da Fabio dopo gli insulti e le cattiverie che gli aveva rivolto, però…
Nonostante si sentisse frustrato da quelle parole, pronunciate proprio dall’unica persona cui sarebbe voluto piacere almeno un po’, sapeva che quella era la cosa giusta da fare.
Purtroppo era una persona fin troppo corretta, e ciò gli si era sempre ritorto contro: questa ne era l’ennesima conferma.
Doveva affrontare Fabio, ma le mani gli tremavano troppo e la voce faticava ad uscire: inoltre non riusciva proprio ad alzare lo sguardo e continuò a fissare il pavimento davanti a sé, anche se non era lui ad avere colpe di cui rendere conto all’altro. L’ansia lo divorava, e non era affatto un comportamento normale: lui era abituato a stare in mezzo alla gente, a chiacchierare con tutti ed ai concerti con la band dovevano trattenerlo dal buttarsi dal palco in mezzo al pubblico! Ma con quel ragazzo accigliato che aveva appena aperto la porta della propria stanza tutto il carattere svaniva e si sentiva come un bambino indifeso.
Il borbottio dello stomaco di Fabio tuttavia sembrò dargli coraggio, perché le sue labbra si piegarono in un timido sorriso: la situazione era esattamente come se l’era immaginata!
Con un gesto brusco, allora, gli porse una cartelletta ed un panino, dicendo con un tono che uscì più freddo di quanto avrebbe voluto: “Questa è la mia parte della relazione per domani. Fanne quello che vuoi.”
“Ma… e…” balbettò Fabio, afferrando anche il panino, obbligandolo così ad una spiegazione forzata
“Sapevo che non avresti cenato stasera, così ti ho comprato da mangiare anche se non te lo meriti”
A quel punto però gli mancarono le forze, perché nonostante tutto aveva sperato in un moto di gratitudine da parte dell’altro, che però tardava a venire, e anzi, in fondo già sapeva che non sarebbe mai arrivato, perciò non potendo sostenere oltre quella conversazione, con un movimento brusco che apparve gelido e dettato dal rancore, si voltò e s’incamminò svelto lungo il corridoio.
Non appena sentì la porta chiudersi, gli sfuggì un sospiro e rilassò ogni muscolo del proprio corpo che fino ad allora aveva tenuto teso come una corda di violino. A quel punto una bella ragazza mora, con una minigonna vertiginosa e stivaloni neri fino al ginocchio, abbigliata con uno splendido stile da gothic lolita, uscì dall’ombra al lato delle scale e gli si avvicinò, visibilmente contrariata.
“Perché anche quel panino?” incalzò subito, molto infastidita e arrabbiata, puntandogli il dito contro
“Ma lo hai visto? La relazione di chimica sta assorbendo tutte le sue energie, e se non gli avessi portato da mangiare non avrebbe neanche cenato! Così…”
“Non dire sciocchezze!” lo redarguì lei “Era già troppo che tu gli portassi quel dannato compito!”
“Silvia, lo sai che era giusto così… in fondo un po’ è anche colpa mia…”
“È davvero incredibile!” esclamò lei, in un moto d’ira e preoccupazione “Dopo tutto quello che ti ha detto, dopo come ti ha trattato sia pomeriggio che ora, quando poteva scusarsi ed oltre a non averlo fatto non ha nemmeno ringraziato per il tuo gesto gentile, dopo tutto questo, tu ancora gli stai dietro?!”
Il volto della ragazza era rosso e sconvolto, stravolto, e Alessandro non potè fare altro che ribatterle urlando quasi quanto lei
“Non posso farne a meno! Non lo capisci? Non l’ho scelto io! Non è razionale, non si può scegliere chi sarà quella persona! Altrimenti avrei preferito mille volte stare con te, quando me l’hai chiesto! Mi sembrava che avessi capito, che mi avessi accettato per come sono e che avessi messo una pietra sopra ai tuoi sentimenti che non posso ricambiare se non come amico! Dovresti sapere anche tu cosa vuol dire amare senza essere ricambiati! Fa male, ma non riesco a impedire al mio cuore e alla mia testa di riempirsi con la sua sola immagine!”
La ragazza, a quelle parole, rimase ammutolita per qualche istante. Era vero, lei era innamorata di Alessandro ma si erano già chiariti in merito: potevano essere solo amici, perché a lui non piacevano le donne. Non era stata una notizia sconvolgente, in fondo lei l’aveva sempre sospettato, ma, al pari di lui, non poteva evitare di dimenticare i propri sentimenti, così aveva imparato col tempo a trasformare la sofferenza in una sincera e profonda amicizia che non avrebbe voluto finisse mai. Per questo era preoccupata: non riusciva a vedere l’amico distruggersi per un amore impossibile, proprio come lo era stato il proprio nei suoi confronti.
Nonostante tutto, Silvia strinse le spalle in un gesto di rassegnazione, scrollando la testa, per poi dargli una pacca sulla spalla e sospirare “Dai, sbrighiamoci, altrimenti faremo tardi alle prove, e chi li sente poi Jack e Marco? Già dovranno sorbirsi un’altra serata con il bassista in preda a crisi d’amore… e cerca almeno di non stonare nei cori!”
Alessandro le sorrise, lanciandole uno sguardo volutamente da dolce cucciolo indifeso, e lei sbuffò, prima di prenderlo per mano e condurlo con sé verso la sala prove dove il resto della band li aspettava, abbandonando definitivamente il dormitorio.

Nel frattempo, Fabio rifletteva.
Che significava? Osservava la cartelletta imbambolato, senza riuscire a muoversi, in piedi in mezzo alla stanza come uno stupido.
La fame lo risvegliò finalmente dal torpore, e divorò letteralmente il panino… poi un pensiero improvviso gli balenò in mente: come faceva Alessandro a sapere che mangiava solo quelli col salmone? Ma no, c’era una spiegazione razionale: era probabile che ne avesse scelto uno a caso, e la fortuna aveva voluto che fosse proprio il suo preferito.
Certo che il rosso era stato davvero gentile a pensare a lui…
No, era solo un gesto per giustificare la propria svogliatezza. Non doveva farsi illusioni, quel ragazzo non aveva speranze.
Però sembrava che avesse pianto… No, no, doveva essere stata solo un’impressione.
Scacciò tale pensiero iniziando a sfogliare le pagine del lavoro dell’altro, incuriosito da cosa aveva potuto scrivere, dato che non si era mai presentato in laboratorio ad osservare l’esperimento.
Il problema era che faticava a decifrare alcune parole: sembravano macchiate da gocce d’acqua che avevano cancellato l’inchiostro. Il dubbio s’insinuò nella sua mente, così cominciò a girare i fogli velocemente, prestando poca attenzione a ciò che vi era scritto: cercava altre gocce, come Sherlock Holmes con la sua lente, e con somma meraviglia ne trovò ovunque.
No, non era semplice acqua. Alessandro aveva scritto la relazione mentre copiose lacrime gli cadevano dagli occhi, lasciando il segno della loro presenza su ogni pagina.
Ma… allora aveva pianto davvero!
Non ci poteva credere… non ci voleva credere!
Era solo uno stupido ragazzino che giocava a fare il duro vestendosi e atteggiandosi da punk ma borchie e catene non avevano impedito alla propria indole immatura di manifestarsi: gli uomini veri non piangono mai!
Non riusciva però a togliersi dalla testa l’immagine di poco prima, quando lo stupido ragazzino si era presentato con gli occhi gonfi e rossi davanti alla sua porta con un atteggiamento così umile…
Incredibilmente, anche solo l’idea che avesse potuto piangere lo faceva stare troppo male e quest’insana sensazione si accresceva quando pensava che il motivo del suo pianto potevano essere state le parole crudeli che gli aveva rivolto pomeriggio… La morsa sul suo cuore stringeva sempre più, tanto che quasi salirono le lacrime anche a lui, perché era ovvio che Alessandro stava soffrendo per colpa sua…
E adesso perché doveva tormentarsi pensando al rosso? Perché si sentiva così triste e in colpa? Con un moto d’ira rivolto verso sé stesso, picchiò un pugno sulla scrivania, facendosi male alla mano.
Basta! Doveva mettersi al lavoro!
Si rimise a leggere ciò che aveva elaborato l’altro, questa volta con impegno, pensando di trovare uno scritto fatto male, non all’altezza nemmeno della sufficienza, e invece…
Alessandro era davvero bravo! Non l’avrebbe mai immaginato! Certo, bisognava correggere le conclusioni, però nel complesso dovette ammettere che, aggiungendo anche il proprio lavoro, avrebbero potuto raggiungere tranquillamente il massimo dei voti.
Si ritrovò ancora una volta nel corso di quella serata a pensare al rosso: quel ragazzo era una continua sorpresa. Il panino, la relazione… doveva rivalutarlo, aveva sbagliato in pieno a giudicarlo uno scansafatiche solo per il modo in cui si vestiva e per l’atteggiamento spensierato e felice con cui affrontava la vita.
Appena ne avesse avuto l’occasione si sarebbe scusato con lui. Forse per la prima volta non sarebbero stati sorrisi e parole di circostanza, false, come era solito usare nei confronti di tutti, ma sarebbero state dettate dal suo cuore. Si rese conto che era stato troppo duro.
Si, gli avrebbe parlato.
Rincuorato, si rimise al lavoro e continuò fino a mezzanotte prima di sentirsi pienamente soddisfatto di ciò che aveva creato, poi si lasciò andare al sonno, popolato da sogni meravigliosi, stranamente affollati da misteriose creature angeliche dai capelli rossi e vestite da rockettari pieni di borchie e catene…

 
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